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Getto pericoloso di cose y Emissione di gas, va- va-pori e fumi y Emissioni in atmosfera di polveri

mo-leste y Ipotesi di reato di cui all’art. 674, comma 1, c.p. y Emissione consentita dalla legge y Giustifica-bilità della condotta y In tutti i casi di attività

indu-striali regolamentate ed autorizzate y Applicabilità generale y Esclusione.

Danneggiamento

y Aggravanti y Condizione della esposizione alla pubblica fede ai sensi dell’art. 625, n. 7 c.p. y Fattispecie in tema di terreni adibiti a col-tura contaminati dalle emissioni di polveri nocive.

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Il reato di cui all’art. 674 c.p., in entrambe le forme previste dalla norma incriminatrice, rientrando nella categoria dei reati causali puri, può essere realizzato tanto con una condotta attiva quanto con una omissiva, nell’ovvio presupposto, in questa seconda ipotesi, che il soggetto sia gravato da un obbligo giuridico di impedire l’evento. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 674) (1)

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In tema di getto pericoloso di cose, l’emissione in at-mosfera di polveri moleste o pericolose deve farsi rien-trare nelle previsioni di cui alla prima e non alla secon-da parte dell’art. 674 c.p., restando quindi escluso che, ai fini dell’eventuale giustificabilità della condotta, possa valere la condizione che l’emissione sia consen-tita dalla legge; condizione, questa, che, peraltro, vale non per tutte le emissioni provocate dall’attività indu-striale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle che siano specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministra-tive. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 674) (2)

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In tema di danneggiamento, quando questo sia costi-tuito dalla contaminazione di terreni adibiti a coltura in conseguenza della emissione di polveri nocive (nella specie, polveri di carbone emesse da una centrale ter-moelettrica), deve ritenersi che i detti terreni rientri-no tra le cose esposte per necessità alla pubblica fede, ai sensi dell’art. 625 n. 7 c.p., richiamato dall’art. 635, comma secondo, n. 1, ultima parte, c.p. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 625; c.p., art. 635) (3)

(1) In tema di getto pericoloso di cose ex art. 674 c.p. e sulla punibi-lità delle emissioni di gas si vedano Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2018, n. 41694, in questa Rivista 2019, 727 e Cass. pen., sez. III, 19 dicembre 2002, n. 42924, in www.latribunaplus.it. Ancora sulla con-dotta che delinea il reato in oggetto si veda, Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2008, n. 36845, in questa Rivista 2009, 733.

(2) Nello stesso senso della pronuncia in commento si veda Cass.

pen., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 2475, in questa Rivista 2008, 762. In dottrina si veda M.L. PARLANGELI, Dall’ inquinamento al disastro:

alla ricerca dei confini applicativi dei principali ecoreati, mediante l’ausilio dei recentissimi interventi della Suprema Corte di Cassa-zione, ivi 2018, 436.

(3) In senso analogo, si veda Cass. pen., sez. II, 21 ottobre 2020, n.

29171, in Arch. giur. circ. ass. e resp. 2021, 139. Per un inquadramen-to del reainquadramen-to di danneggiameninquadramen-to di cui all’art. 635 c.p., si veda Cass.

pen., sez. V, 19 settembre 2014, n. 38574, in questa Rivista 2015, 801.

Si veda, inoltre, per l’ipotesi di cui all’art. 625, n. 7 c.p., e per il con-cetto di maggior tutela offerta alle cose esposte alla pubblica fede, Cass. pen., sez. II, 16 dicembre 2010, n. 44331, ivi 2012, 229.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26 ottobre 2016 il Tribunale di Brin-disi, per ciò che rileva in questa sede, ha condannato S.C.

e A.A. alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 674 e 635 c.p. (quest’ultimo commesso su

cose esposte alla pubblica fede), descritti in fatto nel capo di imputazione; ha inoltre condannato i predetti imputati, in solido con il responsabile civile E. Produzione S.P.A., al risarcimento dei danni nonchè alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in favore di alcune delle parti civili costituite, indicate nel dispositivo, e ha rigetta-to le domande proposte dalle altre parti civili.

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza dell’8 feb-braio 2019, in parziale riforma della decisione di primo grado - impugnata, oltre che da S.C., A.A. e dal responsa-bile civile E. Produzione S.P.A., dalle parti civili M.C., R.T., A.A. quale successore universale di T.C., R.C., Z.L., R.C., R.N., R.V., R.G., R.M., R.F. e PROVINCIA di BRINDISI - ha condannato S.C. e A.A. in solido con il responsabile civile al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, anche nei confronti delle parti civili appellanti R.T., A.A.

quale successore a titolo universale di T.C., R.C. e Z.L.. Ha condannato i predetti S.C., A.A. e il responsabile civile E.

