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5 Ottobre 1513 La rinascita di Volterra

Firenze manteneva stretti rapporti con la Francia, fedele alle linee di politica estera tracciate negli anni di Savonarola, ma un grave contrasto sembrava sempre più profilarsi all’orizzonte fra il pontefice Giulio II e Luigi XII. Il della Rovere, deciso ad estendere il potere della Santa Se- de sull’Emilia e sulla Romagna, vide nel sovrano francese un gravissimo ostacolo ai suoi disegni e non esitò a combatterlo con estremo vigore. Anche gli alleati della Francia dovevano essere colpiti e Giulio II, forte dell’appoggio del Re di Napoli Ferdinando d’Aragona, quasi seguendo le orme di Sisto IV, nel Dicembre 1510 cercò di abbattere il governo fio- rentino con una congiura capeggiata da Prinzivalle della Stufa1.

Piero Soderini, informato per tempo di quanto si stava tramando, ri- uscì a sventare ogni tentativo eversivo, rendendo a tutti palese la gravità della situazione. Gli eventi stavano precipitando e quando, pochi mesi dopo, alcuni Cardinali, che dissentivano dalla politica pontificia, si ri- unirono a Pisa in concilio, l’ira del della Rovere divenne incontenibile. Stipulato un trattato di alleanza con i Veneziani e con il Re di Napoli, Giulio II dette vita ad una Lega Santa, per difendere l’unità del cattoli- cesimo e liberare l’Italia dall’esercito francese. Raimondo di Cardona fu posto a capo delle truppe mobilitate e Firenze fu subito colpita dall’in- terdetto, mentre i suoi governanti vennero scomunicati.

La situazione si faceva di giorno in giorno più critica ed il pontefice, in modo perentorio, impose ai Fiorentini l’immediata rottura dell’alleanza con la Francia. La guerra era inevitabile e, mentre si rinnovava l’amicizia nei confronti di Luigi XII da parte della Signoria di Firenze, Raimondo

1 Cfr. S. AMMIRATO, Istorie fiorentine di Scipione Ammirato con l’aggiunte di Scipione

Ammirato il Giovane, Firenze, Marchini e Becherini, 1824-1827, tomo IX, lib. XXVIII,

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di Cardona, assieme al Cardinale Giovanni dei Medici, entrò in Toscana con l’esercito della Lega. Tutte le speranze erano riposte in quella “Or- dinanza e Milizia Fiorentina”, così cara a Niccolò Machiavelli ma, dopo la conquista e l’orribile saccheggio di Prato, il 30 Agosto 1512, apparve a tutti evidente la superiorità degli aggressori. Le più atroci violenze fu- rono subite degli inermi pratesi che dopo una modesta resistenza si ar- resero, non immaginando neppure lontanamente ciò che li attendeva. Gli ordini erano chiari. I Fiorentini dovevano essere atterriti e costret- ti alla resa avendo ben presente ciò che, in caso contrario, sarebbe loro successo. Prato doveva costituire un terribile monito e così fu.

La fine di Prato suscitò sgomento. Il partito pallesco, che a lungo era rimasto nell’ombra, rialzò subito la testa e, in seguito ad un rivolgimento interno, il 30 Agosto il Gonfaloniere Perpetuo Piero Soderini fu costret- to ad abbandonare precipitosamente Firenze2. Giulio II aveva ottenuto

quanto desiderava. Il potere mediceo fu restaurato ed il nuovo governo, guidato da Giovanni Battista Ridolfi, oltre a distruggere quanto restasse dell’eredità savonaroliana, si schierò a fianco del pontefice.

