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Capitolo 3. L’Ordo sanctae Clare nella Cronica

3.2 Gli ordini femminili nella Cronica

Dopo questa lunga premessa, passiamo adesso a considerare gli esempi di donne che hanno scelto di dedicare la propria vita a Dio presenti nella Cronica. C’è tuttavia un ultimo aspetto che è importante sottolineare, prima di iniziare questa analisi: tutte le religiose presenti nell’opera di Salimbene sono indicate come facenti parte dell’Ordo

Sancte Clare e dunque sono chiamate clarisse. Alla luce di quanto abbiamo detto poco

sopra, possiamo affermare tranquillamente che si tratti di un anacronismo da parte dell’autore, il quale, scrivendo la sua opera anni dopo il 1263, quindi quando ormai l’Ordine di San Damiano era divenuto di Santa Chiara, utilizza la denominazione correntemente usata per indicare le suore.

La prima religiosa che incontriamo nell’opera di Salimbene è una sua sorella, di cui ci dice:

Secunda domina Karacosa. Hec post mortem viri sui intravit monasterium Parmense Ordinis sancte Clare, et post plures annos assumpsit aliquas sorores Parmensis monasterii et duxit eas ad civitatem Reginam, in qua prius non erant sorores Ordinis sancte Clare, et fuit earum priorissa. Postea fecit se absolvi et rediit ad monasterium Parmense, in quo laudabiliter vitam suam finivit. Hec fuit amabilis domina, sapiens, honesta et gratiosa tam Deo quam hominibus. Cuius anima requiescat in pace!206

Di questa sorella il nostro frate dice che fu prioressa a Reggio, dove non c’era il monastero prima che lei vi andasse con alcune consorelle, e che fu saggia, onesta, amabile gradita sia agli uomini che a Dio. C’è un aspetto che, a mio parere, è interessante notare in questo passo, ossia il fatto che Salimbene utilizzi il termine priorissa; si tratta di un

205 Poteva essere accettata solo per contesti eccezionali, quali: San Damiano ad Assisi oppure per il

convento a Praga di Agnese, sorella del re.

titolo inconsueto per le clarisse, in quanto generalmente vengono indicate come Badessa o Madre.

Sempre ripercorrendo la genealogia della sua famiglia, Salimbene ci dice che sua madre ricevette il permesso di entrare nell’Ordo sancte Clare da Innocenzo IV, non una, ma ben due volte: la prima il permesso fu consegnato a lui direttamente dal papa a Lione; la seconda a suo fratello Guido, quando questi fu inviato dai Parmigiani dal pontefice. Di lei ci dirà che era una donna dedita ai digiuni e ad aiutare il prossimo, che non fu mai vista adirata e che riposa nel convento delle clarisse di Parma207.

Oltre a una sorella, Salimbene ebbe anche una nipote che scelse la vita religiosa; si tratta della figlia di suo fratello Guido, che prese il nome di suor Agnese, di cui ci dice: […] que est in monasterio Parmensi Ordinis sancte Clare, in quo se amore Christi

reclusit, dum adhuc parvula esset rogavit me ut eam describerem, occasione avie sue paterne cuius notitiam habere non poterat […]208

Questa descrizione compare tra i cinque motivi209 che hanno spinto il nostro frate

a scrivere la lunga genealogia della sua famiglia. Ai fini della nostra trattazione sono i primi due ad interessarci di più, dato che sono riferiti direttamente a lei: il primo, come abbiamo visto, è la richiesta di informazioni fatta dalla nipote a Salimbene in merito alla nonna paterna, di cui non sapeva nulla; il secondo invece ha una connotazione religiosa, riguardando i destinatari delle preghiere di Agnese:

Porro secunda ratio genealogíe descripte fuit ut cognoscat soror Agnes pro quibus debeat Deum rogare quia Apostolus inprima epistola ad Timotheum dicit, V capitulo: Si quis autem suorum et maxime domesticorum curam non habet, fidem negavit et est infideli deterior. Et apostolus Iacobus dicit, V: Orate pro invicem, ut salvemini. Multum enim valet deprecatio iusti assidua.210

