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L’errore della dialettica idealista

L’esito idealistico della filosofia hegeliana è, secondo Adorno, un tradimento della dialettica motrice del suo sistema. Questa si configurava come critica dell’identità e delle astrazioni operate dall’intelletto per delimitare con precisione i confini della cosa. Ma anche la razionalità dialettica, seppur in modo diverso, alla fine giunge a identificare il proprio oggetto; e in maniera persino più totalitaria di quanto non facesse il soggetto kan- tiano, che perlomeno di fronte alle idee trascendenti sapeva di dover sospendere il proprio giudizio. È la totalità stessa che viene identificata da Hegel come contraddittoria nella sua essenza, e dunque vera solo se ricompresa all’interno del pensiero.

Come abbiamo già detto, Adorno accusa l’idealismo di essere la più raffinata – e dunque anche la più pericolosa – manifestazione teorica del pensiero calcolante protago- nista dell’illuminismo, il quale nella sua deformazione storica si è rivelato infetto dall’istinto violento e dalla furia contro ciò che il Sé percepisce come diverso. Affer- mando l’identità di pensiero e cosa, Hegel non solo ripropone quella pretesa totalitaria sul mondo che egli aveva criticato nell’illuminismo perché troppo ingenua e positivista, ma decreta la legittimità del pensiero nel suo esito identificante: il mondo tende teleolo- gicamente verso l’uomo sia secondo l’idealismo che secondo l’illuminismo.

Ma proprio la convinzione che le cose si diano spontaneamente al concetto sotto cui vengono poi classificate – che tra soggetto e oggetto si instauri un rapporto positivo, “trasparente” – è per Adorno il pilastro fondamentale dell’ideologia. Se nella società mo- derna questa convinzione, forte della sua evidente praticità, permette al sistema di appiat- tire gli uomini al loro ruolo, e sottoporli come merci al principio di scambio, come teoria della conoscenza essa è la massima espressione del pensiero come forma di dominio, e dunque ancora imparentato col mito. Già in Dialettica dell’illuminismo Adorno e Hor- kheimer interpretavano il pensiero hegeliano come esponente di spicco della mitologia residua nel moderno, proprio perché esso sfociava in un sistema positivo; gli autori rico- noscevano l’importanza alla negazione dialettica dell’identità, ma rilevavano anche come in Hegel questa si fosse ribaltata nel suo contrario:

61 Nel concetto di negazione determinata, Hegel ha indicato un elemento che distingue l’il- luminismo dalla corruzione positivistica a cui egli lo assegna. Ma in quanto finì per ele- vare ad assoluto il risultato conosciuto di tutto il processo della negazione – la totalità sistematica e storica –, contravvenne al divieto e cadde a sua volta nella mitologia.1

Nella Dialettica negativa, questo giudizio sul pensiero di Hegel ritorna ampliato e approfondito, analizzato anche nel suo rapporto problematico con quello kantiano, che pareva esser stato superato, ma che Adorno è intenzionato a recuperare, almeno in alcuni dei suoi aspetti fondamentali.

In quest’opera, il pensiero calcolante dell’illuminismo viene analizzato da un punto di vista, per ammissione dello stesso Adorno, più astratto2, in quanto pensiero iden-

tificante. L’approccio, cioè, che l’uomo ha verso il mondo è quello dell’identificazione,

della definizione stabile e omnicomprensiva, anche quando l’oggetto osservato sfuggi- rebbe all’identità rigida. Tale dinamica è propria secondo Adorno del pensiero in gene- rale: conoscere significa identificare, classificare l’oggetto in base a concetti. Per pensare – e ciò è evidente nel metodo scientifico – il soggetto ha bisogno di mantenere distinte le rappresentazioni che si fa delle diverse cose, altrimenti il suo contenuto sarebbe comple- tamente indeterminato, dunque inutile al fine dell’utilizzabilità che nell’illuminismo ha sempre accompagnato la conoscenza.

Ciò su cui il pensiero, per così dire, mette le mani non è allora la cosa, ma la cosa mediata dal concetto, presa come “un esemplare di”. Si provi a immaginare cosa sarebbe non solo l’agire pratico, ma pure il ragionamento teorico se privo della distinzione e dell’identificazione che la permette: ogni singolo giudizio che compone la riflessione teo- rica è in fondo figlio di una decisione. Anche nel giudizio più innocuo si va a definire l’oggetto, interpretandolo in base a un concetto specifico e decidendo di ignorare tutti gli aspetti che oltrepassano tale concetto. Secondo Adorno, la forma stessa del pensiero è

1 M. Horkheimer–Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 32.

2 È questa un’astrattezza necessaria per arrivare veramente al pensiero concreto. Adorno traccia

questo percorso fin nella premessa dell’opera: «Quando Benjamin lesse nel 1937 la parte di Sulla metacri-

tica della gnoseologia allora terminata dall’autore […], egli osservò che era necessario attraversare il de-

serto di ghiaccio dell’astrazione, per giungere in modo rigoroso al filosofare concreto. Ora la dialettica negativa traccia retrospettivamente un percorso del genere. Nella filosofia contemporanea la concrezione è stata per lo più solo surrettizia. Per contro questo testo in larga misura astratto si mette a servizio della sua autenticità e del chiarimento del metodo concreto dell’autore» (Th. W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 3).

