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Non abbiamo alcuna notizia su Eratostene, un altro degli σχολαστικοί del Ciclo di Agazia, né possiamo ricavare informazioni cronologiche certe dai suoi com- ponimenti, che non contengono riferimenti a particolari personaggi della realtà contemporanea al poeta; per quanto concerne la tematica dei suoi epigrammi in due casi, segnatamente AP 5.277 e AP 9.444, si può però rilevare un’influenza della legislazione giustinianea in merito ai rapporti omoerotici e al matrimonio, tematiche che dunque corroborano l’appartenenza del poeta al VI secolo d.C. Per alcuni epigrammi relativi a questo autore ci sono anche discrepanze di at- tribuzione tra P, Pl e le sillogi minori che li riportano: AP 5.242 è assegnato dalla silloge I (Pal. gr. 218)605 ad Agazia, AP 9.444 è attribuito da Pl (e da Q) a Paolo: in P prima si trova appunto un epigramma di Paolo quindi si può pensa- re che Pl, copiando dal suo antigrafo “cefalano” abbia sbagliato l’assegnazione per un motivo meramente meccanico606. Si pensa inoltre che ad Eratostene pos- sa essere attribuita la compilazione dell’argumentum del dodicesimo idillio teocriteo607: l’analisi dettagliata dei componimenti mostrerà come in effetti il poeta mostri una conoscenza approfondita del corpus teocriteo, che ben si ad- dice ad una personalità di studioso della poesia bucolica.

AP 5.242

Il poeta spera che l’amata “apra la sua porta” ma…cave canem!

Il poeta, quasi fosse un exclusus amator, si rivolge alla donna chiedendole il permesso di “entrare” con una sequenza di doppi sensi osceni basati sulla meta- fora della chiave e della porta: le “criptiche” parole dell’amante ― il cui vero significato risulta e risultava lampante per qualsiasi lettore data la diffusione delle suddette immagini per i genitali in epoca antica ― avrebbero la funzione di sviare i sospetti del marito, ultimo elemento del triangolo, κωφὸν πρόσωπον della scena ma inserito a pieno titolo nella metafora per il ruolo di “cane da guardia” che la moglie stessa ironicamente gli attribuisce. Il double entendre che permea tutto il testo e la scena quasi da mimo urbano garantiscono l’effetto comico, assicurato dai precedenti aristofanei dell’impiego dei medesimi termi- ni e soprattutto di una simile “bolt and lock imagery”608 nella Lisistrata609.

605 Cfr. Maltomini 2008, 135.

606 Per le attribuzioni a Eratostene di AP 5.244, 243 e 246 vd. Maltomini 2008, 126-127. 607 Cfr. Cameron-Cameron 1966a, 11; PLRE IIIa s.v. Eratosthenes, 448; Gow 1952², lxxxiv. 608 Cfr. Henderson 19912, 96.

609 La lingua della Lisistrata è fonte di doppio senso osceno anche per Nonn. D. 34.21-83, dove

il servo di Morreo si chiama Issaco con allusione al termine con cui, in Lys. 1001, Aristofane designa i genitali femminili: cfr. Agosti 2001, 234.

135 Ὡς εἶδον Μελίτην, ὦχρός µ’ ἕλε· καὶ γὰρ ἀκοίτῃ κείνη ἐφωµάρτει· τοῖα δ’ ἔλεξα τρέµων· “Τοῦ σοῦ ἀνακροῦσαι δύναµαι πυλεῶνος ὀχῆας, δικλίδος ἡµετέρης τὴν βάλανον χαλάσας, καὶ δισσῶν προθύρων πλαδαρὴν κρηπῖδα περῆσαι, 5 ἄκρον ἐπιβλῆτος µεσσόθι πηξάµενος;” ἡ δὲ λέγει γελάσασα καὶ ἀνέρα λοξὸν ἰδοῦσα· “Τῶν προθύρων ἀπέχου, µή σε κύων ὀλέσῃ.”

4 ἡµετέρης codd. : ὑµετέρης Reiske | 8 σε κύων ὀλέσῃ Jacobs : σκεϋὴν ὀλέσῃ P ὀλέσῃς cet.

Appena vidi Melite mi prese il pallore: ella infatti era insieme al marito: dissi dunque queste parole tremando:

“Posso tirare indietro i catenacci della tua porta, abbassando il pomello della mia doppia chiave, e penetrare l’umida soglia del doppio vestibolo, piantando nel mezzo la punta del piede di porco?”

