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Il problema della contraddizione oggettiva

Abbiamo visto i modi in cui il soggetto viene mediato dall’oggettività, sia essa la propria o quella del suo interesse per la cosa. Ma nel binomio soggetto-oggetto c’è un ultimo tipo di mediazione da prendere in considerazione: la mediazione dell’oggetto per mezzo dell’antagonismo sociale. Adorno riprende questa tesi da Horkheimer, che in Teo-

ria tradizionale e teoria critica affiancava la mediazione storica dell’oggetto a quella

delle categorie del pensiero soggettivo: «I fatti che recepiamo tramite i sensi sono dop- piamente preformati da un punto di vista sociale: dal carattere storico dell’oggetto perce- pito e dal carattere storico dell’organo che li percepisce»1.

Non solo le categorie di pensiero sono preformate dalla società in cui viviamo, ma anche la cosa stessa nella sua esistenza reale ha un carattere storico e dunque mediato. La contraddizione in cui cade il pensiero identificante è ben più che un semplice errore for- male; non riguarda unicamente il pensiero. Al contrario, essa secondo Adorno ha una presenza fondamentale nel reale: «designa non soltanto ciò che di un ente resta fuori dal giudizio, bensì qualcosa nel giudicato stesso»2.

Infatti, il pensiero identificante non è pura contemplazione, ma ha un immediato risvolto pratico e concreto. In altre parole, la mediazione che il pensiero opera sulla cosa non la lascia immutata: la piega e la deforma oltre il suo essere in sé. In questo senso la contraddizione mostra l’inautenticità non solo di ogni identificazione, ma anche della cosa nella sua esistenza reale al di sotto del dominio sociale. Perciò la dialettica non è semplicemente una legge del pensiero, ma anche della parvenza reale, che da quel pen- siero è prodotta.

Attraverso il lavoro sulla contraddizione che oggettivamente si manifesta, la dia- lettica è l’unico strumento adatto all’analisi concreta del mondo moderno. Dove il pen- siero identificante costruisce forzatamente le identità che poi manipola, essa trova la con- traddizione, già inscritta nella realtà proprio dalla volontà di dominio dell’illuminismo

1 M. Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica, in Teoria critica, Einaudi, Torino 1974, vol.

2, p. 146.

88 distorto. L’omologazione della realtà che viene esperita dalla critica – ogni cosa viene ricondotta alla contraddizione – non è allora operata dalla dialettica, ma viene trovata e riconosciuta in un mondo ordinato dall’identificazione.

Chi si piega alla disciplina dialettica ha senz’altro da pagare con il sacrificio amaro della molteplicità qualitativa dell’esperienza. Tuttavia quell’impoverimento dell’esperienza causato dalla dialettica, che fa indignare il buon senso, si rivela adeguato nel mondo am- ministrato alla sua astratta uniformità.1

Ciò significa che Adorno difende la dialettica dall’accusa di essere solo una sem- plificazione del reale, in grado di operare solamente attraverso la riduzione di ogni unicità alla contraddizione. Tale obiezione «dà la colpa della cosa al metodo»2: la realtà stessa, sotto il bando della società, è invariabilmente omologata e contraddittoria.

Tutto ciò suona come la giustificazione che il pensiero identificante fornisce della propria azione: essa sarebbe semplicemente la registrazione dello stato di cose. E proprio su questo punto, infatti, la distanza che separa la dialettica negativa da quella hegeliana pare ridursi pericolosamente: la contraddizione come essenza del reale era la base su cui era stato costruito il sistema di Hegel e la comune essenza di pensiero e cosa il preludio all’affermazione dello Spirito universale. Allo stesso modo, quando Adorno denuncia la ricaduta oggettiva dell’identificazione operata dal soggetto, egli richiama l’unità di teoria e pratica propria del soggetto assoluto, che pensando la cosa la determina ulteriormente come pensata e dunque si dimostra capace di creazione pur conservando la propria pu- rezza e autonomia.

Certamente l’oggettività della contraddizione non può essere mantenuta come l’aveva intesa Hegel. Ma allo stesso tempo una filosofia critica non può nemmeno tornare a Kant e limitare la contraddizione al lato soggettivo della conoscenza: se il pensiero ve- nisse dichiarato contraddittorio in opposizione a una realtà non contraddittoria, già in sé identica, si ripresenterebbe la dicotomia assoluta che Adorno non è disposto ad accettare, perché diverrebbe facilmente un pilastro della volontà di dominio illuminista.

1 Ivi, p. 8. 2 Ivi, p. 7.

89 Finché la regola dell’univocità viene criticata astrattamente, la contraddizione oggettiva non sarebbe altro che un’espressione forbita per dire che l’apparato concettuale soggettivo afferma inevitabilmente la verità del suo giudizio sul particolare ente giudicato, mentre questo ente concorda con il giudizio solo nella misura in cui il bisogno apofantico lo ha già preformato nelle definizioni concettuali. La progredita logica filosofico-riflessiva po- trebbe incorporare questo facilmente1

Seguendo questa strada, la dialettica perderebbe la sua funzione di critica sociale: è la contraddizione insita nelle cose che richiede la correzione del pensiero. Se l’impulso alla riflessione venisse unicamente dall’insufficienza soggettiva, la filosofia critica diver- rebbe una semplice teoria della conoscenza riconducibile al positivismo scientifico, il quale ordina al pensiero di lavorare su se stesso al fine di raccogliere più efficacemente i dati provenienti dalla realtà statica che lo attende all’esterno.

Bisogna allora capire in che modo una dialettica negativa possa mantenere la con- traddizione oggettiva in tutta la forza e la necessità critica che essa comportava in Hegel, senza però concedere all’idealismo di aggrapparvisi per dissolvere la cosa nel concetto.