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Capitolo 2. Movimenti religiosi non approvati

2.2 I Gioachimiti

Il decennio conclusivo del XIII secolo vide una grande diffusione di teorie di natura escatologica e apocalittica, basate sulla necessità di un profondo rinnovamento della società e della Chiesa, che spesso misero in discussione anche i vertici della gerarchia ecclesiastica e l’autorità del pontefice; molte di queste teorie erano riconducibili a Gioacchino da Fiore90.

90 Sulla figura di Gioacchino da Fiore si veda: G. L. Potestà, Il tempo dell’Apocalisse. Vita di Gioacchino

da Fiore, Laterza, Roma-Bari 2004; per quanto riguarda il pensiero dell’abate florense rimando a: G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna, 2011, pp. 77-83; B. Garofani, Le eresie medievali, Carocci editore, Roma, 2008, pp. 91-97;( entrambi questi libri forniscono un’ottima bibliografia su Gioacchino e il suo pensiero); G. L. Potestà, La visione della storia di Gioacchino: dal modello binario ai modelli alfa e omega, in Gioacchino da Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III, Atti del 5° congresso internazionale di studi gioachimiti. San Giovanni in Fiore, 16-21 settembre 1999, a c. di R. Rusconi, Viella, 2000, pp. 183-208.

Gioacchino nacque a Celico, in provincia di Cosenza, intorno al 1135. Fece parte dell’Ordine cistercense con il quale, però, entrò in disaccordo, decidendo di fondare nel 1188 l’abbazia di San Giovanni in Fiore sull’altopiano della Sila, creando una congregazione eremitica, ispirata alla regola cistercense, ma con un’interpretazione della regola decisamente più rigorosa, che venne riconosciuta ufficialmente da papa Celestino III nel 1196. Fu un profondo conoscitore ed interprete delle sacre scritture. Le sue opere di esegesi simbolica delle Scritture ebbero una grandissima influenza sulla cultura religiosa coeva, ma ancor di più su alcuni movimenti religiosi nati dopo la sua morte, avvenuta nel 1202.

La teoria di Gioacchino prevedeva una concezione trinitaria della storia della salvezza; tale proposta era notevolmente innovativa rispetto alla allora prevalente tradizione agostiniana. L’abate calbrese affermava che, come Dio riuniva in sé tre persone, allo stesso modo la storia della salvezza doveva essere divisa in tre grandi momenti: l’età del Padre, che andava dalla creazione del mondo alla nascita di Cristo; l’età del Figlio, che dalla nascita di Cristo arrivava fino all’epoca in cui viveva Gioacchino, epoca che però si avviava alla sua conclusione; e l’età dello Spirito Santo, in cui i credenti avrebbero avuto una conoscenza diretta della verità divina grazie all’intelligenza spirituale. Ognuno di questi momenti è rappresentato da una Scrittura: il primo dall’Antico Testamento, il secondo dal Nuovo, mentre, per quanto riguarda il terzo, l’abate spiega che non ci sarebbe stato un superamento dei primi due testi, ma una nuova forma di comunicazione. Ogni età era collegata inoltre con un ordo specifico: quella del Padre con i laici (ordo coniugatorum), quella del Figlio con i chierici (ordo clericorum) e quella dello Spirito Santo con i viri spirituales, ossia i monaci (ordo monachorum). Il passaggio dalla seconda alla terza fase, però, sarebbe dovuto avvenire nel segno di una violenta persecuzione delle forze anticristiane – dai saraceni fino all’Anticristo −; durante la terza età sarebbe avvenuta la conversione di Ebrei e infedeli, e ci sarebbero stati una profonda riforma della Chiesa e un sincero risveglio spirituale. La durata di quest’età sarebbe stata abbastanza breve, essendo essa concepita come preparazione al ritorno del Cristo per il Giudizio universale. Le forze del male, guidate da Gog e Magog, infatti, poco dopo l’inizio dell’età dello Spirito avrebbero lanciato una terribile offensiva contro il popolo di Dio, dando in questo modo il segnale dell’avvento del Giudizio finale.