Produzione S.P.A., alla rifusione delle spese sostenute dal-le parti civili R.T., A.A. quadal-le successore a titolo universadal-le di T.C., R.C., Z.L. e Provincia di Brindisi nel doppio grado del giudizio; ha condannato S.C. e A.A., in solido con il re-sponsabile civile E. Produzione S.P.A., alla rifusione delle spese sostenute nel grado di giudizio in favore delle parti civili S.G., A.A., R.R.. Ha confermato nel resto la pronun-cia impugnata. Ha condannato S.C., A.A. e il responsabile civile E. Produzione S.P.A. nonchè le parti civili R.C., R.N., R.V., R.G., R.M., R.F. al pagamento delle spese del grado nei confronti dell’E..

Entrambi i giudici del merito - ritenuto accertato che, durante il procedimento di produzione dell’energia elet-trica da parte della Centrale termoeletelet-trica Federico II di Brindisi, si era verificata la continua diffusione di polvere di carbone, che aveva causato danni agli appezzamenti di terreno, limitrofi allo stabilimento produttivo - hanno affer-mato che la condotta degli imputati era sussumibile nelle fattispecie incriminatrici contestate, ossia nella contrav-venzione di cui all’art. 674 c.p. e nel delitto di cui all’art.

635 c.p., commesso su cose esposte alla pubblica fede.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori - S.C., A.A., E.

Produzione S.P.A. e Provincia di Brindisi. (Omissis) I difensori di S.C., A.A. e di Enel Produzione S.P.A., han-no dedotto i seguenti motivi: (Omissis)

6) Erronea applicazione dell’art. 674 c.p., in relazione a condotte pacificamente conformi alle prescrizioni imparti-te dall’Autorizzazione inimparti-tegrata ambientale, che disciplina la gestione della Centrale Federico II di Brindisi. La Corte territoriale avrebbe aderito all’orientamento giurispru-denziale secondo cui l’art. 674 c.p., prevede due ipotesi di reato mentre esiste un altro indirizzo che afferma che la condotta di cui al comma 2 costituisce una species del più ampio genus, costituito dal gettare o versare cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone, sicchè anche per le condotte di cui al comma 1 opererebbe il limite dei casi non consentiti dalla legge. Ne discenderebbe l’insus-sistenza del reato, avendo la Centrale de qua osservato le prescrizioni dettate dall’AIA.

7) Erronea applicazione dell’art. 635 c.p., in relazione alla mancata individuazione dello specifico oggetto mate-riale delle condotte dei due imputati, che avrebbero inte-grato il reato di danneggiamento, e all’omessa definizione spazio temporale dei singoli fatti di reato; mancanza di motivazione in ordine agli specifici reati di danneggia-mento per il quale i due imputati sono stati condannati.

Mentre potrebbe ritenersi sufficiente la descrizione della condotta degli imputati quale permanente omissione delle azioni, che avrebbero impedito il verificarsi del pericolo per l’incolumità pubblica, necessario ad integrare la fat-tispecie di cui all’art. 674 c.p., risulterebbe invece assolu-tamente inidonea la descrizione della condotta integrante il secondo reato, in assenza di una precisa individuazione dell’evento di quest’ultimo. Entrambi i Giudici del merito avrebbero fatto riferimento ai dati emergenti dalla carat-terizzazione fatta da Sviluppo Italia e, quindi, alla conta-minazione, dovuta alla ripetuta deposizione di particolato aero disperso, proveniente dal parco carbonifero, ma non ci sarebbe stato nessun accertamento per verificare se e quali terreni, tra quelli indicati nel capo di imputazione, ricadevano nelle zone caratterizzate da Sviluppo Italia.

Per di più, le attività di campionamento si sarebbero svol-te prima che la Società presentasse il rapporto conclusivo dell’indagine, nel maggio 2006. Questo significherebbe che il reato di danneggiamento sarebbe già stato consumato prima che i due imputati assumessero i rispettivi incari-chi. (Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE (Omissis)

1.4 Sono manifestamente infondati il sesto e il setti-mo setti-motivo, da trattare prima dell’esame del quarto e del quinto motivo, in quanto, afferendo alla qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 674 c.p. e dell’art. 635 c.p. si pongo-no quale prius logico rispetto alle questioni concernenti l’attribuibilità dei reati agli imputati, sollevate nel quarto e quinto motivo.

