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Ciò che sappiamo della vita di Teeteto σχολαστικός si può ricavare sostan- zialmente dai suoi componimenti epigrammatici. Fondamentali risultano, per un tentativo di collocazione cronologica, in particolar modo APl 32b, su Giuliano antecessor, e AP 9.659 sui lavori di rinnovamento del palazzo del Pretorio urbano di C.poli da parte di Domnino: i due componimenti, databili con sicurezza rispettivamente post 555 d.C. e post 567 d.C., delimitano l’apice della produzione poetica del nostro uomo di legge, contemporaneo di Agazia e Paolo ed in rapporto diretto con alcuni dei suoi colleghi (almeno con Giuliano

antecessor). AP 9.659 inoltre è uno dei testi-chiave per la datazione del Ciclo

ai primi anni di regno di Giustino II355: come vedremo nel commento ai singoli componimenti, anche la poesia di Teeteto, come quella dei suoi colleghi, risulta per lo più, nei soggetti e nei temi trattati, lo specchio e la celebrazione del regno di Giustiniano. Il nostro epigrammista sarebbe anche l’autore, altrimenti ignoto, di due opere, un περὶ Ἀττικῶν ὀνοµάτων, contenuto nel ms. Laur. 24.9, f. 43v-45r., e di un περὶ παροιµιῶν citato dalla Suda 356, ma l’attribuzione del primo dei due trattati a Teeteto è stata smentita da Koster357, il quale ha fatto notare che la menzione di Teeteto in un’opera contenente citazioni di scoli platonici ed escerti lessicografici verosimilmente tratti dalla Suda, è dovuta proprio alla citazione di uno scolio al Teeteto platonico. La Suda dà testimonianza, oltre che dell’opera sui proverbi, anche di un certo numero di scoli a Teocrito, segnatamente 1.50, 110, 118, 147 (dove viene citato il nome di un certo Teeteto in merito ad alcune osservazioni linguistiche e prosodiche al testo).

AP 6.27

Il pescatore Bitone, ormai vecchio, dedica alle divinità che presiedono alla

pesca (le Ninfe secondo il lemma)358 gli strumenti del mestiere.

Il carme si inserisce nella lunga serie di componimenti anatematici del VI libro della Palatina incentrati sulla dedica degli strumenti di varie tipologie di mestieri (scrivano, pescatore etc..). Nel caso del pescatore i precedenti ravvisabili nelle altre sillogi sono Leon. AP 6.4 = HE 2283-2289359, Phil. AP

355 Cfr. Cameron 1993, 70-71.

356 Cfr. Suda ο 806 Adler; Cameron-Cameron 1966a, 19-20. PLRE IIIb s.v. Theaetetus, 1223-

1224.

357 Cfr. Koster 1967.

358 In realtà, come notano giustamente Gow e Page 1965, 361 «Theaetetus in 27 dedicates

vaguely toδαίµοσιν ἀγροδότῃσι».

359 Da cui tutti gli altri sono «more or less inspired», cfr. Gow-Page 1965, 360. Come è stato

90

6.5, 6.38 e 6.90 = GPh 2680-2687, 2692-2699 e 2706-2712, Maec. AP 6.33 e AP 6.89 = GPh 2500-2507 e 2508-2515 (variante ironica, dove il pescatore Paride non dedica a Priapo gli strumenti ma solo il guscio di un gambero dopo esserselo mangiato), Arch. AP 6.192 = GPh 3638-3644, Flacc.360 AP 6.193 e gli anonimi AP 6.23 = FGE3611102-1109 e AP 6.24; all’interno del Ciclo sono Macedonio e Giuliano d’Egitto a cimentarsi, il secondo a più riprese, nella

variatio di questa canonica tipologia di componimento, vd. Maced. AP 6.30 =

15 Madden, Jul. Aegypt. AP 6.25, 26, 28 e 29. La struttura è quella classica, nella quale l’elenco degli strumenti si conclude, in chiusa di componimento, con la dedica alle divinità. Tutti gli epigrammisti del Ciclo sembrano avere come modello di riferimento i componimenti di Filippo, almeno per la tipologia degli strumenti elencati che sono sempre gli stessi (nel nostro componimento la rete, le canne, il sughero, la nassa, la pietra focaia, l’ancora e gli ami) salvo per la pietra focaia, introdotta per la prima volta appunto da Filippo di Tessalonica.