Sempre partendo dall’esegesi dell’Apocalisse, Gioacchino elebora la teoria dei due Anticristi: la bestia satanica sconfitta prima del regno dei santi e l’Anticristo vero e

proprio, il quale sarà allo stesso tempo un re menzognero dell’Occidente91 e uno pseudo

pontefice92, rappresentando le peggiori forme di degenerazione della realtà sociale e

spirituale immaginabili in Occidente. L’identità precisa dell’Anticristo non viene fornita da Gioacchino, il quale però dice che la sua comparsa sarebbe imminente, collocando il suo trionfo, sulla base del metodo interpretativo della Bibbia da lui utilizzato, sicuramente dopo il 1200, probabilmente nei tre anni e mezzo prima del 1260.

Già quando era ancora vita, Gioacchino fu un personaggio abbastanza discusso dagli intellettuali contemporanei. Pur non essendosi mai presentato come un profeta, affermava nelle sue opere di aver avuto due visioni: una del Figlio e una dello Spirito Santo93; spesso rimarcò il fatto che gli eventi predetti non erano conoscibili con esattezza

e che non sarebbe stato possibile indicare con precisione assoluta la fine della seconda età.

Nonostante l’interpretazione contraria di alcuni suoi commentatori, secondo Gioacchino il passaggio dall’età del Figlio a quella dello Spirito Santo non avrebbe segnato la fine dell’ordine dei chierici, né l’abolizione dei sacramenti e né tantomeno la scomparsa del papato, anzi avrebbe significato l’esatto opposto, ovvero la glorificazione del pontefice insieme a quella di tutta la Chiesa, che sarebbe stata finalmente contraddistinta da una maggiore spiritualità.

Gioacchino ha sempre dimostrato di voler far parte della Chiesa: nel De unitate et

essentia Trinitatis, scritto in occasione della disputa avuta con Pietro Lombardo in merito

alle dottrine trinitarie, l’abate manifesta chiaramente la sua volontà di far circolare all’esterno le sue opere solo dopo che queste avessero ricevuto l’approvazione della Santa Sede. Ed è per questo motivo che, benché le sue tesi siano state condannate con la costituzione De fide catholica del IV concilio Lateranense (1215), papa Onorio III riuscì a fare in modo che Gioacchino continuasse ad essere considerato un vir catholicus.

91 Nel capitolo 13 dell’Apocalisse viene descritto in questo modo: et vidi de mari bestiam ascendentem,

habentem cornua decem et capita septem, et super cornua eius decem diademata, et super capita eius nomina blasphemiae.

92 Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia agni, et loquebatur sicut

draco.

93 Dopo la sua morte gli viene attribuita anche una terza visione, che secondo la tradizione avrebbe avuto

nel 1167 in Terra Santa, dalla quale avrebbe ricevuto la capacità di interpretare le Scritture; probabilmente essa fu creata per ricostruire l’incontro di Gioacchino con l’intera Trinità, tuttavia l’abate non parla in nessuna sua opera di questa visione.

Come ho già accennato precedentemente, le idee di Gioacchino conobbero un’ampia diffusione durante il XIII secolo ed esercitarono un fascino notevole sia sui Predicatori, che sui Frati Minori. Le idee gioachimite, e pseudogioachimite, vennero riprese in particolare dai cosiddetti spirituali94, ovvero quei francescani che intendevano vivere nel modo più fedele possibile alla regola del fondatore, i quali si identificarono con i viri spirituales della terza età, il cui compito sarebbe dovuto essere quello di attuare mutamenti radicali nel mondo. Molte opere pseudo-gioachimite vennero prodotte in questo ambiente; queste, pur essendo attribuite all’abate calabrese, erano tuttavia molto distanti dal pensiero originario.