E quella risponde ridendo e guardando di sottecchi il marito: “Stai lontano dal vestibolo, o il cane ti mangia.”.

v.1 Ὡς εἶδον Μελίτην: la temporale in incipit di esametro ricorre in Il. 5.515, 7.308, 21.207; l’immediatezza della reazione fisica del poeta, in concomitanza con lo scorgere l’amata, non può non richiamare il celeberrimo Sapph. fr. 31.7 Voigt610: dal prosieguo si evincerà comicamente che non è la gelosia a colpire il poeta bensì la paura del marito.

Melite è nome rufiniano (cfr. Rufin. AP 5.15.3 nella stessa sede del nostro, 5.36.1, 5.94.1 = 4.3, 12.1 e 35.1 Page), come altri poi ripresi dagli epigram- misti del Ciclo: in questo caso è Agazia a riproporlo, sempre nella medesima posizione, in AP 5.282.1 = 78.1 Vians.

ὦχρός µ’ ἕλε: notevole ripresa, in chiave parodica, di Il. 3.35 ἂψ δ’ ἀνεχώρησεν, ὦχρός τέ µιν εἷλε παρειάς in cui è sempre un amante, Paride, a prendersi paura alla vista di un marito, Menelao (e si noti ὦχρος eadem sede). Il precedente epico getta qualche dubbio sul tono saffico dell’attacco (si rammenti il χλωροτέρα δὲ ποίας | ἔµµι), o meglio sulle ragioni di una reazione del genere, chiarite definitivamente dal γáρ successivo; l’ambiguità di ὦχρος però non finisce qui: il termine indica sì il pallore dovuto a sgomento, a spavento (nel passo omerico citato da Eratostene Paride è efficacemente para- gonato a chi è preso da terrore alla vista di un serpente ed anche nel nostro epi- gramma ― lo vedremo ― è un “animale” la causa dello spavento), ma in Paul.

610 Per un altro esempio della rielaborazione epigrammatica della celebre ode cfr. Floridi

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Sil. AP 5.258.4 = 77.4 Vians.611 indica anche una sorta di languidezza erotica, che non è da escludere nel nostro caso come ulteriore reazione spontanea alla vista di Melite.

καὶ γὰρ ἀκοίτῃ: per la struttura della clausola cfr. Nonn. D. 33.379 οὐ γὰρ ἀκοίτης|, 35.137 οὐ γὰρ ἀκοίτην|; il sostantivo in fine di verso anche in Agath. AP 7.569.1 = 68.1 Vians.

v.2 ἐφωµάρτει: il verbo, attestato 3x in Omero, 2x in A.R. e in Nic. Alex. 479, concentra le sue attestazioni nella poesia esametrica tarda, cfr. Greg. Naz. carm. 1.2.1.497; Triph. 153; 5x nelle D. e 3x nella P. nonniana; Paul. Sil. Soph. 706; qui è costruito col dativo come in A.R. 1.201 e in P.Vindob. Rainer 29801 1r.6612.

τοῖα δ’ ἔλεξα τρέµων: ancora un elemento, il tremore, che può esser ricondot- to sia alla “sintomatologia d’amore” (cfr. Sapph. fr. 31.13-14 Voigt τρόµος δὲ | παῖσαν ἄγρει.; Ach. Tat. 8.13.2 ἐγὼ δὲ ὡς εἶδον, εἱστήκειν τρέµων, καὶ ταῦτα πρὸς ἐµαυτὸν ἔλεγον κτλ.) sia, più prosaicamente, al timore del legittimo con- sorte, ora che il poeta sta per prendere la parola.

v.3 ἀνακροῦσαι… ὀχῆας: cfr. Arat. 193b ἀνακρούουσιν ὀχῆας; il verbo nella AP compare anche in Antip. Sid. AP 7.29.4 = HE 273 ma nel significato di “in- tonare”613. Per la valenza oscena di κρούω cfr. Ar. Ec. 989-990614: essa è sotte- sa in anon. AP 5.99.2, un componimento che, similmente al nostro, sfrutta un

double entendre, stavolta relativo all’ambito della performance musicale.

