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Le origini delle forme di vita religiose femminile

Capitolo 3. L’Ordo sanctae Clare nella Cronica

3.1 Le origini delle forme di vita religiose femminile

Prima di analizzare alcune esperienze di vita religiosa femminile sviluppatesi tra XII e XIII secolo, ritengo sia importante notare come l’espressione «movimento religioso femminile», che ebbe una notevole fortuna nella storiografia della seconda metà del Novecento189, dia di questo fenomeno un’immagine in realtà deformata, in quanto gli

assegna dei tratti comuni che non ebbe, in quanto, più che di un movimento, è corretto parlare di una serie di novae religiones, nate all’interno di una spiritualità caratterizzata da alcuni tratti comuni190.

Per prima cosa bisogna dire che nel XII secolo la scelta di una donna di vivere castamente, non sempre era vista come positiva e dettata dalla fede, anzi, talvolta veniva

188 Naturaliter femina subiecta viro, dice chiaramente San Tommaso in Summa, I, 9.12 art 1.

189 Soprattutto grazie al lavoro di: H. Grundmann, Movimenti religiosi nel Medioevo, il Mulino, Bologna,

1980.

190 Le osservazioni su tale questione, insieme ad un breve excursus in merito alle formazioni religiose

femminili, si trovano in: M.P. Alberzoni, Chiara di Assisi e il francescanesimo femminile, in Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, Biblioteca Einaudi Torino, 1997, pp. 204-208; sulle origini delle formazioni femminili si veda anche: H. Grundman, op. cit., pp. 169-192.

interpretata esattamente all’opposto, come segnale di eresia. In alcune zone dell’Europa191 in cui i movimenti ereticali, come ad esempio i catari, divennero un

problema serio per la Chiesa, non furono infrequenti i casi di donne accusate di eresia, proprio per la loro scelta di fare voto di castità e che per questo motivo venivano processate, torturate e, neanche troppo raramente, condannate al rogo.

Particolarmente crudele era la pratica delle ordalie192, il cui scopo era quello di

dimostrare l’ereticità o meno dei movimenti religiosi e che erano diffuse soprattutto nel nord Europa, specialmente nelle Fiandre e in Belgio. Una violenta polemica contro tale pratica fu condotta da Pietro Cantore, magister parigino, il quale, per dimostrarne l’assurdità e l’inutilità, riporta le vicende di alcune pie donne fiamminghe, le quali avevano scelto di vivere castamente, ingiustamente accusate di eresia solo perché sospettate di avere contatti con i catari o perché avevano rifiutato di concedersi a membri del clero preservando così la loro castità; il compito di decidere se erano eretiche da bruciare o sante da venerare fu demandato alla prova del ferro incandescente o all’immersione nell’acqua gelida.

Oltre ai singoli casi di donne accusate e bruciate per il loro ideale di castità, nel vescovado di Liegi l’intero nucleo religioso femminile, la cui esponente più famosa era Maria di Oignies, fu sospettato di eresia dal clero della diocesi e solo grazie all’intervento di Giacomo da Vitry, che ottenne il riconoscimento193 da papa Onorio III nel luglio del

1216, fu permesso loro di formare delle comunità monastiche femminili senza dover aderire ad un Ordine esistente e senza dover adottare una regola monastica già approvata, divenendo così il punto di riferimento per le beghine, ossia quelle donne che avevano

191 Soprattutto in alcuni territori che corrispondono dell’odierna Francia e del Belgio.

192 I sistemi per scoprire l’eresia nelle sospettate erano innumerevoli; tra le ordalie più famose ricordiamo

quella del ferro rovente e quella dell’immersione nell’acqua gelata: la prima pratica consisteva nel far tenere in mano all’imputata un pezzo di ferro arroventato, il cui peso poteva variare da 500 grammi a 2,5 kg; le ferite riportate erano poi bendate e controllate tre giorni dopo: se non si erano rimarginate la donna era una strega e veniva bruciata, altrimenti era innocente. Nella seconda, invece, venivano legate mani e piedi all’imputata, che veniva poi immerso nell’acqua; se galleggiava era certamente una strega, perché l’acqua, in quanto simbolo di purezza, la rifiutava, se invece andava a fondo, significava che era innocente, ma difficilmente veniva recuperata in tempo e dunque annegava.