1.4.1 Premesso al riguardo che la prima ipotesi dell’art.

674 c.p., punisce chiunque getta o versa, in luogo di pub-blico transito o in luogo privato di uso comune o di uso altrui, cose atte ad offendere, imbrattare o molestare per-sone, mentre la seconda ipotesi punisce chiunque provo-ca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti ad offendere, imbrattare o molestare persone, occorre evidenziare che le due fattispecie sono accomunate dallo stesso evento di pericolo (attitudine a offendere, imbrattare o molestare persone), ma si distinguono per la condotta (che, nel pri-mo caso, si configura come gettare o versare e, nel secon-do caso, consiste nel provocare emissioni) e per l’oggetto materiale del reato (che, nel primo caso, può essere qual-siasi cosa e, nel secondo, coincide con gas, vapori o fumi, purchè si tratti sempre di cose con attitudine offensiva).

In entrambe le ipotesi è ravvisabile un evento (versa-mento, emissione) distinguibile dalla condotta, che lo pro-voca” e questa condotta può essere sia attiva che omissi-va. Difatti, la disposizione incriminatrice, come integrata dall’art. 40 cpv. c.p., mette a carico dell’agente non solo

ogni condotta attiva (generalmente dolosa), ma anche ogni condotta omissiva (in genere colposa), che provochi l’evento pericoloso.

Quello che conta, infatti, secondo la ratto dell’istituto, è il risultato da evitare, non la condotta, sicchè il legisla-tore si è preoccupato di imporre al titolare della posizione di garanzia soltanto un obbligo di risultato, indipendente-mente da ogni vincolo di comportamento.

Il versamento di polveri in atmosfera, come anche l’e-missione di vapori, gas e fumi, atti a imbrattare, offendere o molestare persone, per i quali la norma incriminatrice impone di evitare il pericolo” possono quindi sussumersi nella categoria dei reati causali puri, caratterizzati dalla rilevanza dell’evento e dall’indifferenza della condotta.

In altri termini il reato de quo può anche atteggiarsi come reato commissivo mediante omissione (c.d. reato omissivo improprio) ogni qual volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi (anche) dall’omissione (dolosa o colposa) del soggetto che aveva l’obbligo giuridi-co di evitarlo. Ovviamente, in tutti i casi suddetti, presup-posto indispensabile perchè si configuri un reato commis-sivo mediante omissione è che l’agente sia gravato da un obbligo giuridico di impedire l’evento. Deve, quindi, pro-pendersi per un’interpretazione estensiva della nozione di versamento, sino a comprendervi la diffusione “comun-que” (cioè in qualunque modo, attivo o passivo) di sostan-ze liquide o polverose, pericolose per la salute collettiva.

Ciò posto, deve rilevarsi che i ricorrenti hanno asserito che il fatto contestato, consistente nella diffusione di pol-veri nell’atmosfera, dovrebbe essere sussunto nella secon-da ipotesi dell’art. 674 c.p..

Una pronuncia di questa Corte, ormai risalente, ha pre-cisato che “le polveri, se non possono essere oggetto delle emissioni di gas e di vapori, sono invece sostanze compre-se nelle emissioni di fumo, che, compre-secondo la nozione lessi-cale e tecnica del termine, è “sospensione di un solido in un gas, prodotto dalla combustione” e la polvere null’altro è se non “materia finemente suddivisa” (sez. I, n. 3876 del 5 marzo 1993, Tacconi, Rv. 195963).

Secondo una sentenza emanata pochi mesi dopo, però, l’immissione di polveri nell’atmosfera è compresa nella prima ipotesi dell’art. 674 c.p., giacchè “nel concetto di gettare o versare rientra anche quello di diffondere, co-munque, polveri nelle aree circostanti” (sez. I, n. 447 del 22 settembre 1993, Pasini, Rv. 195922). In senso esatta-mente conforme si sono pronunciate anche altre sentenze successive (tra le altre: sez. III, n. 42924 del 23 ottobre 2002, Lorusso, Rv. 223033; sez. III, n. 41694 dell’8 maggio 2018, Rv. 274863).

Il primo orientamento non può essere condiviso.

Come ben evidenziato in una sentenza di questa Corte (sez. III, n. 16286 del 18 dicembre 2008, Rv. 243454), nel linguaggio corrente s’intende per “polvere” un “insieme incoerente di particelle molto minute e leggere di terra arida, detriti, sabbia ecc., che, sollevate e trasportate dal vento, si depositano ovunque”.

S’intende invece per “fumo” il “residuo gassoso della combustione che trascina in sospensione particelle solide in forma di nuvola grigiastra o bianca”.

