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L’erudizione storica a San Gimignano fra il XVI e il XVII secolo

Fra Cinquecento e Seicento San Gimignano vide fiorire la vita in- tellettuale grazie all’impegno di alcune figure eminenti, in larga misu- ra strettamente legate alla dinastia medicea. La prima, che emerge con chiara evidenza, è senza dubbio quella di Angelo Marzi. Notaio, figlio di un modesto commerciante, riuscì ad intraprendere una brillante car- riera civile ed ecclesiastica all’ombra dei Medici. Il legame con France- sco di Giuliano dei Medici, a partire dal 1505, fu infatti determinante per l’ascesa del Marzi, come lui stesso ebbe a dichiarare in un abbozzo di autobiografia, iniziata fra il 1519 e il 1522 e mai portata a compi- mento1. Entrato nella Cancelleria Fiorentina come coadiutore, nel 1510,

Angelo svolse il suo lavoro in un ufficio di particolare rilievo: la Seconda Cancelleria delle Lettere che, in quel momento, era diretta da Niccolò Machiavelli2. Suo compito fu quello di copiare il testo delle missive nei

registri, attività rimasta arretrata di quasi un anno e che egli riprese a partire dalle lettere del Marzo 1510, come si può notare dalla comparsa della sua grafia nei documenti3 e dall’abitudine di inserire invocazioni

alla Madonna nell’incipit.

Di stretta fede medicea non subì alcuna conseguenza per il crollo della Repubblica Fiorentina nel 1512, anzi, proprio da quella data, iniziò una costante ascesa politica e sociale. Membro della Cancelleria degli Otto di Pratica, ufficio di estremo rilievo politico, Angelo divenne nel 1519,

1 Essendo divenuto “suo servidore”. A. S. F., Marzi Medici 4, ins. 3, c. 1.

2 V. ARRIGHI-F. KLEIN, Recare indubitato honore et utile alla patria. Profilo di Angelo

Marzi da San Gimignano, segretario mediceo, in I ceti dirigenti a Firenze dal Gonfalonie- rato di Giustizia a vita all’avvento del Ducato, A cura di E. Insabato, Lecce, Conte Ed.,

1999, p. 144

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assieme al fratello Pier Paolo, segretario del Cardinale Giulio dei Medi- ci, destinato, a breve distanza, a salire sul soglio di Pietro con il nome di Clemente VII. Solo la restaurazione repubblicana del 1527 ed il Sac- co di Roma, frenarono per qualche anno la brillante carriera di Angelo Marzi. Costretto all’esilio, accompagnò il Cardinale Passerini ed i giovani Alessandro ed Ippolito de’ Medici, recandosi prima a Lucca e poi a Ro- ma. Divenuto nel 1529 Vescovo di Assisi, con il crollo della Repubblica Fiorentina, fu reintegrato nella Cancelleria degli Otto di Pratica “colla- borando alla ricostruzione dell’apparato mediceo di governo”4, secondo

le direttive di Clemente VII.

Tale fu la devozione mostrata in questa circostanza che il Duca Ales- sandro volle Angelo come suo segretario e come ecclesiastico incaricato della benedizione della prima pietra della terribile fortezza di S. Giovan- ni Battista, o Da Basso, costruita per impedire con la forza ogni rivolgi- mento interno, consacrando il prestigio dell’accorto prelato all’interno dello stato fiorentino. La violenta morte del Duca, ucciso dal cugino Lorenzo de’ Medici, non interruppe l’ascesa di Angelo Marzi. Cosimo I fu subito pronto a ricorrere ai servigi del fedelissimo collaboratore al quale conferì, il 1 Ottobre 1537, l’incredibile privilegio di aggiungere il cognome Medici al proprio, dando così origine al casato Marzi Medici. Quest’ultimo raggiunse il massimo fasto nel 1770, quando il Granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena assegnò a Ferdinando Marzi Medici il feudo del Barone, sulle ultime pendici del monte Savello, con l’obbli- go però di aggiungere al proprio il cognome Tempi5.

