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L’ERGASTOLO OSTATIVO (*)

di Antonio Leggiero

SOMMARIO

1. Premessa. 2. Excursus storico-giuridico. 3. Il vincolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 4. Riverberi ordinamen-tali interni. 5. Ipotesi, prospettive e sviluppi. 6. Conclusioni.

1. Premessa

Seguendo la poderosa e catarifrangente scia (foriera di storiche novità ordinamentali) prodotta dal passag-gio epocale della sentenza della Corte costituzionale n.

253/2019 la quale, de facto, ha prodotto un penetrante vulnus nella tenuta dell’ergastolo ostativo, una nuova quaestio si affaccia sulla scena, avente l’impostazione teleologica ultima, mal dissimulata, di inchiodare gli ul-timi tasselli al sarcofago funerario dell’ergastolo ostativo.

Infatti, in data 3-18 giugno 2020 la Prima Sezione Penale della Suprema Corte di cassazione ha promosso questione incidentale alla Corte costituzionale avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell’art. 4 bis comma 1 e dell’art.

58 ter della legge 354 del 1975 (ordinamento penitenzia-rio) nonché dell’art. 2 del D.L. n. 152 del 1991 convertito in legge n. 203 del 1991, in riferimento all’asserita lesione dei fondamentali artt. 3, 27 e 117 della Costituzione, tac-ciati di incostituzionalità, a parere del Giudice rimettente.

Nello specifico, in punto di stretto diritto, le norme portate all’attenzione della Consulta arrecherebbero un grave vul-nus agli articoli de quibus “nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi av-valendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen.

ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale.”.

Dal punto di vista squisitamente fattuale, la vicenda trae origine da un ricorso in Cassazione da parte di un af-filiato alla criminalità organizzata - non collaborante con la giustizia (ex art. 58 ter comma 1 ordinamento peniten-ziario) – al quale reiteratamente è stata rifiutata l’istanza volta all’accertamento della collaborazione impossibile (ex art. 4-bis, comma 1-bis, ordinamento penitenziario).

Nello specifico trattasi di detenuto che sta scontando la pena dell’ergastolo per un crimine sussunto nel paradig-ma norparadig-mativo dei reati cc.dd. ostativi al rilascio di benefici penitenziari. Segnatamente, la sua istanza è finalizzata all’ottenimento della liberazione condizionale, avendo scontato ventisette anni di reclusione e trovandosi nella potenziale condizione giuridica di poter fruire del

bene-ficio ex lege previsto e contemplato dall’art. 176 c.p. La domanda, in prima istanza, è stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila (per competenza territoriale) e successivamente, in seconda istanza, dalla Suprema Corte di cassazione (alla quale aveva inoltrato regolare e successivo ricorso di rito contro la decisione de qua).

Ancora una volta, l’insormontabile ostacolo che funge da impenetrabile barriera verso la libertà, è rappresentato e costituito dal fatto che il soggetto in questione è ristretto per l’esecuzione dell’ergastolo ostativo, in quanto non col-laborante con la Giustizia.

Nuovamente, si pone il problema della compatibilità e della tenuta costituzionale di un ordito normativo che preclude in modo assoluto la concessione del beneficio in questione, sulla scorta dell’assenza del dirimente elemen-to della collaborazione. Nell’ordinanza del giudice a quo si legge: “il dubbio di costituzionalità trova causa nel convin-cimento che la collaborazione non può essere elevata ad indice esclusivo dell’assenza di ogni legame con l’ambien-te criminale di apparl’ambien-tenenza e che, di conseguenza, altri elementi possono in concreto essere validi e in equivoci indici dell’assenza di detti legami e quindi di pericolosità sociale.”.

Conseguentemente, questo criterio vincolante dell’as-senza di collaborazione, tradotto in una soggiogante forca caudina per il detenuto (a parere della Corte di cassazio-ne cassazio-nella veste di giudice rimettente) produrrebbe una pretermissione di ogni valutazione dell’ambito personale di recupero e risocializzazione, vulnerando pesantemen-te l’inpesantemen-telaiatura della Grundnorm con la violazione degli articoli della stessa evidenziati nella relativa ordinanza di rimessione.

2. Excursus storico-giuridico

Sebbene il thema decidendum, oggetto della nostra attuale disamina ontologica e normativa, sia apparente-mente connotato da una marcata innovatività - caratte-rizzato da una stringente ed assoluta vivacità (stante il forte nexum con la tematica dell’ergastolo ostativo e delle sue recenti vicissitudini) - lo stesso non costituisce un as-soluto outsider giuridico nel panorama ordinamentale (in special modo giurisprudenziale).