193 Sembra che tale riconoscimento sia stato però solo orale, in quanto ne abbiamo notizia soltanto dalle

scelto di vivere la propria vita religiosa al di fuori delle forme tradizionali, ispirandosi ad ideali pauperistici, vivendo del proprio lavoro o di mendicazione.

Nelle Fiandre riscontriamo una situazione abbastanza simile a quella del centro Italia, in cui troviamo un numero abbastanza elevato di nuclei di donne che avevano scelto una vita religiosa al di fuori degli Ordini tradizionali. Il nord Italia presentava invece uno scenario differente: si erano infatti rapidamente diffusi una serie di Ordini approvati da Innocenzo III, come ad esempio gli Umiliati194, riconosciuti nel 1201, che già

prevedevano la vita in comunità doppie di frati e suore, che rappresentavano una buona alternativa al monachesimo e, anche se con caratteristiche tutto sommato differenti, si ponevano nell’ambito della nuova spiritualità.

Tuttavia la più famosa esperienza di vita religiosa femminile italiana, quella di santa Chiara da Assisi195, si svilupperà nel centro Italia, proprio in quello scenario

caratterizzato dall’assenza di alternative al monachesimo tradizionale. Gli sviluppi di questa vicenda sono strettamente collegati agli interventi dei vari pontefici: partendo da Gregorio IX, che prima di essere papa era stato il cardinale Ugolino d’Ostia, passando per Innocenzo IV, Alessandro IV, fino ad arrivare all’approvazione definitiva di Urbano IV, avvenuta nel 1263 e contenuta nella lettera Beata Clara del 18 ottobre, che determinarono un cambiamento sostanziale di quella che era nata come regligio

pauperum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia ( o pauperes moniales reclusae),

trasformatasi poi in Ordo Sancti Damiani fino a raggiungere la definitiva sistemazione in

Ordo Sanctae Clarae.

La scelta di Chiara di vivere una vita all’insegna della povertà, sulla scia di san Francesco, non fu accettata di buon grado dalla sua famiglia, che anzi vi si oppose fermamente; ciò che non andava a genio al capofamiglia Monaldo, lo zio di Chiara, non

194 L’area di maggior diffusione dell’Ordine all’inizio del XIII secolo fu la Lombardia; anche in questo caso

una testimonianza molto importante è rappresentata da Giacomo di Vitry, il quale vide personalmente queste comunità, segnalandone addirittura centocinquanta. In proposito si veda: Lettres de Jacques de Vitry (1160/70-1240), éveque de Saint-Jean-d’Acre, a c. di R.B.C. Huygens, edizione critica, Brill, Leiden, 1960, pp. 72-73.

195 La biografia di Chiara può essere ricostruita grazie agli atti del processo di canonizzazione, da cui

dipende strettamente anche la Legenda sanctae Clarae scritta da Tommaso da Celano dopo la beatificazione di Chiara (anche se sull’attribuzione rimangono dei dubbi) proclamata tra l’estate e l’autunno del 1255 da Alessandro IV, con la bolla Clara claris praeclara. Z. Lazzeri, Il processo di canonizzazione di S. Chiara d’Assisi, in «Archivium franciscanum historicum», 1920, XIII, pp. 403-507.

era tanto il fatto che lei volesse diventare monaca, possibilità tranquillamente prevista dalla condizione sociale di Chiara e che anzi avrebbe potuto aumentare il prestigio della famiglia, quanto che avesse operato una scelta di vita così radicale. Ad aggravare ulteriormente la situazione, si aggiunse il fatto che anche Caterina, sorella minore di Chiara, aveva deciso di seguire la scelta di vita della sorella, prendendo il nome di Agnese.

Come per Francesco, anche per Chiara inizialmente il percorso da intraprendere non fu chiaro: dopo un primo momento in cui proprio Francesco la collocò presso il cenobio di San Paolo delle Abbadesse ad Assisi, dove però fu accolta come inserviente, poiché, avendo donato tutti i suoi beni ai poveri, non aveva una dote che le permetteva di entrare a pieno titolo, successivamente si trasferì a S. Angelo in Panzo (a lungo considerata una comunità monastica femminile, mentre in realtà si trattava di una comunità di penitenti), prima di trovare la sua sistemazione definitiva, insieme alla sorella Agnese, presso San Damiano196.