Le teorie dell’abate calabrese penetrarono ad ogni livello all’interno dell’Ordine francescano; a tal proposito possiamo riportare alcuni esempi, quali: frate Gerardo da Borgo San Donnino, che nel suo Introductorius in Evangelium aeternum commentò tre opere di Gioacchino (la Concordia Novi ac Veteri Testamenti, la Expositio in

Apocalypsim e il Psalterium decem chordarum) affermando che queste formavano il Vangelo eterno e che avrebbero rappresentato per l’età dello Spirito ciò che Vecchio e

Nuovo Testamento rappresentavano, rispettivamente, per l’età del Padre e per quella del Figlio95; Giovanni da Parma, il quale fu addirittura Ministro Generale dell’Ordine, prima

di essere costretto alle dimissioni e ad indicare come suo successore nel 1256 Bonaventura da Bagnoregio, che si impegnò notevolmente nel tentativo di estirpare la dissidenza gioachimita dall’Ordine, non riuscendoci però completamente, come

94 A tale proposito si veda: F. Simoni Balis-Crema, Gli spirituali tra gioachimismo e responsabilità

escatologica; in Chi erano gli Spirituali Atti del III convegno internazionale, Assisi 16-18 ottobre 1975, Società Internazionale di Studi Francescani, Assisi 1976, pp. 145-179.

95 L’opera di Gerardo suscitò aspre reazioni nell’ambiente intellettuale del periodo; su tutte quella del

maestro secolare parigino Guglielmo di Saint-Amour, il quale, nel suo trattato De periculis novissimorum temporum, attaccò duramente i frati minori, accusandoli non solo di non essere i viri spirituali, ma addirittura i precursori dell’Anticristo. La vicenda si concluse dopo che papa Alessandro IV ebbe sottoposto l’opera di Gerardo al giudizio di una commissione cardinalizia convocata ad Anagni, la quale deliberò che il testo dovesse essere distrutto e il suo autore imprigionato a vita. Anche l’opera di Guglielmo venne condannata ed il suo autore fu allontanato da Parigi e costretto a vivere in isolamento.

testimoniato dalle opere di Pietro di Giovanni Olivi96 e del suo discepolo Ubertino da

Casale97.

Anche Salimbene aveva non solo conosciuto, ma anche creduto alle dottrine di Gioacchino da Fiore98, come disse a frate Bartolomeo Calorosi di Mantova (il quale fu

anche lettore e ministro a Milano dell’Ordine) durante un loro dialogo avvenuto mentre il nostro frate abitava a Ravenna:

Audiens hec omnia frater Bartholomeus dixit michi: «Et tu similiter Ioachita fuisti». Cui dixi: «Verum dicitis. Sed postquam mortuus est Fridericus, qui imperator iam fuit, et annus millesimus ducentesimus sexagesimus est elapsus, dimisi totaliter istam doctrinam et dispono non credere nisi que videro». Et dixit michi: «Benedicaris tu! Si sic fecisset frater Iohannes, placasset animos fratrum suorum»99.

Questo dialogo rientra in un discorso più ampio, ovvero quello inerente a come frate Giovanni da Parma fu costretto a rinunciare al ruolo di Ministro per la sua vicinanza alla dottrina gioachimita:

Hic, propter doctrinam abbatis Ioachim, quia nimis adhesit dictis suis, exosus fuit quibusdam ministris et pape Alexandro quarto et pape Nicholao tertio, qui ambo, cum essent cardinales, fuerunt Ordinis gubernatores, protectores et corectores; et prius diligebant eum intime sicut semet ipsos propter eius scientiam et sanctam vitam. Unde post longum tempus dominus Iohannes Gaietanus, qui erat papa Nicholaus tercius, accepit eum per manum et familiariter ducebat eum per palatium dicendo sibi: «Cum tu sis homo magni consilii, nonne melius esset tibi et Ordini tuo quod tu esses hic nobiscum cardinalis in curia, quam sequi verba stultorum qui de corde suo prophetant?».