Infatti, già in passato si erano interessati di tale spino-sa argomentazione sia la Corte di casspino-sazione che la Corte costituzionale. Addirittura, nelle decisioni della Consulta esiste un preciso antecedente, costituito e rappresentato dalla sentenza 135/2003, che rappresenta una sorta di ma-croscopica pietra miliare pretoria in materia.

Ebbene, diciassette anni or sono, il Giudice delle Leggi ritenne costituzionalmente legittima la questione dell’er-gastolo ostativo in rapporto preclusivo alla concessione della liberazione condizionale, considerando infondato ogni dubbio in merito e fugando ogni sprazzo di perplessi-tà portato dal vento della sospetta incostituzionaliperplessi-tà.

Infatti, nella sentenza de qua si legge che l’art. 4-bis comma 1 ord. pen.: “…subordinando l’ammissione alla

liberazione condizionale alla collaborazione con la giusti-zia, che è rimessa alla scelta del condannato, non preclude in modo assoluto e definitivo l’accesso al beneficio.”

Con maggiore impegno esplicativo, il fatto che il dete-nuto abbia a disposizione una così forte e tranciante chan-ce ordinamentale non produchan-ce alcuna distonia né di tipo legislativo ordinario, né di rilievo costituzionale.

Quindi, in definitiva, il fatto che le leve dei pulsanti decisionali siano concentrate proprio nelle mani del con-dannato, rappresenta la garanzia migliore della legittimità (oltre che della congruità in termini di politica criminale) della norma, eleggendolo supremo dominus del suo desti-no penitenziario.

Conseguentemente, la Consulta non ha ritenuto irra-gionevole l’opzione normativa di lasciare al detenuto la possibilità di fruire dell’istituto ex art. 176 c.p., in base alle sue decisioni. Fra l’altro, la sua eventuale opzione di recidere ogni legame con il sodalizio criminale di apparte-nenza rende evidente e sicuro (a detta della Corte costi-tuzionale) il tanto dibattuto e controverso ravvedimento del reo.

In altri termini, rappresenta un potente ed incontro-vertibile indice legale che resiste ad ogni eventuale ipotesi contraria di segno controfattuale.

Seguendo - pedissequamente e minuziosamente - il leit motiv della Consulta, anche la Suprema Corte di cassazio-ne si è adeguata ai desiderata giurisprudenziali enunciati.

Ragion per cui, il Giudice di Legittimità, in diverse e reiterate occasioni, ha sempre rigettato - considerandola manifestamente infondata - l’attuale questione (ex multis Sez. I pen. 17 gennaio-16 febbraio 2017 n. 7428; Sez. I pen.

22 marzo-1° luglio 2016 n. 27149; Sez. I pen. 20 marzo-17 luglio 2015 n. 31203).

Pertanto, la Corte nomofilattica ha eretto negli anni un insormontabile baluardo difensivo a tutela e prote-zione dell’assunto dei Giudici costituzionali, i quali ave-vano proclamato la perfetta compatibilità ordinamentale (ordinaria e costituzionale) fra l’istituto della liberazio-ne condizionale e la sua inapplicabilità agli ergastolani ostativi, in assenza di un sicuro ravvedimento evidenziato plasticamente ed icasticamente dalla collaborazione con la Giustizia.

Le sue ripetute sentenze, tutte di uguale segno, sem-bravano assumere la forma simile alle invalicabili mura giustinianee di Costantinopoli.

Ebbene, nonostante questo granitico sostrato giuri-sprudenziale (costituito da notevoli ed autorevoli prece-denti tutti deponenti in senso univoco ed uniforme), in questa occasione, la Corte di cassazione (medesima sezio-ne: la Prima) ha ritenuto di infrangere tali rigide e con-solidate regole di “diritto vivente”, considerando - questa volta - fondata la questione pervenuta alla sua attenzione e promovendo giudizio di legittimità davanti alla Consulta.

I binari lungo i quali il Giudice di legittimità ha inca-nalato le sue argomentazioni sono nitidamente marcati.

In primo luogo, il sempre più considerato, enfatizzato e valorizzato principio di rieducazione del condannato in connubio con la progressiva tendenza di accentuazione dell’umanizzazione della pena (al riguardo è stato ri-cordato un lontano antecedente della Consulta, sent. n.