Siamo di fronte ad un esercizio di riscrittura di un componimento precedente in base ai canoni e allo stile della “nuova poesia” nonniana; oltre a ciò non è da trascurare, nella scelta operata dai poeti del Ciclo dei componimenti da rielaborare, l’influenza della cultura dell’epoca in cui questi poeti vivono e scrivono: mi riferisco, in particolar modo, alla diffusione, in epoca tardoantica dell’iconografia del pescatore solitario362 e delle scene di pesca quali ritroviamo, ad esempio, nelle rappresentazioni musive363; il gusto per tali immagini si riflette anche nella poesia tardoantica latina, come dimostrano certi carmi di Sidonio Apollinare e Ausonio. Non dimentichiamo inoltre che questo genere di descrizioni, del resto, non potevano non richiamare la valenza simbolica che la pesca ha nel cristianesimo sin dalle origini: su questo vd. il canto 21 della Parafrasi nonniana, dedicato al racconto della pesca miracolosa.

strumenti si ritrova nel contemporaneo [Theocr.] 21.9-13: sull’idillio pseudo-teocriteo si veda ora Kirstein 2007 140 ss., in particolare 168-175 per una comparatio con gli epigrammi della

AP. Per la diffusione nella letteratura ellenistica ed imperiale del tema del “poor fisherman” si vedano anche le osservazioni di Madden 1995, 169.

360 In dubbio sull’attribuzione Gow e Page che omettono il componimento, in faleci, dalla loro

raccolta, cfr. Gow-Page 1965, 451.

361 Molto vicino ad Archia AP 6.192, tant’è che già Stadtmüller lo pensava scritto dal poeta

antiocheno variandi studio, cfr. Gow-Page 1968, 439.

362 Esemplare, in questo senso, il missorium costantinopolitano della collezione Paul Getty

databile al VI secolo d.C.

363 Solo per citare il più noto ricordiamo il mosaico della villa di piazza Armerina, del

pavimento della seconda camera da letto sul lato nord del peristilio, raffigurante un gruppo di Eroti pescatori.

91 Ἰχθυβόλον πολυωπὲς ἀπ’ εὐθήρου λίνον ἄγρης τῶν τ’ ἀγκιστροδέτων συζυγίην δονάκων καὶ πιστὸν βυθίων παγίδων σηµάντορα φελλὸν καὶ λίθον ἀντιτύπῳ κρούσµατι πυρσοτόκον ἄγκυράν τ’ ἐπὶ τοῖς ἐχενηίδα, δεσµὸν ἀέλλης, 5 στρεπτῶν τ’ ἀγκίστρων ἰχθυπαγῆ στόµατα, δαίµοσιν ἀγροδότῃσι θαλασσοπόρος πόρε Βαίτων γήραϊ νουσοφόρῳ βριθοµένης παλάµης. 1 πολυωπές P : πολυωπόν Pl, Q | 3 πιστῶν c | 4 habet Suda s.v. ἀντιτυπῆσαι | 7 πόρε codd. : θέτο Brunck

Il lino da pesca tutto fori dopo la pesca fortunata, la coppia di canne cui è legato l’amo,

il sughero fido segno delle trappole profonde, la pietra che genera fuoco col reciproco colpo,

e inoltre l’ancora che trattiene la nave, catena per la tempesta, le punte infilza-pesce degli ami ritorti,

alle divinità datrici di preda offre il navigante Bitone con le mani appesantite dalla vecchiaia portatrice di mali.

v.1 ʼΙχθυβόλον… λίνον: per la iunctura cfr. Greg. Naz. AP 8.156.1 (epigramma per Naucrazio, fratello di Basilio il grande) Ἰχθυβόλον ποτ’ ἔλυε λίνον βυθίης ἀπὸ πέτρης e ancora Greg. Naz. carm. 2.1.34.196-198 Τὸν δ’ ὑποδεξάµενον ἰχθὺν, ἔδησε λίνον· | Ἰχθυβόλος µὲν ἄνακτι, ὁ δ’ ὤπασεν ᾧ θεράποντι | Τὴν ἁλίην· πόρκης δ’ ἰχθύος ἐν λαγόσιν.