La situazione economica era gravissima e la Signoria, ricordando che proprio il Consiglio Generale di Volterra, fino dal 12 Agosto 1512, nell’imminenza della guerra, aveva deliberato di “offerire tutte le sostan- ze de’ Volterrani a’ Fiorentini, padri e signori loro”3, non esitò a rivol-

gere un appello ai Priori dell’antica città etrusca, il 6 Settembre. Il testo che fu inviato è di estremo interesse ed è stato integralmente pubblicato da Lorenzo Aulo Cecina nelle sue Notizie istoriche della città di Volterra, pubblicate a Pisa nel 1758, a cura di Flaminio dal Borgo.

“Trovandosi questa nostra eccelsa Repubblica in qualche disordine

2 Cfr. I. NARDI, Istorie della città di Firenze di Jacopo Nardi, ridotte alla lezione de’ codici

originali con l’aggiunta del decimo libro inedito e con annotazioni, Per cura e opera di Le-

lio Arbib, Firenze, Società Editrice delle Storie del Nardi e del Varchi, 1838-1841, vol. I, pp. 448-449.

3 L. A. CECINA, Notizie istoriche della città di Volterra alle quali si aggiunge la serie de’

Podestà e Capitani del Popolo di essa. Opera del chiarissimo Signor Avvocato Lorenzo Au- lo Cecina, nobil patrizio volterrano, data in luce, illustrata con note ed accresciuta di altre notizie istoriche dal Cav. Flaminio dal Borgo, nobil patrizio pisano e volterrano, Giurecon- sulto e pubblico Professore della Università pisana, Pisa. Giovannelli, 1758, p. 245.

di danari, per i tempi sinistri sin a qui occorsi, come vi può esser noto e conoscendo l’affezione Vostra verso di quella, ci è parso, con la presen- te, ricercare le Magnificenze Vostre che le piaccino, per un mese il più, servirla e prestarle quella più somma e quantità di danari sarà loro pos- sibile. Il che ci sarà sommamente grato et a suo luogo e tempo da noi riconosciuta tale gratitudine ... Per la somma Vostre Magnificenze ne manderanno, saranno in modo cautelate che, al tempo, ne promettere- mo, se ne potranno liberamente valere. Dalle quali aspettiamo con ce- lerità intendere la quantità ne manderanno e per chi, significando loro le cose nostre procedere in tal modo bene che, in brevi giorni, ogni cosa sarà quietata con onore del publico nostro et satisfazione e contento di cotesta magnifica comunità”4.

I Priori ed i Collegi volterrani, ricevuta la richiesta, il 12 Settembre 1512 “decretarono che, senza indugio alcuno, alla presenza del Capitano, si dovessero aprire tutte le casse del Comune, si dovessero contare tutti i danari che si ritrovassero in esse e quelli si mandassero a’ Fiorentini, senza richiedergli alcuna sicurezza. Et essendovisi trovati mille fiorini, nel medesimo giorno fu deliberato che questi si consegnassero a Cino di Francesco Lisci, acciò li portasse a’ Signori fiorentini, in compagnia di Benedetto Incontri e di Benedetto Minucci, imbasciatori eletti non solo a compire tal atto, ma ancora per offerire il sangue e la vita de’ Vol- terrani per la Repubblica Fiorentina”5.

Gli incaricati partirono subito e, come sappiamo dalle Memorie di Ci- no Lisci, il 14 Settembre i mille fiorini furono posti “a’ piedi de’ nostri Signori fiorentini ... per conto della Comunità di Volterra”6. Lo stesso

Gonfaloniere Giovanni Battista Ridolfi accolse la generosa offerta, ma i Volterrani non si limitarono a questo. Come narra Cino Lisci: “E più detto portai io ... fiorini quattrocentosessantasei, d’oro in oro, a cento- cinquanta compagni ... tutti uomini da bene e la maggior parte cittadini volterrani ... messi alla guardia del Comune di Firenze et onorevolmente ricevuti et avuti in buon grado dalla eccelsa Signoria, de’ quali fu capo

4 Ivi, pp. 246-247. 5 Ivi, p.247. 6 Ibidem.

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e Connestabile Benedetto di Meo di Ruberto Minucci”7.