σοῦ… πυλεῶνος ὀχῆας: ὀχεύς si trova regolarmente in fine di esametro; per la movenza πυλεῶνος ὀχῆας cfr. Triph. 238; Nonn. D. 7.317, 44.22; Olymp. Blem. 82 Livrea. La forma poetica πυλεών compare anche in Jul. Aegypt. AP 7.70.5: sia Eratostene che Giuliano mutuano l’uso da Nonno, in cui il termine compare, oltre ai passi testé citati, altre 33x. Per i genitali femminili come “porte” cfr., e.g., Antiphil. AP 9.415.6 = GPh 1056 (σανίδες)615.

v.4 δικλίδος ἡµετέρης τὴν βάλανον χαλάσας: l’interpretazione del verso è molto dibattuta. Considerando che sia δικλίς che βάλανος sono attestati in si- gnificati relativi alla porta Reiske propose di correggere l’aggettivo possessivo in modo che tutto il verso fosse ancora riferito ai genitali femminili: βάλανος infatti è il paletto o stanghetta per fissare il chiavistello, δικλίς invece è tradi- zionalmente impiegato al plurale come epiteto di porte (cfr., e.g., Il. 12.455, in

incipit come nel nostro); postclassico è l’uso dell’aggettivo sostantivato, sem-

pre al plurale, nel senso di “porta esterna a due battenti, porta doppia”616 (cfr. A.R. 1.787, 3.236, 4.26; Mel. AP 7.182.3 = HE 4682; Asclep. AP 5.145.1 =

611 E cfr. Viansino 1963, 145 per altre occorrenze del valore erotico del termine, tra cui Ov.

A.A. 1.729.Palleat omnis amans! hic est color aptus amanti.

612 Cfr. Bernsdorff 1999 ad l.

613 Per i significati con cui il verbo è impiegato in Nonno cfr. Peek s.v. 614 Cfr. Henderson 19912, 171.

615 Ricchezza di esempi in Adams 19902, 89; Henderson 19912, 137-138. 616 Cfr. Hsch.δ 1827-1828 Latte.

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12.1 Sens617; Paul. Sil. AP 5.256.1 = 56.1 Vians. ― da notare che i testi erotici sono dei παρακλαυσίθυρον); raro infine il suo impiego al singolare, attributivo o sostantivato che sia, si veda Rhian. AP 6.173.5 = HE 3240; Theocr. 14.42; Arat. 193; Paul. Sil. Soph. 579, Amb. 242. Come ben sottolinea Gow nel suo commento al passo teocriteo, non c’è nulla che induca a pensare che al singola- re il termine possa acquisire un’accezione diversa da quelle ricordate618: questo vale anche per il nostro testo e giustifica la lieve correzione di Reiske che però genera un verso tautologico rispetto al precedente. Mantenere la lezione della tradizione consente di rispettare l’alternanza dei versi, a due a due uguali nella costruzione (3 e 5 con l’infinito retto da δύναµαι, 4 e 6 con una struttura parti- cipiale) e riferiti verosimilmente gli esametri alla donna e i pentametri all’uomo619 (l’opposizione tra σοῦ del verso 3 e ἡµετέρης del 4 è netta). Ma come leggere, a questo punto, i termini del secondo pentametro come allusivi al sesso maschile? La strada seguita dagli interpreti è stata, ancora una volta, quella aristofanea: con βάλανος infatti si allude al membro maschile in Ar. Lys. 410 ss. e si veda anche l’uso di βαλανόω in Ar. Ec. 361620; del resto βάλανος è termine tecnico per il glande, cfr. Arist. HA 493a27621. Per χαλάω, comune- mente usato per chiavistelli et sim., in fine di verso e interpretabile in senso o- sceno cfr. anon. AP 5.99.2622 (citato supra perché presenta il medesimo uso di κρούω). Tutto ciò non dà però minimamente ragione dell’uso di δικλίς per l’uomo, oltre a creare una sequenza di azioni non del tutto consequenziali tra loro: per tale motivo ritengo che, ancora una volta, a cogliere nel segno sia l’allettante proposta di Jacobs di vedere in δικλίς la chiave laconica623, che ser- viva, coi suoi dentelli, a liberare i cavicchi del chiavistello e a permetterne lo scorrimento totale, in modo del tutto simile alle nostre moderne chiavi e serra- ture che da quella derivano. L’attribuzione da parte di Eratostene di questo si- gnificato al termine fa forse leva su una ragione grafica del tipo di quella ripor- tata dai lessici etimologici624. A questo punto nella βάλανος si potrebbe vedere

617 Col comm. ad l. anche per la tipologia di porta cui il termine può corrispondere. 618 Cfr. Gow 19522, 255.

619 Con un bel contrasto con la tradizione che definiva gli esametri versi “maschili” e i

pentametri “femminili”; sempre per quanto riguarda la metrica del componimento si noti che i vv. 1, 3 e 5 del discorso dell’uomo presentano cesura maschile, il v.7, in cui è la donna a prender la parola, ha cesura trocaica o femminile.