96 Sull’Olivi si veda: R. Manselli, Pietro di Giovanni Olivi spirituale, in Chi erano gli Spirituali Atti del III

convegno internazionale, Assisi 16-18 ottobre 1975, Società Internazionale di Studi Francescani, Assisi 1976, pp. 183-204; E. Pasztor, L’escatologia gioachimita nel francescanesimo: Pietro di Giovanni Olivi, in L’attesa della fine dei tempi nel Medioevo Atti della settimana di studio 5-9 settembre 1988, a c. di O. Capitani e J. Miethke, Annali dell’Istituto storico italo-germanico quaderno 28, Il Mulino Bologna, pp. 169-194.

97 Su Ubertino si veda: G.L. Potestà, Storia ed escatologia in Ubertino da Casale, Milano 1980; e EAD,

Cristo e la Creazione in Ubertino da Casale, in Aevum, Anno 53, Fasc. 2 (maggio-agosto 1979), pp. 230- 244.

98 A tal proposito si veda: L. Sangermano, Il gioachimismo di Salimbene, in Italia Francescana. Rivista di

cultura Francescana quadrimestrale, anno LXXIII, 3, settembre dicembre 1998, CIMPCap, Roma, pp. 13- 36.

Respondit frater Iohannes et dixit pape: «De dignitatibus vestris non curo, quia de hoc commendatur quilibet sanctus, ad cuius laudem cantatur: Nec terrene dignitatis gloriam quesivit, sed ad celestia regna pervenit. De consilio autem dando dico vobis quod benesanum darem consilium, si essent qui me vellent audire, sed in Romana curia his diebus parum aliud tractatur, nisi de guerris et de truphis et non de animarum salute». Audiens hec papa ingemuit et dixit: «Sic sumus talibus consueti, quod omnia que dicimus et facimus utilia fore credamus». Cui frater Iohannes respondit: «Et beatus Gregorius, sicut in Dialogo legitur, de talibus suspirasset». Post hec dimissus frater Iohannes reversus est ad heremum Grecii, ubi habitare solitus erat.

La prima cosa che possiamo notare è come Salimbene sottolinei l’integrità dell’ex-ministro dell’Ordine, il quale rifiutò la proposta del pontefice di diventare cardinale, poiché gli interessi della Curia erano troppo distanti dai suoi – il suo interesse era la cura delle anime, mentre alla Curia interessavano maggiormente gli aspetti mondani (guerre e truffe).

Per questo rifiuto fra Giovanni, oltre a far sospirare il pontefice, viene anche accusato da frate Bartolomeo di aver arrecato danno a sé stesso e, cosa ancor più grave, all’Ordine intero:

«Dico vobis, frater Salimbene, quod frater Iohannes de Parma turbavit semet ipsum et Ordinem suum, quia tante scientie et sanctitatis et excellentissime vite erat, quod curiam Romanam corrigere poterat, et credidissent sibi. Sed postquam secutus est prophetias hominum fantasticorum, vituperavit se ipsum et amicos suos non modicum lesit»100.

Anche Salimbene si rammarica del fatto che l’ex-ministro abbia rifiutato tale proposta, per via della profonda stima che nutriva nei suoi confronti; poi spiega al frate mantovano il perché di tale rifiuto esponendogli il pensiero gioachimita101.

Dopo aver ammesso di non essere più un gioachimita, Salimbene spiega anche a frate Bartolomeo il perché per fra Giovanni non era possibile cambiare opinione, dicendo:

«Non poterat, quia sunt nonnulli qui ita adherent dictis suis, quod postea erubescunt retractare que dixerunt, ne videantur mendaces, et ideo resilire non possunt. Unde Sapiens in Prover. dicit, XXVI: Sicut canis qui revertitur ad vomitum suum, sic

100 Cronica: 440:1376. 101 Ibid.

imprudens qui iterat stultitiam suam. Et immediate sequitur: Vidisti hominem sapientem sibi videri? Magis illo spem habebit stultus»102.