Dunque anche un presidio armato di Volterrani vegliava sul palazzo della Signoria e garantiva la sicurezza del nuovo governo filomediceo. Proprio quel 14 Settembre 1512 faceva il suo ingresso a Firenze il Car- dinale Giovanni, figlio di Lorenzo il Magnifico, preceduto dal fratello Giuliano e dal nipote Lorenzo. Occorreva rendere a tutti manifesta la fine di un’epoca ed i “Medici feciono ridipingere l’arme loro al palagio loro, alla Nunziata e in molti luoghi”8, intimando “a pena delle forche”9,

l’immediata restituzione dei loro beni e di quanto fosse stato sottratto dalle loro proprietà dopo il 1494.

Inutilmente Pietro Paolo Boscoli ed Agostino Capponi cercarono di attuare un nuovo colpo di stato, con il sostegno di Niccolò Valori, di Co- simo de’ Pazzi e di Niccolò Machiavelli. La forza degli eredi del Magnifi- co era già consistente e l’ascesa al soglio di Pietro del Cardinale Giovanni, l’11 Marzo 1513, dilatò oltre ogni limite il peso politico ed il prestigio della celebre famiglia fiorentina. In segno di giubilo, appena la notizia si diffuse in città, “s’arse innumerabili fastella di scope e frasconi, corbegli, barili e ciò che s’aveva in casa”10, mentre Giuliano e Lorenzo de’ Medici

non esitarono a gettar giù dalle finestre del palazzo di Via Larga “diverse sorti di vestimenti ... e poi monete d’oro e d’argento”11 e a far distribuire

7 Ivi, p. 248. Ricorda l’episodio anche Giuseppe Maria Riccobaldi del Bava ma parla di duecento uomini e non di centocinquanta. “Una scelta e ben guernita truppa a caval- lo di duecento, quasi tutti nobili cittadini ... con applauso fu accolta e con stima dal popolo fiorentino ed alla guardia fu posta dello stesso palazzo della Signoria”. G. M. RICCOBALDI del BAVA, Dissertazione istorico etrusca sopra l’origine, antico stato, lin-

gua e caratteri della etrusca nazione e sopra l’origine e primo e posteriore stato della città di Volterra, col rapporto a’ suoi antichi monumenti ed ipogei, letta in sei ragionamenti nell’Ac- cademia de’ Sepolti dal suo Censore, il Cavaliere Giuseppe Maria Riccobaldi del Bava, con un’appendice al fine sopra i sepolcreti e musei quindi raccolti di essa città, Firenze, Viviani,

1758, Ragionamento V, p. 138.

8 L. LANDUCCI, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, continuato da un anonimo fino al

1542, pubblicato sui codici della Comunale di Siena e della Marucelliana con annotazio- ni, da I, Del Badia, Firenze, Biblos, 1969, p. 330

9 Ivi, p. 331. 10 Ivi, p. 336.

in San Lorenzo, a chiunque lo volesse, “del pane e del vino”12.

Il governo fiorentino e la famiglia Medici volevano creare un clima di distensione. Il passato doveva essere dimenticato, ora che il potere politico era saldo in mani sicure e Volterra divenne un caso esemplare. Le offese che la città ed i suoi abitanti avevano ricevuto proprio da Lo- renzo il Magnifico dovevano essere lavate e nessuno meglio di suo figlio Giovanni, ormai Papa Leone X, avrebbe potuto compiere un vero atto espiatorio. I Volterrani si erano dimostrati esemplari ed ora, con l’avallo mediceo, occorreva un gesto significativo da parte del governo di Firen- ze per sancire un nuovo corso ed una rinnovata fiducia nei confronti di una delle più importanti comunità dello stato.