620 E per entrambi i passi aristofanei cfr. Henderson 19912, 119. Per simili metafore nella

lingua latina cfr. Adams 19902, 14-24: interessanti per il nostro discorso l’uso di palus in Hor.

carm. 1.8.5 e di trabs in Catull. 28.10.

621 E cfr. ancora Henderson 19912, 137 n. 58; Adams 19902, 72-73.

622 Per altre occorrenze cfr. Magnelli 1999c, 103 n. 19 a proposito di Sotade fr. 2 Powell. 623 Cfr. Animadv. III 1, 241. Suddetta chiave, diffusissima nel mondo antico, serviva

principalmente per aprire e chiudere dall’esterno: è dunque quanto mai appropriata al nostro caso, dato che l’amante ha desiderio di “entrare” in tutti i sensi!

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il pomello della chiave, l’impugnatura (e l’assimilazione alla forma della ghianda è coerente)625.

v.5 δισσῶν προθύρων: il “doppio vestibolo” è chiaramente l’ingresso della vagina come in Ar. Ec. 707-709, 962 ss., 990626; Mel. AP 5.198.2 = HE 4125; si veda anche l’allusività di Nonn. D. 42.277627.

πλαδαρὴν κρηπῖδα περῆσαι: πλαδαρός è un termine medico estremamente raro in poesia: ricorre per la prima volta in A.R. 3.1398 nel senso di “molle, inerte”628 in riferimento alla teste dei giganti uccisi da Giasone; lo mutua Non- no in D. 4.364, dove è un unicum, per designare alla maniera apolloniana la testa di uno dei compagni di Cadmo uccisi dal drago. Oltre ad Eratostene che lo impiega in senso erotico prendendo il significato medico di “molle, umido”, anche Agazia lo utilizza in AP 9.653.4 = 49.4 Vians. per i capelli bagnati di sudore.

κρηπίς è attestato in questa sede a partire dall’esametro imperiale e poi in quel- lo tardoantico, cfr. Opp. Hal. 5.48; [Opp.] Cyn. 4.438; Nonn. D. 13.403, 17.41, 36.101, 40.500, 45.173; Musae. 338; Agath. AP 4.4.7, 4.4.80, 7.596.5 = 2.7, 2.80, 22.5 Vians. (καθαρὴν κρηπῖδα µολόντες |, un fraseggio, quest’ultimo, fo- nicamente vicino al nostro); Paul. Sil. Amb. 128 e 148: nella maggior parte di questi esempi vale “base, basamento”.

Le forme di περάω in clausola sono consuete nell’esametro di tutte le epoche, cfr., per l’infinito aoristo, e.g. Colluth. 297; Nonn. D. 22.106, 35.381; P. 7.129, 11.231, 13.150; Musae. 224.

v.6 ἐπιβλῆτος: il termine compare, nella poesia precedente unicamente in Il. 24.453 e in Theodorid. AP 7.479.1 = HE 3570, in entrambi in fine di verso, ma se nel passo omerico vale “chiavistello” (e cfr., e.g., Hsch. ε 4642 Latte ἐπιβλής·µοχλός) nell’epigrammista ellenistico indica piuttosto il coperchio dell’urna funeraria dacché, come notano Gow e Page, «ἐπίβληµα (is used) of various things placed on something else»; appurato ciò è chiaro che l’utilizzo che ne fa Eratostene è in linea col testo omerico ed ancora una volta possiamo comprovare il senso osceno del sostantivo con un passo aristofaneo in cui µοχλός indica appunto il membro maschile, che serve per forzare l’apertura della “porta” femminile, cfr. Lys. 423-432629.

µεσσόθι πηξάµενος: l’avverbio poetico figura in componimenti epigrammatici nella stessa posizione all’interno del verso, cfr. Theodorid. AP 7.529.4= HE 3547; Pall. AP 10.80.2.

