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Le due critiche alla positività del sistema

A questo movimento dialettico, così come viene tematizzato da Hegel, Adorno muove due critiche, leggermente diverse tra di loro, seppur indissolubilmente legate. La prima, è che Hegel abbia confuso la negatività dialettica con quella matematico-formale, la cui negazione riporta alla positività che era da negare. Così facendo, egli avrebbe tra- dito la dialettica ad ogni passo mosso all’interno del percorso che porta all’autocoscienza dell’assoluto: che il momento speculativo sia indicato come positivo, annullerebbe la ne- gatività della contraddizione e con essa la critica mossa al positivo iniziale.

64 Considerare la negazione della negazione uguale alla positività è la quintessenza dell’identificare, il principio formale ridotto alla sua forma più pura. Con esso nel cuore della dialettica prende il sopravvento il principio antidialettico, quella logica tradizionale per la quale more arithmetico meno per meno fa più. Essa venne presa in prestito da quella matematica contro la quale Hegel per il resto reagisce idiosincraticamente.1

Questa incoerenza – criticare l’astrattezza formale della matematica, per poi porla alla base della propria filosofia – mostrerebbe la falsità dell’idealismo, lasciando che esso si confuti da solo.

Ma se questa è la critica alla dialettica hegeliana, essa manca il bersaglio. Come nota giustamente Lucio Cortella, in Hegel

Il terzo momento della dialettica non toglie l’opposizione fra le determinazioni, non toglie il passaggio all’opposto in cui era consistito il secondo momento e non toglie nemmeno la contraddizione. Esso si limita a prendere atto che quell’opposizione è anche unità. […] Ma se l’affermatività della dialettica hegeliana consiste in questo, la negazione della ne- gazione non può essere fedelmente interpretata da quella formula – usata con disprezzo da Adorno – secondo cui “meno per meno fa più”.2

Stando a questa prima critica, Adorno avrebbe semplificato un po’ troppo la posi- zione di Hegel rispetto alla negazione dialettica, dimenticandosi che c’è una differenza tra i due momenti positivi della triade, tra la positività astratta e quella concreto-razio-

nale. Quest’ultima è certo un’affermazione, in quanto afferma la verità della determina-

zione negata, ma è altrettanto una negazione, perché quella verità è individuata nella con- traddizione, dunque nella negatività rispetto all’identità semplicemente positiva. È per questo che ogni positività consapevole non è disposta ad arrestarsi in sé, ma pretende la propria critica e il proprio toglimento in una positività ulteriore: proprio in virtù della negatività che ancora conserva.

D’altronde, se in Hegel la negazione della negazione desse luce a una pura positi- vità, anche l’aspetto della sua filosofia ne risentirebbe: al posto del faticoso percorso del pensiero, avremmo una risoluzione immediata della contraddizione interna alla singola

1 Ivi, p. 143.

65 determinazione; al posto del totalizzante “circolare” del pensiero che ricomprende in sé tutte le singolarità, avremmo un’infinità di circoli separati tra di loro, talmente piccoli da essere simili a punti, dal momento che ogni identità si risolverebbe anche senza compren- dersi in rapporto con le altre e con l’assoluto.

Ma Adorno era ben consapevole di ciò. Solo qualche pagina prima del pezzo sopra citato, egli scrive:

[Nel sistema hegeliano, n.d.r.] prevalgono le negazioni determinate di concetti osservati da un’estrema vicinanza, rivoltati di qua e di là. Ciò che in queste meditazioni si caratte- rizza formalmente come sintesi resta fedele alla negazione, nella misura in cui esse salve- rebbero quel che soggiacque al movimento rispettivamente precedente del concetto. La sintesi hegeliana è sempre visione dell’imperfezione di quel movimento, per così dire dei suoi costi di gestione.1

Il positivo razionale è “fedele” alla negatività della dialettica, in quanto “visione dell’imperfezione”: è consapevole della propria insufficienza, ereditata dalla negatività da cui è uscito.

Non è allora semplicemente contro il positivo all’interno dello schema triadico che Adorno muove la sua critica, ma nei confronti del ruolo che esso ha nel sistema. «Esso è criticabile non come singolo atto mentale che relaziona momenti separati, ma come idea guida suprema»2: questa è la seconda critica che Adorno muove a Hegel. In altre parole, il positivo razionale non tradisce la negatività dialettica, se non nell’istante in cui la di- chiara totalità, essenza vera delle cose. Se cioè la positività del momento speculativo è ancora una positività critica e da criticare, lo stesso non si può dire dell’assoluto nella sua autocoscienza. La dialettica che era nata come critica dell’identità diventa alla fine un nuovo modo di identificare: il risultato della filosofia hegeliana è una nuova e perfetta

adeguatio di pensiero e cosa in forza della comune essenza dialettica.

