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Capitolo 2. Movimenti religiosi non approvati

2.4 I Frati Gaudenti

Frati godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo

133 Cronica: 368:1143 134 Ibid.

135 Sed processu temporis papa Gregorius decimus, qui Placentinus fuit, in pleno concilio Lugdunensi

penitus cassavit hunc Ordinem, illustratus inspiratione divina, nolens quod tot essent Ordines mendicantes, ne populus Christianus propter multitudinem mendicantium tedio gravaretur, et ut hi qui Evangelium predicant de Evangelio vivere possent, sicut apostolus Paulus dicit Dominum ordinasse. Cronica: 368:1144.

nomati, e da tua terra insieme presi, […]136

In questo modo Dante presenta i frati gaudenti137 nella Commedìa. Con questo

nome venivano chiamati i frati milites Sancte Marie, un ordine religioso militare fondato nel 1261 e la cui regola era stata riconosciuta da papa Urbano IV il 23 dicembre dello stesso anno.

Prima di vedere come Salimbene ci presenta i gaudenti, vorrei spendere alcune parole sulla genesi e lo sviluppo degli ordini religiosi militari, conosciuti anche come

milizie di Gesù Cristo138.

Nel Medioevo le milizie laiche potevano distinguersi in feudali o comunali, a seconda del regime politico in cui si sviluppavano; entrambe erano composte da cavalieri (equites, milites) e dalla fanteria. Mentre per quanto riguarda la cavalleria queste due milizie sono praticamente identiche, i cavalieri erano reclutati tra i nobili (i patrizi nel comune) e dovevano condurre, a proprie spese, almeno due servientes e alcuni vassalli (o clienti) a cavallo; per quel che concerne la fanteria la differenza tra le due consisteva nel fatto che la fanteria delle prime veniva reclutata tra uomini e servi vincolati alle terre del signore, mentre quella delle seconde comprendeva artigiani organizzati nelle società delle armi e i plebei delle zone limitrofe al comune.

Quando il motivo della spedizione era religioso – una crociata, per esempio –, la milizia otteneva il carattere di istituzione religiosa139, ma, escludendo la questione

136 Inf. XXIII 103-105; il testo è ripreso da: D. Alighieri, La Divina Commedia, testo critico della Società

Dantesca Italiana riveduto, col commento scartazziniano rifatto da Giuseppe Vandelli, Hoepli editore- libraio, Milano 2015.

137 Dante parlerà ancora dei frati gaudenti quando incontrerà frate Alberigo, da lui collocato nel IX cerchio

dell’Inferno, nella Tolomea insieme ai traditori della patria: Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo;/i’ son quel da le frutta del mal orto,/che qui riprendo dattero per figo». Inf. XXXIII 118-120.

138 La definizione è ripresa da: G.G. Meersseman, Ordo Fraternitatis confraternite e pietà dei laici nel

Medioevo, 3 vol. in collaborazione con G.P. Pacini, Herder editrice e libreria, Roma 1977, III pp.1233- 1270. Informazioni riguardo la nascita e lo sviluppo della milizia della Vergine Maria si trovano, oltre che nel già citato volume di Meersseman, in: M. Gazzini, I Disciplinati, la milizia dei frati Gaudenti, il comune di Bologna e la pace cittadina: statuti a confronto (1261-1265), in “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria”, CI 2004, pp. 419-437; M. Gazzini, "Fratres" e "milites" tra religione e politica. Le Milizie di Gesù Cristo e della Vergine nel Duecento. Archivio storico italiano, 162 (4), 2004, pp. 3-78.

139 Oltre a questo, venivano conferiti anche alcuni privilegi temporali; per esempio l’autorità ecclesiastica,

ideologica140, non differiva da quelle laiche, anche in questo caso la cavalleria era

composta da nobili e la fanteria da plebei, col comando delle operazioni che spettava alla prima.

Sebbene la milizia composta per la prima crociata non fosse stata ideata come un’istituzione permanente, fin dal 1119 fu attivata la milizia dei Templari, questa sì concepita come un vero e proprio ordine religioso, con il preciso compito di difendere la cristianità in Terra Santa. Altri Ordini religiosi militari permanenti furono fondati in Spagna, dove la lotta contro i Mori richiedeva una disponibilità costante di forze militari, e anche nei paesi Baltici141. I membri di questi ordini venivano reclutati tra i nobili: un

cavaliere era considerato membro di pieno diritto, un confratello sergente era una sorta di socio di seconda classe, mentre i chierici erano subordinati ai cavalieri e svolgevano il ruolo di cappellani militari.

