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All’indomani della Congiura dei Pazzi, nel 1478, il fallimento del complotto spinse Sisto IV e Ferdinando d’Aragona a dichiarare guerra a Firenze per ottenere con la forza delle armi ciò che non si era riusciti a raggiungere con un colpo di stato. I Fiorentini reagirono con prontezza e, creati i Dieci della Guerra, si prepararono ad affrontare il pericolo. Lo- renzo dei Medici era l’anima della resistenza e si provvide subito a forti- ficare e a presidiare tutti i castelli di frontiera. Non si doveva combattere solo contro il Papa ed il Re di Napoli, anche i Senesi, da sempre nemici dei Fiorentini, non persero l’opportunità di dichiarare guerra.

Bongianni Gianfigliazzi, uno dei Dieci, fu incaricato di recarsi a Sar- zana per curare le fortificazioni di quell’area strategica. Pietrasanta era allora in mano dei Genovesi ed appariva fondamentale tornarne in pos- sesso, in previsione della guerra. Occorreva occupare la città e, per pro- vocare un incidente, si agì con astuzia. Fu inviato da Pisa a Sarzana un carico di munizioni e vettovaglie con una debole scorta1. L’ordine era di

passare il più vicino possibile a Pietrasanta per suscitare un irrefrenabi- le desiderio di preda. Il convoglio fu infatti assalito e Firenze reagì con prontezza inviando truppe e artiglierie per occupare la città.

Genova non stette, però, a guardare e fece giungere navi cariche di soldati che approdarono a Vada, avvicinandosi minacciosamente. Gli armati all’interno di Pietrasanta, vedendo il momento favorevole, ten- tarono una sortita ed i Fiorentini, colti di sorpresa, furono sbaragliati e costretti ad arretrare di quattro miglia2. Le operazioni militari contro

Pietrasanta ripresero nel 1484. Firenze inviò due Commissari per met-

1 Cfr. G. M. BRUTO, Delle istorie fiorentine di Gio. Michele Bruto, volgarizzate da Stani-

slao Gatteschi delle Scuole Pie, Firenze, Batelli, 1838, vol. II, lib. VIII, p. 433.

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tere a punto l’offensiva: Bernardo del Nero e Antonio Pucci e si riuscì a rovesciare la situazione. Con il sacrificio del Capitano Antonio da Mar- ciano i Genovesi furono sconfitti e lo stesso Lorenzo dei Medici fu in- caricato di negoziare la resa. L’accordo fu raggiunto e, fra il 7 e il 9 No- vembre 1484, Pietrasanta e la sua rocca capitolarono. Jacopo Acciaioli fu designato Commissario di quella terra, mentre Piero Tornabuoni as- sunse la responsabilità delle fortificazioni.

La situazione ebbe, però, imprevisti sviluppi. I Lucchesi reclamarono con energia il possesso di Pietrasanta che apparteneva da tempo imme- morabile a quella repubblica e che i Genovesi avevano occupato con la forza. La Signoria fiorentina fu risoluta. I diritti del passato non ave- vano più alcuna validità. Pietrasanta apparteneva a Firenze, che aveva pagato un prezzo molto alto, in termini di uomini e di materiali, per conquistarla.

All’indomani della morte di Lorenzo il Magnifico, la discesa di Carlo VIII Valois in Italia creò le premesse per nuovi assetti territoriali. Il Re di Francia, nel suo itinerario verso Napoli, penetrò in Toscana, con il suo esercito, attraverso la Lunigiana e la Versilia. I Fiorentini presidiavano la zona con le fortificazioni di Sarzana e Sarzanello, capolavori di architet- tura militare, ma non meno importante era la rocca di Pietrasanta, posta al di sopra dell’unica via di comunicazione fra il monte e il mare.

Considerate le mosse di Carlo VIII ed appresa la triste fine del centro abitato di Fivizzano, saccheggiato dai Francesi, la Signoria di Firenze era in estremo allarme. Piero de’ Medici, il figlio ed erede del Magnifico, pensò di risolvere la grave situazione con una iniziativa personale. Rag- giunta Pietrasanta chiese di incontrare Carlo VIII che, con scarso succes- so, stava attaccando la rocca di Sarzanello. Ottenuto un salvacondotto parlò al Re, cercando di giungere ad un accordo. Carlo si impegnò a ri- spettare la sovranità fiorentina a condizione che gli venissero consegnate, fino al termine della spedizione contro gli Aragonesi, le fortezze di Sar- zana, di Sarzanello, di Motrone, di Pietrasanta, di Pisa e di Livorno3.