Credo sia interessante soffermarci un momento su questo passo. Il fatto che Salimbene sottolinei l’importanza per Agnese di conoscere la genealogia familiare, in modo tale da poter indirizzare le preghiere a Dio verso i propri parenti, è, secondo me, particolarmente rilevante. Nel concludere la genealogia familiare, Salimbene ci dice che, essendo entrati nell’Ordine dei Frati Minori sia lui che il fratello Guido, la sua famiglia

207 Cronica: 77:281. 208 Cronica: 79:289. 209 Cronica: 79:289-291. 210 Cronica: 79:290.

si era estinta sia in linea maschile che femminile, ma in questo modo sarebbe stato possibile ricostruirla in cielo, ovviamente a Dio piacendo211. Dunque appare plausibile

che la frase pro quibus debeat Deum rogare e ancora di più i due passi dell’Apostolo che vengono citati, possano riferirsi proprio a questo: una sorta di incarico cui Agnese avrebbe dovuto assolvere, al fine di facilitare la ricostituzione della famiglia nel regno dei cieli.

Inoltre, ma anche in questo caso si tratta di un’ipotesi, sebbene dalle descrizioni forniteci da Salimbene tutti i suoi parenti sembrerebbero immediatamente degni del Paradiso, il nostro frate non può esserne certo – nessun cristiano può esserlo –, e, qualora qualcuno di loro si trovasse in Purgatorio212, attraverso le preghiere dei parenti ancora in

vita, potrebbe vedere ridursi il tempo necessario ad espiare le proprie colpe nel secondo regno oltremondano, raggiungendo così più rapidamente la beatitudine eterna.

Le donne che abbiamo incontrato finora sono tutti esempi di santa vita, e la loro scelta di dedicare la propria vita a Dio viene esaltata dal nostro frate, tuttavia nella

Cronica la donna viene spesso indicata come fonte di peccato, in quanto uno dei tratti

essenziali della donna è la carnalità, contrariamente all’uomo che invece incarna la parte spirituale della condizione umana.

La donna è dunque una fonte di tentazione, in cui anche il nostro frate ha corso il rischio di cadere, come in occasione di un suo incontro con la figlia del cardinale Ottaviano, episodio che Salimbene sfrutta come esempio per dimostrare come la familiarità con le donne debba essere evitata:

Item filiam istius cardinalis in quodam monasterio sanctimonialem vidi, et invitavit me et multum rogavit quod essem devotus suus, quia devota mea esse volebat. Et nesciebat cuius esset filia et quem haberet patrem, ego autem bene sciebam. Et respondi et dixi sibi: «Nolo te habere amicam, quia Patecclus dicit: Et intendança cu no posso parlare. Vult dicere quod tedium est habere amicam, cui amicus suus loqui non potest; qualis tu es, cum in monasterio sis inclusa». Et dixit michi: «Et si mutuum

211 Porro ego frater Salimbene et frater Guido de Adam domum nostram destruximus in masculis et feminis,

religionem intrando, ut eam in celis edificare possemus Quod nobis prestare dignetur qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat in secula seculorum! Amen. Cronica: 78:287.

212 Il fatto che Salimbene credesse all’esistenza del Purgatorio non ritengo possa essere oggetto di

discussione, in quanto la «diffusione al pubblico» del terzo regno oltremondano è collocabile all’inizio del Duecento ed ebbe un successo talmente esteso, che alla fine del secolo lo si poteva trovare ovunque: dalla predicazione alla letteratura volgare. Su questo argomento si veda: J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, traduzione a c. di E. De Angeli, ET Storia, Torino 2014.

colloquium habere non possumus, saltem diligamus nos corde et oremus pro invicem ut salvemur, Iacobi ultimo». Et cogitavi quod paulatine volebat me inducere et sibi attrahere, ut diligerem eam. Et dixi sibi: «Beatus Arsenius mulieri Romane que iverat de Roma ad videndum eum, cum se sibi recommendasset, dixit: 'Oro Deum ut deleat memoriam tuam de corde meo'. Quod illa audiens, turbata nimium, in civitatem venit et pre tristitia febricitare cepit. Quod archiepiscopus Theophilus audiens ad eam consolandam accessit. Erat enim Romana nobilis domina. Illa autem dicebat: 'Ecce ego contristata moriar'. Cui archiepiscopus dixit: 'Nescis quia mulier es? Et inimicus per mulieres sanctos viros impugnat, et propterea senex hoc dixit. Nam pro anima tua semper orat'. Et sic consolatione recepta cum gaudio ad propria remeavit.213

Credo sia importante notare il fatto che Salimbene ci dica subito che la donna in questione fosse una monaca, oltre che figlia di un prelato (cosa per altro non così rara nella Cronica, basti pensare che Filippo Fontana, vescovo di Ravenna, ne aveva addirittura due!) anche se lei non ne era a conoscenza, come a voler dimostrare che non c’è differenza tra una donna religiosa e una laica se il suo obiettivo è quello di sedurre un uomo.