Il fatto che Chiara abbia scelto di abbandonare un importante e ricco monastero benedettino per entrare in una comunità penitenziale, testimonia come il suo intento fosse quello di vivere il più possibile in stretto contatto con l’esperienza di Francesco; la soluzione fu trovata creando una sorta di comunità doppia a San Damiano, luogo che spesso i frati minori sfruttavano come base d’appoggio, o come luogo di permanenza, quando si trovavano ad Assisi, e che di fatto si sentiva parte della fraternità dei Frati Minori.

Se i rapporti tra Chiara e Francesco erano ottimi, come testimonia il fatto che due anni prima di morire, durante un aggravarsi della malattia, l’Assisiate si ritirò per un lungo periodo presso San Damiano (dove compose anche il Cantico di frate sole), sia quelli con i Frati Minori che quelli con il cardinale Ugolino, protettore dell’Ordine, di cui per altro Chiara sentiva di far parte, erano più complicati, ma fino alla morte di Francesco Chiara non ebbe la necessità di intrattenere rapporti stabili con la Chiesa romana, in quanto questi erano mediati dall’Ordine minoritico

196 La vicenda di San Damiano e dell’Ordine di San Damiano è ottimamente spiegata in: M.P. Alberzoni,

Le congregazioni monastiche: le Damianite, in Dove va la storiografia monastica in Europa? Temi e metodi di ricerca per lo studio della vita monastica e regolare in età medievale alle soglie del terzo millennio, Atti del Convegno Internazionale Brescia-Rodengo 23-25 marzo 2000, a c. di G. Andenna, V&P Università Milano, 2001, pp. 379-401; e in un discorso più ampio anche in EAD, Chiara d’Assisi e il francescanesimo femminile, op. cit., pp. 203-236.

I contatti con il cardinale protettore dell’Ordine ci sono stati sicuramente, anche se furono abbastanza rari: un esempio è una lettera da lui inviata a Chiara nel 1220, in cui emerge una notevole stima del prelato nei confronti della comunità assisiate. Ci sono però due elementi in questa vicenda che vanno notati: il primo è che questo contatto avvenne quando Francesco non era in Italia, era infatti in Egitto al seguito dei crociati; il secondo è che sia avvenuto dopo che nel 1219 Ugolino aveva conferito una forma vitae a quattro comunità femminili197: Firenze, Siena, Perugia e Lucca; tra queste soltanto nel diploma

relativo a quella di Firenze si faceva un cenno alla regola seguita a San Damiano.

La concessione dei diplomi a queste comunità rappresenta il primo atto del progetto di configurazione istituzionale delle forme di vita religiose femminili, cui seguì nel 1221 l’inserimento del formulario198 che i vescovi avrebbero potuto utilizzare per

concedere le esenzioni a nuove formazioni, indicando come modello da seguire i monasteri di Perugia, Siena e Lucca, ma non Monticelli, il che è piuttosto significativo, in quanto si tratta dell’unico caso per cui il cardinale aveva indicato un legame con San Damiano. Da questo momento in poi le comunità definite nel formulario ugoliniano come

religio pauperorum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia e che ne adottarono la forma vitae, crebbero progressivamente poiché godevano della protezione della Chiesa di

Roma, erano direttamente soggette al papa e venivano esentate dall’autorità vescovile. L’intenzione iniziale del cardinale Ugolino era quella di riformare il monachesimo femminile, riprendendo soprattutto la spiritualità benedettina e cistercense, come sembrerebbe testimoniare il fatto che tutte le nuove fondazioni vengano intitolate alla beata Vergine, seguendo una pratica tipica dell’Ordine di Citeaux; un altro indizio di questa intenzione del cardinale, lo si ritrova nella decisione di assegnare alle nuove fondazioni il visitatore cistercense Ambrogio, forse con la speranza in questo modo di ottenere il collegamento dei monasteri da lui istituiti con il monachesimo cisterciense.

I propositi del cardinale si scontrarono però con il fatto che, proprio all’inizio del XIII secolo, i Cistercensi avevano deciso di limitare l’annessione di nuove comunità femminili. Tale reazione costrinse il cardinale a rivedere i suoi piani e a cercare una nuova soluzione, da lui individuata nell’assegnazione della cura dei monasteri femminili

197 Santa Maria di Monticelli a Firenze, Monteluce a Perugia, S. Maria fuori Porta Camollia a Siena e S.

Maria di Gattaiola nella diocesi di Lucca

198 G. Levi, Registri dei cardinali Ugolino d’Ostia e Ottaviano degli Ubaldini («Fonti per la storia d’Italia»,

all’Ordine dei Frati Minori, non appena questo avesse ottenuto una regola approvata dal papato e solo col benestare di Francesco.