161/1997, la quale aveva affermato in tale risalente arre-sto che “la liberazione condizionale è l’unico istituto che in virtù della sua esistenza nell’ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione la pena dell’ergastolo”) sulla scorta del quale il Giudice a quo ha argomentato a contrario l’inconfigura-bilità di preclusioni assolute in materia. In secondo luogo (e non poteva essere diversamente) è stata evidenziata la portata dirompente e fortemente innovativa della sto-rica (recente) sentenza 253/2019 Corte costituzionale la quale ha rimarcato il “carattere assoluto della presunzio-ne di mantenimento dei collegamenti con l’organizzaziopresunzio-ne criminale del detenuto che non collabori”, considerandola costituzionalmente illegittima ex artt. 3 e 27 Cost.

Pertanto, per la Prima Sezione della Corte di cassazio-ne, stavolta, i tempi sembrano maturi per una rivaluta-zione ed una riconsiderarivaluta-zione melius re perpensa di una vexata quaestio sulla quale tanto negli anni si è dibattuto.

In altre parole, per un significativo revirement dei pro-pri precedenti arresti in tema.

3. Il vincolo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Com’è noto, i giudici della Corte EDU si sono già espres-si in materia di ergastolo ostativo nella celeberrima sen-tenza Prima Sezione Viola c. Italia n. 2 del 13 giugno 2019.

In quell’occasione la Corte di Strasburgo, da un lato, ha ben considerato che “…la legislazione interna non vieta in modo assoluto e con effetto automatico…” uno spiraglio di libertà per il detenuto caduto sotto la scure dell’ergasto-lo ostativo, rendendodell’ergasto-lo astrattamente fruibile attraverso il pur complesso e difficoltoso percorso di collaborazione con la giustizia; al tempo stesso, però, dall’altro lato, ha considerato che il suddetto iter collaborativo “nella sua applicazione pratica finisca per limitare eccessivamente la prospettiva di rilascio dell’interessato e la possibilità per quest’ultimo di domandare il riesame della pena.”

La Corte, quindi, in maniera nemmeno dissimulata, con-testa il legame a filo doppio della presunzione di pericolo-sità embricata con la mancata dissociazione dalla societas sceleris. Secondo i giudici EDU l’opzione necessitata della collaborazione può non essere agevolmente praticabile dal detenuto dal momento che lo stesso, imboccando que-sto percorso, espone sè stesso ed i suoi familiari a pesanti rischi di gravi ritorsioni anche mortali. Al tempo stesso, la tanto decantata dissociazione-collaborazione, non neces-sariamente è sicuro indice di ravvedimento da parte del condannato, dal momento che la stessa può essere posta in essere dal condannato in modo esclusivamente finalisti-co-strumentale, al fine di fruire dei noti e cospicui benefici di legge. Ancora, l’enfatizzazione della collaborazione ed il pesante stigma consequenziale dell’assenza della stessa

scotomizza il concreto, reale ed eventualmente proficuo percorso di risocializzazione e ravvedimento dallo stesso posto in essere.

Conseguentemente, dopo un atteggiamento in qualche misura altalenante e pendolare - a tratti di segno antite-tico, a tratti di segno conciliativo - la Corte EDU alla fine, ha disvelato il suo reale atteggiamento di disfavore nei confronti dell’ergastolo ostativo, ritenendolo violativo del-la dignità umana, dal momento che in ultima analisi non predispone per il soggetto ristretto una concreta chanche ordinamentale (che non sia quella forzosa e potenzial-mente non genuina della collaborazione) di riacquisto della propria libertà.

Riportando, pedissequamente, le parole della Corte si legge nella sentenza della Grande Camera Vinter ed altri c. Regno Unito, del 9 luglio 2013: “…l’esistenza, invece, di preclusioni assolute alla liberazione condizionale si risolve in un trattamento inumano e degradante…e ciò perché, in tal modo, il detenuto viene privato del diritto alla speranza.”.

Ecco dunque uno dei punti-chiave della questione oggetto di dibattito, che ne rappresenta il vero punctum dolens: così impostata la pena dell’ergastolo ostativo è compatibile con la Convenzione CEDU e, per l’effetto mediato, con l’articolo 117 della Costituzione che quella Convenzione (fra le altre) tutela con l’usbergo della co-stituzionalità?

4. Riverberi ordinamentali interni

Scrutinando l’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione, Prima Sezione Penale, nella veste di giudice a quo e sottoponendola ad attenta disamina esegetico-giu-ridica nonché di politica penale, si colgono quattro punti fermi che costituiscono importanti pietre miliari lungo lo snodarsi del cammino giurisprudenziale degli Ermellini.

Analizziamoli partitamente.

In primo luogo si ritiene che, eleggendo la collaborazio-ne con la giustizia ad esclusivo parametro discriminatorio ai fini della concessione del beneficio della liberazione condizionale (ex art. 176), si finisce per porre un pesante ed ingiustificato fardello sulle già oberate spalle dell’erga-stolano ostativo ai fini dell’espiazione della pena e delle sue correlate modalità.