La forma parossitona, come nel nostro caso, ricorre negli esempi del Nazianzeno e, precedentemente, per esempio in Aesch. Sept. 132 riferito al tridente di Poseidone, anon. AP 6.23.2 = FGE364 1103 riferito ai gabbiani. πολυωπές: è lezione di P, difficilior rispetto a πολυωπόν di Pl e Q, quindi accolta dagli editori moderni (tranne Jacobs). L’aggettivo πολυωπής ricorre solamente due volte in Nicandro, in riferimento al favo di miele in Al. 450 (e gli scoli glossano πολλὰς ὀπὰς ἔχοντας) e in riferimento ad un panno di lino in Al. 323 (scoli ἐν πολυωπῷ κόλπῳ τῆς ὀθόνης e ἀραιῶ). La forma πολυωπός, con identico significato, è ἅ. λ. omerico in Od. 22.386, come epiteto della rete; ricorre poi in Opp. Hal. 3.579 e in Triph. 223 in riferimento al lino da caccia (che vale, metonimicamente, rete come nel nostro caso); si veda anche Nonn. P. 18.23365.

ἀπ᾿ εὐθήρου λίνον ἄγρης: per la clausola cfr. Nonn. D. 1.482 (λίνον… ἄγρης anche a 15.180, ma non in clausola). L’aggettivo εὔθηρος, attestato per la

364 Con Page 1981 ad l.

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prima volta in Eur. Bac. 1253 in un riferimento a Penteo carico di ironia tragica, è utilizzato dagli epigrammisti proprio nei componimenti anatematici, cfr. Zos. AP 6.185.4 = FGE 423 e Crin. AP 6.253.7-8 = GPh 2028-2029, dove è epiteto di Pan nel primo caso e del cacciatore dedicante nel secondo; rispetto a Maec. AP 6.89.3 = GPh 2510 εὐθήροισι… καλάµοισι Teeteto, sfruttando l’attestata clausola nonniana, varia l’atteso nesso εὔθηρον λίνον, che avrebbe forse creato un’eccessiva aggettivazione per la rete, in un complemento di origine o di tempo che, secondo Jacobs, andrebbe collegato direttamente a πόρε del v.7366; ovviamente a senso si può considerare εὐθήρου come ἀπὸ κοινοῦ in riferimento sia al bottino che alla rete. In Posidipp. 23.4 A.-B. il pescatore che userà in modo accorto gli strumenti del mestiere non se ne andrà mai ἄγρης… κενεός e ancora in Posidipp. 24.6 A.-B. la berta è per il pescatore σῆµ᾿ εὐαγρείης.

v.2 ἀγκιστροδέτων συζυγίην δονάκων: συζυγίη genericamente “coppia, paio” anche in Paul. Sil. AP 5.268.5 e 5.290.2 = 44.5 e 64.2 Vians. ἀγκιστροδέτων ricorre solo qui ma cfr., per il nesso, Phil. AP 6.5.1 = GPh 2680 δούνακας ἀκροδέτους; per analoghi composti, tutti rari, di senso passivo ed utilizzati sempre in prosa367, cfr., e.g., ἀγκιστροειδής nel contemporaneo Procop. Pers. 2.21.22, Goth. 4.11.33, 4.11.34. δονάκων in clausola di pentametro anche in Alc. Mess. APl 8.2 = HE 115; anon. APl 17; Antip.Sid. APl 305.6 = GPh 492368; Paul. Sil. AP 6.168.2 = 22.2 Vians.

v.3 βυθίων παγίδων: βυθίων in questa stessa posizione metrica in Nonn. D. 23.24; παγίς compare anche in Phil. AP 6.5.6 = GPh 2685 nel significato di “laccio che trattiene” e in Antip. Sid.369 AP 6.109.2 = GPh 364 nel senso di “trappola”370. La trappola da pesca, cui Teeteto allude, è la nassa (κύρτος), nominata esplicitamente nei componimenti di Phil. AP 6.5.3, 6.38.4 e 6.90.4 = GPh 2682, 2695 e 2709, Jul. Aegypt. AP 6.28.4 assieme al sughero: nella pesca con la nassa, sorta di cesta dotata di un’apertura a forma di imbuto, viene immersa a grande profondità (βυθίων) in attesa che il pesce vi rimanga intrappolato dentro, cfr. [Theocr.] 21.11371.