La prima richiesta della donna è che Salimbene diventi suo amante (devotus suus), ma avendo ottenuto un rifiuto lo prega di accettare un reciproco scambio di preghiere. A questo punto il nostro frate, che a quanto ci dice sospettava un secondo fine dietro tale richiesta, le racconta di come il beato Arsenio rifiutò le attenzioni di una donna che si raccomandava a lui e, per bocca dell’arcivescovo Teofilo, che andò a consolare la donna delusa, le dice che le donne sono lo strumento scelto dal nemico per assalire gli uomini, aggiungendo però che, benché il beato avesse detto di non voler avere niente a che fare con lei, sicuramente la donna era sempre presente nelle sue preghiere. In questo modo Salimbene, oltre a preservare la sua castità, fa capire alla donna che sarà presente nelle sue preghiere, dimostrando tutta la sua intelligenza e perspicacia nel capire il tranello e la sua integrità nel voler ad ogni costo rispettare il voto sacro fatto.

Questo passo rappresenta alla perfezione quella che era l’immagine della donna trasmessa dalla tradizione ecclesiastica, preda della carnalità, che è un suo tratto caratteristico, disposta a tutto pur di soddisfare il suo desiderio, anche a far leva sulla fede di un uomo devoto, che, qualora non sia una figura capace come il nostro frate, può cadere nell’inganno della donna commettendo quindi peccato.

L’inferiorità della donna rispetto all’uomo, oltre che nell’incapacità di resistere alla propria lussuria, si dimostra anche in altri modi, in particolare quando quest’ultima si trova a rivestire ruoli di comando, come nel caso della badessa del monastero di Chiavari. Vediamo come il nostro frate descrive tale episodio:

Soror vero istorum domina Cecilia fuit, que multis annis stetit in monasterio Parmensi Ordinis sancte Clare, postea inde assumpta posita fuit abbatissa in monasterio Clavarensi, quod suis expensis dominus Guilielmus cardinalis, nepos pape Innocentii, fecit edificari prope Lavaniam terram suam, et est ditissimum monasterium, in quo et fratres Minores et sorores inhabitant. Hec abbatissa domina Cecilia malo fine periit, a Deo percussa propter rusticitatem et avaritiam suam, hoc modo. Frater Bonifatius ex Ordine Minorum, visitator provincie Lombardie monasteriorum Ordinis sancte Clare, habebat aliquas dominas per monasteria collocare, eó quod apud Taurinum civitatem Lombardie propter guerrarum abundantiam minime stare possent. Cumque omnes alias preter duas per diversa monasteria collocasset, cum illis duabus Ianuam venit et unam posuit in monasterio Ianuensi, consentientibus dominabus et abbatissa, aliam in monasterio Clavarensi, sola abbatissa dissentiente. Et ecce subito, dum visitator comederet in domo fratrum qui ibi habitant, abbatissa irato animo et rugosa fronte contra novam hospitam insurrexit, dicens et precipiens sororibus quod eam expellerent, quia nullo modo volebat quod in suo monasterio moraretur. Cum autem sorores pro nova hospita apud abbatissam preces et lacrimas effudissent, respondit eis abbatissa: «Ha, vilissime mulieres! Creditis quod nesciam quare hoc facio? Pro bono vestro sic facio et pro bono monasterii nostri». Et apprehensa manu eius expulit eam, implens poeticum illud: Turpius eicitur quam non admittitur hospes. Venit igitur soror expulsa et stetit coram visitatore, qui in domo fratrum qui ibi habitant comedebat, et cum multis lacrimis retulit ei que sibi dixerat et fecerat abbatissa. Audiens hec visitator surrexit a mensa turbatus et veniens excommunicavit abbatissam, eó quod, in sua duricia perseverans, sorori sue, necessitatem habenti, viscera pietatis claudebat. Et assumens tribulatam soro- rem consolatus est eam. Reducensque eam secum rogavit abbatissam et sorores monasterii Ianuensis ut, amore Dei et sui, et istam reciperent, revelata eis prius abbatisse Clavarensis malitia et duritia, avaritia et stultitia. Audientes itaque talia sorores mo- nasterii Ianuensis, commota sunt viscera earum ad compatiendum sorori sue, et sic receperunt eam gratanter.214