L’incredibile richiesta fu accolta da Piero e ratificata senza il consen-

3 Cfr. in proposito V. SANTINI, Commentarii storici sulla Versilia Centrale, Pisa, Pierac- cini, 1858, vol. II, p. 137.

so della Signoria, che fu informata quando le fortezze erano già in ma- no francese. Ciò provocò una sollevazione. Piero, tornato a Firenze nel Novembre 1494, benché avesse cercato di ingraziarsi in ogni modo il popolo, gettando confetti ed offrendo vino in abbondanza4, fu consi-

derato un traditore e costretto a lasciare precipitosamente la città. “Fu certo cosa mirabile”, ricorda Francesco Guicciardini, “che lo stato de’ Medici che, con tanta autorità, aveva governato sessanta anni e che si reputava appoggiato al favore di quasi tutti e primi cittadini, sì subita- mente si alterassi”5 e, quasi per mettere in evidenza la fine di un’epoca,

il palazzo che costituiva il simbolo stesso del prestigio della potente fa- miglia fiorentina fu saccheggiato. Molti dei tesori accumulati da Cosimo il Vecchio, da Piero il Gottoso e da Lorenzo il Magnifico furono dispersi per sempre e, pochi mesi dopo, si giunse addirittura ad allestire pubblici incanti degli arredi medicei6.

Dunque nel 1494 la Versilia fu occupata dalle truppe francesi e quan- do l’avventura italiana di Carlo VIII ebbe termine, non mancarono ama- re sorprese per i Fiorentini. Il castellano della fortezza di Pisa consegnò quella possente struttura ai Pisani, ormai indipendenti, per dodicimila ducati e lo stesso si verificò nel caso delle eccezionali fortezze di Sarzana e di Sarzanello, che furono vendute ai Genovesi per ventiquattromila ducati. I castellani di Pietrasanta e di Motrone non si lasciarono sfug- gire la preziosa opportunità e vendettero le due rocche ai Lucchesi per ventinovemila ducati7.

I principali centri fortificati della Versilia erano ormai perduti. Al momento della morte di Carlo VIII, nell’Aprile del 1498, i Fiorentini esercitarono ogni pressione sul successore, Luigi XII, per giungere ad un diverso assetto territoriale. Il sovrano riuscì ad ottenere dai Lucchesi la cessione di Pietrasanta alla Francia, nel 1499, a condizione che Lucca

4 Cfr. L. LANDUCCI, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, continuato da un anonimo fino

al 1542, pubblicato sui codici della Comunale di Siena e della Marucelliana, con annota- zioni, da Iodoco del Badia, Firenze, Biblos, 1969, p. 73

5 F. GUICCIARDINI, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, A cura di R. Palmarocchi, Bari, Laterza, 1968, p. 99.

6 Cfr. in proposito LANDUCCI, Diario fiorentino, cit., pp. 111, 114, 118. 7 Cfr. SANTINI, Commentarii storici, cit., vol. II p. 144.

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continuasse ad amministrarvi la giustizia ma, a breve distanza, nel 1501, il comandante francese della fortezza vendette di nuovo alla Repubblica di Lucca, per cinquantamila Lire Tornesi, l’importante centro abitato.

L’irritazione della Signoria fiorentina raggiunse i massimi livelli. Le truppe della Repubblica del Giglio stavano facendo ogni sforzo per sot- tomettere di nuovo Pisa e, non appena l’operazione fu felicemente con- clusa, si attaccò Lucca, con il pretesto di rivendicare il possesso del Mon- te Gragno, sulla riva destra del Serchio. Pietrasanta era il vero obiettivo dell’azione militare e le ostilità si protrassero a lungo, senza alcun risul- tato concreto. Dopo anni di lotta i due contendenti: Lucca e Firenze si rimisero all’arbitrato del pontefice Leone X. A lui spettava il compito di decidere la sorte di Pietrasanta, di Motrone e del Monte Gragno8.

Il figlio di Lorenzo il Magnifico, valutata attentamente la questione sotto il profilo giuridico, risolse la vertenza con un lodo solenne, che venne emanato il 29 Settembre 1513. Pietrasanta e Motrone spettavano alla Repubblica Fiorentina, mentre i pascoli del Monte Gragno sarebbero stati goduti dalla Repubblica di Lucca per cinquanta anni, mediante il pagamento annuo di cento fiorini d’oro alla Comunità di Barga. Appena il lodo venne ufficialmente ratificato, la Signoria di Firenze incaricò Vieri de’ Medici e Paolo Vettori di prendere possesso di Pietrasanta e di Mo- trone, in qualità di Commissari. La consegna fu effettuata il 12 Ottobre 1513 ed il 19 Novembre dello stesso anno, i rappresentanti del territorio di Pietrasanta e di quello di Motrone firmarono l’atto di sottomissione alla Repubblica Fiorentina, ottenendo favorevoli concessioni.