πιστὸν… σηµάντορα φελλόν: cfr. Arch. AP 6.192.6 = GPh 3642-3 φελλὸν ἀεί, κρυφίων σῆµα λαχόντα βόλων, (e κρυφίων βόλων è variato dal nostro βυθίων παγίδων), ripreso da adesp. AP 6.23.6, e Jul. Aegypt. AP 6.28.4 καὶ φελλοὺς κύρτων µάρτυρας εἰναλίων; per la clausola cfr. anon. AP 10.9.5 = FGE 1134: σηµάντορα θήρης. Inutile la correzione della mano c nel Palatino in quanto “rompe” la sequenza di aggettivo-sostantivo l’uno all’inizio e l’altro

366 Cfr. Jacobs Animadv. II 3, 403. Non così Pontani 1978, 301; Beckby 19682, 459; Waltz

1931, 37; Conca-Marzi-Zanetto, 2005, 395.

367 DELG s.v. ἀγκ- 11.

368 Sul componimento e la sua attribuzione cfr. Argentieri 2003, 166-167. 369 Per l’attribuzione si veda Gow-Page 1968, 63; Argentieri 2003, 44-46. 370 Cfr. Gow-Page 1968, 64, le cui osservazioni valgono anche per il nostro caso. 371 Con Gow 19522 ad l.

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alla fine dei versi precedenti e perché è chiaramente il sughero πιστόν in quanto segnalatore delle nasse; oltre che per la nassa il sughero era comunemente usato anche come galleggiante per le reti da pesca a strascico: cfr. Aus. Mos. 247 Green ducit corticeis fluitantia retia signis372. σηµάντωρ nei poeti del Ciclo è attestato con il valore di sostantivo nel significato di “capo, colui che dà ordini”, con cui ricorre nella poesia esametrica arcaica ed ellenistica, compreso l’epigramma (cfr., e.g., Phil. AP 6.62.1= GPh 2700)373; dall’epica tardo-imperiale in poi374 il termine è utilizzato anche con valore aggettivale375, nella stessa posizione metrica del nostro caso in Nonn. D. 15.120, 22.88, 29.202, 37.551, P. 1.119, 2.39, 5.38, 13.121, 18.81376.

v.4 λίθον ἀντιτύπῳ κρούσµατι πυρσοτόκον: per la iunctura λίθον… πυρσοτόκον cfr. Phil. AP 6.90.6 = GPh 2711 λίθον… πυρητόκον377; Teeteto ha sicuramente presente Nonn. D. 37.59 e 37.64-65 ἀµφοτέρων ἔχρισε λίθων κενεῶνας ἀλείψας | πυρσοτόκων· καὶ λεπτὸν Ἐρυθραίοιο κορύµβου, passo in cui si descrive l’uso della pietra focaia (vv. 67-69) τρίβων δ’ ἔνθα καὶ ἔνθα καὶ ἄρσενι θῆλυν ἀράσσων | ἔγκρυφον αὐτολόχευτον ἀνείρυε λαΐνεον πῦρ, | πυρκαϊῇ δ’ ὑπέθηκεν, ὅπῃ πέλεν ἀγριὰς ὕλη378. L’aggettivo πυρσοτόκος è molto raro nelle D.379: esso compare precedentemente in [Man.] 4.467 come epiteto di Ares; l’unica altra attestazione in ambito epigrammatico è in App. Anth. 4.94.1380. La pietra focaia compare, come abbiamo già notato, tra gli attrezzi del pescatore proprio nei componimenti di Filippo elencati tra i modelli del nostro381 AP 6.5.5 e 6.38.5-6 = GPh 2684 e 2696-97, oltre al già citato AP 6.90.6 = GPh 2711, ed è ripreso poi anche da Jul. Aegypt. in AP 6.28.5-6. Gow e Page pensano, dubitativamente, che venisse utilizzata per la pesca notturna

372 Sulle tecniche di pesca nella tarda antichità cfr. Donati-Pasini 1999, 7-23, con ricco

repertorio iconografico di riferimento.

