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AI FINI DELL’IDENTIFICAZIONE

di Giovanni Fontana

La presente riflessione scaturisce dal contenuto del webinar formativo di Raffaele Chianca (1), in materia di identificazione personale e dalla conseguente lettu-ra dell’omonimo opuscolo, scaricabile alla pagina http://

www.vehicle-documents.it/pubblicazioni/approfondi-menti/4VARIE/14%20Idenificazione.pdf.

Non è mia intenzione replicare quanto già autorevol-mente e magistralautorevol-mente descritto nel citato opuscolo;

piuttosto, è mia intenzione riflettere sulla opportunità, sulla necessità, ma direi sulla legittimità di esercitare la forza (quindi, la “violenza”) per coartare una persona fer-mata a scopo di identificazione e dunque, per costringere quest’ultima a sottoporsi a rilievi antropometrici, fotogra-fici e dattiloscopici.

Trattasi di un argomento niente affatto marginale - du-rante la pratica di polizia - che tutti ci coinvolge, indu-cendoci a titubare, durante una così delicata attività che necessita, invece, della nostra massima determinazione.

Orbene, nel nostro ordinamento costituzionale (art. 13 Cost.), la libertà personale è inviolabile e non è ammessa forma alcuna di detenzione, ispezione, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto moti-vato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che de-vono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

Dunque, qualsiasi disposizione di legge, idonea a li-mitare la libertà personale, precedente o successiva alla Costituzione, deve essere adeguata ai suddetti principi fondamentali ed inderogabili.

Nella materia in esame, infatti, l’art. 4 del T.U.L.P.S., approvato con R.D. 773/1931, è stato reso conforme al det-tato costituzionale, a seguito della Sentenza della Corte costituzionale, 27 marzo 1962, n. 30: in tal senso, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nella parte in cui prevede rilievi segnaletici che comportino ispezioni perso-nali. Tale disposizione di legge, infatti, riconosce all’auto-rità di pubblica sicurezza la facoltà di ordinare che le per-sone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità, siano sottoposte a rilievi segnaletici.

Si tratta di un controllo di polizia (attività di preven-zione), in senso stretto, finalizzato a provare l’identità

del-la persona sottoposta a controllo, giacché ogni addebito – derivante dall’accertamento di un illecito amministrato e/o penale – presuppone, sempre, l’identificazione fisica e certa della persona fisica che lo ha commesso.

Analoga attività di prevenzione è prevista dal D.L. 21 marzo 1978, n. 59, conv. in legge 18 maggio 1978, n. 191 (c.d. “fermo di polizia”) che all’art. 11 così prevede:

«Gli ufficiali e gli agenti di polizia possono accompa-gnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di di-chiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tem-po strettamente necessario al solo fine dell’identificazione e comunque non oltre le ventiquattro ore.

La disposizione prevista nel comma precedente si ap-plica anche quando ricorrono sufficienti indizi per rite-nere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti.»

In tal caso, il rifiuto opposto da taluno alla richiesta, da parte di un ufficiale o agente di polizia, di dichiarare le proprie generalità legittima l’accompagnamento coattivo del soggetto negli uffici di polizia e giustifica l’uso di un mezzo di coazione fisica, come la forza muscolare, ove a tale accompagnamento venga opposta resistenza, anche meramente passiva; l’uso della forza deve però essere rigo-rosamente proporzionato al tipo e al grado della resistenza opposta (2).

In altra ipotesi, prevista dall’art. 349, comma 4, c.p.p.

(fermo di identificazione), è similmente previsto che qualora l’indagato o la persona informata sui fatti rifiuti di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documen-ti di idendocumen-tificazione in relazione ai quali sussistano suffi-cienti elementi per ritenerne la falsità (art. 496 c.p.), la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la iden-tificazione (3) e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore, nel caso che l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente.

Senza volerci addentrare qui su questioni meramente formali, inerenti la comune pratica di accompagnamento presso gli uffici di polizia della persona sospetta, indagata o informata sui fatti, vale la pena di segnalare che allorché la stessa sia in qualche modo privata della libertà perso-nale - conclamata nella coartazione dell’accompagnamen-to - di tutdell’accompagnamen-to quesdell’accompagnamen-to ne deve essere resa edotta l’Audell’accompagnamen-torità Giudiziaria, giacché unico soggetto legittimato a privare (motivatamente) della libertà personale, un comune cit-tadino.

Piuttosto, qui è il caso di soffermarci sul momento in cui scatta l’obbligo di rendere edotta l’Autorità Giudizia-ria, nei termini previsti dall’art. 11 del D.L. 59/1978, in un caso o dall’art. 349, comma 4, c.p.p. nell’altro e che,

evi-dentemente, coincide proprio nell’attimo in cui il cittadi-no è privato di fatto della sua libertà personale ovvero di disporre liberamente del proprio corpo.

In tal senso e a parere di chi scrive, fintanto che il cit-tadino è libero di agire – ivi compreso il diritto di non col-laborare con l’autorità di polizia – nell’ambito di un proce-dimento amministrativo e/o penale, esercitando i propri diritti ed i propri doveri, tutto avviene nell’ambito di una sequela di fatti e di atti, documentabili e documentabili, che serviranno poi ad istruire le connesse pratiche ammi-nistrative e/o penali.

