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L’errore medico, le competenze non tecniche e la simulazione

Davide Spadaro, Lorenzo Corbetta *

2. L’errore medico, le competenze non tecniche e la simulazione

La cultura dell’errore va rovesciata. L’errore va studiato nelle sue caratteristiche e nelle sue cause; la ricerca scientifica ne ha, perciò, identificato numerosi fattori, sviscerando le falle che portano agli eventi avversi in sanità; in particolare, tra le più frequenti cause indi-

 Davide Spadaro, ASP 8 di Siracusa. Lorenzo Corbetta, direttore del programma di formazione avanzata in

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ca problemi non strettamente legati alle competenze tecniche, ma alle dinamiche sociali e situazionali come la comunicazione, l’integrazione tra professionisti, il processo di assun- zione delle decisioni, la leadership1,2,3. Tali dinamiche assumono un ruolo cruciale in tutte

quelle situazioni e nei contesti in cui è fondamentale la rapidità della decisione, l’efficacia dei gesti e delle disposizioni, il lavoro in stretta collaborazione tra le varie figure: l’esem- pio più immediato è quello del compartimento delle emergenze (pronto soccorso/terapia intensiva) e delle sale operatorie.

Questi ultimi sono anche i contesti in cui è stato maggiormente studiato l’impatto della simulazione sulla riduzione degli errori4,5.

Levati, Bevilacqua, Torri e Tufano6 hanno pubblicato un studio, denominato Errore in

Medicina: ambito di anestesia e rianimazione ove proponevano tre schede di checklist (pa-

ziente, farmaci e presidi, apparecchiature) al fine di creare uno schema facile da seguire e sotto lo stretto controllo di un singolo, il cui completo svolgimento renda la procedura da affrontare quanto più sicura è possibile, appunto svolgendo un controllo schematico sul paziente, sui farmaci, sulle apparecchiature e sui presidi. Tale procedura dà comun- que spazio ad errori di natura non tecnica e risulta, pertanto, insufficiente allo scopo per la quale fu progettata: azzerare il rischio clinico. A questo scopo entrano in gioco le com- petenze non tecniche dell’operatore sanitario. Come prima cosa va precisato il concetto di non-technical skills; queste sono costituite da tutte quelle abilità a livello soggettivo ed interpersonale che sostengono e rinforzano le competenze cliniche e facilitano lo svolgi- mento delle azioni individuali e di gruppo migliorando performance e professionalità. In base a quanto sopra esposto le non-technical skills rappresentano una chiave per risolvere parzialmente il problema costituito dal rischio clinico che esula dall’imperizia.

In ambito chirurgico, le competenze non tecniche hanno galvanizzato l’attenzione su di sé a seguito di dati di elevata incidenza di errori dovuti alla mancanza di suddette com- petenze in sala operatoria7,8,9,10. In Italia alcuni autori hanno introdotto un criterio di valu-

tazione delle competenze non tecniche, emulando un sistema ideato alcuni anni prima da Flin R e Yule S11. Denominato NOTSS, il suddetto sistema è stato realizzato tramite un’at-

tenta task analisi con esperti del settore e rappresenta un punto di riferimento per coloro i quali decidano di confrontarsi con la sicurezza in ambito chirurgico12.

Contemporaneamente è stato sviluppato un attento sistema di training tecnico e non, finalizzato alla riduzione del rischio clinico; a tale scopo la simulazione in scenari realisti- ci, basata su riferimenti concreti a incident reporting, ha trovato terreno fertile.

La simulazione, intesa come metodica di apprendimento, nasce in contesti differenti da quello sanitario – ad esempio in aviazione militare e civile – che risultano comunque assimilabili per il carico di stress emotivo sugli operatori e per la necessità di competenze non tecniche.

In ambito sanitario perdura, purtroppo, una discreta ritrosia culturale sull’utilizzo ca- pillare della simulazione nel training clinico. Ciò potrebbe avere una spiegazione nell’im- maginario comune al medico di una lezione frontale ove è facile identificare il docente e il discente; la simulazione, viceversa, nasconde l’osservatore/docente e comporta un coinvolgimento nella revisione degli accadimenti con conseguenziale autocritica. Ciono- nostante le interviste ai discenti di corsi di simulazione hanno evidenziato la loro sod- disfazione; inoltre si riscontra, nelle prove finali, il netto miglioramento di costoro nelle abilità e nelle competenze tecniche e non.

Tuttavia ciò che potrebbe realmente giustificare l’adozione di questa metodologia è il concetto basilare di riduzione del rischio per il paziente. La letteratura scientifica eviden- zia che un training basato sulla simulazione è superiore ad altre forme di addestramento

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o, ovviamente, all’assenza di addestramento stesso13. Questa rilevanza positiva della si-

mulazione è, inoltre, testimoniata dagli studi sull’apprendimento che hanno confermato il valore del fare e dell’imparare facendo (learning by doing).