Che quest’idea sia venuta a Ugolino, in quanto cardinale protettore dell’Ordine, già all’inizio degli anni Venti, non è da escludere; tuttavia finché Francesco fu in vita non gli fu possibile metterla in pratica. Dopo la morte del fondatore, però, non ci furono più impedimenti alla realizzazione del suo progetto: nel dicembre 1227, quando già era diventato Gregorio IX, impose per obbedienza al ministro generale dell’Ordine la cura delle pauperes moniales inclusae e nell’estate successiva impose a Chiara che la comunità di San Damiano entrasse a far parte della religio papale; nonostante fosse contraria a tale atto, Chiara non poté far nulla per evitarlo.

Pur non potendo evitare l’accettazione della forma vitae, Chiara fu però categorica nel rifiuto di accettare l’acquisizione di beni per la sua comunità, ottenendo nel 1228 il

privilegium paupertatis dal papa, riuscendo in questo modo a salvaguardare l’originalità

dell’esperienza di San Damiano. Il monastero di Chiara era però uno strumento chiave nel progetto di francescanizzazione dell’ordine delle moniales inclusae, come testimoniato dal fatto che nei documenti emessi dalla Curia papale negli anni Trenta, comincia ad essere utilizzata regolarmente la denominazione Ordo S. Damiani, per intendere quello che in precedenza era l’Ordo pauperorum monialium inclusarum.

Nel maggio del 1230 si tenne un capitolo generale dell’Ordine dei Frati Minori, durante il quale si presentarono alcune questioni che i frati non riuscirono a risolvere e che per questo motivo vennero sottoposte direttamente al giudizio papale; una di queste domande riguardava i monasteri femminili, più precisamente la necessità di una licenza papale specifica per quei frati che svolgevano compiti di cura presso i monasteri femminili. La risposta a tale questione, e a tutte le altre che i frati non avevano risolto, si trova nella bolla Quo elongati del 28 settembre 1230, con cui papa Gregorio IX stabilì che nei monasteri femminili potevano accedere soltanto i frati che avessero ricevuto la specifica licenza per la cura dalla Santa Sede. La reazione di Chiara a tale provvedimento fu veemente: cacciò dal monastero tutti i frati che si dovevano occupare della questua per procurare il cibo alle monache.

Molto probabilmente Chiara aveva capito che, se i frati che risiedevano abitualmente presso S. Damiano avessero dovuto ottenere la licenza papale per svolgere i loro compiti di cura, il suo monastero sarebbe, di fatto, diventato uguale a tutti gli altri dell’Ordine di San Damiano. Grazie a questa dura reazione, come nel caso del privilegium

Ma oltre agli attriti con il papa, Chiara si trovò ad avere degli scontri anche all’interno dell’Ordine; questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, soprattutto se consideriamo la direzione che era stata presa dai vertici dell’Ordine dopo la morte del fondatore, in cui gli orientamenti giuridici (per altro molto cari al papato) presero il sopravvento su quella che potemmo definire la «spiritualità umbra». C’è però una significativa eccezione, che è rappresentata da Frate Elia, il quale, come Francesco e i suoi socii, aveva avuto modo di conoscere direttamente l’esperienza di San Damiano e che nutriva nei confronti di Chiara una notevole stima e simpatia. Va da sé che quando Elia divenne Ministro dell’Ordine nel 1232, la collaborazione tra lui e Chiara (ma anche con la sorella Agnese) nella diffusione dello stile di vita di San Damiano, si fece decisamente significativa199, proseguendo anche quando questi era ormai caduto

completamente in disgrazia e fu costretto alle dimissioni (1239). Secondo quanto ci dice Tommaso di Eccleston200, frate Elia continuò infatti a visitare i monasteri pauperes

dominae, senza però avere la licenza prevista dalla Quo elongati, anche se probabilmente

si era rivolto principalmente a quei monasteri che potremmo definire «clariani»; questa sua azione fu tra i motivi che portarono alla scomunica, costringendolo a rifugiarsi presso Federico II e ad interrompere del tutto i contatti con San Damiano. In questo modo Chiara perse l’appoggio dei vertici dell’Ordine, potendo contare unicamente su quello dei socii di Francesco, che però non rivestivano nessuna carica di primo piano.