La donna di cui ci parla Salimbene è Cecilia Sanvitali, sorella del vescovo di Parma Obizzo, che divenne badessa dell’importante, nonché ricchissimo, monastero di Chiavari, che fu fatto edificare dal cardinale Guglielmo Fieschi, che era tra l’altro un nipote di papa Innocenzo IV, in cui dimoravano sia i Frati Minori che le suore dell’Ordine di Santa Chiara. Questa donna ha, secondo il nostro frate, due colpe molto gravi per cui venne punita da Dio: asprezza (rusticitatem) e avarizia.

Anche in questo caso, come in tutti quelli che abbiamo avuto modo di analizzare, il termine rusticitas ha una connotazione fortemente negativa. L’asprezza della badessa si mostra nel suo rifiuto di accogliere nel suo monastero una suora, che frate Bonifacio, visitatore dei monasteri dell’Ordine di Santa Chiara della provincia di Lombardia215,

voleva collocarvi, per via delle ricorrenti guerre che scoppiavano nei pressi di Torino. Salimbene ci descrive l’espulsione della suora dal monastero, sottolineando l’aggressività della badessa sia nei suoi confronti, che in quelli delle sue consorelle, che la imploravano di ripensarci e di non cacciarla via. Nonostante tutti i tentativi e le preghiere la badessa fu irremovibile e cacciò la suora, costringendola a recarsi nuovamente da frate Bonifacio. Il rifiuto di accoglienza della badessa causa non pochi problemi al visitatore dell’Ordine; oltre che dal punto di vista pratico, Bonifacio si trova infatti costretto a dover ricollocare anche lei presso il monastero di Genova (già un’altra suora che viaggiava con lui era stata accolta in questo monastero); il visitatore è profondamente toccato anche emotivamente dal racconto della suora.

Oltre al fatto di non accogliere la richiesta di un visitatore dell’Ordine, cosa di per sé già abbastanza grave, la badessa si era macchiata anche di altre colpe: innanzitutto aveva scacciato un’ospite216 cosa molto grave secondo il nostro frate, come sottolinea

215 Con il termine Lombardia Salimbene si riferisce, più o meno, a tutto il nord Italia, più o meno dall’Emilia

in su, comprendendo tutta la valle e la pianura del Po, escludendo soltanto le zone che avevano una specifica denominazione, come ad esempio la Marca Trevigiana.

216 La mancanza di rispetto verso l’ospite era una delle colpe che Salimbene imputava anche a Frate Elia,

come abbiamo avuto modo di vedere nel primo capitolo, che, come la badessa, viene accusato di eccessiva rusticitas. Non bisogna dimenticare le origini familiari di Salimbene: come abbiamo già avuto modo di vedere nel caso di frate Elia, mancare di cortesia nei confronti degli ospiti è un comportamento inaccettabile secondo il frate parmense, al punto da rendere un uomo, o come in questo caso una donna, decisamente meno meritevole agli occhi del nostro frate, che invece risulta molto più propenso a chiudere un occhio su alcuni comportamenti, per usare un eufemismo, non del tutto consoni da parte di persone che si dimostrano però molto signorili. Un esempio è il caso del cardinale Ottaviano, il quale pur essendo definito dal nostro frate un uomo ex parte imperii (Cronica 554:1824), che solo a volte tutelava gli interessi della Chiesa, e

citando a tal proposito un verso di Ovidio217; l’ospite era per giunta una consorella in

difficoltà, il che aggrava ulteriormente la posizione della badessa, che per di più, espellendo la suora, aveva ignorato completamente le suppliche delle sue consorelle, suscitando anche in loro, come nel visitatore, un forte turbamento emotivo. L’ovvia conseguenza di questo comportamento della badessa è la scomunica da parte di Frate Bartolomeo, che poi si dirige con la suora in direzione del monastero di Genova, dove quest’ultima sarà accolta.