Quest’ultimo concetto del learning by doing è fisiologicamente efficace per apprende- re ed invita all’uso della simulazione, certamente più sicura dell’imparare direttamente (per prova ed errore) sull’assistito14. Bisogna tuttavia sottolineare che non tutti i corsi di

simulazione sono sempre efficaci. È importante definire obiettivi chiari e possedere uno staff motivato, altrimenti la simulazione rischia di essere solo molto costosa, demoraliz- zante e controproducente. Non sarebbe inverosimile immaginare il caso di un operatore sanitario di area critica che, già soggetto a burn out per l’elevato carico di stress intrinseco alla posizione ricoperta, si ritrovi discente in uno scenario di simulazione, umiliando le proprie elevate competenze tecniche a causa della mancanza di competenza non tecnica; costui diverrebbe demotivato ed improduttivo, riducendo involontariamente la propria performance. La fidelizzazione del personale, nonché l’integrazione nel gruppo di ogni figura professionale dovrebbe essere un obiettivo specifico del leader per migliorare la performance dell’equipe. Per raggiungere il massimo dei risultati, la simulazione andreb- be applicata in una strategia ampia, continua e ben integrata nel percorso formativo; do- vrebbe essere utilizzata in modo intensivo e continuativo; coinvolgere l’intera carriera di ogni singolo professionista e di tutti i componenti della struttura; essere adeguatamente valutata, certificata e costantemente migliorata sulla base della sua efficacia sull’assistito.

Ogni corso deve essere pianificato partendo da una profonda conoscenza delle tecni- che didattiche per l’adulto e delle peculiarità della simulazione. Ciò detto è chiaro come l’efficacia di un corso dipenda in gran parte dalla qualità degli istruttori che lo progettano e lo gestiscono; dalla frequenza degli aggiornamenti e delle revisioni, che vengono richie- sti dalle esigenze sul campo e dai bisogni formativi; dalla plasticità con cui gli istruttori si adeguano alle necessità dei soggetti; dalla capacità di gestire in aula la revisione della simulazione, correggendo le dinamiche errate ed indirizzando i comportamenti verso la tutela dell’assistito ed il miglioramento delle competenze non tecniche.

In una rapida revisione delle pubblicazioni in ambito medico/chirurgico, vanno citate le maggiori opere, rispettando argomento ed ordine cronologico.

Bavelas15 già nel 1960 circa parlava della leadership ed introduceva i concetti delle

competenze non tecniche; già in quegli anni esistevano simulatori medici differenti, de- stinati alla formazione dei chirurghi di diverse specialità mediche; la simulazione era già stata applicata nella formazione pre e post-laurea ed era obbligatoria in alcuni corsi di studio nazionali.

Rosen16 ripercorre la storia della simulazione in medicina e la definisce testualmente

«an imitation of some real thing, state of affairs, or process» chiarendo che lo scopo della stessa sia quello di aumentare le competenze tecniche, la capacità di risolvere i problemi e la capacità di giudizio in tutte le classi di operatori sanitari.

Makary et al.17 nel 2006 hanno evidenziato come il lavoro di gruppo costituisca il fat-

tore critico nelle sale operatorie USA; inoltre hanno evidenziato la differenza critica di percezione di efficacia nella collaborazione del team tra le varie figure professionali, me- dici e infermieri: gli infermieri descrivono la collaborazione come un rispetto per il loro ruolo professionale, invece i medici la collegano alla capacità degli infermieri di seguire le istruzioni ed anticipare le loro esigenze; di conseguenza i medici tendevano a percepire il lavoro di gruppo come adeguato, gli infermieri lo giudicavano scarso.

L’American Society of Anesthesiologists18 (2006) ha pubblicato una carta bianca

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sità di introdurla nei corsi di specializzazione e nel mantenimento delle competenze tecniche dello specialista, promuovendo la sicurezza del paziente, l’abilità clinica e il lavoro di gruppo nel prevenire e trattare gli eventi critici. In tale lavoro non è sta- ta dimenticata l’importanza delle competenze non tecniche ed è stato sottolineato il valore di un corpo di istruttori altamente qualificati sull’insegnamento e sulla pratica clinica. Come accennato in precedenza in questo lavoro, è stato affrontato anche il concetto di standardizzazione dell’insegnamento e della simulazione, in modo che tutti i programmi di formazione comprendano e possano utilizzare uno stesso scena- rio in maniera omogenea e riproducibile, permettendo in tal modo successivi rapidi aggiornamenti.