La questione dei voti religiosi variava da ordine a ordine: i Templari erano obbligati a prendere i voti religiosi; l’ordine di San Giacomo, invece, non prevedeva l’obbligo del celibato: chi faceva voto di castità abitava in comune con gli altri confratelli in castelli costruiti in luoghi strategici, chi sceglieva di sposarsi viveva con la propria moglie, che veniva accolta nell’Ordine e i loro figli, maschi ovviamente, ricevevano l’educazione e l’istruzione dai confratelli chierici nelle chiese dell’Ordine.

Così come i voti, anche la possibilità di possedere beni personali variava da un ordine all’altro: se i Templari facevano voto di povertà individuale come i monaci, quelli di San Giacomo potevano avere beni privati se erano sposati, ma i beni e le terre conquistate agli Arabi o lasciate nei testamenti dai fedeli spettavano all’ordine.

Oltre a questi ordini militari nobili in Spagna, dove la minaccia dei musulmani era pressoché costante, furono fondate anche delle confraternite militari. Queste differivano dagli ordini per diversi aspetti: innanzitutto reclutavano i propri membri da tutte le classi

spedizione, si prendeva in carico la protezione e la cura dei beni di coloro che avevano accettato di arruolarsi.

140 Tra le principali motivazioni che spingevano gli uomini ad arruolarsi in una milizia religiosa troviamo:

rendere sicure le strade per i pellegrini, fare penitenza ed acquisire indulgenze, propagare la fede, difendere la Chiesa dai suoi nemici, esterni, ma anche interni.

141 Alcuni di questi ordini furono: quello di San Giacomo della Spada, d’Alcantara, di Calatrava… nei paesi

baltici, in occasione della crociata di Livonia, invece, fu fondato l’ordine dei cavalieri Spadofori, che ricevette nel 1202 dal vescovo di Riga uno statuto redatto dall’abate cistercense Dunamunde, in cui l’ordine prendeva il nome di militia Christi Livonia.

sociali e non solo tra la nobiltà; il loro compito principale era quello di fornire i fondi per fortificare le città e pagare mercenari per la sorveglianza armata, ma non erano una mobilitazione permanente come gli ordini, quindi l’intervento armato dei membri era richiesto solo in caso di attacco. Nonostante queste differenze, in alcuni casi tali confraternite finirono per confluire in ordini religiosi, in particolare quando l’autorità cui facevano riferimento si trovava impegnata nella lotta all’eresia.

Passiamo adesso a considerare i milites beate Mariae Virginis. Come abbiamo già detto, l’ordine fu fondato a Bologna e riconosciuto pubblicamente da Urbano IV, nel 1261, trai fondatori troviamo esponenti di alcune delle più importanti famiglie comunali dell’area emiliana142, sia di parte guelfa che di parte ghibellina; tra questi ricordiamo:

Loderingo degli Andalò, Ugolino Caprizio dei Lambertini, Catalano di Guido di donna Ostia, Gruamonte Caccianemici, Scianca dei Liazari, i fratelli Bernardo ed Egidio da Sesso, Raniero Adelardi di Modena e Fisaimone Baratti da Parma143.

Papa Urbano IV approvò anche la regola dell’ordine144, che prevedeva la presenza

di fratres milites, di cui potevano far parte sia chierici che laici, fratres conventualis, anche in questo caso sia chierici che laici, e fratres coniugati: ai primi fu comminata la vita comunitaria in una residenza conventuale e l’osservanza della regola di S. Agostino, ai secondi fu permesso di continuare a vivere nelle proprie dimore, con l’adesione ad una vita non regolare con l’obbedienza verso i loro priori e prelati.

Il compito della milizia, come specificato in un capitolo della regola, sarebbe dovuto essere quello di difendere la libertas Ecclesiae; per questo motivo fu loro concesso di portare armi. Gli fu concesso il permesso di intervenire in caso di tumulti cittadini (in questo caso, però, potevano usare soltanto armi in legno e completamente prive di ferro); potevano portare con sé armi in strade o luoghi pericolosi, ma soltanto dopo aver ottenuto l’approvazione da parte dei loro superiori e tenendole nascoste; inoltre dovevano obbligatoriamente astenersi da ingiurie o favori nei confronti di singoli e dalle lotte di fazione.