In secondo luogo, si enfatizza negativamente (fino agli estremi della criminalizzazione) un dato di per sé in-trinsecamente neutro come il silenzio, caricandolo di una valenza negativa che il nostro ordinamento non prevede, anche e soprattutto alla luce del fondamentale principio penalistico (di conio sostanziale e processuale) del nemo tenetur se detegere.

In terzo luogo, uno sbarramento de plano così consi-stente a monte impedisce il congruo ed obiettivo esercizio della propria funzione alla Magistratura di Sorveglianza, posta in condizioni di non poter valutare ciò che è consu-stanziale al suo ruolo: vale a dire i naturali ed eventuali

progressi compiuti dal detenuto nel corso dell’esecuzione della sua pena.

In quarto e ultimo luogo si obliterano pesantemente gli eventuali cambiamenti della personalità del condannato, soprattutto in relazione alla realtà esterna all’universo pe-nitenziario.

Ergo, secondo gli Ermellini, l’incostituzionalità del-l’art. 4 bis comma 1 e deldel-l’art. 58 ter dell’ordinamento pe-nitenziario nonché dell’art. 2 del D.L. n. 152 del 1991 con-vertito nella legge n. 203 del 1991, dal momento che “…in riferimento, dunque, alla espiazione della pena, specie se di lunga durata, presunzioni di tal fatta non possono che essere relative, dovendo sempre ammettersi la possibili-tà di una valutazione in concreto dell’incidenza avuta dal trattamento penitenziario sulla personalità del detenuto, proprio in conformità alle previsioni dell’art. 27 comma 3 Cost..”

Analizzando perspicuamente ed argutamente l’ordi-nanza de qua si coglie l’assunto dei giudici nomofilattici in base ai quali la notissima e dirompente sentenza n.

253/2019 non si sarebbe limitata a stigmatizzare il divie-to della concessione del permesso premio agli ergasdivie-tola- ergastola-ni ostativi (come sembrerebbe prima facie), ma avrebbe avuto una portata molto più ampia e totalizzante com-prendendo un generale atteggiamento istituzionale e co-stituzionale di disvalore e di idiosincrasia normativa verso la figura dell’ergastolo ostativo tout court.

Tuttavia, è vero quanto affermano i giudici rimettenti o si tratta di una capziosa e surrettizia forzatura pretoria (sebbene autorevolissima) di quanto affermato dalla Con-sulta? Non è che si tratti di un “Cicero pro domo sua?”.

A ben vedere, la Corte costituzionale, nell’excursus dell’ormai arcinota sentenza, ha avuto modo e tempo di affermare espressis verbis ed in maniera incontrovertibile che le sue argomentazioni “non riguardavano la legitti-mità costituzionale della disciplina relativa al cosiddetto ergastolo ostativo”. In altri termini, non era in discussione come thema decidendum in generale l’ergastolo ostativo, ma soltanto il particulare (permesso premio legato alla pena aggravata) di machiavellico sapore.

Approfondendo la disamina, dal punto di vista ontologi-co, i due istituti oggetto di attenzione da parte della Con-sulta (il permesso premio e la liberazione condizionale) sono due istituti di conio normativo e spessore dogmatico completamente diversi, dal momento che dal punto di vi-sta della loro intrinseca natura, la liberazione condizionale è una causa estintiva della pena alla quale il condannato accede de plano in base ai requisiti di legge; il permesso premio, invece, consta in una concessione discrezionale di un beneficio di legge nel corso dell’esecuzione della pena.

Anche dal punto di vista dell’assetto teleologico di politi-ca criminale, mentre l’istituto ex art. 176 è finalizzato al progressivo reinserimento sociale; il permesso premio è finalizzato al perseguimento di molto meno impegnative finalità di interessi culturali, lavorativi ed affettivi

(seppu-re in qualche modo, ma molto liminarmente, egualmente connessi alla rieducazione ed al reinserimento).