Il fatto che questa identificazione si svolga riconducendo l’oggettività nella sog- gettività esprime perfettamente la violenza di cui Adorno accusa l’identità concettuale: essa si radica in ciò che nella cosa le appare come costante e al costante riduce tutte le differenze come degli accidenti. La costanza della contraddizione è secondo Adorno ciò

1 Th. W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 141. 2 Ibid.

66 che ha permesso di travisarla come verità del reale, come una positività finalmente tro- vata, nella quale il pensiero – facendosene copia – può raggiungere il proprio compi- mento: mentre il suo sistema prosegue dialetticamente in un susseguirsi di negazioni de- terminate, Hegel abusivamente «prepara il calco di ciò che ha rimproverato di negazione astratta: l’astratta – in quanto confermata dall’arbitrio soggettivo – positività»1.

Viste queste due critiche alla positività nella filosofia hegeliana, la seconda appare decisamente più solida della prima, che ha il suo punto debole in quel paragonare la dia- lettica di Hegel alla formalità matematica. Ma separare nettamente questi due argomenti, come se Adorno avesse tentato di attaccare l’avversario un po’ da tutti i lati, sperando di far breccia se non in un punto almeno in un altro, non rende giustizia né alla dialettica dell’argomentazione adorniana, né alla coesione del sistema del suo avversario. Tutto il percorso del pensiero è in Hegel mosso dalla dialettica, la quale, lo abbiamo visto, viene legittimata come metodo solo al cospetto di quell’assoluto che essa ha portato alla luce. Ma in quanto assoluto, esso è anche il fondamento, antecedente cioè alla critica dialettica e guida segreta del suo procedere. Per questo il rapporto tra origine e risultato è a sua volta dialettico ma positivo: alla fine essi si conciliano riconoscendosi come uno.

Ecco che allora ogni determinazione in sé contraddittoria e negativa viene ricono- sciuta nella sua positività in quanto componente parziale ma conservata nella totalità. Nel momento in cui il tutto è valutato positivamente – e ciò accade con la feticizzazione della contraddizione in essenza – anche i momenti che esso contiene assumono lo stesso valore. Forse Adorno, invece che l’immagine della doppia negazione matematica, avrebbe potuto utilizzare quella del modulo, o valore assoluto2, per mettere in relazione la positività abu- siva non tanto alla particolare negazione della negazione che ha luogo alla fine di ogni triade, ma al trionfo della positività totale come risultato del sistema idealistico.

Ma è chiaro che se l’assoluto è anche il fondamento della dialettica, già in ogni passo che essa muove è previsto l’esito finale: la positività del terzo momento consiste proprio in quell’interpretazione della contraddizione come verità che verrà confermata

1 Ivi, p. 144.

2 Il modulo matematico è la funzione che trasforma ogni numero reale nel suo corrispettivo posi-

tivo, tale per cui |−𝑎| = 𝑎 . L’intero processo dialettico che in Hegel, pur negativamente, giunge infine a valere come positivo, potrebbe essere espresso in questo modo: |(𝑎)(−𝑎)| = (𝑎)(𝑎) = 𝑎2. Per di più, que-

sta formulazione presuppone a > 0, dunque la positività di ogni particolare all’interno del sistema, che in ultima istanza è proprio ciò che Adorno accusa Hegel di fare.

67 una volta analizzata dal punto di vista della totalità razionale1. Allora le due critiche che abbiamo analizzato – all’abuso che Adorno esprime col “meno per meno fa più” e a quello che potrebbe essere rappresentato dalla funzione del modulo matematico – non sono che i due lati della stessa: riguardano due livelli diversi del medesimo errore. D’altronde Adorno le lega indissolubilmente assieme quando scrive: «Che la negazione della nega- zione sia la positività può essere sostenuto solo da chi presuppone fin dall’inizio la posi- tività come astrazione universale»2.

In altri termini, la negazione può essere negata in positività solo perché il tutto in cui si muove è caratterizzato come positivo; e allo stesso tempo il tutto può caratterizzarsi come positivo, dunque come tutto, solo perché già la sua dinamica interna interpretava il negativo della contraddizione costante come il positivo dell’essenza. Persino il movi- mento immanente a partire dal particolare, che perfettamente riflette l’essenza negativa della dialettica, si arresta in tautologia e apologia nel momento in cui Hegel lo pensa come tendente ad un universale che è già positività concettuale.

Questa critica all’idealismo hegeliano lo riconduce all’illuminismo nella misura in cui quest’ultimo si fa riproposizione del mito: il negativo può sembrare la verità positiva e sistematica solo a una coscienza erronea e abusiva, e dunque molto lontana da quel primato e da quell’infinità che il pensiero attribuisce a se stesso nella filosofia dello Spi- rito. Lo stesso errore – travisare come essenziale ciò che semplicemente si ripete – era stato individuato da Adorno e Horkheimer alla base del concetto di destino nella tradi- zione mitica, dove la violenza onnipresente, la spirale di colpa e punizione, veniva feti- cizzata in verità intrascendibile. Agli occhi di Adorno un tale passaggio dal livello della contingenza a quello della necessità rende anche l’idealismo un’ideologia.