142 La maggior parte dei fondatori proveniva da Bologna e da Reggio – sette membri su nove –, gli altri

provenivano da Parma e Modena.

143 Oltre all’estrazione sociale delle famiglie di provenienza, tutti i fondatori avevano in comune, per

esperienza familiare o diretta, l’appartenenza all’ambiente dei podestà di professione.

144 Il primo a riportare la regola dell’Ordine fu: D. M. Federici, Istoria dei cavalieri gaudenti, Venezia

1787, 2 vol., II, doc. XVIII; poi commentata da G.G. Meersseman, Dossier de l’ordre de la Pénitence au XIIIe siècle, Friburgo (Svizzera) 1961, pp. 295-307.

Benché la regola dei milites beate Mariae Virginis raccomandasse, tra le altre cose, l’astensione anche da impegni politici, consentiva la partecipazione alle assemblee comunali e, solo in casi estremi e su esplicito mandato della Sede Apostolica, di espletare funzioni pubbliche. È questo il caso dell’incarico di reggere la città di Firenze conferito nel 1266 da papa Clemente IV a Loderingo degli Andalò e Catalano di Guido di donna Ostia. In questo modo i milites ricoprirono ruoli di primo piano in diverse città dell’Italia centro-settentrionale, riuscendo ad inserire negli statuti cittadini rubriche che concedevano loro vari privilegi, che potevano essere esenzioni dalle tasse, dai giuramenti, dalla leva e da altri oneri pubblici.

Per quanto riguarda la denominazione frati gaudenti la ritroviamo sin dalla formazione dell’ordine, ed è presente sia in atti privati che in una canzone di Guittone d’Arezzo145, anche lui membro dell’Ordine. Inizialmente il termine non aveva una

connotazione negativa, anzi rimandava sia al gaudio spirituale derivante dalle visioni di Dio, su cui Minori e Predicatori disquisirono lungamente, sia alla definizione assunta dai fratelli di San Francesco.

I gaudenti, come molte altre associazioni laicali-religiose di questo periodo, erano molto vicini agli ordini mendicanti. Fu un francescano, Ruffino Gorgone da Piacenza, a curare l’iter di approvazione del nuovo ordine e della regola; in seguito, tuttavia, la milizia della beata Vergine Maria si avvicinò di più ai Predicatori, che fornì loro cappellani, predicatori mensili e addirittura delle sedi logistiche. Per altro, secondo la tradizione, la prima sede riconosciuta del gruppo a Bologna fu la chiesa di Santa Maria dell’Argento, proprio accanto al convento dei Predicatori146.

Salimbene, tutto sommato, non dedica molto spazio ai gaudenti nella Cronica; tuttavia ci fornisce diverse informazioni sulla loro formazione e sul loro riconoscimento ufficiale, oltre ovviamente a fornirci il suo giudizio su questo ordine.

Vediamo cosa ci dice in merito alla loro fondazione:

Item millesimo supraposito composita et ordinata fuit regula Militum beate Marie Virginis mediante fratre Ruffino Gurgone de Placentia, qui multis annis fuerat minister

145 Ben agia chi noi pria chiamò gaudenti […]; in Guittone d’Arezzo, Rime, Bari Laterza, 1940, canzone

XXXII, vv. 102 ss.

146 G.G. Meersseman, Le varie Milizie di Gesù Cristo, in Ordo Fraternitatis confraternite e pietà dei laici

nel Medioevo, 3 vol. in collaborazione con G.P. Pacini, Herder editrice e libreria, Roma 1977, III pp. 1266- 67.

Bononie, et tunc erat penitentiarius in curia domini pape, et erat Bononie pro negotiis curie. Ordinata etiam fuit per honorabiles viros dominum Lotherengum de Andalois de Bononia, qui prior extitit et prelatus eiusdem Ordinis et inter eos, et per dominum Gruamontem et per dominum Ugolinum Capritium de Lambertinis de Bononia et per dominum Bernardum de Sesso et per dominum Egidium, eius fratrem, et per dominum Phyçaimonem de Barattis de Parma et per dominum Sclancham de Liaçáris de Regio et per dominum Rainerium de Adhelardis de Mutina.147

