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L’eresia dalle origini della Chiesa fino al XIII secolo

Capitolo 2. Movimenti religiosi non approvati

2.1 L’eresia dalle origini della Chiesa fino al XIII secolo

Il problema dell’eresia nacque insieme al Cristianesimo; basti pensare che ci volle più di un secolo per unire tutti gli scritti ritenuti “ortodossi” e formare il corpus canonico del Nuovo Testamento, che una volta fissato permise di costituire un credo unico e di fondare la Chiesa universale (in greco, cattolica [καθολικός]). Tutto ciò non avvenne però senza violente polemiche, inasprite ulteriormente dalla nascente istituzione ecclesiastica, con i vincitori che fecero dei vinti degli eretici, cominciando a catalogare le eresie, per lo più in modo stereotipato, a partire dal II secolo.

Il termine eresia (dal greco αἵρεσις) si può tradurre come “scelta, preferenza”; per Isidoro di Siviglia77 l’eretico era colui che non solo si trovava in errore, ma si ostinava a

rimanervi. Con il riconoscimento ufficiale del Cristianesimo da parte di Costantino, gli eretici poterono essere perseguitati legalmente – come era stato in precedenza per i

76 Concilium Lugdunense II, Documenta 1.

77 Isidoro individua 70 diverse eresie, di cui parla nel VII libro delle Etymologiae, intitolato appunto: De

cristiani che rifiutavano il culto delle immagini imperiali. In questo periodo, l’eresia è direttamente collegata al potere: più cresce il secondo, più viene ricercata, perseguitata e condannata la prima. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, tuttavia, l’eresia scompare progressivamente dall’Europa occidentale, per riapparire, con un’importanza secondaria, verso la fine del X secolo.

Nella seconda metà del XI secolo, proprio all’indomani della riforma gregoriana, la questione dell’eresia torna al centro dell’attenzione. Con la ridefinizione della Chiesa voluta da Gregorio, che la trasforma nell’istituzione monarchica che, seppur con alcuni cambiamenti, sopravvive ancora oggi nelle sue strutture generali, ci fu una radicalizzazione dell’intolleranza verso le forme di dissenso religioso, sia interne che esterne alla Chiesa romana. Il punto centrale della questione era l’accettazione del primato indiscutibile del Papa e, come affermato nel Dictatus papae78, il mancato riconoscimento di tale autorità costituiva, di fatto, un’eresia. Tra gli effetti di questa riforma, troviamo anche l’esclusione dei laici da una reale partecipazione ai compiti della Chiesa79. Chi non accettava questa imposizione entrava in aperto conflitto con la

gerarchia ecclesiastica, venendo considerato a tutti gli effetti un eretico.

Nel XII secolo il concetto di eresia evolve ulteriormente: la clericalizzazione della Chiesa non poteva che scontrarsi contro i progressi culturali e le aspirazioni religiose di quei laici che volevano recuperare un modello di Chiesa delle origini80. Ciò che questi

78 Atto emanato da Gregorio VII nel 1075, consiste in 27 proposizioni che affermano la struttura verticistica

della Chiesa e l’assoluta superiorità del papa al suo interno. Con tale provvedimento, ad esempio, la nomina e la deposizione dei vescovi diveniva esclusivo diritto del pontefice, così come la possibilità di deporre l’imperatore, o qualunque altro sovrano, in quanto il potere del papa proveniva direttamente da Dio ed era perciò superiore a quello di qualunque sovrano o imperatore.

79 La riforma di Gregorio VII era in netto contrasto con la vita apostolica e l’evangelismo radicale praticato

da molti laici (ma anche da alcuni religiosi). La sperimentazione di nuove forme di vita religiosa si scontrava con la volontà della Chiesa di inquadrare completamente la vita degli uomini, che per questo motivo divenne intollerante nei confronti di ogni forma di autonomia.

80 Tale modello è descritto in At II, 42-47: Erant autem perseverantes in doctrina apostolorum et

communicatione, in fractione panis et orationibus. Fiebat autem omni animae timor; multa quoque prodigia et signa per apostolos fiebant. Omnes autem, qui crediderant, erant pariter et habebant omnia communia; et possessiones et substantias vendebant et dividebant illas omnibus, prout cuique opus erat; cotidie quoque perdurantes unanimiter in templo et frangentes circa domos panem, sumebant cibum cum exsultatione et simplicitate cordis, collaudantes Deum et habentes gratiam ad omnem plebem. Dominus autem augebat, qui salvi fierent cotidie in idipsum.