Membro del patriziato fiorentino, con i suoi familiari, Angelo fu no- minato Segretario alle Suppliche nel 1539, consolidando ulteriormen- te la propria influenza a corte. Nelle sue mani erano “tutti gli affari che concernono opere pie, interessi di vedove, pupilli e carcerati, con facoltà di provvedere ai medesimi e con ordine ai magistrati di obbedirlo”6. La

4 ARRIGHI-KLEIN, Recare indubitato honore, cit., p. 146.

5 Cfr. in proposito G. CACIAGLI, I feudi medicei, Pisa, Pacini, 1980, p. 180.

6 G. PANSINI, Le segreterie nel principato mediceo, in Carteggio universale di Cosimo de’

Medici, A cura di A. Bellinazzi e C. Lamioni, Firenze, Giunta Regionale Toscana, 1982,

comunità di San Gimignano trovò in lui un interlocutore sensibile ai bisogni del piccolo centro abitato, pronto a levare la sua voce nella “do- minante” e lo compensò, per i servigi svolti, con l’eccezionale esenzione dalle imposte per i beni posseduti in territorio valdelsano. Alla sua morte, nel 1546, Angelo ebbe a Firenze una tomba di straordinaria bellezza nella chiesa della SS. Annunziata, alla sinistra dell’altar maggiore. Francesco da Sangallo scolpì, con incredibile maestria, il corpo del prelato adagiato su di un elegante sarcofago. Il suo volto maestoso, coronato dalla tiara e solcato da rughe, ci scruta anche oggi, con impressionante verismo e le mani nodose sembrano pronte a muoversi, pulsanti di vita.

Non meno interessante è la coeva figura del domenicano Vincenzo Mainardi che, per ordine del pontefice Clemente VII, realizzò una Vi-

ta et Officium Sancti Antonini Archiepiscopi Florentini che ebbe l’onore

di venir stampata a Roma dal Blado nel 1525. Il celebre Arcivescovo di Firenze era particolarmente caro ai Medici, soprattutto perché Antoni- no, per la prima volta, aveva giustificato, sotto il profilo teologico, l’in- teresse che poteva essere percepito su cifre in denaro, essendo capitale reale ciò che veniva investito nel commercio e nelle manifatture, garan- tendo così a Cosimo il Vecchio ed al suo Banco, cospicui guadagni e la quiete dell’anima7. Clemente VII volle valorizzare il più possibile l’atti-

vità spirituale di Antonino e, dopo averlo canonizzato nel 1523, favorì la stesura di profili biografici del santo e la loro diffusione, tanto che il paziente lavoro di Mainardi fu ristampato, nello stesso 1525, a Milano e nel 1527 a Parigi8.

I Medici, inoltre, volevano celebrare l’ordine domenicano di stretta osservanza, ligio all’obbedienza ai successori di Pietro, per distruggere il ricordo degli atteggiamenti eversivi, nei confronti del papato e della loro famiglia, messi in atto da Girolamo Savonarola9. La figura di Antonino,

7 Cfr. D. CREMONA, Carità e interesse in S. Antonino da Firenze, Firenze, Aleph, 1990, passim.

8 Cfr. in proposito S. ORLANDI O.P.,Bibliografia antoniniana. Descrizione dei manoscrit-

ti della vita e delle opere di S. Antonino O.P., Arcivescovo di Firenze e degli studi stampati che lo riguardano, Roma, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1962.

9 Cfr. J. SCHNITZER, Savonarola, trad. ital., Milano, Treves, 1931; R. RIDOLFI, Vita

di Girolamo Savonarola, Roma, Belardetti, 1952.