Credo sia importante notare che Salimbene ci indica specificatamente gli otto fondatori di quest’ordine; tra questi troviamo anche Loderingo degli Andalò di Bologna, il quale verrà citato anche da Dante insieme a Catalano dei Catalani – di lui però Salimbene non ci dice nulla, il che, alla luce di quanto abbiamo visto in precedenza, è quantomeno curioso. Rispetto al poeta fiorentino, il nostro frate ci dice, però, anche il ruolo che ricoprì all’interno dell’Ordine, ossia quello di priore e prelato. Tutti i fondatori sono presentati come uomini d’onore e con l’appellativo di messer, in quanto provenienti da alcune delle più importanti famiglie bolognesi. Il frate parmense ci dice anche che la regola dell’Ordine fu composta e ordinata da frate Ruffino Gorgone di Piacenza, provinciale dell’ordine dei Frati Minori e penitenziere della corte papale, il quale la portò anche da Roma a Bologna148.

Quest’ordine, ricorda Salimbene, era molto simile ad un altro fondato a Parma da Bartolomeo da Vicenza, membro dell’Ordine dei Predicatori, nel 1233149, con cui

condivideva l’abito – mantello bianco con una croce rossa –, ma che aveva un altro nome,

147 Cronica: 678:2164.

148 Probabilmente l’approvazione della regola seguì la procedura del prescrittum, con il testo che fu

presentato al papa già scritto dai diretti interessati, che, vista la loro estrazione sociale, probabilmente erano abituati a scrivere documenti del genere, con l’aiuto di un religioso noto presso la curia per la sua azione di penitenziere e canonista papale. Per approfondire la procedura del prescrittum si veda: H. Dondorp, Review of Papal Rescripts, in “Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung”, 76 (1990), pp. 173-253 e 77 (1991), pp. 32-110.

149 Item recordor quod Ordo iste factus fuit in Parma tempore Alleluie, id est tempore alterius devotionis

magne, quando cantabatur Alleluia, et intromittebant se fratres Minores et Predicatores de miraculis faciendis, anno Domini MCCXXXIII, tempore pape Gregorii noni. Et fuit factus mediante fratre Bartholomeo de Vincentia de Ordine fratrum Predicatorum, qui tunc temporis magnum locum habebat in Parma, et fuit bonus homo, et postea fuit episcopus terre sue, unde fuerat oriundus. Et habebant predicti fratres eumdem habitum cum istis et sellam albam et crucem rubeam. In hoc tantum est differentia, quia illi appellabantur Milites Iesu Christi, isti vero Milites sancte Marie. Cronica: 678-679:2165.

si chiamavano infatti Milites Iesu Christi. Di quest’ordine Salimbene ci dice che ne vide l’inizio e la fine, aggiungendo anche che in pochi, dopo lo scioglimento dell’ordine, entrarono nella milizia della Santa Vergine.

Il frate parmense ci spiega poi l’origine del nome gaudenti:

Isti a rusticis truffatorie et derisive appellantur Gaudentes, quasi dicant: ideo facti sunt fratres, quia nolunt communicare aliis bona sua, sed volunt tantummodo sibi habere, iuxta verbum illius avari de quo Ecclesiasticus dicit, XI: Est qui locupletatur parce agendo, et hec pars mercedis illius in eo quod dicit: Inveni requiem michi, et nunc manducabo de bonis meis solus.150

Oltre alla solita citazione dalle Sacre Scritture, possiamo notare come Salimbene sottolinei il fatto che questi frati vengano scherniti perfino dai contadini (categoria che, per usare un eufemismo, non viene esaltata dal nostro frate nella Cronica), che li accusano di esssersi fatti frati solo per non condividere i loro beni con gli altri e tenerli solo per loro stessi. Già questo ci fa capire bene quanta poca considerazione abbia Salimbene per quest’ordine, che però continuava a crescere, citando alla lettera una metafora usata dal nostro frate: sicut panis in manu famelici.

Sebbene i frati gaudenti credessero di aver fatto una cosa particolarmente buona – Salimbene usa addirittura il termine praeclaram, cioè meravigliosa - scegliendo di indossare il loro abito, la curia romana non la pensava allo stesso modo151.