Salimbene nutre comunque la speranza di poterlo convincere a cambiare idea, se solo potesse parlare di persona con lui; a tal proposito il ministro di Roma, Giovanni da Castelvecchio, mentre si recava al capitolo generale di Strasburgo (1282) ebbe modo di parlare con il nostro frate, invitandolo a recarsi dall’ex-ministro, il quale aveva scelto come residenza, pur potendo muoversi liberamente, il monastero di Greccio.

Oltre a Giovanni da Parma, Salimbene ci racconta anche della disputa sorta tra Gerardo da Borgo San Donnino e Guglielmo di Saint Amour, di cui ho già parlato in precedenza. Il nostro frate incontrò Gerardo per la prima volta durante il suo soggiorno in Provenza presso frate Ugo e ce lo presenta con queste parole:

Alius frater Ghirardinus de Burgo Sancti Donini, qui in Sicilia creverat et in gramatica rexerat, et erat morigeratus iuvenis, honestus et bonus, hoc excepto, quod nimis fuit obstinatus in dictis Ioachym et similiter proprie opinioni inseparabiliter adhesit.103

Il tono del frate parmense cambia completamente poco dopo, quando ci racconta della scelta di Gerardo di pubblicare il suo libro a Parigi, gettando in tal modo discredito sull’intero ordine. Per prima cosa ci dice quali furono le conseguenze per l’autore del libro:

Et quia occasione istius libelli improperatum fuit Ordini, et Parisius et alibi, ideo predictus Ghirardinus qui libellum fecerat privatus fuit lectoris officio et predicationibus et confessionibus audiendis et omni actu legittimo Ordinis.104

Gerardo non solo non si pentì del suo gesto, ma continuò imperterrito a credere a ciò che aveva scritto e per questo motivo fu messo in carcere in ceppi; a questo punto Salimbene lo attacca duramente dicendo:

Iste miser nec sic voluit resilire a proposito obstinationis sue, donec vexatio dedit auditui intellectum, Ys. XXVIII. Et ideo impleta est in eo Scriptura que dicit, Prover. XXVII: Si contuderis stultum in pila quasi tipsánas feriente desuper pilo, non auferetur

102 Cronica: 441:1379. 103 Cronica: 340:1043. 104 Cronica: 341:1051.

ab eo stultitia eius. Permisit itaque se mori in carcere et privatus fuit ecclesiastica sepultura, sepultus in angulo orti.105

Questo durissimo attacco serve all’autore per dimostrare come l’Ordine dei Frati Minori sia intransigente con chi non rispetta la regola, ed è perciò ingiusto imputare la colpa di un singolo a tutto l’Ordine.

Troveremo nuovamente Gerardo da Borgo San Donnino nel prosieguo della

Cronica, quando Salimbene scrive di papa Alessandro IV, in particolare nel capitolo

riguardante la scomunica di Manfredi e la condanna di due libelli: quello di Gerardo e quello di Guglielmo di Saint Amour. È interessante notare che in merito al libro di Gerardo dice:

Alter vero libellus continebat multas falsitates contra doctrinam abbatis Ioachym, quas abbas non scripserat, videlicet quod Evangelium Christi et doctrina Novi Testamenti neminem ad perfectum duxerit, et evacuanda erat MCCLX anno.106

Il nostro frate, dunque, non esita a definire il libro di Gerardo pieno di sciocchezze e a rimarcare come il frate francescano non avesse capito affatto le dottrine dell’abate calabrese, sottolineando, una volta di più, che la sua ignoranza era da condannare.