373 Per una lista esaustiva delle occorrenze rimando a Greco 2004, 152.

374 Cfr. Miguélez Cavero 2013 a Triph. 237, 252-253, ma nel passo oppianeo citato il termine è

ancora sostantivo, cfr. Livrea 1989b a Nonn. P. 18.81; Greco 2004 a Nonn. P. 13.121.

375 Ancora sostantivo in Q.S. 8.452, 12.220, 13.74; Nonn., P. 10.48 Jo. Gaz. 2.173 come anche

in GDRK 34 = Miguélez Cavero 1998 num. 46. Penso che la soluzione migliore sia parlare di “adjectival noun” seguendo Cameron 1977, 58 n. 64 a AP 9.770.

376 Per i passi della P. nonniana rimando ai commenti ai singoli canti citati in bibliografia. 377 È la lezione di P accolta da Gow e Page, i quali commentano (1968, 339) «there is non need

for change (πυρσητόκον Hecker)» sulla base di analoghe neoformazioni di Filippo; la correzione di Hecker 1843, 105 fatta proprio sulla scorta del nostro Teeteto, è invece accolta da Waltz e Beckby. Vale, a mio parere, l’osservazione di Gow e Page, tanto più che mi pare immetodico correggere Filippo sulla base di un autore, come Teeteto, che chiaramente aveva presente l’aggettivazione nonniana.

378 L’idea del contatto tra la pietra maschile e femminile e quella del parto sono richiamate dal

nesso usato da Jul. Aegypt. in AP 6.28.5-6 per definire la pietra focaia ζεῦγός τ’ εὐπλεκέων σπυρίδων καὶ µητέρα πυρσῶν | τήνδε λίθον νηῶν θ’ ἕδρανον ἀσταθέων.

379 Cfr. Frangoulis 1999, 112; Agosti 2013a, 683.

380 Per i composti in πυρσο- in epoca tarda cfr. Floridi 2007 a Strat. AP 12.196.2. 381 È assente invece in Leonida AP 6.4, così come in [Theocr.] 21.9-13.

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con le lampare382, ma in realtà non è necessario pensare ad un uso esclusivo della pietra focaia: oltre agli impieghi più banali, come quello di accendere fuochi per riscaldarsi et sim., sappiamo infatti che era prassi comune nell’antichità abbrustolire le piccole esche per renderle più appetibili per i pesci più grossi, come ci testimonia Opp. Hal. 3.344-346.

ἀντιτύπῳ κρούσµατι: per il significato passivo dell’aggettivo, riferito al suono, nel senso di “ripercosso, riecheggiante” cfr. Arch. APl.154.2 = GPh 3789383, mentre nel senso di “reciproco, vicendevole” cfr. Nonn. D. 13.552: nel nostro caso forse si gioca su entrambi i piani semantici, alludendo sia alla reciproca interazione tra le due pietre nel generare la scintilla (e cfr. ancora Nonn. D. 37.67) sia al rumore che l’azione produce, ma si veda comunque la definizione che ne dà la Suda citando proprio il nostro verso384.

κρούσµατι è la grafia riportata da P e dalla Suda, attestata anche in Agath. AP 5.292.8 = 5.8 Vians.385, Malalas 5.20 e Nic. Eug. Dros. Char. 2.322.

ἄγκυράν… ἐχενηίδα, δεσµὸν ἀέλλης: cfr. Phil. AP 6.90.1 = GPh 2706 Ἄγκυραν ἐµβρύοικον, ἐρυσινηίδα 386, e anche, dello stesso autore, AP 6.5.6 e 6.38.5 = GPh 2685 e 2696. L’ἐχενηίς è ciò che impedisce alla nave di prendere il largo, cfr. Aesch. Ag. 149387, prima attestazione dell’uso aggettivale- appositivo del sostantivo, uso che sarà ripreso da Nonn. D. 13.114, 21.45, 21.49 (stessa posizione metrica del nostro), 36.368388. Che Teeteto qui abbia presente il passo nonniano è testimoniato non solo dal valore di ἐχενηίδα ma anche da δεσµόν nel già citato D. 36.367-369389; cfr. anche Nonn. D. 21.45- 48390.