I motivi di questa scarsa considerazione da parte della curia, secondo Salimbene, sono cinque, e ce li elenca fornendo per ognuno svariati esempi di passi delle Sacre Scritture:

Primo, quia de suis divitiis nec monasteria nec hospitalia nec pontes nec ecclesias unquam construxerunt seu alia opera pietatis fecisse repperiuntur. Secundo, quia multa aliena abstulerunt per rapinam more potentum nec restituerunt male ablata.[…]. Tertio, quia, postquam consumpserunt divitias suas faciendo magnas expensas et largas in multis vanitatibus et comessationibus et comedendo cum histrionibus et non cum Christi pauperibus, ipsi petunt ab Ecclesia Romana et volunt obtinere a papa et invadere loca meliorum religiosorum, quam ipsi sint, et illos de domibus suis expellere.[…]. Quarto, quia avarissimi homines sunt. Radix enim omnium malorum est cupiditas […]. Quinto et

150 Cronica: 678:2164.

151 Et reputant se fecisse magnum quiddam, preclarum quiddam, ex eo quod talem habitum assumpserunt;

ultimo, quia non video ad quid deserviant in Ecclesia Dei, id est ad quid utiles sint, nisi forte quia salvos faciunt semet ipsos; que a Ieronimo «sancta rusticitas» appellatur, que «solummodo sibi prodest, et quantum edificat ex vite merito Ecclesiam Christi, tantum nocet, si destruentibus non resistat». Sed longe melius valet ille cui dici potest, Luc. XXIII: Salvum fac temet ipsum et nos. Ita dumtaxat, quod ipse obtemperanter respondeat: «Domine, si adhuc populo tuo sum necessarius, non recuso laborem. Fiat voluntas tua! Paratus sum et non sum turbatus, ut custodiam mandata tua». Igitur de hac materia satis sit dictum. Amodo gaudendum est cum Gaudentibus et flendum cum flentibus, sicut dicit Apostolus, ad Ro. XII: Gaudere cum gaudentibus et flere cum flentibus. Isti sunt duo caritatis affectus, scilicet congratulationis et compassionis.Unde Tullius: «Proprium est animi bene instituti et letaribonis rebus et dolere contrariis».152

La colpa maggiore che Salimbene imputa a quest’ordine è l’avarizia, che si manifesta sotto varie forme. Per prima cosa le loro ricchezze, non essendosi tramutate in opere di carità, non hanno portato giovamento a nessuno, tranne che a loro stessi; per di più anche il modo in cui sono state ottenute non è quello dei religiosi, bensì quello dei potenti, che le ottengono con soprusi e ruberie, senza mai restituire il maltolto. Ancor più grave è il fatto che questi frati, una volta terminate le ricchezze che avevano accumulato in vanità e gozzoviglie con gli istrioni e non con i poveri di Cristo, come ci tiene a precisare il nostro frate, chiesero il permesso alla Chiesa di poter occupare – notiamo che il termine utilizzato da Salimbene è invadere – i monasteri dei religiosi, i quali erano migliori di loro, lasciandoli in questo modo senza casa. La quarta motivazione è, detto senza fronzoli, quella di essere avarissimi, e si cita a tal proposito Girolamo che dice: «Avaro tam deest quod habet quam quod non habet. Credenti totus mundus divitiarum

est. Infidelis autem etiam obolo indiget»153. Infine Salimbene ci dice che non riesce a

capire quale sia l’effettiva utilità di quest’ordine per la Chiesa, domandandosi anche per chi sia utile quest’ordine in generale. La risposta che si dà è che quest’ordine sia utile solo a salvare se stesso, servendosi nuovamente di San Gerolamo, il quale definisce tale pratica «sancta rusticitas»154, che fa bene solo a se stessa, perché, se è vero che con i

152 Cronica: 679-680:2167-2171. 153 San Girolamo, Epistole, ….

154 Anche in questo caso, come già abbiamo visto in precedenza (cap. 1), il termine rusticitas ha una

connotazione fortemente negativa, sottolineata dalla contrapposizione successiva con l’umile obbedienza riportata dalla citazione dal Vangelo di Luca.

meriti di vita può essere edificante per la Chiesa, è vero anche che può nocerle, in quanto non combatte chi vuole distruggerla.

Sicuramente i milites Sancte Marie non occupano un posto di rilievo nella Cronica di Salimbene; lo spazio che il frate parmense dedica loro è molto ridotto rispetto anche, ad esempio, ai saccati. Ciò nonostante ci fornisce alcune interessanti informazioni riguardo a un ordine che, tutto sommato, non gode di grandissima attenzione da parte della storiografia.

Che Salimbene non apprezzi particolarmente quest’ordine è abbastanza chiaro; per certi versi ne dà un giudizio più negativo rispetto ai saccati, nemmeno paragonabile però a quello che, come vedremo in seguito, riserverà agli apostolici di Gherardino Segarelli.

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