Tra questi fatti ed atti, rientra anche quello della iden-tificazione personale (inderogabile), che avviene median-te un processo di riconoscimento fisico della persona e di assegnazione a quest’ultima di generalità certe, idonee a consentirne il successivo rintraccio.

Questo, normalmente, avviene sulla base della pro-va documentale (possesso di documento di identità o di riconoscimento) ma, non necessariamente; giacché nel caso del cittadino italiano, sebbene esista un obbligo di ostensione del documento che ne prova o ne dimostri l’i-dentità (art. 294 Reg. T.U.L.P.S.), è di tutta evidenza che l’adempimento di tale obbligo, comporta l’effettivo posses-so del documento richiesto ed in capo al cittadino italiano - salvo non si tratti di una persona pericolosa o sospetta (art. 4 T.U.L.P.S.) - non esiste alcun obbligo, se non quello di fornire le proprie generalità (art. 651 c.p.).

Ne consegue che non integra il reato di rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale, di cui all’art.

651 cod. pen., bensì, eventualmente, ricorrendone gli ul-teriori presupposti, quello previsto dagli artt. 4 T.U.L.P.S.

e 294 del relativo regolamento, la condotta di chi rifiuti di consegnare il documento di riconoscimento al pubblico ufficiale che gliene faccia richiesta (4).

Evidentemente, al buon esito della identificazione e all’atto di trascrizione dei relativi dati sul verbale o altro documento idoneo a cristallizzare i fatti avvenuti alla pre-senza del P.U., l’attività di prevenzione o di controllo, può dirsi esaurita, senza ulteriore adempimento, se non quello di rilasciare alla persona sottoposta a controllo, copia di tali atti (5).

Ciò chiarito, nel momento in cui il cittadino rifiuti di fornire le proprie generalità ovvero il documento di identi-tà o di riconoscimento che possiede ovvero fornisca gene-ralità sospette o false, l’autorità di polizia è legittimata a invitare la persona sospetta a farsi compiutamente identi-ficare, presso l’ufficio di polizia o, se necessario, presso un gabinetto di polizia scientifica (c.d. fotosegnalamento).

In questa delicatissima fase, la persona è ancora libera di agire: quindi, di scegliere se collaborare per addivenire ad una identificazione certa oppure rifiutare l’identificazione e dunque, porsi in una condizione soggettiva, che può con-clamare la perdita di facoltà di agire, se non andando a configurare talune ipotesi delittuose, quali quelle contem-plate dagli artt. 336 ss. c.p., se non applicabili, in ragione

dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, stabilito dal-l’art. 393-bis c.p. (6).

Evidentemente, se il rifiuto è stato opposto con l’evi-dente scopo di non farsi identificare ovvero in assenza di cause di giustificazione, l’autorità di polizia è legittimata ad “accompagnare” – anche mediante l’uso della forza – la persona presso l’ufficio di polizia o il gabinetto di polizia scientifica ritenuto più idoneo allo scopo: da questo mo-mento, scattano contemporaneamente, le tutele costitu-zionali di cui all’art. 13 della Carta, conclamate nelle nor-me procedurali previste per il “fermo di polizia” o il “fermo di identificazione”, con l’unica differenza, tra le due misu-re, inerente il periodo di privazione della libertà persona-le: ventiquattro ore, nel caso dell’art. 11 del D.L. 59/1978 e dodici ore (estendibili a ventiquattro, in casi particolari), nel caso dell’art. 349 c.p.p.

Ora, se risulta pacifico che in taluni casi l’autorità di polizia può anche usare la forza per accompagnare la per-sona non collaborativa presso i propri uffici, c’è da doman-darsi se, in tale contesto e per evidenti esigenze di iden-tificazione, è possibile coartare la persona fermata, al fine di effettuare su quest’ultima rilievi antropometrici, foto-grafici e/o dattiloscopici, diversi dalla ispezione personale.

In questo caso, l’art. 4 del T.U.L.P.S., prevede che l’au-torità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in gra-do o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici. Dalla lettura di questa disposizione, si ricava che l’autorità di P.S. può meramente ordinare alla persona soggetta a controllo sulla identità personale di sottoporsi ai necessari rilievi segnaletici; non si rileva, però, come la medesima autorità, o chi per essa, possa coartare la persona, impedendole di muovere la testa, qualora non voglia sottoporsi ai rilievi fotografici; costrin-gendolo a distendere le dita o il palmo della mano, qualora la ritragga per evitare di sottoporsi a rilievi dattiloscopici o stare immobile, per rilevarne l’altezza ed ogni altra utile caratterizzazione antropometrica o antropofisica.

Si tratta di misure fisiche che potrebbero divenire molto invasive, al punto tale da arrecare nocumento alla persona del fermato (oltre che del personale di polizia) e quindi, rischiare di andare ben oltre i limiti degli atti di di-sposizione del corpo, con l’ulteriore conseguenza negativa, sullo stesso buon esito del rilievo segnaletico.