625 Jacobs Animadv. III 1, 241, insiste sulla chiave, che veniva distinta in “maschia” se piena o

“femmina” se cava: «βάλανος clavis dens est, qui claustriis injicitur ad succutienda repagula».

626 Cfr. Henderson 19912, 137. 627 Con Gigli 1985, 21-22. 628 Cfr. Hunter 1989 ad l.

629 Cfr. Henderson 19912, 96, 122 e 119 n.60, dove rammenta il senso osceno di ἐπιβλής del

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Il participio aoristo costituisce clausola di pentametro anche in Apollonid. AP 9.791.2 = GPh 1268; Paul. Sil. AP 5.255.2 = 58.2 Vians. (per il participio pre- sente si veda Paul. Sil. AP 5.232.2 = 80.2 Vians.; anon. AP 9.736.2); per il fra- seggio cfr. Marian. APl 201.2 πηγνύµενοι µεσάτην ἐς κραδίην δόνακες.

v.7 γελάσασα καὶ ἀνέρα λοξὸν ἰδοῦσα: tutto il verso pare suggerire che la donna accolga la profferta. Il participio di γελάω sembra rivelare una complici- tà che in realtà non c’è e lo stesso dicasi per l’ambiguo λοξόν: l’avverbio infat- ti, che spesso indica ostilità, è impiegato in contesto erotico e in riferimento allo sguardo “pudico” in, e.g., Musae. 101630; si veda anche il valore della iun-

ctura ὄµµατα λοξά in A.R. 3.444-445631. Nel nostro caso, come abbiamo detto,

non si tratta di uno sguardo nascosto e pudico come negli esempi citati, anzi piuttosto di uno sguardo che sì non vuol farsi scoprire ma che è carico di mali- zia. La clausola di questo verso compare identica in anon. AP 11.298.3 ἔννεπε λοξὸν ἰδοῦσα.

v.8 µή σε κύων ὀλέσῃ: accolgo, con Waltz e Beckby, l’ingegnosa correzione di Jacobs che introduce l’immagine del marito come cane da guardia: essa, tra l’altro, oltre ad essere plausibile paleograficamente, ha il merito di coinvolgere quello che abbiamo definito il “personaggio muto” della scena inserendolo a pieno titolo nella metafora che domina il componimento. Se proprio volessimo cercare una pezza d’appoggio all’emendamento potremmo citare Antip. Thess. AP 5.30.4-5 = GPh 106-107, epigramma sull’amore mercenario dove si dice che l’amante provvisto di denaro non troverà il cane alla porta (vv.3-4 οὔτε θυρωρὸς | ἐν ποσὶν οὔτε κύων· ἐν προθύροις δέδεται) ma se verrà senza ad accoglierlo ci sarà addirittura Cerbero (v.5 ἢν δ’ ἑτέρως ἔλθῃς, καὶ ὁ Κέρβερος κτλ.). Da segnalare inoltre che anche κύων può avere valenza oscena, si veda e.g. Strat. AP 12.225.2 = 68.2 Floridi632: da un lato dunque si insiste sui giochi di parole del testo, dall’altro si prospetta quasi una “vendetta priapica”. Un at- teggiamento conservativo è quello seguito invece da Schulte, il quale mantiene il tradito σκεϋήν633, lezione pessima soprattutto per via della dieresi nel corpo della parola.

630 Col commento di Kost 1971 ad l.

631 Per quest’ultima, ai passi riportati da Livrea 1973 ad A.R. 4.475-476 e da Matteo 2007 ad

A.R. 2.664-665 ci limitiamo ad aggiungere Jo. Geom. carm. 65.27 ~ 67.4 van Opstall.

632 Con Floridi 2007 ad l. 633 Cfr. Schulte 2006, 40.

140 AP 5.277

Il poeta esprime il suo disgusto per i rapporti omoerotici, dichiarando esplici- tamente di preferire l’amore eterosessuale.

Quello della comparsa della peluria dell’amasio che pone fine alla relazione è un topos dei componimenti erotici della AP, sia del quinto che del dodicesimo libro. Eratostene unisce a questo l’idea del rifiuto del rapporto omosessuale e dà vita ad un testo denso di implicazioni morali e culturali se valutato alla luce della coeva legislazione giustinianea in materia di relazioni tra persone dello stesso sesso; espliciti, a questo riguardo, sono Agath. AP 5.278 = 52 Vians. e 10.68 = 53 Vians., il secondo dei quali è assai vicino al nostro per il tono sen- tenzioso e moraleggiante che caratterizza entrambi634.

