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L’oggettività del soggetto

La seconda conseguenza della critica dialettica alla coscienza astratta è il radica- mento di ogni coscienza nella finitezza e nel contesto sociale. L’interesse del concetto per

1 Ivi, p. 166. 2 Ivi, p. 163.

79 l’aconcettuale rende problematica ogni pretesa non solo di conoscenza della cosa, ma anche di purezza ed universalità del pensiero. La mediazione del soggetto significa che bisogna sempre riconoscergli un certo grado di passività, e non pensarlo astrattamente come il creatore assoluto di quanto accade nel mondo materiale. Si potrebbe dire che il primato dell’oggetto avanza pretese sulla stessa soggettività: pensato concretamente, «l’io puro è onticamente mediato da quello empirico»1. Per questo, agli occhi di Adorno, la separazione tra un soggetto trascendentale e uno empirico è sempre una cattiva astrazione. Questi due lati della soggettività si mediano e influenzano a vicenda, nonostante il primo pretenda per sé una purezza che non è compatibile con il suo essere «sin dall’inizio anche oggetto in base alla sua costituzione»2.

Non sarebbe sbagliato richiamare a questo proposito la categoria esistenziale di

gettatezza, dal momento che su questo punto lo stesso Adorno riconosce la propria vici-

nanza ad Heidegger e al suo esistenzialismo.

L’io esistente è un implicato di senso ancora del logico “io penso, che deve poter accom- pagnare tutte le mie rappresentazioni”, perché esso ha la successione temporale come condizione di possibilità, e la successione temporale c’è solo come successione del tem- poraneo. Il “mie” rimanda a un soggetto come oggetto tra oggetti, e senza questo “mie” non potrebbe esserci d’altronde alcun “io penso”. L’espressione “esserci”, sinonimo di soggetto, allude a tali rapporti di cose. È preso dall’oggettività, che il soggetto ci sarebbe; ciò conferisce anche a lui un po’ di oggettività […].3

Qui il bersaglio polemico di Adorno coincide con quello di Heidegger, ovvero quell’ideale di soggetto assoluto, impassibile e padrone delle cose. Invece, lo stesso inte- resse del soggetto per il temporale – la sua mediazione attraverso l’oggetto desiderato – lo inscrive nella temporalità a sua volta: l’esperienza di ciò che è temporale significa che lo stesso soggetto partecipa alla temporalità.

L’io penso infatti accompagna le mie rappresentazioni, dunque la soggettività non può essere ridotta alla vuota struttura percettiva, ma va messa in relazione con ciò che riempie quella struttura. La mediazione del soggetto per mezzo dell’oggetto non significa

1 Ivi, p. 159. 2 Ivi, p. 165. 3 Ibid.

80 solo che il pensiero è “causato” – per metterla in termini kantiani – dal pensato, ma anche che il soggetto è influenzato dal proprio lato oggettivo. Oggetto tra gli oggetti, egli deve riconoscere la propria natura finita.

Questa è radicata anzitutto nella corporeità, ovvero in quella componente di sé che il soggetto non riconosce come totalmente propria: il Sé è composto di frammenti che la

ratio si affanna per tenere assieme. Il dolore, le patologie, gli impulsi e le nevrosi, sono

tutti elementi che Adorno raggruppa nella sfera dell’aggiuntivo rispetto all’autocoscienza astratta e al controllo di sé con cui in genere si fa coincidere il soggetto.

L’aggiuntivo è il nome per ciò che quell’astrazione ha espulso; senza di esso la volontà non potrebbe essere reale. […] La prassi vera, modello di quelle azioni che potrebbero soddisfare l’idea di libertà, ha certo bisogno della piena coscienza teorica […]. Ma la prassi ha bisogno anche d’altro che non si esaurisce nella coscienza, del corporeo che è razionalmente mediato e qualitativamente diverso dalla ragione.1

Per quanto la mente possa influire sulla nostra appercezione corporea, nessuno è in grado di ordinare al proprio corpo di non soffrire più, all’impulso di non presentarsi. L’autocontrollo non è una semplice esecuzione di ordini, ma una costrizione, un sacrificio che il Sé infligge al soggetto stesso. La separazione cartesiana di res cogitans e res ex-

tensa non riflette, secondo Adorno, la soggettività reale, dove questi due aspetti si trovano

mescolati e legati da una stretta simbiosi.