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teologo morale, prelato brillante nel corso del Concilio del 1439, arte- fice della Compagnia dei Buonuomini di S. Martino, per l’assistenza ai poveri vergognosi e fondatore proprio di quel convento di San Marco, divenuto poi celebre per le veementi prediche savonaroliane, era fun- zionale a questo disegno strategico. La biografia di Mainardi, ampia e ben documentata, ricca di aneddoti e di spunti di riflessione, rispondeva pienamente ai desideri agiografici dell’illustre committente e fu conside- rata un contributo di grande rilievo, sotto il profilo spirituale e sotto il profilo politico, nell’ottica di un progressivo consolidamento del potere mediceo a Firenze, attraverso il ricordo della lungimirante personalità di Cosimo il Vecchio10.

Di notevole spessore è poi Bernardo Gamucci, appassionato cultore di antiquaria. A lui si deve un contributo magistrale, destinato ad ave- re successo e grande fortuna editoriale nel corso del Cinquecento: Le

antichità di Roma raccolte sotto brevità da diversi antichi e moderni scrit- tori. Il testo, una vera e propria guida per conoscere le testimonianze

archeologiche di Roma antica, ebbe, nel 1543, la revisione del celebre letterato Tommaso Porcacchi11 e, nel 1565, la ristampa più bella, ricca

di numerose immagini incise, impressa a Venezia dal Varisco12. Questa

eccezionale edizione fu addirittura dedicata al Principe Francesco de’ Medici, fine cultore di studi alchemici ed antiquari, che aveva compiuto nel Novembre del 1561 un viaggio a Roma, incontrando Michelangelo e ricevendo in dono dal pontefice Pio IV una superba colonna di granito delle Terme di Caracalla, poi innalzata a Firenze, in Piazza S. Trinita13.

10 Cfr. K. GUTKIND, Cosimo de’ Medici il Vecchio, trad. ital., Firenze, Marzocco, 1940. 11 B. GAMUCCI, Le antichità di Roma raccolte sotto brevità da diversi antichi e moderni

scrittori. In questa seconda editione da infiniti errori emendate et corrette da Tommaso Por- cacchi, Venezia, Tramezino, 1543.

12 B. GAMUCCI, Libri quattro dell’antichità della città di Roma, raccolte sotto brevità da

diversi antichi et moderni scrittori per M. Bernardo Gamucci da San Gimignano con nuo- vo ordine fedelmente descritte et rappresentate con bellissime figure, nel modo che quelle a’ tempi nostri si ritrovano, Venezia, Varisco, 1565.

13 Cfr. L. BERTI, Il Principe dello Studiolo. Francesco I dei Medici e la fine del Rinascimento

fiorentino, Firenze, Edam, 1967, p. 15. La colonna si trova ancora nella piazza ed alla

Il testo di Gamucci è ancor oggi prezioso, perché vi sono descritti mo- numenti romani poi distrutti, come il Settizonio, abbattuto per ordine di Sisto V Peretti e costituisce una fonte di indubbio rilievo. Numerosi resti scomparvero anche nel corso del Pontificato del fiorentino Urbano VIII Barberini, tanto che si diffuse il detto: “Quod non fecerunt Barbari fecerunt Barberini”14.

Al mondo delle antichità romane è profondamente legata un’ altra figura, quella di Giovan Antonio Dosio15. Nato a San Gimignano nel

1533, si formò a Roma, dove giunse quindicenne, approfondendo la raffigurazione di rovine archeologiche ed architetture classiche sotto la guida di Raffaello da Montelupo16. A partire dal 1551, iniziò il suo im-

pegno di scultore e di architetto adattandosi ad ogni incarico. Disegnò piante e vedute, restaurò oggetti antichi, progettò fortificazioni, cercò di ottenere incarichi da influenti famiglie fiorentine, operanti all’ombra del papato, come i Gaddi, i Niccolini e gli Altoviti. L’ingresso nell’esclusivo circolo dei Virtuosi del Pantheon, per aver contribuito, nel 1562, alla scoperta della preziosa planimetria Forma Urbis Romae, nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, gli aprì numerose porte. Dopo essersi impe- gnato nelle fortificazioni di Anagni, il suo primo lavoro di successo fu la tomba dell’umanista Annibal Caro, realizzata a Roma, in S. Lorenzo in Damaso, nel 1567, arricchita da un busto del celebre letterato. Il mo- numento incontrò incondizionata ammirazione e, nello stesso periodo, ebbe modo di realizzare il cenotafio Niccolini, in S. Gregorio al Celio e la Cappella Altoviti, in Trinità de’ Monti.