Il pontefice era poi particolarmente sensibile a quel mondo etrusco di cui Volterra costituiva uno degli esempi più eclatanti13. Non a ca-

so, trascorsi pochi mesi dalla sua elezione, fra il 13 ed il 14 Settembre 1513, fece solennemente conferire a Roma, in Campidoglio, durante una fastosa cerimonia, il titolo di patrizi a Giuliano ed a Lorenzo de’ Medici, servendosi dell’occasione come valido pretesto per sottolineare i legami esistenti, fino dalla più remota antichità, fra Romani e Toscani. Leone X dette infatti il massimo risalto all’avvenimento. Fece costruire dal “più prestante et egregio architetto”, Pietro Rosselli, “un loco publi- co di capacità et ornato magnifico e bello, el quale rapresentasse forma di theatro”14 e lo fece decorare sulla facciata e sui fianchi con numerosi

pannelli dipinti, secondo i suggerimenti dell’umanista Tommaso Inghi- rami, più noto con l’appellativo di Fedra, per aver interpretato il ruolo di Fedra, nella Phaedra di Seneca, nel 1486.

Tommaso ‘Fedra’ Inghirami, volterrano, amico di Erasmo da Rotter- dam, di Pietro Bembo e dello stesso Giovanni de’ Medici, reso immor-

12 Ibidem.

13 Cfr. in proposito G. CIPRIANI, Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino, Firenze, Ol- schki, 1980, p. 48 e ss.

14 Avviso di Marcantonio Altieri dato all’Illustre Signor Renzo di Cere, intorno alla civiltà

donata in persona del Magnifico Giuliano et alla Casa Medici, in F. CRUCIANI, Il teatro del Campidoglio e le feste romane del 1513. Con la ricostruzione architettonica del teatro di Arnaldo Bruschi, Milano, Il Polifilo, 1968, pp. 5-6.

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tale da Raffaello Sanzio in un superbo ritratto15, era un uomo di straor-

dinaria cultura. Segretario del Sacro Collegio e Canonico di S. Pietro, seguì il conclave che avrebbe consacrato Leone X e fu sempre vicino al nuovo pontefice. I soggetti della decorazione non lasciavano dubbi sul messaggio politico che ad essi si voleva affidare, erano stati infatti pensati e studiati in funzione della storia etrusca e degli episodi in cui, secondo le antiche testimonianze, questo popolo era venuto a contatto con Ro- ma, ossia gli antenati dei Medici si erano incontrati con i fondatori del Campidoglio. Paolo Palliolo da Fano, che ci ha lasciato una dettagliata descrizione della cerimonia e dell’apparato decorativo del teatro in cui si svolse, sottolinea esplicitamente questo particolare.

“Se desiderasti sapere el significato delle historie qua coacervate, dico che Romani per esse dimostrano il commertio et amicitia sua, al pre- sente rinovata et più che mai stabilita con Thoscani, haver antiquissi- ma origine et da loro, altre volte, haver presi non solo molti costumi, la letteratura, gli citadini, le insegne de l’imperio et esso Re, ma ancora lo augurare, lo auspicare, el sacrificare, gli sacerdoti ed essi Dei. Così ven- gono ad exprimere lo immenso gaudio et piacere che senteno vedendo il medesmo succedere et rinovarse a’ nostri giorni”16.

I dipinti erano chiari in questo senso. Lo stesso Enea aveva fondato il suo regno con l’aiuto degli Etruschi e proprio questi ultimi erano stati suoi validi alleati, come metteva in risalto un grande pannello nel fronte della scena: “Se vede nel Tibre la navale armata di Enea et esso armato con suoi Troiani, disceso in terra con aquile in suoe bandiere per inse- gna. Da l’altra parte stanno gli Thoscani similmente armati, con gigli in le bandiere per insegna et quivi racoglieno Troiani da buoni amici, prestandoli aiuto in fondare lo imperio, come dimostrano le littere ap- presso descritte

AENEAS HETRUSCORUM ARMIS FUNDAMENTA IMPERII IACIT17

15 Conservato a Firenze nella Galleria Palatina.

16 De Paolo Palliolo Fanese narratione delli spettacoli celebrati in Campidoglio da’ Romani

nel ricevere lo Magnifico Juliano et Laurentio de’ Medici per suoi patritii, in CRUCIANI, Il teatro, cit., pp. 32-33.

