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L’esecuzione dell’ergastolo ostativo

4. L’esecuzione della pena dell’ergastolo

4.1 L’esecuzione dell’ergastolo ostativo

Anche nei confronti dei condannati all’ergastolo per uno dei reati c.d ostativi elencati nell’articolo 4bis dell’Ordinamento Penitenziario operano i principi per cui il trattamento rieducativo deve tendere al reinserimento sociale dei detenuti ed è attuato avvalendosi principalmente di istruzione, lavoro, religione, attività culturali ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e con la famiglia. Tuttavia il regime penitenziario di questi soggetti è differenziato rispetto a quello degli altri detenuti, a meno che collaborino con la giustizia.

A cominciare dal lavoro: si tratta sempre di lavoro obbligatorio, remunerato e non avente carattere afflittivo, tuttavia i condannati all’ergastolo ostativo non possono, per espressa previsione normativa, accedere al lavoro all’esterno. Questo significa che anche dopo dieci anni di detenzione è preclusa loro qualunque possibilità di uscire dalle mura del carcere per svolgere attività lavorativa.250

Anche per quanto riguarda i rapporti con la famiglia gli ergastolani ostativi subiscono un trattamento più severo rispetto agli altri condannati: hanno diritto esclusivamente a quattro colloqui al mese, invece che sei, le loro telefonate sono registrate e non possono essere più di due al mese, anziché una alla settimana.251

Date queste ulteriori limitazioni è evidente l’importanza che assumono per il condannato le attività culturali, ricreative e sportive offerte dall’istituto, che rappresentano l’unica possibilità per spezzare la monotonia della detenzione.252

250 L. EUSEBI, Ergastolano non collaborante, cit., p. 1221.

251 Cfr. P. CORSO (a cura di), Manuale dell’esecuzione penitenziaria, cit., p. 145 e 152.

252 «Perché in carcere si sta al mondo ma non si vive nessuna vita. E accade spesso che la giornata che passa sembri la giornata più lunga. Poi l’indomani però pensi la stessa cosa. Il tempo in carcere non passa mai». C. MUSUMECI, Fenomenologia dell’ergastolo ostativo, cit., p. 41.

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Bisogna considerare, peraltro, che spesso l’ergastolo ostativo è l’«anticamera» del trattamento differenziato in peius disciplinato dall’articolo 41bis comma 2 Ord. Pen.253

Tale articolo prevede la sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario, con un provvedimento del ministro della Giustizia, per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica.254

Innanzitutto sono limitati i colloqui con i famigliari, che possono essere uno al mese ad intervalli di tempo regolari. Tali incontri sono videoregistrati e si svolgono in locali attrezzati in modo da impedire ogni contatto tra il detenuto e il visitatore e il passaggio di oggetti: è presente un vetro divisorio e il condannato e il famigliare si parlano attraverso un interfono.255

Queste restrizioni comportano spesso un inevitabile peggioramento dei rapporti con i propri cari, aumentando di conseguenza la sofferenza del condannato.256 È proprio considerando tale aspetto che si è posto il problema della tutela del diritto

all’affettività del detenuto.257

In caso di impossibilità di un colloquio orale, il direttore dell’istituto può autorizzare una conversazione telefonica della durata massima di dieci minuti (in questo caso la prescrizione è analoga a quella relativa agli altri detenuti) che viene registrata.

253 Cfr. A. PUGIOTTO, Criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, cit., p. 65. 254 Cfr. P. CORSO (a cura di), Manuale dell’esecuzione penitenziaria, cit., p. 217. 255 Cfr. ivi, p. 225.

256 «Un sistema che priva di tutto, anche di un semplice abbraccio, di un semplice bacio con mio papà. Io non ho toccato la mano al mio papà per sette anni, questo ha distrutto anche il nostro rapporto […]». Queste sono le parole di Francesca, figlia di Tommaso Romeo, un detenuto che ha passato anni in regime di carcere duro. Cfr. Ristretti orizzonti, 1/2017, p. 28.

257Si tratta del diritto del detenuto a coltivare relazioni affettive con il proprio nucleo famigliare e, più specificamente, a intrattenere relazioni sessuali con il proprio partner. Più ampiamente cfr. supra, paragrafo 2.4

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Questo però è possibile, inspiegabilmente, solo dopo sei mesi di applicazione del regime. 258

Vi sono limiti anche per quanto riguarda la corrispondenza, che deve essere sempre sottoposta a controllo, a meno che sia indirizzata a membri del parlamento o ad autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia.