uomini chiedevano alla Chiesa era sostanzialmente di essere ascoltati e presi come esempio anche dai vertici ecclesiastici: oltre ad insistere sull’importanza della povertà, il loro messaggio aveva anche delle implicazioni di tipo sociale: presupponevano, infatti, che chiunque potesse avvicinarsi direttamente al Vangelo. Negli anni Venti del XII secolo la Chiesa si dovette confrontare con una serie di movimenti religiosi, tutti considerati ereticali. Pur avendo alcune differenze, legate soprattutto alle diversità dei leader e dei contesti locali, questi movimenti presentano tutti almeno due caratteristiche comuni: innanzitutto l’aggressività che mostravano nei confronti della Chiesa e del clero; e inoltre lo stretto legame tra predicazione e scelta di vita in povertà. Ciò che accomuna tutte queste esperienze, è che non possono definirsi eresie di tipo dogmatico o dottrinario, ma piuttosto forme di contestazione nei confronti delle istituzioni e del clero.

Benché l’eresia fosse avvertita come un problema, fino alla fine del XII secolo la Chiesa non soltanto non riuscì a formulare un insieme di norme chiare ed unitarie che permettessero di combatterla, ma addirittura non riuscì ad indicare in maniera inequivocabile quali fossero le teorie eterodosse. Leggendo i resoconti di alcuni processi ad eretici di questo secolo, è evidente come tale incertezza abbia condizionato gli ambienti ecclesiastici: non era infrequente che il vescovo incaricato del processo, non riuscendo a prendere una decisione autonomamente, consultasse altri esponenti della gerarchia ecclesiastica, suscitando l’ira del popolo, che trascinava l’imputato sul rogo.

Quando questi movimenti eterodossi cominciarono a diffondersi in maniera eccessiva, il papato decise che era giunto il momento di risistemare il proprio programma di repressione del dissenso. Le misure attuate furono: in primo luogo l’isolamento degli eretici dal resto della società (il mezzo per ottenere tale risultato era la persecuzione di tutti coloro che fossero stati scoperti in contatto con loro); successivamente il ricorso alle autorità laiche nella persecuzione dell’eresia. Per ottenere il massimo appoggio da parte dei principi laici, la Chiesa minacciò pesanti sanzioni spirituali per tutti coloro che non avessero collaborato. A tale proposito non possiamo non ricordare il canone 27, Sicut ait

beatus Leo, del III Concilio Lateranense del 117981, il quale, oltre a delegare il compito

di impartire pene cruente ai principi laici e a proibire di avere contatti economici con gli eretici, escludeva gli eretici dalla cristianità anche dopo la loro morte, autorizzando i principi laici a confiscare tutti i loro beni e addirittura a ridurli in servitù. Per di più,

81 Gli atti del III Concilio Lateranense si trovano in: Conciliorum oecumenicorum decreta, a c. di G.

all’anatema contro gli eretici (catari, patarini, pubblicani) viene accostato quello rivolto ai predoni; in questo modo gli eretici vengono assimilati ai malfattori, classificando quindi l’eresia come problema di sovvertimento della pace. Sempre all’interno di questo canone è presente l’invito, rivolto a tutti i credenti, alla crociata contro gli eretici sotto la guida dei principi laici – in pratica vengono gettate le basi giuridiche, ma anche ideologiche, per la crociata contro gli albigesi.

Il primo atto che affronti in modo organico la presenza ereticale, che rappresenti una presa di posizione ufficiale del papato e che sia riferito direttamente anche all’Italia è la Ad abolendam82, una decretale emessa da Lucio III nel 1184, frutto di un accordo con

Federico I. Questa bolla, che viene considerata dalla storiografia moderna una sorta di

Magna charta83 della lotta all’eresia, ordinava che le persone sospettate di eresia fossero segnalate da due o tre uomini di buona fama – o meglio ancora dall’intera popolazione della parrocchia. Per la prima volta, coloro che predicavano senza l’autorizzazione da parte della Chiesa vengono considerati eretici84; da questo momento in poi, quindi, il

concetto di ortodossia non implica più solamente l’essere in accordo con la fede della Chiesa cattolica, ma anche che per poterla diffondere, pubblicamente o in privato, sia necessario aver ricevuto l’autorizzazione da parte della gerarchia ecclesiastica. Inoltre la

82 Concile de Verone. Decretale Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem du 4 novembre 1184,

in Enchriridion fontium valdensium, a cura di G. GONNET, Torre Pellice 1958, pp. 50-53.

83 La sua importanza viene confermata anche dal fatto che il canone 3 del IV Concilio Lateranense (1215),

interamente dedicato alla lotta contro gli eretici, è largamente ispirato a questa bolla.

