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Eredità ingombrant

spaziali, temporali, social

5.2 Eredità ingombrant

Fig. 5_ Il paesaggio di fango e acqua a Longarone all’indomani della tragedia

Fig. 6_ Memoriale delle vittime del Vajont, Longarone

Fig. 7_ Memoriale delle vittime del Vajont, Longarone, particolare delle lapidi

rendendone difficile la lettura e l’individuazione, e non è prevista la possibilità di deporre fiori o foto su queste nuove lapidi. La storia e i fatti avvenuti la notte del 9 ottobre 1963 sono ricordati nell’imponente portale d’accesso, che richiama nella forma la diga che ha causato la tragedia e che si inserisce prepotentemente nel paesaggio senza creare alcun dialogo con esso; oggetti e documenti sono poi raccolti nel museo, mentre all’interno del giardino-memoriale non vi è nessun riferimento particolare a quanto accaduto. Tutte le tombe sono uguali, intoccabili e sconosciute, prive di emozioni e affetto. Il concept generale di questo progetto appare quindi più simile ai memoriali dedicati ai soldati morti in guerra, i cui resti giacciono lontani dalla patria. Anche la scelta di trasformare questo luogo della memoria collettiva in una sorta di monumento nazionale non è stata gradita dai parenti delle vittime. Secondo Micaela Coletti, presidente del Comitato per i sopravvissuti del Vajont questo luogo non è più in grado di comunicare emozioni e “nega ai morti l’amore dei vivi […] Il nuovo memoriale mi ha rubato nuovamente la memoria. Io vedendo le foto delle altre tombe ricordavo i miei compagni di classe, i miei amici, mi aiutava a recuperare la memoria. Per 40 anni, ho portato fiori e ho parlato alla foto di mio padre in un posto preciso, a cui ero legata. Ora invece mi ritrovo a sbagliare fila e fatico a orientarmi. In un cimitero in cui non si possono portare fiori perché sporcano”7.

Il cimitero, inteso come luogo del ricordo comune, avrebbe dovuto sfruttare appieno il contesto in cui si colloca, legato alle vicende avvenute. Il potenziale spirituale di ogni paesaggio può apportare significative implicazioni sociali in un progetto, e queste sarebbero potute essere amplificate e sfruttate. La logica progettuale e architettonica di questo memoriale, invece, non sfrutta il potere comunicativo ed evocativo degli elementi naturali: la pietra, utilizzata nei memoriali contemporanei come elemento in grado di strutturare ma anche di ricordare e parlare, in questo

7 Micaela Coletti, presidente del “Comitato per i sopravvissuti del Vajont”, intervista diretta

contesto rimane fortemente ancorata al solo impiego di lapide tombale. E non compaiono neppure le grammatiche compositive più comuni: la vista d’intero luogo è chiusa e protetta da un’imponente facciata disposta lungo il lato più trafficato della piccola città. Al suo interno, passeggiando tra i cippi, non si percepisce alcuna storia, non vi è un percorso narrativo o una sequenza rituale, e non emergono emozioni legate al ricordo della tragedia. Solo un’incisione, all’ingresso del museo, spiega l’accaduto: “Prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria”.

Fig. 9_ Memoriale delle vittime del Vajont, Longarone, particolare delle lapidi: bianche, prive di emozioni e tutte uguali

Fig. 10_ Memoriale delle vittime del Vajont, Longarone, relazione tra il memoriale e il paesaggio montano intorno

Fig. 11_ Memoriale delle vittime del Vajont, Longarone, il percorso centrale

Leggere e scrivere il paesaggio è come insegnare dopo aver imparato qualcosa, è conoscere il mondo, esprimere idee e influenzare di conseguenza gli altri. Il paesaggio, come la lingua parlata, rende tangibile il pensiero e favorisce l’immaginazione di ogni singolo soggetto. E di conseguenza, l’architetto paesaggista, come un bravo oratore, ricerca le possibilità simboliche e spirituali di un luogo, sfruttandole nella costruzione di spazi così importanti come i luoghi della memoria. La progettazione di questi siti, in grado di creare un forte senso di appartenenza e di costruire una memoria collettiva condivisa da utenti di diverse provenienze, ha subito una profonda trasformazione a partire dalla seconda metà del XX secolo fino ad oggi. L’utilizzo di un linguaggio proprio della natura, composto da specifici elementi, materiali e strategie compositive spaziali e temporali precise ha favorito il successo di memoriali in grado di testimoniare il passato anche a distanza di molti anni, suscitando emozioni e significati comprensibili anche a culture diverse. Il ruolo dell’architetto paesaggista, figura sempre più richiesta e presente fin dalle prime fasi della progettazione, ha facilitato l’inserimento di molti di questi elementi costruttivi naturali, provenienti di fatto dal suo vocabolario progettuale, e in grado di dialogare con la sfera più intima delle persone, dove si celano i ricordi e le emozioni. Grazie all’uso dei principi della semiotica generale, la scelta di inserire un oggetto in un luogo della memoria non viene lasciata al caso, in quanto genera un segno, la cui interpretazione da parte dei visitatori può rimandare a molteplici significati. Scegliendo i materiali e le forme più conosciute, in grado di rimandare a interpretazioni simili, il progettista aiuta gli utenti nella comprensione del sito e della storia che esso vuole raccontare, sollecitando sentimenti comuni che fanno parte del retaggio personale di ciascuno di noi. Attraverso questi luoghi della memoria “gli esseri umani condividono l’esperienza con le generazioni future, proprio come gli antenati hanno iscritto i loro valori e le loro credenze nei paesaggi che hanno lasciato in eredità, come un tesoro depositato dalla pratica del linguaggio. E proprio come il linguaggio, il paesaggio si fa teatro di vita, costruzione colta e portatore di significato”8.

“ Poso qui la mia storia,