Dove finisce, quindi, il potere coercitivo che l’ordina-mento riconosce all’autorità di polizia, finalizzato all’ac-quisizione dei dati antropometrici, fotografici e dattilosco-pici di cui si è detto?

Qui soccorre la citata sentenza della Corte costituzio-nale n. 30/1962.

Normalmente i rilievi descrittivi, fotografici ed antro-pometrici e quelli dattiloscopici non importano menoma-zione della libertà personale, anche se talvolta essi richie-dono una momentanea immobilizzazione delle persone per descriverne o fotografarne o misurarne gli aspetti

nelle parti esposte all’altrui vista, ovvero una momenta-nea costrizione tendente alla fissazione delle impronte di-gitali. Quando, invece, tali rilievi assoggettano la persona a sostanziali restrizioni, fisiche o morali, di libertà, equi-parabili all’arresto, sono da comprendere tra le ispezioni personali e, come tali, non sono ammessi se non nei limiti e nei modi stabiliti dall’art. 13 della Costituzione ovvero, con il consenso dell’Autorità Giudiziaria.

Del resto, il fatto stesso di opporsi all’autorità di po-lizia, con l’evidente scopo di intralciare la relativa attivi-tà istituzionale, espone l’agente alla possibiliattivi-tà di essere arrestato (art. 381 c.p.p.), con l’evidente scopo di evitare che di lui vengano perse le tracce: a maggior ragione per-ché non compiutamente identificato.

In tale contesto, sarà poi la stessa Autorità Giudiziaria a convalidare o meno l’arresto e quindi, a consentire una compiuta identificazione della persona sottoposta alla mi-sura della custodia cautelare in carcere.

In definitiva ed a parere di chi scrive, se da un lato ed esistendone i presupposti, all’autorità di polizia è consen-tito usare la forza per accompagnare le persone non col-laborative e non altrimenti identificabili, presso i relativi uffici; analoga facoltà non gli è riconosciuta per consen-tire l’esecuzione dei rilievi segnaletici, allorché il ferma-to (delle cui modalità è prontamente avvisata l’Auferma-torità Giudiziaria), a tale scopo, dovrebbe essere sottoposto ad una vera e propria violenza, che trasmoderebbe in un’atti-vità parificabile a quella dell’ispezione, la cui esecuzione è rimessa alla sola Autorità Giudiziaria.

NOTE

(1) L’identificazione personale dei cittadini italiani, unionali e stranieri - Seminario di approfondimento su come eseguire una corretta

identificazione personale su strada con e senza documenti identificativi.

CUBO/ASAPS.

(2) Cass. pen., Sez. VI, 28 maggio 2015, n. 22529, in www.latribu-naplus.it.

(3) L’identificazione dell’indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni (Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 19044). Fa eccezione il caso della identificazio-ne del cittadino unionale o dello straniero che, identificazio-nei limiti del possibile, va necessariamente identificato, con assegnazione del relativo codice univoco di identificazione o CUI.

(4) Cass. pen., sez. I, 20 gennaio 2020, n. 2021.

(5) È chiaro, che qui si deve distinguere il mero controllo di polizia di prevenzione, che, per sua natura, produce fatti, ma non atti; rispet-to a quello di polizia, in senso stretrispet-to (stradale, di pubblica sicurezza, giudiziaria, ecc.), che dà luogo ad un vero e proprio procedimento, desti-nato a far produrre degli atti: dal mero atto di identificazione e quindi, di trattamento dei dati personali, al vero e proprio atto di accertamento, con addebito di responsabilità. Questi atti (che talvolta si trasmutano in provvedimenti) vanno, necessariamente, consegnati al soggetto con-trollato, affinché eserciti appieno il diritto di difesa che l’ordinamento giuridico gli riconosce.

(6) È configurabile l’esimente della reazione ad atti arbitrari nel caso dell’agente di polizia che, dopo la richiesta (subito adempiuta) di declinare le generalità rivolta ad un soggetto in auto, tenti con violenza di costringere quest’ultimo ad uscire dalla vettura, senza addurre giu-stificazioni ulteriori rispetto alle già avanzate richiesta, ed in assenza di elementi indicativi della pericolosità della persona o della commissione di attività illecite. (Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2014, n. 4392). Con ri-ferimento all’art. 4 del D.L.vo Lgt. 288/1944, ora sostituito dall’art. 393-bis del c.p., risulta di particolare interesse la massima di cui alla Cass. pen., sez. VI, 19 ottobre 2008, n. 36162, nella quale viene chiarito che è confi-gurabile la scriminante della reazione ad atto arbitrario del pubblico uffi-ciale, nel caso di resistenza opposta da un soggetto all’accompagnamento coattivo presso un ufficio di polizia giudiziaria che sia motivato da fini di identificazione quando faccia difetto la condizione prevista dall’art.

349, comma 4, c.p.p., costituita dal rifiuto del medesimo soggetto di farsi identificare ovvero dalla sussistenza di sufficienti elementi per ritenere la falsità delle generalità o dei documenti di identificazione da lui forniti.

Decisioni

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