Ne deriva che, pur trattandosi sempre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla polvere perchè è sem-pre un prodotto della combustione, sicchè la polvere, es-sendo prodotto di frantumazione, ma non di combustione, non può essere ricompresa nella nozione di fumo.

In conclusione, quindi, la diffusione di polveri nell’at-mosfera va ricondotta, come avvenuto nella specie, al ver-samento di cose ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non all’emissione di fumo.

Inquadrata la diffusione in atmosfera di polveri mole-ste o pericolose nella fattispecie prevista dalla prima par-te dell’art. 674 c.p., deve escludersi, quindi, ogni rilievo alla clausola “nei casi non consentiti dalla legge”, che è propriamente riservata all’emissione di gas, vapori o fumi, prevista nella seconda parte della norma.

Dal che discende che deve disattendersi la doglianza dei ricorrenti, secondo cui dovrebbe attribuirsi rilievo al superamento o meno dei valori limite delle immissioni anche nelle ipotesi riconducibili al primo comma dell’art.

674 c.p.

Non ignora però il Collegio che una sentenza di que-sta Corte, decidendo in un caso di diffusione di radiazioni elettromagnetiche pericolose per la salute, ha esteso in via analogica l’applicazione della clausola anzidetta anche alla prima fattispecie; con la conseguenza che, quando la diffusione provenga da un’attività economica socialmente utile e, come tale, legislativamente disciplinata, esula il reato se la diffusione è consentita dalla legge, ossia non supera i limiti tabellari, previsti dalla legge speciale vigen-te nella soggetta mavigen-teria (sez. III, n. 36845 del 13 maggio 2008, PG. e P.C. in proc. Tucci e altri, Rv. 240767).

Deve tuttavia rilevarsi che, anche accogliendo questa estensione analogica in bonam partem, indubbiamente dettata da un’esigenza garantista a favore dell’imputato, il quale non può vedersi condannato per un’emissione in atmosfera che la legge speciale consente e valuta come tipicamente non pericolosa, nel caso concreto non cam-biano le conclusioni in ordine alla sussistenza della con-travvenzione di cui all’art. 674 c.p..

Questa Corte (sez. III, n. 40191 dell’11 ottobre 2007, Schembri, Rv. 238054, nonchè sez. III, n. 2475 del 9 ottobre 2007, Rv. 238447) ha già avuto modo di affermare che la predetta clausola esclude il reato non per tutte le emis-sioni provocate dall’attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono speci-ficamente consentite attraverso limiti tabellari o altre de-terminate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono legittime. Non possono presumer-si come legittime, invece, le altre emispresumer-sioni, connesse più o meno direttamente all’attività produttiva regolamenta-ta, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose, perchè superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all’imprenditore.

Nel caso di specie, come sottolineato dalla Corte d’appel-lo, le emissioni di polveri, provocate nel corso dell’attività produttiva della Centrale termoelettrica, non erano certa-mente “consentite” dalla legge ma invece “vietate” attra-verso regole generali o speciali che imponevano misure di cautela e prevenzione molto rigorose, come quelle previste dal D.M. 12 luglio 1990, che in forza dello stesso D.P.R. n. 203 del 1988, art. 3 ha dettato le linee guida per il contenimento delle emissioni, oltre che per la fissazione dei valori limite (v. in particolare i paragrafi 6.1, 6.2, 6.3 e 6.4).

1.4.2 Immune da vizi è anche la ritenuta qualificazione dei fatti come danneggiamento.

La Corte d’appello - come già esposto al p. 1.2.2 - ha ritenuto raggiunta la prova dell’alterazione dello stato dei luoghi, provocata dal deposito della polvere di carbone, proveniente dalla Centrale termoelettrica.

La medesima Corte ha sottolineato che nella relazio-ne finale, inviata il 9 settembre 2008 dall’agronomo T. ai vertici della Centrale, si era rimarcato che il monitorag-gio aveva consentito di appurare tracce di contaminazio-ne da polveri contaminazio-nerastre sulle colture presenti contaminazio-nelle zocontaminazio-ne, adiacenti al carbonile, specificamente individuate. Anche nella relazione del prof. M. si erano messe in evidenza le conseguenze della diffusione della polvere di carbone in termini di “contaminazione indoor presso le abitazioni dei soggetti residenti in aree prospicienti la Centrale”, oltre che di contaminazione di frutti e colture vegetali.

Da ciò deriva la corretta applicazione dell’art. 635 c.p., desumendosi dalla motivazione della sentenza impugnata l’accertamento di un’attività illecita di modifica delle con-dizioni dei luoghi, non circoscritta alla mera alterazione momentanea, in sintonia con i canoni giurisprudenziali (sez. V, n. 38574 del 21 maggio 2014, Rv. 262220) per cui il reato di danneggiamento si realizza allorquando vi è una modificazione della cosa altrui, che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l’uso, così dando luogo ad una necessità di intervento ri-pristinatorio dell’essenza e della funzionalità della cosa stessa.