Anche in guerra c’era sempre stata reciproca stima fra Etruschi e Ro- mani e pure Porsenna veniva effigiato in un secondo pannello, mentre “sede sopra un alto tribunale, circondato da’ suoi”18 e, stupefatto per gli

atti di valore compiuti dai Romani in guerra contro di lui, si mostrava magnanimo nei loro confronti, come sottolineava il cartiglio:

PORSENAE REGIS LIBERALITAS ERGA POPULUM ROMANUM19.

Un valido patto di amicizia aveva, fino dall’antichità, unito indis- solubilmente i due popoli, Un altro dipinto lo metteva in risalto con chiarezza. “Stanno da una banda Romani armati, a piede et a cavallo, con aquile per insegna, da l’altra Thoscani similmente armati, con gigli in le suoe bandiere. In mezzo el sacerdote fa sacrifitio acioché gli Dei se exhibiscano propitii alla pace et confederatione che l’uno et l’altro po- pulo insieme fanno, secondo che indica la inscrittione ivi notata che è di tale sorte:

FOEDUS ICTUM A POPULO ROMANO CUM HETRUSCIS”20.

Proprio in virtù di questa “pace et confederatione”21 era allora giun-

ta, da parte degli Etruschi, una serie infinita di preziosi insegnamenti, posti alla base del vivere civile, come vari dipinti ed i relativi cartigli fa- cevano comprendere:

“HARUSPICES HETRUSCI SEMPER A POPULO ROMANO CONSULTI.

AUGURUM DISCIPLINA EX HETRURIA ROMAM INVECTA. ROMANI LITTERIS ERUDIENDI IN HETRURIAM MITTUNTUR.

LUDI SCENICI AB HETRUSCIS ADCOEPTI.

INSIGNIA ROMANI IMPERII AB HETRUSCIS SUMPTA”22.

Di tutto ciò i Romani erano debitori agli antichi Toscani e chiaramen-

18 Ivi, p. 29 19 Ibidem. 20 Ibidem. 21 Ibidem. 22 Ivi, pp. 31-32.

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te riconoscevano la grandezza dei loro maestri che, un tempo, non solo con la cultura e l’ingegno avevano dominato su Roma, ma anche con la forza della loro monarchia. Non a caso in una pittura erano “ritratti certi antiqui edifitii con uno seggio regale dove è collocato Tarquinio Re de’ Romani. El populo sta intorno guardandolo con admiratione parimen- te et veneratione. Queste littere a’ piedi gli sono scritte:

L. TARQUINIUS HETRUSCUS ROMAE REGNAT”23.

La potenza dell’antica monarchia etrusca era stata così nuovamente affermata, accanto all’influenza spirituale e culturale degli antichi To- scani. Giuliano e Lorenzo de’ Medici, eredi dei sovrani di un tempo ed adesso patrizi romani con “suoi figliuoli et quanti de loro in perpetuo nasceranno”24, erano parte integrante dell’accorta politica pontificia.

Occorreva infatti, dopo gli ultimi avvenimenti politici, richiamare l’at- tenzione dei Fiorentini sul prestigio di un tempo, lusingarli nella loro vanità, nobilitarli più degli stessi Romani e mostrare loro, come unica e tradizionale forma di governo, quella aristocratica e conservatrice, pur mantenendo illusoriamente la parvenza della libertà repubblicana.

Leone X comprendeva bene quale opera fosse necessaria per ricom- porre quel mito mediceo che era stato disperso dalle veementi prediche di Girolamo Savonarola, dall’azione metodica e capillare di Piero Sode- rini e trovò negli Etruschi i migliori alleati. Gli antichi Toscani potevano fornirgli il supporto monarchico su cui agire per legittimare il proprio assolutismo e potevano garantirgli il sicuro richiamo evocativo del loro zelo religioso e della loro affascinante e misteriosa civiltà.