84 […] Imprimis ergo Catharos et Patarinos et eos, qui se Humiliatos vel Pauperes de Ludguno falso

nomine mentiuntur, Passaginos, Iosephinos, Arnaldistas perpetuo decernimus anathemati subiacere. Et quoniam nonnulli, sub specie pietatis virtutum eius, iuxta quod ait Apostolus, denegantes, auctoritatem sibi vendicant praedicandi: quum idem Apostolus dicat: "quomodo praedicabunt, nisi mittantur?" omnes, qui vel prohibiti, vel non missi, praeter auctoritatem, ab apostolica sede vel ab episcopo loci susceptam, publice vel privatim praedicare praesumpserint, et universos, qui de sacramento corporis et sanguinis Domini nostri Iesu Christi, vel de baptismate, seu de peccatorum confessione, matrimonio vel reliquis ecclesiasticis sacramentis aliter sentire aut docere non metuunt, quam sacrosanta Romana ecclesia praedicat et observat, et generaliter, quoscumque eadem Romana ecclesia vel singuli episcopi per dioceses suas cum consilio clericorum, vel clerici ipsi sede vacante cum consilio, si oportuerit, vicinorum episcoporum haereticos iudicaverint, pari vinculo perpetui anathematis innodamus. Receptores et defensores eorum, cunctosque pariter, qui praedictis haereticis ad fovendam in eis haeresis pravitatem patrocinium praestiterint aliquod vel favorem, sive consolati, sive credentes, sive perfecti, seu quibuscunque superstitiosis nominibus nuncupentur, simili decernimus decernimus sententiae subiacere. […]; ibid.

Ad abolendam prevedeva la scomunica per i detentori del potere pubblico che, dopo aver

ricevuto un sollecito dal clero ad impegnarsi nella lotta all’eresia, non si fossero impegnati attivamente in tale lotta; la scomunica era prevista anche per le città che non avessero seguito tali disposizioni, mentre l’esclusione economica, già prevista nel canone 27 del 1179, fu estesa dai singoli all’intera città.

Più il primato giurisdizionale del papa si affermava, più si delineava una definizione precisa di chi fossero gli eretici: chi non accettava la supremazia pontificia poteva essere considerato un eretico. In questo senso Innocenzo III fu una figura centrale, arrivando ad equiparare, nelle sue decretali, gli eretici a coloro che compivano il crimine di lesa maestà, colpa che prevedeva come pena per i colpevoli la morte e la confisca dei beni.

Con la decretale Vergentis in senium85, emessa nel marzo 119986 e indirizzata al

clero di Viterbo – ma le cui prescrizioni furono poi estese a tutte le realtà comunali –, la repressione antiereticale assume nuovi caratteri di intransigenza. L’eresia non viene più concepita soltanto come violazione dell’ordinamento ecclesiastico-religioso, ma anche di quello civile. La maestà che gli eretici ledevano non era né quella del papa, né tantomeno quella dell’imperatore o dei singoli sovrani, bensì quella divina, superiore a tutte le altre ed unica per tutti i cristiani.

La Vergentis rese ancora più aspre le pene per chi difendeva, accoglieva o favoriva gli eretici87: chi dopo la seconda ammonizione continuava ad intrattenere rapporti con gli

eretici, veniva automaticamente bollato come infame, il che comportava la perdita di tutti i diritti civili e politici (accesso a cariche pubbliche, partecipazione alle elezioni, facoltà di testimoniare nei processi, di fare testamento…), la confisca dei beni e, per gli esponenti del clero, l’esclusione dai benefici, mentre per avvocati, giudici e notai prevedeva l’impossibilità di esercitare la propria professione. Per giustificare l’esclusione dai diritti ereditari, Innocenzo III si riallacciò al diritto di lesa maestà previsto dalla legislazione

85 Potthast 643= Die Register Innocenz III., II: 2. Pontifikatsjahr: Texte, ed. O. Hageneder-W. Maleczek-

A.A. Strnad, Rom-Wien 1979, I n° 1, Laterano 25 marzo 1199, p. 318-321

86 È interessante notare che la decretale viene emanata durante lo scontro tra il papato e il ducato di Spoleto,

quando Innocenzo III voleva imporre la sua supremazia sul Patrimonium Petri di Tuscia, volontà a cui si opponevano duramente sia Viterbo che la stessa Spoleto. La decretale fu il mezzo che permise al papa di muovere l’accusa di eresia anche contro chi era perfettamente ortodosso, ma era un suo avversario politico.