I beni danneggiati sono stati ritenuti cose esposte alla pubblica fede, stante l’impossibilità materiale dei proprie-tari di evitare gli eventi dannosi, anche usando tutti gli accorgimenti e la diligenza del caso.

Al proposito, infatti, va ricordato che la “ratio” della maggiore tutela accordata alle cose esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede va individuata nel fatto che si tratta di cose prive di custo-dia da parte del proprietario, con la conseguenza che la proprietà o il possesso di esse ha come presidio soltanto il senso del rispetto da parte dei terzi (sez. II, n. 44331 del 12 novembre 2010, Rv. 249181).

Si è da ultimo precisato (sez. II, n. 29171 dell’8 set-tembre 2020, Rv. 279774) che la “ratio” dell’aggravamento della pena non è correlata alla natura - pubblica o priva-ta - del luogo ove si trova la “cosa”, ma alla condizione di esposizione di essa alla “pubblica fede”, che ricorre anche se la cosa si trovi in luogo privato cui, per mancanza di recinzioni o sorveglianza, si possa liberamente accedere.

L’esposizione dei beni alla pubblica fede consente di ritenere integrato il delitto di danneggiamento anche con riguardo alla previsione introdotta con il D.L.vo n. 7 del 2016, con cui il legislatore ha voluto limitare la punibili-tà delle condotte di aggressione al patrimonio mobiliare ed immobiliare altrui, escludendo dalla rilevanza penale quelle che avvengano nei confronti di beni nella diretta custodia e nel possesso del loro proprietario; in tali casi, infatti, non sussistendo l’esposizione alla pubblica fede e potendo direttamente il proprietario esercitare la prote-zione degli stessi, si è ritenuto non esservi ragione per il mantenimento della sanzione penale ed, operata la depe-nalizzazione, si è previsto il ricorso alle diverse sanzioni pecuniarie civili. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. IV, 5 FEBBRAIO 2021, N. 4487 (UD. 24 NOVEMBRE 2020)

PRES. DI SALVO – EST. NARDIN – P.M. PEDICINI (DIFF.) – RIC. L.L.

Stupefacenti

y Associazione per delinquere per spaccio di stupefacenti y Aggravante della parteci-pazione di persone dedite all’uso di stupefacenti y Condizioni y Un solo partecipante dedito all’uso di tali sostanze y Sufficienza.

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In tema di associazione finalizzata al traffico di so-stanze stupefacenti, ai fini della configurabilità dell’ag-gravante costituita dalla presenza, tra i partecipanti, di “persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope”, deve ritenersi sufficiente che anche un solo partecipante risulti dedito all’uso di tali sostanze.

(Mass. Redaz.) (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74;

d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 80) (1)

(1) Nel senso che al fine della configurabilità dell’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 74 D.P.R. n. 309/1990, è sufficiente la mera condizione di tossicodipendenza dell’associato, mentre non è richie-sta la prova che tale condizione arrechi un vantaggio all’associazione, v. Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2018, n. 4907, in www.latribunaplus.

it. Cfr. Cass. pen., sez. VI, 9 aprile 2013, n. 16239, ibidem, secondo cui per la sussistenza della predetta aggravante è sufficiente che i partecipanti all’associazione facciano uso di sostanze stupefacenti con continuità, non richiedendosi, invece, un elevato grado di dipen-denza dalle medesime.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 9 settembre 2019 la Corte di ap-pello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Roma con cui L.L., M.R., H.F. e A.M. sono stati riconosciuti colpevoli del reato di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 3 ed 80, comma 2 D.P.R. n. 309/1990, (capo A) dell’im-putazione) per aver partecipato ad un’associazione fina-lizzata al traffico illecito di stupefacenti, con l’aggravante della partecipazione di persone dedite all’uso di sostanze e dello spaccio di ingenti quantitativi di sostanza del tipo cocaina; (Omissis)

2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazio-ne H.F., A.M., L.L. e S.M., a mezzo dei rispettivi difensori.

3. H.F. e A.M., con unico atto di impugnazione, formula-no sei motivi. (Omissis)

6. Con il terzo motivo si dolgono della falsa applicazione dell’art. 74, comma 3 del D.P.R. n. 309 del 1990, sostenendo

6. Con il terzo motivo si dolgono della falsa applicazione dell’art. 74, comma 3 del D.P.R. n. 309 del 1990, sostenendo