ἀέλλης in clausola in Il. 3.13; Nonn. D. 2.644, 10.418, 37.645; Paul. Sil. Soph. 913; si tratta chiaramente di un genitivo oggettivo.

382 Cfr. Gow-Page 1968, 336: del resto ἑσπέρης al v.6 favorisce quest’interpretazione. Da

considerare la nota di Waltz 1931, 63 a Phil. AP 6.90.6: «L’usage (della pietra) n’en était évidemment pas special aux marins; mais la possession en était particulièrement précieuse sur mer, quand il fallait ranimer un feu éteint».

383 Gow-Page, 450 citano a proposito i precedenti di Soph. Phil. 694 e 1460 στόνον ἀντίτυπον;

si veda ancora il commento dei due studiosi all’epigramma anche per le altre consonanze con componimenti appartenenti al Ciclo (tra cui APl 233 proprio del nostro Teeteto).

384 Cfr. Suda α 2733 Adler. Per il valore di ἀντίτυπον in Nonno cfr. Gigli 1985, 233-236;

Agosti 2003 a Nonn. P. 5.64, 419-420.

385 Contrariamente a quanto riporta lo studioso nelle sue note di commento, la grafia in Ar. Th.

120 è senza σ; Pl e Q, sia nel caso dell’epigramma di Agazia che di quello di Teeteto riportano la grafia senza σ.

386 Di cui il termine di Teeteto è «quasi un sinonimo» che ne «riproduce esattamente il secondo

elemento»: cfr. Zoroddu 1997,141-142.

387 Col sempre fondamentale Fraenkel ad l.

388 Sulle metafore nautiche in Nonno e l’ἐχενηίς in particolare cfr. Gigli 1985, 146; sul rapporto

tra il passo eschileo e quello nonniano cfr. Zoroddu 1997, 139-140, passim.

389 Con Agosti 2013a ad l.; δεσµός nella descrizione della remora già in Opp. Hal. 1.221, 231-

233: per il rapporto tra i due testi cfr. Zoroddu 1997, 127-129.

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v.6 στρεπτῶν τ’ ἀγκίστρων: per un simile nesso in incipit di pentametro cfr. Phil. AP 6.5.2 = GPh 2681, ripreso da Jul. Aegypt. AP 6.28.2. Per στρεπτός nel significato di “ricurvo” cfr. Eur. HF 946391; [Theocr.] 25.212.

ἰχθυπαγῆ στόµατα: l’aggettivo ἰχθυπαγής è una neoformazione di Teeteto e ἅπαξ assoluto; non si comprende la perplessità di Waltz di fronte a στόµατα: «la métaphore est assez singulière; mais le poète doit comparer mentalement les hameçons à des serpents ou à d' autres bêtes voraces»: difatti non c’è alcun motivo di pensare ad un’assimilazione metaforica tra gli ami e dei serpenti in quanto l’uso di στόµα nel senso di “point of a weapon” è regolarmente attestato392.

v.7 δαίµοσιν ἀγροδότῃσι : le ninfe, secondo il lemma393. Inizio di esametro con δαίµοσιν in, e.g., Il. 6.115; A.R. 4.1549; Opp. Hal. 3.28; Nonn. D. 10.123; Q.S. 12.382; Antip. Sid. AP 6.223.8 = HE 509, Greg. Naz. AP 8.175.1 e 2. L’aggettivo ἀγροδότης ricorre solo qui.

θαλασσοπόρος: l’aggettivo, variazione dell’omerico ποντοπόρος e derivato dallo ἅπαξ callimacheo di AP 7.277.4 = ep. 58 Pf.394, è attestato in CA fr. 9 col.3.2 e concentra poi le sue occorrenze in epoca tardoantica, cfr. Nonn. D. 20.376, 21.187, 40.531, 43.425; Musae. 2395; AP 9.376 (adespoto, subito prima di un epigramma di Pallada); Paul. Sil. Soph. 907; Jo. Gaz. 2.84.