Già nel 2003 Fletcher e collaboratori19 avevano, comunque, identificato una tassonomia

specialistica per anestesisti, denominata ANTS Modello Aberdeen per anestesisti, che si com- poneva di quattro categorie di competenze:

• la gestione del compito o mandato, che comprende l’organizzazione delle risorse uma- ne e del lavoro per conseguire l’obiettivo, e di cui gli elementi costitutivi sono rappre- sentati proprio dalla pianificazione e preparazione, dalla assegnazione delle priorità, dalla fornitura e mantenimento degli standard e dall’identificazione e utilizzo delle stesse risorse umane;

• il concetto di lavoro in gruppo, che ricerca la soddisfazione individuale del lavoro svolto dal singolo in ogni ruolo professionale, per assicurare il migliore completamen- to del lavoro stesso come obiettivo comune;

• la consapevolezza della situazione, intesa come percezione tempestiva di tutti gli ele- menti della situazione (paziente, equipe, tempo, display, attrezzature) comprendendo- ne il significato e prevedendo cosa potrebbe accadere;

• la leadership, intesa come la presenza di una chiara figura professionale incaricata di assumere decisioni e di svolgere azioni sanitarie sull’assistito, delegata al coordina- mento ed alla gestione delle restanti figure pur potendosi – ed a volte dovendosi – av- valere dell’opinione professionale di queste ultime.

Reader et al.20 (2006) hanno evidenziato che la maggior parte dei fattori che contribui-

scono agli eventi critici è da attribuire ai non technical skills ed hanno continuato a deline- are una tassonomia specifica in anestesia.

È già stato citato lo studio di Flin e Maran4 del 2004 incentrato sulle competenze non

tecniche nel compartimento delle urgenze ed in particolare in pronto soccorso. In tale studio, il pronto soccorso viene paragonato al lavoro in aviazione militare e civile e viene focalizzato e portato al centro il ruolo delle varie professioni sanitarie, stressando il con- cetto chiave di lavoro di squadra; inoltre si sottolinea la fondamentale importanza delle competenze non tecniche in un reparto in cui intervengano specialisti differenti.

Un altro studio già citato è quello di Flin e Yule del 2005 ove viene ripreso in concetto di tassonomia delle competenze non tecniche per i chirurghi. Vengono, così, identificate 5 sfere, peraltro molto simili a quelle summenzionate: consapevolezza della situazione, assunzione delle decisioni, gestione del compito (mandato), leadership e, infine, comuni- cazione e lavoro di gruppo.

Nonostante non abbia valenza di studio scientifico e non sia recensito su Pubmed, si vuole citare in questa sede un lavoro Italiano coordinato da Poletti del 2007 svoltosi all’in- terno del Centro Veneto Trapianti. In questa presentazione, presente all’interno di un cor- so di aggiornamento nel quale si parlava dell’introdurre le non technical skill al profilo complesso trapianti, questi mostrava la proposta di una specifica tassonomia. Ovviamen-

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te era stata concepita e sviluppata all’interno di un settore altamente specialistico, urgen- tistico e composto da figure specialistiche differenti, come quello di un centro trapianti. Tale tassonomia prende in considerazione la presenza di molteplici soggetti con differenti aspettative ed atteggiamenti quali pazienti, familiari, associazioni, professionisti caratte- rizzati da multidisciplinarietà ed alta emotività. La tassonomia proposta da Poletti si basa su cinque categorie che vengono riportate fedelmente.

1. Gestire la situazione/il contesto e assumere decisioni: analisi della situazione, assun- zione di decisioni, allerta nel cogliere e prevedere variazioni, controllo.

2. Gestire il compito (mandato): organizzare le risorse, il personale e le attività per rag- giungere gli obiettivi posti.

3. Autogestione: attivare e organizzare le proprie risorse personali per una efficace ge- stione delle situazioni, consapevoli dei propri bisogni e limiti.

4. Comunicare e gestire la relazione: comunicare efficacemente con pazienti, familiari e altri soggetti e all’interno dell’equipe.

5. Condurre, coordinare e partecipare al gruppo: fornire un orientamento quando neces- sario, proponendo standard clinici e di assistenza; assicurarsi che ciascuno abbia un quadro chiaro della situazione e possa adempiere efficacemente al proprio mandato, considerando i bisogni di ciascuno, garantire sinergia di azione e tempo.

La specifica tassonomia scelta per il presente lavoro è composta da solo quattro ambiti, nel tentativo di semplificare un percorso sino ad ora non praticato in Italia: l’applicazione delle non technical skill nel boot e nel training della pneumologia interventistica, tramite la simulazione.

Il presente progetto cerca, inoltre, di rispettare il processo di standardizzazione della simulazione, che, a parere dello scrivente, appare inevitabile e improcrastinabile, special- mente se la simulazione deve essere utilizzata per la certificazione della pratica interven- tistica. L’accreditamento delle strutture sembra essere l’unica scelta, premettendo una inopinabile professionalità delle figure docenti. In tale compito svolgono un ruolo cru- ciale anche le società scientifiche al fine di evitare che la metodica possa, in breve tempo, perdere di credibilità e di significato.