Trasferitosi a Firenze nel 1574, protetto dalla corte medicea, ebbe commesse di grande rilievo e collaborò attivamente con l’Accademia del

14 Si veda in proposito P. ANGELI da BARGA, De privatorum publicorumque aedificio-

rum urbis Romae eversoribus. Epistola ad Petrum Usimbardum, Ferdinandi Medicis, Ma- gni Ducis Etruriae, a secretis primum, Firenze, Sermartelli, 1589.

15 Cfr. in proposito lo splendido contributo Giovan Antonio Dosio da San Gimignano, ar-

chitetto e scultor fiorentino, tra Roma, Firenze e Napoli, A cura di Emanuele Barletti, con

presentazione di Mina Gregori, Firenze, Edifir, 2011.

16 Si veda in proposito Antiquarian Drawings from Dosio’s Roman Workshop, Biblioteca

Nazionale Centrale di Firenze, N.A.1159, Catalogue edited by E. Casamassima and R.

Olitski Rubinstein, Firenze, Giunta Regionale Toscana, 1993.

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Disegno. Il legame con famiglie di spicco, già incontrate a Roma, fu de- terminante per l’affermazione di Dosio. I Niccolini gli commissionaro- no la ristrutturazione del loro palazzo in Via de’ Servi, dove l’architetto costruì il superbo loggiato a doppio ordine verso il giardino e la realizza- zione della cappella gentilizia nella chiesa di S. Croce. Per quest’ultima furono impiegati i marmi multicolori più brillanti, di grande ricchezza ed eleganza. Gli Altoviti si rivolsero a Dosio per un intervento nell’ab- side della chiesa dei Santi Apostoli, di cui avevano il giuspatronato. I Gaddi gli affidarono il rifacimento della loro cappella nella chiesa di S. Maria Novella. Il Cardinale Alessandro dei Medici, Arcivescovo di Firen- ze, chiamò l’architetto, quale raffinato interprete di una classicità velata dalla Controriforma, a lavori nella chiesa di S. Apollonia, in via S. Gallo e alla realizzazione della sontuosa facciata del palazzo arcivescovile fio- rentino. L’impegno di Dosio in questo cantiere si protrasse fino al 1584 e può essere ancora ammirato, nonostante nel 1895 parte del comples- so sia stato demolito ed arretrato, poiché tutte le cornici delle porte e delle finestre furono salvate e reimpiegate, mantenendo le proporzioni originarie. L’edificio più elegante da lui realizzato resta però il Palazzo Giacomini, poi de Larderel, in Via Tornabuoni, in cui i modelli desunti dalla classicità sono proposti con rigore geometrico e grande equilibrio formale. Anche il Palazzo Zanchini, in Via Maggio, soprattutto per la corte interna, è di notevole rilievo.

Nel 1589 Dosio si stabilì a Napoli ed in quella città creò nuovi capo- lavori. Nel 1591 vide la luce il cortile grande della Certosa di S. Mar- tino e, fra il 1592 e il 1593, lavorò a lungo alla Chiesa dei Girolomini, una delle più importanti del centro abitato, ristrutturandone l’interno e realizzandovi il chiostro. I Brancaccio gli affidarono la creazione di una loro cappella gentilizia nella cattedrale partenopea di S. Maria Assunta, arricchendola di sculture di Pietro Bernini. Dosio si trasferì successiva- mente a Caserta. Il Principe Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona, che resse il feudo di Caserta dal 1595 al 1635, gli affidò la progettazione del Palazzo del Boschetto. L’architetto elaborò un edificio singolare, a pianta trapezoidale, con tutti gli elementi caratteristici della villa roma- na: un giardino di statue, pitture di paesaggi, volte con grottesche e un