πόρε Βαίτων: ecco finalmente il nome del pescatore che dedica i “ferri del mestiere”, lo stesso degli epigrammi 28 e 29 di Jul. Aegypt., cfr. AP 6.28.7 e 29.1; per la clausola cfr. Il. 4.219, 17.143, Od. 12.302, 19.512; Nonn. D. 3.443, 9.147 et passim. Il verbo è ovviamente tipico dell'epigramma anatematico, cfr., e.g., Phil. AP 6.5.7 = GPh 2687, Maec. AP 6.89.6 = GPh 2513, Arch. AP 6.179.5 e 6.181.4 = GPh 3606 e 3617, Zos. AP 6.185.5 = FGE 424: alla luce di queste osservazioni appare ancor più inutile la proposta di correzione del Brunck: «Melius scripsisset θαλασσοπόρος θέτο Βαίτων quam θαλασσοπόρος πόρε»396.

νουσοφόρω: la forma νοσηφόρος è in Marc. Sid. GDRK 63.58. Teeteto qui “condensa”, per così dire, in un’unica espressione i due motivi topici della rinuncia al mestiere, ovvero la vecchiaia e la malattia397.

391 Già Wilamowitz portava a paragone per il verso euripideo il nostro passo, cfr. Bond 1981

ad l.

392 Cfr. LSJ s.v., III 1.

393 Lemma A ἀνάθεµα Βαίτωνος ἁλιέως ταῖς Νύµφαις 394 Ripreso, sempre da Teeteto, in AP 10.16.14 395 Vd. Kost 1971 ad l.

396 Cfr. Brunck 1776, 232.

96 AP 10.16

Descrizione della primavera, stagione adatta alla ripresa delle attività sul mare: per questo il marinaio deve propiziarsi il dio Priapo, protettore della navigazione, con le tradizionali offerte.

Il componimento fa parte della serie di carmi cosiddetti “priapei” del decimo libro della Palatina: Leon. AP 10.1= HE 2490-2497; Antip. Sid. AP 10.2 = HE 438-445; Marc. Arg. AP 10.4 = GPh 1451-1457; Thyill. AP 10.5 = FGE 372- 379; Satyr. AP 10.6 = FGE 329-336; Arch. AP 10.7 = GPh 3750-3757; adesp. AP 10.9 = FGE 1130-1134; Agath. 10.14 = 38 Vians.; Paul. Sil. 10.15 = 25 Vians. Nella serie priapea si possono riconoscere bene le sezioni tratte dalle varie sillogi: prima di quella alfabetica figura la sezione tratta dal Ciclo che comprende Agazia, Paolo e Teeteto: rispetto ai componimenti di Agazia, che si concentra sulla primavera, e Paolo, che si limita alla sola descrizione del porto, Teeteto sembra operare una particolare fusione dei primi due e, pur non trascurando nella chiusa riferimenti al porto secondo il modello leonideo, dedica ben 10 versi alla descrizione del risveglio della primavera, in tutti i suoi aspetti naturalistici, componendo così un epigramma decisamente longum. Ciascun distico è dedicato ad un aspetto particolare della stagione (segnatamente, il prato fiorito, la rondine, lo Zefiro, il mare silenzioso, già presenti nei modelli398 sovente definito dal poeta con l’utilizzo di neoformazioni aggettivali non altrimenti attestate altrove (vd. infra nel commento), che costituiscono l’originale “marchio” della sua poesia, improntato sulla lezione nonniana e sulla formazione scolastica. Canonizzate in epoca ellenistica nei loro elementi topici, sia la descrizione della primavera che quella del porto rientravano infatti negli esercizi retorici prescritti dai manuali399 e praticati abitualmente da retori e poeti tardoantichi: cfr. Nonn. D. 3.10-16400; Procop. Gaz. decl. 1-2 Garzya-Loenertz = 1-2 Amato; Jo. Gaz.

anacr. 5.39-52 Ciccolella (dove la descrizione della stagione si inserisce nelle

composizioni dedicate al mito di Afrodite e Adone); gli elementi standard dell’ἔκφρασις εἴαρος saranno sfruttati anche dai testi omiletici cristiana celebrativi della Pasqua quale “primavera del mondo”401, ennesima dimostrazione della persistenza della παιδεία classica, ed il legame con Cristo

398 Per l’ “intrusione” della cicala nel nostro testo cfr. De Stefani 2008, 573 n.7; lo studioso

individua in Antip. Sid. AP 10.2 = HE 438-445 il “mediatore” tra il modello-base leonideo e l’espansione di Teeteto.