Le Novellae 77, emanata nel 535 d.C., e 141, del 559 d.C., si esprimono chia- ramente nella direzione della repressione dell’omosessualità: atto contrario alla natura, dunque offensivo verso Dio, esso viene sanzionato dal codice con seve- re pene corporali635, che l’Imperatore può impartire in qualità di rappresentante della divinità sulla terra; la necessità di reprimere l’atto peccaminoso è tesa ad evitare punizioni più gravi che possano ricadere sulla capitale, novella Babilo- nia.

Ἄρσενας ἄλλος ἔχοι· φιλέειν δ’ ἐγὼ οἶδα γυναῖκας, ἐς χρονίην φιλίην οἷα φυλασσοµένας.

οὐ καλὸν ἡβητῆρες· ἀπεχθαίρω γὰρ ἐκείνην τὴν τρίχα τὴν φθονερήν, τὴν ταχὺ φυοµένην.

I maschi ad altri! Io so amare le donne, perché si serbano per un affetto duraturo.

Gli amasi non sono un piacere: detesto infatti quella peluria invida, che spunta presto.

v.1 Ἄρσενας ἄλλος ἔχοι: l’emistichio è modellato su Il. 4.316; Od. 11.176 ἀνδρῶν ἄλλος ἔχει. Agazia ammonisce, sempre con l’ottativo esortativo ἀρσενικὴ φιλότης µή ποτέ σε κλονέοι, cfr. AP 10.68.2 = 53.2 Vians. La posi- zione di ἄρσενας e γυναῖκας ai due estremi del verso sottolinea l’incompatibilità delle due tendenze sessuali.

v.2 ἐς χρονίην φιλίην οἷα φυλασσοµένας: la causale oggettiva sottolinea l’inconfutabilità della durevolezza dell’amore femminile; Agazia da parte sua consiglia l’eros femminile con queste motivazioni θηλυτέρας φιλέειν ὀλίγον

634 Cfr. Mattsson 1942, 57-58. Il tema dell’esaltazione della castità, che Eratostene tratterà “a

parte”, è in realtà preponderante in questi epigrammi agaziani, e a questo il poeta lega l’atteggiamento anti-pederotico.

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κακόν, οὕνεκα κείναις | Κυπριδίους ὀάρους πότνα δέδωκε φύσις, cfr. Agath. AP 10.68.3-4 = 53.3-4 Vians.

Jacobs, seguito da Schulte, pensa ad una metafora tratta dal mondo vegetale, in una sorta di paragone tra la donna e il frutto che, se essiccato, si conserva nel tempo: le due immagini non mi paiono completamente sovrapponibili se si pensa che, di solito, l’elemento comune alla donna e alla vegetazione è la capa- cità di generare, che certamente, almeno nel caso dell’essere umano, non trae beneficio dal trascorrere del tempo. Qui invece si vuol porre l’accento sul fatto che la donna è sempre in grado di amare, in qualsiasi età della vita e sulla diffe- renza rispetto ai “fugaci” amplessi maschili, che terminano con la comparsa di certe caratteristiche fisiche (vd. secondo emistichio); al limite si può vedere un’analogia con l’uso dell’aggettivo χρόνιος in riferimento alle piante perenni, sempreverdi636.

v.3 οὐ καλὸν ἡβητῆρες: il termine ἡβητήρ è nonniano ed è usato spesso nel poema (17x nella stessa sede del verso) per designare gli amasî637; cfr. anche Colluth. 71, 246; Agath. AP 6.76.5 =25.5 Vians.

ἀπεχθαίρω: si oppone recisamente al φιλέειν del v.1.

v.4: per l’avversione verso la peluria cfr., e.g., Strat. AP 12.22 = 63 Floridi; AP 12.191= 32 Floridi dove, come si sa, essa è motivata non dalla preferenza del poeta per gli amori femminili ma dal fatto che deturpa l’amasio rendendolo meno appetibile: nel nostro caso invece è forte l’opposizione tra ταχύ e il χρονίην del v.2.

L’effetto di disgusto nel nostro verso è sottolineato dall’insistita allitterazione (si noti anche il parallel word end tipico del pentametro); per la movenza τρίχα… φθονερήν cfr. Stat. Flac. AP 12.27.3 = GPh 3859.