62 l’identificazione del suo contenuto: «l’apparenza di identità è inerente anche al pensiero in base alla sua sola forma. Pensare significa identificare»1.

Una tale critica gnoseologica non è di certo una novità in filosofia, che da sempre ha fatto del rapporto tra soggetto e oggetto uno dei suoi percorsi di indagine più battuti: già Kant, sulla scia di Hume, aveva criticato l’idea di un’oggettività immediata, argomen- tando invece a favore di una funzione attiva del pensiero sulla propria materia. Ma in Adorno l’identificazione assume il valore di una cattiva falsità: essa non è mai la semplice registrazione di un’identità – per così dire – trovata, e nemmeno una semplice creazione soggettiva a partire da un materiale sensibile malleabile, ma piuttosto una forzatura, l’im- posizione da parte del pensiero di un’identità ad un oggetto che con quell’identità non coincide. Il concetto conserva ancora quell’elemento di dominio proprio della natura da cui si è sviluppato.

Nell’identità coercitiva, il sintomo di tale violenza è la contraddizione, che, come d’altronde era anche in Hegel, testimonia la falsità dell’identico e del confine rigido che separa la cosa dal suo diverso. Ma Adorno, al contrario di Hegel, non eleva questa con- traddizione a essenza della cosa: invece, essa è e rimane unicamente un negativo, denun- cia del fallimento del tentativo da parte del pensiero di cogliere il proprio oggetto. La dialettica, in quanto legge del movimento contraddittorio,

non dice altro se non che gli oggetti non vengono assorbiti dal loro concetto, che questi contraddicono la norma tradizionale dell’adeguatio. La contraddizione non è ciò in cui l’idealismo assoluto di Hegel dovette inevitabilmente trasfigurarla: un essenziale eracli- teo. Essa è index della non verità dell’identità, del non assorbimento del non concettua- lizzato nel concetto.2

Anche in Hegel il momento negativo era il cuore pulsante della dialettica, la carica che immanentemente smentiva come falsa la coerenza dell’identità con se stessa e al con- tempo ne chiedeva la correzione. Ma quella negatività, ritrovata in ogni determinazione del reale, veniva ribaltata in un positivo, permettendo e giustificando l’intero percorso della coscienza verso il sapere assoluto. Adorno vede in questo rovesciamento l’errore

1 Ivi, p. 7. 2 Ibid.

63 fondamentale di Hegel: aver scambiato la costanza della contraddizione, il fatto che essa venisse trovata costantemente in ogni determinazione analizzata, con la sua necessità e legittimità. Con quel fraintendimento, ciò che nasceva come critica dell’evidenza positiva – di ciò che pare vero perché semplicemente “appare così” – era elevato a positivo proprio in virtù della sua evidenza.

Ciò che la Dialettica negativa si propone è la rettificazione di questo errore, il salvataggio della critica dialettica dal ruolo apologetico che essa ha assunto nel sistema hegeliano. Nell’intenzione di Adorno, questo salvataggio non può essere limitato al tra- sferimento della dialettica così come l’aveva concepita Hegel in una nuova costellazione teorico-interpretativa, ma ne richiede una riforma tale da non lasciare intatta nemmeno la celebre formulazione triadica.

In particolare, il momento speculativo è quello che Adorno guarda con maggior sospetto e sul quale si gioca la differenza tra la dialettica hegeliana e quella negativa. Già nel momento negativo Hegel vedeva lo slancio che portava infallibilmente a una positività ulteriore e consapevole di sé, la positività razionale, perché la estraeva determinatamente dalla positività astratta. Per questo, si è visto, la negazione dialettica era una negazione determinata: negava un determinato, ma soprattutto aveva un determinato come suo esito. Questo era un determinato consapevole della propria essenza contraddittoria, capace di riconoscersi come luogo dove avviene l’unità di identità e contraddizione. Ma, secondo Hegel, questa consapevolezza non è sufficiente – e per questo deve essere ulteriormente criticata nella sua immediatezza – se non una volta raggiunta la totalità, una volta com- presa la contraddizione come essenza del tutto, e non di questa o quella determinazione.