399 Cfr. i testi citati da Viansino 1963, 48, ai quali si può aggiungere, per i porti, anche Men.

Rh. I.351.20-352.5, 42-44 Russell-Wilson.

400 In cui la descriptio fa da sfondo alla partenza per mare di Cadmo, analogamente a quanto

avviene nei nostri carmi “priapei”: cfr. Gigli 2003, 274.

401 Cfr., e.g., Greg. Naz. or. 44.10-11 (sulla festa della Dedicazione); Di Pilla 2002, 437; De

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sarà poi proprio delle composizioni bizantine sul tema primaverile, come ad esempio Jo. Geom. carm. 300 van Opstall402.

I tre componimenti “priapei” sono l’unico estratto dal Ciclo di Agazia che compare nell’ undicesimo libro della AP.

Ἤδη καλλιπέτηλον ἐπ’ εὐκάρποισι λοχείαις λήιον ἐκ ῥοδέων ἀνθοφορεῖ καλύκων· ἤδη ἐπ’ ἀκρεµόνεσσιν ἰσοζυγέων κυπαρίσσων µουσοµανὴς τέττιξ θέλγει ἀµαλλοδέτην· καὶ φιλόπαις ὑπὸ γεῖσα δόµους τεύξασα χελιδὼν 5 ἔκγονα πηλοχύτοις ξεινοδοκεῖ θαλάµοις. ὑπνώει δὲ θάλασσα, φιλοζεφύροιο γαλήνης νηοφόροις νώτοις εὔδια πεπταµένης, οὐκ ἐπὶ πρυµναίοισι καταιγίζουσα κορύµβοις, οὐκ ἐπὶ ῥηγµίνων ἀφρὸν ἐρευγοµένη. 10 ναυτίλε, ποντοµέδοντι καὶ ὁρµοδοτῆρι Πριήπῳ τευθίδος ἢ τρίγλης ἀνθεµόεσσαν ἴτυν, ἢ σκάρον αὐδήεντα παραὶ βωµοῖσι πυρώσας ἄτροµος Ἰονίου τέρµα θαλασσοπόρει.

Già il prato, pieno di bei petali grazie ai parti fecondi, fiorisce dei boccioli di rosa;

già sui rami dei cipressi disposti a coppie

la cicala pazza per la musica incanta il legatore di covoni,

e la rondine che ama i propri figli, dopo aver fatto il nido sotto il tetto, accoglie la prole in un giaciglio spalmato di fango.

E mentre la bonaccia amica dello Zefiro

si distende serenamente sul dorso che porta le navi, il mare dorme, senza scagliarsi sugli aplustri delle poppe, senza spruzzare la schiuma sulla risacca.

Marinaio, dopo aver bruciato presso gli altari uno scaro chiacchierino o il muso fiorito di una triglia o di un calamaro

per il signore dei mari e datore di ormeggi Priapo, impavido attraversa i confini dello Ionio.

v.1-3 Ἤδη… ἤδη: con ἤδη iniziano Satyr. AP 10.6.1 = FGE 329; Paul. Sil. AP 10.15.1 = 25.1 Vians.; stesso attacco anche nella descrizione della prima- vera in Nonn. D. 3.10, un passo che Teeteto aveva sicuramente presente. ἤδη in

incipit e in anafora compare anche in un altro dei modelli, Thyill. AP 10.5.1 =

FGE 372, e in [Mel.] AP 9.363.9-11, componimento epidittico databile al IV-V

402 Contributo fondamentale che analizza la presenza del topos della primavera nell’epigramma

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secolo d.C. che contiene una delle più ampie descrizioni epigrammatiche della primavera403 e che abbiamo già avuto modo di citare per il commento ai carmi ecfrastici sul locus amoenus “Amore” di Mariano.

καλλιπέτηλον : il composto si ritrova per la prima volta in Asclep. AP 9.64.3 = HE 1020 = 45.3 Sens in riferimento all’alloro404, ed è poi usato, nella stessa posizione metrica del nostro, da Nonno in D. 2.386, 4.332, 7.144, 22.96, P.

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