AP 6.77

Senofonte il beone dedica l’orcio, che ha appena svuotato, al dio Bacco.

Il distico anatematico è affine ad altri componimenti del sesto libro della AP, come ad esempio Leon. AP 6.44 = HE 2541-2545, in cui Eronatte dedica ai Satiri e a Bacco tre anfore: a differenza del nostro però i recipienti sono colmi di vino, regalo di un’abbondante vendemmia e augurio per un’altra altrettanto fruttuosa; anche il tema dell’offerta misera, spesso indice della povertà del de- dicante, è frequente nei componimenti anatematici: basti citare Zon. AP 6.98 = GPh 3446-3451, oppure la coppia Gaet. AP 6.190 = FGE 181-180 e Corn. Long. AP 6.191= FGE 245-252, imitazioni del lamento del “povero” poeta Le- onida in AP 6.300 = HE 2183-2190638. Nell’epigramma di Eratostene l’intenzione scoptica della dedica è evidente, dal primo termine fino alla chiusa

636 Cfr. Jacobs Animadv. III 1, 240; Schulte 2006, 40. 637 Cfr. Peek s.v.

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con una ripresa lucilliana: del resto non sorprende trovare componimenti a ca- vallo tra due generi (frequente anche la tipologia di epigrammi scoptico- funerari) inseriti dai compilatori della AP in un libro, piuttosto che nell’altro, per affinità tematiche con altri testi o per la preponderanza di un aspetto sull’altro639.

Οἰνοπότας Ξενοφῶν κενεὸν πίθον ἄνθετο, Βάκχε· δέχνυσο δ’ εὐµενέως· ἄλλο γὰρ οὐδὲν ἔχει.

Senofonte il beone ti dedica l’orcio vuoto, Bacco: e tu accettalo di buon grado: non ha nient’altro.

v.1 Οἰνοπότας Ξενοφῶν: l’aggettivo è un callimachismo, cfr. Callim. ep. 36.1 Pf.640 Τὸν βαθὺν οἰνοπότην Ἐρασίξενον, componimento funebre che, analoga- mente al nostro, presenta una sfumatura scoptica; nella AP è utilizzato spesso sostantivato, cfr. Maced. AP 11.59.8 = 33.8 Madden. Il termine non compare in Nonno (che ha invece, in D. 12.380 e 14.258 il leonideo οἰνοποτήρ) se si accet- ta in D. 19.310, con Gonnelli641, la correzione di Vianἡδυπότοισιν.

κενεὸν πίθον: ricordiamo che Pito, nelle D. nonniane, è un personaggio del corteggio dionisiaco, di cui si sottolinea con insistenza quanto sia “gonfio di vino” cfr. D. 18.150-151 χεύµατος ἡδυπότοιο βεβυσµένος ἄχρις ὀδόντων | οἰνοβαρὴς ἐχόρευε; cfr. anche D. 20.127-141, in cui il nome del personaggio è ricollegato appunto a quello dell’orcio in uno dei molti epigrammi presenti nel poema.

v.2 δέχνυσο δ’ εὐµενέως: per la movenza cfr. Hld. 3.2. = AP 9.485.12; Jul. Aegypt. AP 7.58.2-3; sul verbo negli epigrammi anatematici e sulla benevo- lenza con cui il dedicatario deve accettare l’offerta cfr. sotto nota ad Eratosth. AP 6.78.3.

ἄλλο γὰρ οὐδὲν ἔχει: come notano gli editori moderni la clausola richiama Lucill. AP 6.164.4 = 128 Floridi: anche la studiosa, che lascia l’epigramma tra i

dubia ma si dice favorevole alla paternità lucilliana, sottolinea la possibilità che

il precedente della clausola di Lucillio permetta di leggere quella di Eratostene come una “dedica ironica”642. L’ironia nel nostro caso risiede nel fatto che, a prescindere dallo stato delle finanze di Senofonte, l’unica cosa che può dedica- re è l’orcio vuoto perché si è scolato il contenuto: si confronti Maec. AP 6.89 = GPh 2508-2515 in cui il pescatore Paride può dedicare a Priapo solamente il guscio di un gambero, dopo essersi mangiato l’interno (anche il componimento

639 Per la commistione dei due sottogeneri, scoptico e anatematico, cfr., e.g., il caso di Lucillio

analizzato da Floridi 2010, 15-22.

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