In questa lungimirante strategia Tommaso ‘Fedra’ Inghirami giocò un ruolo di estremo significato e che il prelato, in uno dei numerosi in- contri, abbia fatto comprendere al pontefice il peso politico di un gesto significativo nei confronti di Volterra possiamo ipotizzarlo con ragio- nevolezza. Certo il governo fiorentino maturò una decisione clamorosa sulla base di precisi ordini e con il sicuro assenso di Leone X e dei prin- cipali esponenti della sua famiglia. Di fatto, a breve distanza dagli ecce-

23 Ivi, p. 31. 24 Ivi, p. 23.

zionali festeggiamenti capitolini, il 5 Ottobre 1513, come ricorda Giu- seppe Maria Riccobaldi del Bava: “Non tardò la Repubblica a gratificare la città nostra e con una nuova, ampia Provvisione dell’eccelsa Signoria, in cui la fede del popolo nostro si esprime, restituì a questo magistra- to il palazzo della sua residenza e le antiche preminenze, con molti altri distinti privilegi e con autorità, forse superiore, a quella di qualunque altra delle città suddite del suo dominio”25.

L’atto era eccezionale e poneva giuridicamente Volterra quasi nelle stesse condizioni in cui si trovava alla vigilia dei tragici eventi del 1472. Occorreva un devoto ringraziamento e chi levò subito la sua voce per esprimere la più viva riconoscenza: Tommaso ‘Fedra’ Inghirami, che compose una forbita orazione latina, celebrando nel modo più oppor- tuno la riconquistata libertà volterrana26. L’opera venne dedicata in un

primo tempo a Lorenzo de’ Medici e, successivamente, a Leone X ed è conservata manoscritta nella Biblioteca Apostolica Vaticana27.

Lorenzo Aulo Cecina, da provetto legale, ha sottolineato con forza, nelle sue Notizie istoriche, il rilievo della Provvisione e ne ha trascritto interamente il testo. In sostanza la Signoria fiorentina ordinò:

“I. Che alla comunità di Volterra e suoi cittadini fosse restituito il pa- lazzo dove prima dell’anno 1472 i loro Priori solevano risiedere, onde ciò potessero fare anche per l’avvenire, con quella famiglia e con quella preminenza ... che ad essi fosse per parere e piacere. Con dichiarazione però che non potessero tornarvi a risiedere prima che, a tutte loro spe- se, non avessero accomodato nella piazza due abitazioni convenienti al grado, alla dignità ed alla famiglia del Capitano e del Podestà.

II. Che in questo palazzo e per dieci braccia in vicinanza di esso, vi sia asilo per tutti coloro che abbiano debiti privati.

III. Che i Priori, con la permissione, però, del Capitano, abbiano fa- coltà di far bandire il Consiglio in nome del medesimo Capitano o suo giudice.

25 RICCOBALDI del BAVA, Dissertazione, cit., p. 139.

26 Si veda in proposito la bella voce Inghirami Tommaso detto Fedra, di Stefano Benedet- ti, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXII.

27 Ms Ott. Lat. 2413, cc. 96r-107v.

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IV. Che il sigillo del Comune debba stare appresso i Priori, che però non possano scrivere lettere fuori del Dominio fiorentino senza licenza del Capitano.

V. Che de’ loro cittadini possano elegger quelli che dovranno interveni- re alle loro publiche deliberazioni.

VI. Che possano fare e deputare gli Uffiziali de’ Pupilli ed i Consoli di Mercanzia, coll’autorità e giurisdizione e nel modo e forma che gli de- putavano innanzi l’anno 1472.

VII. Che possano eleggere gli Uffiziali de’ Danni Dati dell’età e qualità