Finora sappiamo soltanto che Salimbene fino al 1260 ha creduto alle dottrine gioachimite; ma quando ci entrò in contatto per la prima volta? È lui stesso a dirci che i primi contatti con i testi di Gioacchino avvennero mentre si trovava a Pisa, dunque approssimativamente tra il 1243 e il 1247:

Nam prius eram edoctus et hanc doctrinam audieram, cum habitarem Pisis, a quodam abbate de Ordine Floris, qui erat vetulus et sanctus homo, et omnes libros suos a Ioachim editos in conventu Pisano sub custodia collocaverat, timens ne imperator Fridericus monasterium suum destrueret, quod erat inter Lucam et civitatem Pisanam, per viam que vadit ad civitatem Lunensem. Credebat enim quod in Friderico tunc temporis omnia essent complenda misteria, eo quod cum Ecclesia discordiam habebat non modicam. Frater vero Rodulfus de Saxonia, lector Pisanus, magnus logicus et magnus theologus et magnus disputator, dimisso studio theologíe, occasione illorum librorum abbatis Ioachim qui in domo nostra repositi erant, factus est maximus Ioachíta.107

105 Cronica: 341:1052 106 Cronica: 660:2123 107 Cronica: 339:1040.

Nonostante questo primo contatto Salimbene, diversamente da Rodolfo di Sassonia, non divenne un ardente gioachimita, come lui stesso precisa poco dopo quando racconta dell’incontro con Bartolomeo Guiscolo e proprio con Gerardo da Borgo San Donnino avvenuto a Provins, tra la fine del 1247 e i primi mesi del ’48:

Hi duo sollicitabant me ut scriptis abbatis Ioachim crederem et in eis studerem. Habebant enim Expositionem Ioachim super Ieremiam et multos alios libros. Et cum rex Francie tempore illo cum aliis crucesignatis prepararet se ad transfretandum, isti subsannabant et deridebant dicentes quod male cederet ei, si iret, sicut postea demonstravit eventus; et ostendebant michi in Expositione

Ioachim super Ieremiam sic scriptum esse, et ideo expectandum implendum.108

Solo poche righe dopo, però, parlando dei gioachimiti, sembra che il nostro frate si includa tra loro:

Hic igitur frater Mauritius erat meus amicus noviter factus et dixit michi: «Frater Salimbéne, noli credere istis Ioachitis, quia ipsi turbant fratres suos cum sua doctrina, sed adiuva me in scribendo, quia ego volo facere bonum opus distinctionum, quod valde utile erit ad predicandum». Tunc voluntarie separati sunt Ioachite. Nam ego ivi Altisiódorum ad habitandum, frater Bartholomeus ad conventum Senonensem, frater Ghirardinus Parisius missus fuit […]109.

Pur avendo creduto alle dottrine gioachimite, il frate parmense dice chiaramente che vi erano alcuni elementi che non lo convincevano: ad esempio non accettava la concezione trinitaria dell’abate, la quale era già stata condannata per altro dal IV Concilio Lateranense110. Del perché non accetti tale questione non ne parla approfonditamente

nella Cronica, dicendoci che ne ha già parlato più dettagliatamente in un’altra cronaca più breve – sed hanc materiam plenius descripsi in alia cronica breviori, sicut in

Decretalibus continetur111 –, che purtroppo, come tutte le altre opere scritte da Salimbene, non ci è giunta.

Oltre questo Salimbene ci riporta altre due questioni per cui ritiene sia difficile credere completamente alla dottrina dell’abate Gioacchino: la prima è che questi abbia

108 Cronica: 340:1044. 109 Cronica: 341:1048.

110 Si veda: G. Alberigo, Concilio Lateranense IV, in Le decisioni dei Concili, Torino 1978, Costituzione

II, 223-225.

predetto delle tribolazioni future e che gli uomini difficilmente ascoltano chi parla di cose spiacevoli112; la seconda è che i suoi seguaci abbiano anticipato i tempi delle sue

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