labirinto per il divertimento degli ospiti. Proprio a Caserta Dosio morì nel 1611 lasciando, oltre a tanti monumenti, un ricchissimo corpus di disegni ed un’opera: Aedificiorum illustrium quae supersunt reliquiae, in- teramente dedicata alle antichità romane.

Senza dubbio straordinaria è inoltre la figura di Giulio Nori, celebre giurista, autore di una fortunata serie di manuali legali rivolti al variegato pubblico dei giudici, dei notai, degli avvocati e degli stessi litiganti. Con intento sistematico, Nori affrontò sia il diritto penale che quello civile ed il suo primo lavoro apparve a Siena nel 1578: Criminalista. Del modo

di procedere ne gl’atti criminali. In servitio dei notari, procuratori, giudici novelli et di ogn’altro che sappi leggere. Con utile particulare et universale. Composto per Giulio Nori da S. Gimignano, dottore in leggi17. Non me-

no ricco di tensioni e di litigiosità era il mondo dei traffici e dei com- merci e, per dirimere le complesse questioni del dare e dell’avere, Nori pubblicò, ad un anno di distanza, il suo Civile. Del modo di fare gl’atti

nelle cause del dare e havere per l’attore, reo e giudice, A utilità dei novelli litiganti e d’ogni altro che sappi leggere, con utile universale. Composto per Giulio Nori da San Gimignano, dottore in leggi18.

Le due opere ebbero una larga eco, per il loro carattere pratico, ma il settore che appariva più complesso e carente di strumenti era quello legato alla amministrazione della giustizia, sotto il profilo penale e Nori tornò ampiamente sulla questione dando alle stampe, nel 1581, il Cri-

minalista secondo, contenente inquisizioni, pene et esecuzioni varie di de- litti, per commodo dell’accusatore, reo e giudice19. Nel 1582 il Criminali-

sta terzo, in accrescimento del primo stampato l’anno 1578. Del modo di procedere nel criminale per i notai, procuratori, giudici novelli e di chi sa leggere. Con utile universale20. Nel 1583 il Criminalista quarto et ultimo,

in augumento del primo, stampato l’anno 1578. Contenente varie formule di scritture. Composto per Giulio Nori da San Gimignano, dottore in leggi,

17 Siena, Bonetti, 1578. 18 Siena, Bonetti, 1579.

19 Composto per Giulio Nori da San Gimignano, dottore in leggi, Siena, Bonetti, 1581. 20 Composto per Giulio Nori da San Gimignano, dottore in leggi, Siena, Bonetti, 1582.

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a commodo de’ novizi e di chi sa leggere21.

Sommo teorico della procedura civile e di quella penale, Nori offrì strumenti preziosi a quel mondo di giusdicenti locali: vicari, capitani, podestà e notai, che Cosimo I dei Medici ed i suoi figli Francesco e Fer- dinando, valorizzarono e potenziarono come presenza tangibile sul ter- ritorio dell’autorità centrale22. L’anno 1583 fu esemplare, sotto questo

punto di vista, perché Nori, oltre a pubblicare il suo Criminalista quarto, pose sotto il torchio anche la sua Sommaria di formule di scritture nelle

cause civili piccole23, concludendo nel modo più esaustivo l’ampio corre-

do di repertori per ogni forma di contenzioso e di dibattimento. Lo stato mediceo, anche sotto il profilo procedurale, s’imponeva come garante della corretta amministrazione della giustizia, affidando ad un giurista celebre come Nori il compito di fornire i testi di riferimento necessari ad ogni procedimento, così da creare una reale uniformità nell’intero territorio del ducato.