Ma oltre al provvedimento terreno, nei confronti della suora si sta per scatenare la punizione divina:

Erat autem in illo monasterio soror una antiqua et Deo devota et magni meriti apud Deum, cui multum displicuit quod fecerat abbatissa, que sororem expulerat tribulatam et etiam iam locatam. Cum ergo esset sero die illo, et alie sorores in lectisterniis se locassent, ista coram altari se prostravit et cum multis lacrimis totam se contulit ad rogandum Deum, et tamquam Deo presente sic cepit orare et cum Deo etiam disputare […] Quare ergo abbatissa Clavarensis foras eiecit sororem suam? Nonne Apostolus dicit, ad Colo. III: Induite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, viscera misericordie? Ubi ergo curialitas, ubi caritas, ubi pietas, ubi misericordie viscera? Nam Iohannes dicit, prima canonica

III: Qui habuerit substantiam huius mundi et viderit fratrem suum necessitatem habere et clauserit viscera sua ab eo, quomodo caritas Dei manes in eo? Filioli mei, non diligamus verbo neque lingua, sed opere et veritate.[…] Si abbatissa de Clavara ista considerasset, sorori miserta fuisset.[…]218

L’anziana suora, che viveva nel convento di Genova da diversi anni, rimasta profondamente turbata dal racconto comportamento della badessa, iniziò a pregare Dio, anzi sarebbe forse più corretto dire, come fa anche Salimbene stesso, che si rivolse a lui come se ci stesse parlando, chiedendogli, tra le lacrime, perché la badessa non abbia concesso l’ospitalità alla suora, perché non fu cortese, non mostrò né carità, né pietà nei confronti di una sorella in difficoltà.

che aveva anche una figlia (che il nostro frate ebbe modo di conoscere come abbiamo visto poco sopra), veniva comunque considerato un gran signore, perché offriva sempre ai suoi ospiti ogni genere di leccornie e per questo suo comportamento Salimbene ci dice che cepi cardinalem diligere (Cronica 556:1831).

217 Tristia, 5,6,7.

Ad un certo punto, durante queste preghiere, l’anziana suora si addormenta per pochi istanti e Salimbene ci racconta cosa accadde:

Factum est autem, cum ista soror sic perorasset et coram Deo preces multiplicasset, accidit ei modicus somnus, et aliquantulum obdormivit; et quia ultra se non poterat Dominus continere, quin exaudiret famulam de facienda iustitia deprecantem, cepit loqui cum ea dicens, Ys. XLVII: «Ultionem capiam, et non resistet michi homo». Et excitata est soror et vigilando intelligibiliter audivit a Christo: «Audivi orationem tuam et vidi lacrimas tuas et exaudivi te. Et de abbatissa, que viscera pietatis clausit sorori sue, noveris quod convertetur dolor eius in caput eius, et in verticem ipsius iniquitas eius descendet. Ecce percussi eam plaga crudeli et insanabili, et amplius abbatissa non erit, sed cognoscet quod dicit Scriptura, Iacobi II: Iuditium sine misericordia illi qui non fecit misericordiam. Et iterum Iob XX: Luet que fecit omnia, nec tamen consumentur. Et iterum Iob XXIIII: Deus inultum abire non patitur. Cito», ait Dominus, «auditura es quid illi accidit abbatisse que crudelis et sine misericordia est inventa».219

Dio non aveva dunque potuto resistere alle suppliche di quella suora che gli era particolarmente cara, per questo la sua mano si sarebbe mossa sulla badessa che si era macchiata di quelle gravi colpe, facendogliele capire a sue spese. Non appena ebbe terminato le sue preghiere l’anziana suora si diresse a riferire l’accaduto alla propria badessa, al visitatore e alle altre suore. Dopo aver sentito tale racconto frate Bonifacio inviò il messo più veloce che aveva al monastero di Chiavari, il quale però non appena lo raggiunse, scoprì che la badessa era morta:

In illo autem intervallo quo nuntius mittebatur, cepit domina Cecilia Clavarensis abbatissa graviter infirmari et ex langore deficere. Cumque variis doloribus laboraret, decidit in lectum et ad extrema deducitur. Clamat: «En morior! Sorores accurrite, auxilium date, prebete remedium!». Adveniunt sorores continuo, abbatisse sue

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