Il processo di francescanizzazione delle moniales inclusae si può ritenere concluso quando nel 1238 Gregorio IX attribuì la fondazione delle sorores inclusae a Francesco stesso, assicurando che la forma vitae, da lui composta intorno al 1219, era nota a Francesco ed era seguita anche da Chiara e dalla sua comunità; così facendo Gregorio garantiva un’origine carismatica all’Ordine femminile, da lui stesso iniziato, e soprattutto gli garantiva la cura dei Frati Minori. Il papa, con il prezioso aiuto del cardinale Rinaldo d’Ostia, protettore dell’Ordine dal 1228, era dunque riuscito a definire il suo progetto, come testimoniato da una nuova redazione della forma vitae ugoliniana

199 In questo senso è particolarmente importante la corrispondenza tra Chiara e Agnese, figlia del re di

Boemia, di cui noi possediamo solo quattro lettere, in cui emerge un progetto che mirava ad esportare il modello di vita di San Damiano in una fondazione autorevole, questo grazie all’origine della badessa ovviamente. In proposito si veda: Chiara d’Assisi, Scritti, edizione critica a c. di M.F. Becker, J.F. Godet e T. Matura, Lief, Vicenza 1986, p.108.

inviata nel 1239 alle Damianite di Ascoli Piceno e anche dall’aumento delle fondazioni dell’Ordine di San Damiano sia in Italia che nel resto d’Europa.

Mentre il progetto papale di un Ordine religioso unitario (quindi più facile da controllare) proseguiva, la comunità di Chiara e quelle a lei collegate costituivano un settore che la Chiesa tentava progressivamente di eliminare, o quanto meno di circoscrivere. La situazione di quelle comunità che venivano chiamate sorores minores (ma anche Minoritae, Cordularie o discalceatae), cominciò a diventare particolarmente grave nei primi anni Quaranta del Duecento, quando Gregorio fu costretto ad intervenire in seguito alle lamentele giunte sino a lui. Se fino alla fine degli anni Trenta queste comunità erano vissute in una sorta di simbiosi con i Frati, godendo anche di una certa copertura giuridica da parte loro, dopo il prevalere della “linea giuridica” all’interno dell’Ordine questa simbiosi venne meno. A questo punto sia per i Frati Minori che per la Chiesa, tali comunità erano un elemento di disturbo per il monachesimo damianita e per l’Ordine stesso, che non avrebbe potuto sopportare anche la cura monialium di queste comunità, sempre più diffuse in Italia settentrionale, Francia e Inghilterra.

Anche Innocenzo IV si mosse duramente contro le sorores minores, come nel caso del monastero di Salamanca: le monache chiesero l’intervento papale, affinché costringesse il vescovo a prendere provvedimenti contro quaedam mulieres, che affermavano di far parte dell’Ordine di San Damiano, ma che non ne osservavano i precetti, causando in questo modo una confusio, che danneggiava l’insediamento ufficiale delle Damianite. Questo episodio, però, ci fornisce anche altre informazioni, come ad esempio il fatto che, in certi casi, tali comunità avessero il pieno appoggio delle autorità ecclesiastiche e giustificavano la fortuna di cui godevano le sorores minores tra i fedeli201.

L’intento dei vari interventi dei pontefici contro le sorores minores era quello di farle rinunciare al legame simbiotico con i Frati Minori e ricondurle all’interno dell’Ordine di San Damiano, oppure di farle confluire in altri Ordini riconosciuti.

Oltre a questo, nella lettera Cum harum rector, indirizzata ai prelati dell’Italia settentrionale affinché non accettassero insediamenti di sorores minores nelle loro

201 Quantificare il numero delle comunità di sorores minores è difficile; da alcuni indizi possiamo ipotizzare

che la loro presenza fosse piuttosto consistente ed avesse il riconoscimento dell’autorità ecclesiastica: sono numerose infatti le petitiones del Ministro Generale Giovanni da Parma a Innocenzo IV per ottenere delle lettere papali che limitassero il fenomeno delle religiosae mulieres. A tal proposito è importante la

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