Per ricordare la felice conclusione dell’accordo lo stemma di Leone X fu posto sulla facciata della Collegiata di S. Martino a Pietrasanta, do- ve ancor oggi si trova ed a breve distanza fu innalzata la colonna con il Marzocco fiorentino. Non si dimenticarono gli statuti della cittadina, che furono redatti ed approvati tre anni dopo, il 14 Dicembre 1516. Nel 1529, al momento dell’attacco della Repubblica Fiorentina antimedicea da parte delle truppe di Carlo V d’Asburgo, Pietrasanta e Motrone non

8 Cfr. S. AMMIRATO,Istorie fiorentine di Scipione Ammirato con l’aggiunte di Scipione Am-

mirato il Giovane, Firenze, Marchini e Becherini, 1824-1827, tomo IX, lib. XXIX, pp.

furono validamente difese. Gli abitanti, temendo il saccheggio, scelsero di appoggiare gli imperiali ed inneggiarono a Clemente VII, cercando contatti anche con la Repubblica di Lucca9. Palla Rucellai ebbe la re-

sponsabilità del centro fortificato e, nell’Agosto 1530, al momento della caduta dell’ultima Repubblica Fiorentina, la Versilia era già saldamente nelle mani dei Medici.

Con il ducato di Alessandro non si ebbero particolari assetti territo- riali ma con Cosimo I, il suo successore, la zona assunse un nuovo peso strategico. Il giovane Duca commissionò, nel 1539, a Bernardino Pagni da Pescia, il compito di redigere un accurato rapporto sulla situazio- ne difensiva dell’intero stato fiorentino e dalle sue minuziose ispezioni, protrattesi dal 4 al 29 Ottobre 1539, nacque il prezioso Libro delle vi-

site delle fortezze del Dominio, oggi conservato nell’Archivio di Stato di

Firenze10. Fin dalle prime pagine di questa eccezionale relazione emer-

ge, oltre alla cura del funzionario mediceo, un sicuro dato di fatto: la precaria e fatiscente condizione della maggior parte delle fortificazioni esistenti e la necessità di ingenti, improrogabili lavori di restauro per garantirne l’impiego.

La rocca di Pietrasanta, visitata il 10 Ottobre, “in mano di Ridol- fo Charnesecchi”, era in cattive condizioni e disponeva di: “Falconetti cinque di ferro, con sua fornimenti et con palle cinquanta per lor uso. Archibusi trenta da posta, molto male in assetto. Spingarde quindici a cavallo, senza fornimenti. Moschetti dua di bronzo a cavallo, male in assetto et senza forni menti, con palle centoventi di ferro. Archibusi se- dici da braccia, tutti guasti. Olio barili quattro, in circa. Aceto barili quattro. Un mortaio di bronzo. Un palo di ferro. Polvere libbre dodi- ci fine. Un paio di mantici, dicano esser del castellano. Due campane, una rotta et una sana. Un mulino guasto. Archibusi dieci che sono an-

9 Cfr. B. VARCHI, Storia fiorentina di Benedetto Varchi, con aggiunte e correzioni tratte

dagli autografi e corredate di note per cura e opera di Lelio Arbib, Firenze, Casa Editrice

delle Storie del Nardi e del Varchi, 1838-1841, vol. II, lib. X, p. 254.

10 A. S. F., Mediceo del Principato, v.624. Cfr. in proposito G. CIPRIANI, Bernardino Pa-

gni da Pescia e il Libro delle visite delle fortezze del Dominio di S. E. Cosimo I dei Medici,

in Architettura Fortificata. Atti del I Congresso Internazionale, Piacenza-Bologna 18-21

Marzo 1976, Bologna, Lorenzini, 1978, pp. 295-305.

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dati quasi a male”11.

La fortezza di Motrone, visitata “adj XI d’Octobre”, era addirittura fatiscente e ben lo sottolineava, anche se con tatto e discrezione, il fun- zionario mediceo: “Ricordisi a Sua Excellentia che sarebbe bene far ras- settar gli archibugi da posta et anco le altre artiglierie et provedere per detta fortezza sale, piombo, corda, salnitro, solfo, fornimenti delli archi- bugi et delle artiglierie. Advertendola anco che le stanze sono guaste, il mastio della fortezza discoperto et la ponticella è rotta”12.