I detenuti in regime di 41bis inoltre possono permanere all’aperto per non più di due ore al giorno, in gruppi comunque mai superiori a quattro persone, e hanno solo un’ora al giorno per svolgere attività ricreative e sportive.259

Si aggiungono poi una serie di prescrizioni che appaiono vessatorie e difficilmente comprensibili260: ad esempio i detenuti non possono cucinare, non possono appendere fotografie, non possono ricevere giornali locali afferenti all’area geografica di provenienza, subiscono delle restrizioni relative all’abbigliamento che invece non sono previste per gli altri detenuti (come il divieto di pantaloncini corti all’esterno della cella).261

L’ultima circolare del D.A.P.262 specifica che in ogni caso, nonostante le varie restrizioni, non è pregiudicato il diritto dei detenuti a svolgere attività lavorativa, a frequentare i corsi scolastici e a ricevere assistenza spirituale.263

È evidente che l’ergastolo ostativo associato al c.d. carcere duro aumenta fortemente l’afflittività della pena da scontare: il detenuto è costretto ventidue ore al giorno in cella, le restanti due ore possono essere trascorse, alternativamente, in socialità o

258 Cfr. P. CORSO (a cura di), Manuale dell’esecuzione penitenziaria, cit., p. 225. 259 Cfr. V. MANCA, Il DAP riorganizza il 41bis, in Dir. pen. cont., 6 novembre 2017, p. 1.

260 G. COLOMBO in G. COLOMBO, P. DAVIGO, La tua giustizia non è la mia, Milano, 2016, p. 87. 261 Cfr. ivi p. 87 e V. MANCA, Il DAP riorganizza il 41bis, cit., p. 1 ss.

262 Circolare 3676/6126, 2 ottobre 2017, in Dir. pen. cont. 263 Cfr. V. MANCA, Il DAP riorganizza il 41bis, cit., p. 1 ss.

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svolgendo attività trattamentali.264 Questa situazione sicuramente incide negativamente sulla disponibilità del detenuto, privato di qualunque aspettativa, a collaborare nel percorso rieducativo. A questo proposito il condannato all’ergastolo Guido De Liso ha raccontato: «In questi anni io ho avuto la fortuna di incontrare una persona coraggiosa, un’insegnante, una ragazza calabrese, Francesca, lei è stata testarda, testarda peggio di me, mi ha invogliato ad andare a scuola in carcere, in realtà non sapevo a cosa potesse servirmi la scuola, io passavo ventidue ore al giorno chiuso dentro, dentro a una cella da solo, questa scuola non sapevo a cosa mi serviva, non mi serviva fuori figuriamoci in carcere, però la sua insistenza mi ha portato ad accettare questa cosa e l’ho accettata perché, nel carcere dove vivevo, un po’ la presenza di questa insegnante mi procurava problemi, mi faceva sentire diverso da quello che ero in quel luogo, da quello che eravamo un po’ tutti, così ho accettato con la speranza che mi conoscesse e mi allontanasse addirittura. In realtà era stata più testarda di me, alla fine mi ha fatto scoprire la bellezza della scrittura, della lettura […]».265

Se anche il detenuto fosse disponibile a compiere un cammino rieducativo, le restrizioni rigide cui deve sottostare rendono comunque più difficoltoso il suo percorso: «ho solo un’ora alla settimana, e io ho bisogno che la professoressa mi stia vicino, se no da solo faccio errori e dimentico tutto».266

Si può quindi pienamente comprendere l’affermazione, già citata, per cui i detenuti all’ergastolo ostativo finiscono per subire un «fenomeno di triplo schiacciamento»:

264 Cfr. V. MANCA, Il DAP riorganizza il 41bis, cit., p. 1 ss.

265 G. DE LISO, Ho paura che il mio ergastolo, la mia condanna, possa ammazzare anche i sogni di mia

figlia, in Ristretti orizzonti, 1/2017, p. 18.

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in quanto condannati all’ergastolo, in quanto esclusi dall’accesso a qualsiasi beneficio penitenziario e in quanto spesso sottoposti al regime del carcere duro.267

E allora è lecito chiedersi «che cosa fare per assecondare i pochi […] che provano a risalire dal pozzo e come la lumachina tenace, vengono ributtati giù appena si affacciano all’orlo?»268

Il rischio di un’esecuzione della pena così rigida è che il condannato non pensi alla sofferenza che ha arrecato agli altri, ma piuttosto alla sofferenza che viene arrecata a lui: vi è quindi il pericolo che si capovolgano i ruoli e che egli da colpevole finisca per considerarsi vittima, senza compiere, invece, un «ripensamento critico del suo passato».269