87 Tra le altre cose prevedeva la bollatura col marchio dell’infamia per coloro che temporeggiavano troppo

imperiale. È importante sottolineare un aspetto riguardo al provvedimento di spoliazione dei beni: non valeva soltanto per le persone comuni, ma poteva valere anche per i principi. Con questa decretale, pur non prevedendo la creazione di apposite strutture amministrative per l’applicazione dei decreti papali, per la prima volta il papa richiede ai potenti laici di fare un giuramento, che li obbligava ad allontanare gli eretici dalla loro giurisdizione. Ovviamente per Innocenzo III era chiaro che la supremazia politica del papato e la repressione dell’eresia erano direttamente collegate: il suo obiettivo principale era quello di garantire la posizione del papato nell’Italia centrale e, allo stesso tempo, fare in modo che l’imperatore fosse pronto ad agire contro l’eresia.

Innocenzo fu sempre molto attento al fatto che le sue norme antiereticali fossero inserite negli statuti comunali, tuttavia l’anticlericalismo, insieme con le tradizioni filoimperiali e le controversie tra clero e città, giocarono a favore dell’eresia; in alcuni casi le città, proprio per dimostrare la propria autonomia rispetto alla Chiesa, furono restie ad applicare le norme antiereticali o, successivamente, a lasciare libertà di azione agli inquisitori.

Credo sia importante riprendere brevemente un argomento al quale abbiamo appena accennato, cioè la nascita della procedura inquisitoriale88. Pur essendo la Ad

abolendam uno dei capisaldi della lotta contro l’eresia, al suo interno non sono presenti

le parole inquirere né tantomeno inquisitio. La procedura per inquisitionem risale al secondo anno del pontificato di Innocenzo III, ma, ed è questo l’aspetto sorprendente, non era stata ideata come strumento giudiziario da utilizzare contro gli eretici, bensì aveva lo scopo di permettere alla Santa Sede di intervenire, mediante inchieste, contro membri dell’alto clero.

Nei primi anni del Duecento, quindi, tale procedura era considerata come un processo straordinario, mentre quello ordinario era ancora quello accusatorio. Le procedure per inquisitionem vennero trasferite nella lotta agli eretici già da Gregorio IX89,

il quale però non conferì agli inquisitori alcun potere giurisdizionale. Perché l’officium

88 Per approfondire la questione della nascita del processo inquisitoriale si veda: A. Paravicini Bagliani, Il

trono di Pietro. L’universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Carocci editore, Roma 1996, pp. 128-132.

89 Tra l’altro fu proprio Gregorio IX nel 1233 ad affidare ai frati Predicatori il compito di affiancare i

vescovi nella lotta all’eresia nel regno di Francia, giustificando questo atto con la volontà di non sottrarre i vescovi ai loro compiti ordinari, per poi affidarlo definitivamente ai frati nel 1235. Sarà invece Innocenzo IV nel 1246 ad estendere questo privilegio anche ai Frati Minori.

inquisitionis assuma i tratti di un vero e proprio istituto giuridico, bisognerà attendere la

bolla Ad extirpanda, del 15 maggio 1252, che Innocenzo IV indirizza ai comuni del Nord Italia; secondo essa i sospettati di eresia dovevano essere sottoposti non più solamente al giudizio del vescovo o del vicario, ma anche degli inquisitori inviati dalla Sede Apostolica. Sempre all’interno di questa bolla compare per la prima volta il riconoscimento papale relativo all’utilizzo, in caso di necessità, della tortura. Tale pratica era però vietata ai chierici – non potevano parteciparvi né attivamente né passivamente – e, per questo motivo, veniva affidata ai laici.

Come abbiamo già detto all’inizio anche Salimbene nella sua Cronica parla di alcuni movimenti del XIII secolo che non ottennero il riconoscimento papale, o che erano addirittura accusati di eresia: il più trattato nell’opera del frate francescano è senza dubbio quello degli apostolici, ma numerosi sono anche i riferimenti all’ordine dei saccati; sono presenti alcune descrizioni dell’ordine dei frati cavalieri della Beata Vergine Maria

gloriosa – volgarmente chiamati frati gaudenti – che, pur avendo ottenuto il

riconoscimento papale, non godeva delle simpatie del nostro frate; senza dimenticare i riferimenti ai gioachimiti: questi, pur non essendo un movimento religioso, erano però accomunati dalla fede nelle dottrine di Gioacchino da Fiore, ma, a differenza dell’abate, che era ritenuto un uomo di santa vita dai più – Salimbene compreso –, i seguaci erano, talvolta, considerati eretici.

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