La situazione era grave, ma non vennero presi provvedimenti imme- diati, benché Cosimo I avesse compreso l’importanza strategica di un articolato sistema difensivo, sia sotto il profilo politico interno che sotto quello esterno. Si procedette con estrema lentezza, a causa delle ingenti spese da affrontare e le lamentele e le richieste dei vari capitani e castel- lani continuarono a pervenire a Firenze, soprattutto tramite gli inviati in missione nelle varie località del dominio. Giovanni Orlandi da Pescia, conterraneo di Bernardino Pagni, autore, nel 1543, di un Libro di visite

e inventari giornalmente fatti di tutte le artiglierie, monitioni, vettovaglie e soldati che si trovano nelle forteze e in alchune terre partichulari di Sua Excellentia e, sempre nello stesso anno, di un ancor più interessante Me- moriale delle domande fanno e capitani e castellani delle forteze di Vostra Illustrissima Signoria e delle necessità di quelle, ambedue conservati nell’Ar-

chivio di Stato di Firenze13, ce ne fornisce l’esatta testimonianza.

Pietro Nuti, responsabile della rocca di Pietrasanta, ad esempio, ri- chiedeva: “Venti archibugi da posta. Polvere fine e grossa. Grano, vino, olio, aceto e salumi. Pali di ferro, bechastrini e pale. Legniami, che non ve n’è di sorte alchuna” ed anche di “far aconciare un tetto che ruina”14,

mentre i soldati di stanza a Motrone, non meno sprovvisti di materiali: “Un paio di sechie per tirare acqua, due accette da tagliare, un pennato.

11 A. S. F., Libro delle visite delle fortezze del dominio di S. E. tenuto per me Bernardino Pa-

gni da Pescia, Mediceo del Principato, v. 624, c.14.

12 Ibidem

13 A. S. F., Mediceo del Principato, v. 625.

14 A. S. F., Memoriale delle domande fanno e capitani e castellani delle fortezze di Vostra Il-

Un pezo d’artiglieria grossa di bronzo. Sei archibusi da posta. Un cana- po di bracia sessanta per servirsene nel mastio”15.

Si intervenne, comunque, alla Porta Pisana di Pietrasanta, realizzan- do una fortificazione circondata da un fossato e munita di due torrio- ni con feritoie. La rocca costituiva una realtà militare di primaria im- portanza nell’intera area e nella rubrica LXII del IV libro dello Statuto di Pietrasanta, aggiunta nel 1550 e approvata dai deputati del Duca di Firenze, Cosimo I, il 29 Aprile 1551, si giunse ad ordinare la massima cura nella manutenzione delle due strade che conducevano alla possen- te struttura, precisando “che sieno bene acconcie, di sorte che l’acqua non le possa guastare, né tirare abbasso il terreno di esse, comodando bene quelle, acciò che sia facile, quando fia possibile all’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Nostro et alli suoi Signori e Cortigiani, d’andare a detta rocca, nella quale, ognuno sa, Sua Eccellenza Illustrissima esser solita alloggiare, quando viene a Pietrasanta”16.

In quella stessa rubrica si parla della necessità del mantenimento dei lastricati già esistenti nelle varie strade di Pietrasanta, mentre la Piazza Grande fu ammattonata per ordine dello stesso Cosimo I. Il Duca, sen- sibilissimo ai marmi delle Apuane, valorizzò il bianco dell’Altissimo ed il “mistio” di Serravezza. Soprattutto quest’ultimo, ricco di sfumature rossastre e chiamato anche “fior di pesco”, fu dichiarato di esclusiva per- tinenza dei membri della famiglia Medici e, di fatto, ne fu controllata la commercializzazione. Impiegare “mistio” di Serravezza in un palazzo privato era un segno tangibile della massima considerazione ducale, una vera e propria dichiarazione pubblica di totale sudditanza politica.

Per meglio seguire l’estrazione del prezioso materiale dal Monte Al- tissimo, da cui Michelangelo Buonarroti aveva cavato alcuni marmi de- stinati alla facciata della Basilica di San Lorenzo a Firenze, e dai bacini della Ceragiola, della Cappella, di Trambiserra e di Stazzema, Cosimo I ordinò, nel 1559, la costruzione di un’ampia residenza privata. L’accor-

15 Ibidem.

16 E. REPETTI, Pietrasanta, in Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, contenente

la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana,

Firenze, Presso l’Autore e Editore, 1833-1846. vol. IV, p. 227.