Nori aveva ricevuto, però, una raffinata educazione umanistica e, ol- tre a dedicarsi ad opere squisitamente tecniche, non mancò di comporre versi. Nello stesso 1583 comparvero infatti alcuni significativi Carmina:

In laudem potentissimae Germanicae Nationis24 e In Sanctae Romanae Se-

dis ac Serenissimi Magni Hetruriae Ducis Francisci Medicei laudem25. La

prima composizione era dedicata al Sacro Romano Impero ed ai suoi fasti, visto che proprio questa secolare istituzione aveva riconosciuto a Francesco I dei Medici il titolo di Granduca di Toscana, ponendo fine ad ogni contenzioso con la Spagna di Filippo II26. La seconda composi-

zione celebrava invece lo stesso sovrano mediceo accanto al papato, con una chiara allusione al conferimento della dignità granducale, da parte di Papa Pio V Ghislieri, a Cosimo I e ai suoi discendenti.

21 Siena, Bonetti, 1583.

22 Cfr. E. FASANO GUARINI, L’Italia moderna e la Toscana dei principi. Discussioni e ri-

cerche storiche, Milano, Mondadori Education, 2008.

23 Composta per Giulio Nori da San Gimignano, dottore in leggi, Siena, Bonetti, 1583. 24 Iulio Norio Geminianensi I.U.D. auctore, Siena, Bonetti, 1583.

25 Iulio Norio Geminianensi I.U.D. auctore, Siena, Bonetti, 1583.

26 Cfr. D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea. Contributo alla storia degli

Il 1584 è però di grande interesse, proprio in relazione all’ottica che guida questa ricerca: lo sviluppo della vita intellettuale e della ricerca storica nelle sue connessioni con San Gimignano. In quell’anno Giulio Nori dette, infatti, alle stampe il suo Bellum Geminianense27, con no-

te di Lucio Luni da Vicchio, dedicandolo al senese Claudio Seracini, Cavaliere di Malta. Nel testo si ponevano in risalto le sanguinose lot- te intestine fra Guelfi e Ghibellini che, localmente, avevano trovato la massima espressione nell’irriducibile contrasto fra due grandi famiglie: quella Ardinghelli e quella Salvucci ed i loro alleati. La cittadina aveva comunque attraversato un momento di grande prosperità economica, fra il XII ed il XIII secolo, grazie al commercio di prodotti pregiati e dello zafferano in particolare.

Di grande rilievo, soprattutto sotto il profilo politico, è poi la figura di Curzio Picchena. Nato a San Gimignano nel 1553, accolto giovanis- simo nella Segreteria di Stato, sotto la protezione di Belisario Vinta fu avviato inizialmente alla carriera diplomatica ed inviato, come segreta- rio di legazione, in Francia, in Spagna ed in Svizzera. Dal 1601 al 1613 fu segretario granducale, prima di Ferdinando I e poi di suo figlio Co- simo II ed alla morte del Vinta, per le eccezionali doti dimostrate, as- sunse l’altissimo incarico di Segretario di Stato. Nel 1615-1616 ebbe stretti rapporti con Galileo Galilei e ne seguì con tatto la convocazione a Roma, presso il Sant’Uffizio, in seguito alla denunzia di due domeni- cani: Niccolò Lorini e Tommaso Caccini, che consideravano diabolica l’osservazione degli astri28.

Il Caccini, non ricevendo la considerazione sperata dalle autorità ec- clesiastiche e temendo reazioni medicee a suo danno, giunse addirittu- ra ad incontrare Galileo per presentargli le sue scuse e lo scienziato non mancò di comunicarlo subito al Picchena: “Hieri fu a trovarmi in casa quell’istessa persona che prima costà, da i pulpiti e poi qua, in altri luo- ghi, haveva parlato e machinato tanto gravemente contro di me. Stette meco più di quattro hore e nella prima mezz’hora, che fummo solo a