5. Ipotesi, prospettive e sviluppi

Indubbiamente si profilano diversi scenari al riguardo della soluzione di quest’ulteriore questione concernente l’ergastolo ostativo, portata all’attenzione dei Giudici co-stituzionali. Vi potrà essere un’ulteriore declaratoria di incostituzionalità (magari di tipo consequenziale ed au-spicata da molti), così come vi potrà essere una decisione interlocutoria (sulla falsariga della tematica concernente il suicidio assistito) che consenta ancora margini per una soluzione legislativa (fisiologica) de jure condendo o vi potrà essere un improbabile rigetto della questione solle-vata (ipotesi minoritaria, dal momento che è ancora forte-mente luminosa - nel firmamento giuridico - la scia della cometa della sentenza sui permessi premio). Tuttavia, è inutile farsi schermo del debole paravento di un dito della mano e misconoscere che il vero obiettivo di tutta questa levata di scudi è l’istituto dell’ergastolo ostativo in sé. Se ciò è vero (e vi sono pochi dubbi al riguardo) la soluzio-ne più congrua e maggiormente virtuosa di tale vicenda non può che essere quella di calare la spinosa questione dell’ergastolo ostativo nell’emiciclo parlamentare: sede per definizione a ciò preposta.

Non è ipotizzabile che la Corte costituzionale venga in-vestita di un potere in parte ultroneo alle sue attribuzioni, calando sotto la scure dell’incostituzionalità l’ergastolo ostativo tout court. Anche se, ad onor del vero, la storia è densa di interventi di tal genere della Consulta su temati-che giuriditemati-che di primissimo piano, spessore ed interesse.

Al riguardo, non è inopportuno ricordare che la Com-missione Parlamentare Antimafia, nella seduta del 20 maggio scorso, ha approvato un apposito documento ad hoc dal titolo “Relazione sull’istituto di cui all’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, in materia di ordinamento penitenziario e sulle conseguenze determinanti dalla sen-tenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale.”.

Nel corpo del documento, si legge testualmente che, in base agli asserti della Corte costituzionale e della Corte EDU “la preclusione assoluta in mancanza di collabora-zione non è più compatibile con la Costitucollabora-zione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.”.

Al tempo stesso, in una sorta di sdoppiamento di perso-nalità istituzionale - che assume l’amaro sapore del com-promesso - si apprende leggendo altre righe del testo in commento che la preclusione assoluta di pericolosità ex art. 4 bis comma 1 ordinamento penitenziario “ha costitu-ito un meccanismo fondamentale nel processo di smantel-lamento delle organizzazioni criminali”.

Sempre la Commissione Antimafia nel medesimo con-testo afferma che la collaborazione con la giustizia deve essere conservata e mantenuta come “…condizione “pri-vilegiata” di accesso ai benefici”, al tempo stesso però di-schiudendo rivoluzionarie ipotesi, per le quali il varco - for-temente presidiato dall’art. 4 bis - deve potersi raccordare

normativamente con la possibilità di fruizione del beneficio della libertà condizionale ex art. 176 c.p.. Naturalmente, in quest’ultima ipotesi, anche in condizioni di assenza di per-corso collaborativo e dissociativo del condannato.

Al di là di queste affermazioni, certamente veritiere ma dai connotati simili a quelli dell’antico Giano bifronte, il vero ubi consistam è rappresentato dalla lapidaria affer-mazione (oltremodo condivisibile ed auspicabile al fine di risolvere la vexata quaestio) per la quale la conversione ontologica e dogmatica, ma soprattutto pragmatica, della presunzione assoluta in relativa, con dismissione delle an-guste catene del vincolo assolutistico “non può che essere supportata da nuove soluzioni normative.”.

6. Conclusioni

Il problema, funditus, concerne (sfrondato da tutte le foglie progressiste ed umanitarie, nonché depurato dal forzato seguito della poderosa e tumultuosa corrente del-l’art. 27 Cost.) la mal tollerata convivenza della nostra im-palcatura ordinamentale con l’istituto dell’ergastolo, così come variamente declinato dal legislatore in tutte le sue articolazioni.

In effetti, com’è agevole constatare anche da un quivis de populo, con il trascorrere dei decenni, la presenza della pena del carcere a vita nel nostro sistema penale - tran-ne tran-nei casi dove la linfa a favore del mantenimento era alimentata da diverse contingenze emergenziali di taglio mafioso e terroristico (che si nutrivano di un forte spirito emozionale della collettività) - è sempre stata poco e mal digerita. Con il passare degli anni, è divenuto sempre di più un ospite tanto sgradito quanto indesiderato. Una sor-ta di convisor-tato di pietra.

Conseguentemente, nel tempo, si è proceduto ad una progressiva erosione dell’istituto in oggetto - sia a colpi di frequenti picconate della Consulta che di decisioni (tal-volta anche avventate) di politica-criminale - creando un

Conseguentemente, nel tempo, si è proceduto ad una progressiva erosione dell’istituto in oggetto - sia a colpi di frequenti picconate della Consulta che di decisioni (tal-volta anche avventate) di politica-criminale - creando un