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to Medici, infatti, stava anche aprendo miniere in tutta la zona, per ri- cavare il massimo dalle viscere della terra e la scoperta di alcuni filoni di piombo argentifero fu salutata con gioia, al pari della constatazione del- la ricca presenza di vene ferrose. Occorreva poi dare un segno concreto della tangibile presenza della dinastia. L’area di Serravezza era di grande importanza strategica per il possesso della Versilia, come abbiamo visto, una terra contesa per secoli fra le Repubbliche di Pisa, di Lucca, di Ge- nova e di Firenze, attraverso la quale passava la Via Aurelia.

Cosimo, dunque, mirò a porre a Serravezza un avamposto del suo do- minio, non lontano dal confine del ducato, un avamposto simbolico e militare insieme, dato che la villa avrebbe dovuto avere, in parte, anche i caratteri di una fortezza. Il progetto dell’edificio fu probabilmente affi- dato a Bartolomeo Ammannati, anche se, recentemente, è stata avanzata l’ipotesi di un intervento di Bernardo Buontalenti, viste le palesi affinità strutturali con la villa di Artimino. Nacque così una struttura possente ed elegante al tempo stesso che Giusto Utens ha ben raffigurato in una delle sue celebri lunette17. La presenza di feritoie al piano terreno face-

va ben comprendere le potenzialità militari che possedeva, ma tutto era stato predisposto per rendere amabile il soggiorno del Duca.

I grandi boschi che circondavano la villa evocavano il piacere della caccia e non mancavano un elegante giardino all’italiana, un frutteto, una cappella e comode scuderie. I vicini fiumi Serra e Vezza che, incon- trandosi a Puntone, davano origine al Versilia, garantivano poi ottime trote e pesci di ogni genere, che costituivano un ulteriore motivo di at- trazione. Come ben sottolineano Antonio Bartelletti e Antonella Tata- relli: “Il bel paesaggio costruito attorno alla villa medicea non poteva certamente confondere o tradire, cedendo a forme di vuota ricercatezza esteriore, quell’ideale ancora rinascimentale di una sintesi armonica tra vita attiva e vita contemplativa. La stessa ubicazione di questa residenza in Versilia, così saggiamente richiesta da Cosimo, doveva permettere, a fianco di un piacevole soggiorno, anche la possibilità di seguire in pri- ma persona le attività estrattive e le lavorazioni ad esse collegate in tutta

la zona montana”18.

La costruzione della villa impose Serravezza come centro economico del Capitanato di Pietrasanta. La presenza medicea, il commercio del marmo e le attività minerarie dettero infatti grande impulso all’econo- mia locale, garantendo maggior benessere. “I contadini della montagna, disposti a qualsiasi sfruttamento, in ragione della loro miseria, trovarono impiego nel settore estrattivo per lavori poco specializzati, ricevendone un compenso che, seppur minimo, li gratificava maggiormente che non le loro abituali occupazioni. Di conseguenza l’agricoltura e la pastorizia in montagna principiarono a perdere quel ruolo privilegiato di attività economiche primarie e talvolta esclusive. Le cave, le miniere e le ferriere assorbivano già manodopera da tutti i villaggi mentre la cura del casale andava lentamente trasformandosi in lavoro integrativo”19.

Oltre a Cosimo, anche suo figlio Francesco frequentò con piacere la villa di Serravezza, spesso accompagnato da Bianca Cappello. L’area di Pietrasanta presentava però, dietro alle boscaglie di marina, una zona bassa e paludosa, infestata da zanzare e causa di “mal’aria”. Si doveva- no realizzare in tempi rapidi opere di bonifica, per favorire il deflusso delle acque stagnanti ed il primo intervento fu effettuato nel 1559. Il corso del fiume Versilia venne parzialmente modificato e, parte delle acque, furono deviate verso uno scolmatore laterale, detto “Fiumetto” o “Fiume Nuovo”20, per scongiurare il pericolo di disastrose piene. Nel

1588, nel corso del governo del Granduca Ferdinando I, vennero mes- si in cantiere nuovi lavori per riordinare il “fiume vecchio”, raddrizzan- dolo nel tratto compreso fra Pontestrada e Pontenuovo. Tali interventi determinarono, nel 1597, la bonifica di alcuni “paduli” nel circondario di Motrone, anche se, qua e là, restavano alcune zone malariche, ricche di acque stagnanti21.

18 A. BARTELLETTI – A. TATARELLI, Agricoltura e mondo rurale nella Versilia del Cin-

quecento, in Barga medicea e le “enclaves” fiorentine della Versilia e della Lunigiana, A cura