La stessa volontà non è comprensibile nella sua accezione pura, separata dall’im- pulso, se non come volontà di se stessa; ma questa sarebbe completamente scissa dalla prassi reale, per la quale serve appunto un desiderio, un’istanza reattiva che spinga il soggetto fuori da sé. L’azione sul mondo temporale e fenomenico, persino il solo interesse per esso, presuppone la temporalità come parte integrante del soggetto. Perché questo si comprenda nella sua complessità è allora necessario recuperare e riabilitare agli occhi della filosofia il corporeo, che l’ideologia della soggettività pura ha rimosso.

Ovviamente questo non vuol dire che la critica adorniana del soggetto punti a ri- durlo alla sola reattività, e la sua azione al perseguimento di un edonismo immediato. L’aggiuntivo non è del tutto separato dalla coscienza, che almeno in parte riesce a

81 direzionarlo; solo se l’impulso è mediato dalla ragione si può parlare di volontà e di prassi, altrimenti non ci sarebbe differenza tra la libertà umana e il cieco istinto animale, tra morale e violenza.

Ragione e aggiuntivo, pensiero e reattività non devono mai essere considerati astrattamente, uno indipendentemente dall’altro; invece, tra di loro c’è un rapporto di me- diazione, una tensione costante che non permette di distinguerli nettamente, nonostante sia inevitabile farlo nella loro analisi teorica1. La mediazione oggettiva della soggettività impedisce di raffigurarsi il pensiero come assoluta spontaneità: in esso c’è sempre anche una componente reattiva, dunque un condizionamento dall’esterno. Questa è la conse- guenza della gettatezza e corporeità del soggetto.

L’uomo, allora, non è solamente identità con la ragione, non si può riconoscere nella figura filosofica della monade, unità chiusa e completa che il Sé dell’illuminismo ha preso a modello. Invece, deve ammettere la non identità che c’è in lui, la propria con- dizionatezza. Per questo il soggetto che porta avanti l’ideologia identificante ne è vittima a sua volta: tutta la sfera corporea che fa parte del soggetto concreto e che l’illuminismo ha disprezzato e rimosso è in fondo il soggetto nella sua non identità con se stesso. Il non- io, in quanto reazione, condizionamento e dunque uscita dal Sé monadico, rappresenta un pericolo per l’unità della coscienza.

La non identità – che la filosofia critica trova sia nel mondo identificato dal sog- getto, sia nel soggetto stesso – non permette alla dialettica di fermarsi di fronte all’asso- luto. Quando Adorno invita la filosofia a ricordare la mediazione nel mediante, egli sta mostrando la necessità di rifiutare, ancora una volta, l’assoluto rappresentato dall’Io puro. Questo è invece condizionato dal suo lato oggettivo, dall’essere coscienza incarnata in un ente particolare, il singolo essere umano. E proprio questa condizionatezza permette e addirittura incentiva2 la dimenticanza della natura ontica – l’essere radicato in un

1 «I due momenti non vengono affatto esperiti separatamente; però l’analisi filosofica ha talmente

conformato questo fenomeno che poi nel linguaggio della filosofia non lo si può esprimere altrimenti, se non come se alla razionalità ne venisse aggiunto un altro» (ibid.).

2 Nella critica al soggetto, emerge chiaramente l’approccio adorniano, nella sua unione di critica

dialettica e genealogia nietzscheana, con tutti i sospetti e persino le malizie che quest’ultima comporta. La dimenticanza della condizionatezza del soggetto non è stato un avvenimento casuale, ma può essere spie- gata storicamente considerando il suo ruolo di legittimazione del dominio gerarchico dei pochi sui molti: «Da quando il lavoro spirituale si è diviso da quello fisico all’insegna del dominio spirituale, della giustifi- cazione del privilegio, lo spirito scisso dovette rivendicare, con l’esasperazione della cattiva coscienza, proprio quella pretesa di dominio che deduce dalla tesi del suo primato e originarietà, e perciò sforzarsi di

82 determinato qui e ora – e fatticcia – l’essere composto da tutti gli elementi estranei alla coscienza (impulsi, rimossi inconsci, trascorsi di vita) – del soggetto.