6. Le possibilità di reinserimento sociale per i condannati all’ergastolo
6.1 Quale reinserimento per i condannati all’ergastolo ostativo ?
Come già più volte sottolineato, il condannato all’ergastolo ostativo, che non collabori con la giustizia ai sensi dell’articolo 58ter Ord. Pen., non può accedere alle misure alternative alla detenzione (e quindi alla semilibertà), ai permessi premio, al lavoro all’esterno e alla liberazione condizionale.
Egli, quindi, può ottenere esclusivamente la concessione dei c.d. permessi di necessità disciplinati dall’articolo 30 dell’Ordinamento Penitenziario. Tali permessi non sono però propriamente uno strumento di reinserimento sociale: possono essere accordati in caso di imminente pericolo di vita di un famigliare o convivente o, più in generale, per eventi famigliari di particolare gravità. Quindi sono legati a situazioni peculiari ed eccezionali, che potrebbero anche non verificarsi, e non dipendono dal comportamento tenuto dal soggetto nel corso del trattamento rieducativo.307
È stato osservato, in dottrina, come i permessi di necessità costituiscano uno strumento in grado di umanizzare l’ergastolo ostativo.308 Da questo punto di vista appare estremamente importante una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione309, con cui si è affermato, proprio invocando il principio di umanizzazione della pena sancito dall’articolo 27 c. 3 Cost., che, nel valutare la domanda di concessione del permesso, bisogna considerare la sua natura inusuale ed eccezionale. Il presupposto non è necessariamente una situazione negativa o
307 Cfr. P. CORSO (a cura di), Manuale dell’esecuzione penitenziaria, cit., p. 161. Qualche difficoltà è sorta in relazione all’interpretazione della seconda ipotesi di concessione di tali permessi relativa alle situazioni famigliari di particolare gravità, data la sua genericità. Bisogna fare riferimento all’eccezionalità della situazione che deve, inoltre, essere collegata alla vita famigliare (sia legale che di fatto). Cfr. G. LA GRECA, sub art. 30, in F. DELLA CASA (a cura di), Ordinamento penitenziario
commentato, cit., 378.
308 P. COMUCCI, Sulla natura trattamentale dei permessi di cui all’art. 30 ord. penit., in Foro
ambrosiano, 4/2005, Milano, p. 468 ss.
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drammatica ma assume, più che altro, rilievo l’impatto che l’evento ha sulla vita e sulla situazione famigliare del condannato. Quindi, nel caso di specie, la Corte si è pronunciata favorevolmente alla concessione del permesso per consentire al soggetto richiedente di assistere alla nascita del figlio.310
Sicuramente è rilevante l’attenzione dimostrata per i diritti del detenuto, rimane però il fatto che l’esclusione dagli altri benefici non permette di attuare, nei confronti degli ergastolani detenuti ex art. 4bis Ord. Pen., un vero e proprio trattamento rieducativo che tenda al reinserimento sociale degli stessi (come invece prescriverebbe non solo la Carta costituzionale ma anche l’articolo 1 della l. 354): non si consente al condannato di uscire dall’istituto per coltivare interessi culturali, di istruzione o anche solo di lavoro.
Carmelo Musumeci, riguardo a questo, scrive: «Mi viene in mente che sono stanco di stare in carcere. E vivo, o anche morto, vorrei finalmente uscire. Spero vivo, anche se è da folli aspettare un giorno che non arriverà mai. Vivere così, senza speranza, è una tortura infinita. Penso che non ci sia poi tanta differenza tra la pena di morte e la pena dell’ergastolo. Il condannato a morte attende la sua ultima alba per uscire dalla vita, mentre l’ergastolano senza scampo aspetta il suo ultimo giorno di vita per uscire dal carcere».311
O ancora: «Luciano è nato il 9 gennaio del 1971. Ed è stato arrestato il 20 novembre del 1991. All’età di vent’anni. Mi aveva confidato che quando era stato condannato alla pena dell’ergastolo pensava che, nonostante tutto, non era ancora morto. Credeva che un giorno avrebbe potuto uscire in permesso. Forse in semilibertà. E
310 Sul punto cfr. L. AMERIO, 41bis e permessi di necessità: “il carcere duro” non può impedire al
detenuto di essere presente alla nascita del figlio, in Giur. pen. web, 7 novembre 2017.
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male che andava in liberazione condizionale. […] Adesso, invece, dopo vent’anni di carcere è stato condannato un’altra volta. Questa volta senza speranza. Ha ricevuto la risposta del magistrato di sorveglianza che non potrà uscire, né ora né mai. […] Luciano sa che se non collaborerà con la giustizia, se al suo posto non ci metterà un altro, non uscirà più dal carcere. Luciano non ha più sogni. Li ha finiti tutti».312
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CAPITOLO III
PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA’ DELL’ERGASTOLO E PROSPETTIVE DI RIFORMA
1. L’ergastolo e la finalità rieducativa
L’articolo 27 c. 3 della Costituzione afferma che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Il problema della compatibilità dell’ergastolo con la funzione rieducativa è da sempre1 uno dei più discussi profili di incostituzionalità della pena perpetua: se per rieducazione si intende non il ravvedimento interiore del reo, ma la «acquisizione della capacità di vivere nell’ambiente sociale» non è chiaro come tale finalità possa essere perseguita attraverso una pena indeterminata.2
Negli anni ’70, poco prima di essere sequestrato dalle Brigate Rosse, Aldo Moro pronunciava, rivolto ai suoi studenti, parole che ancora oggi appaiono estremamente attuali: «L’ergastolo […], privo com’è di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano, non meno di quanto lo sia la pena di morte».3
A distanza di quarant’anni, tuttavia, la presenza dell’ergastolo nel nostro ordinamento non sembra suscitare indignazione, mentre prevalgono la richiesta di sicurezza e il bisogno di tranquillità. Questa pena è diventata, più di ogni altra cosa, una sanzione simbolica tanto che si è parlato dell’ergastolo come «placebo».4 Sono
1 Già pochi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione cominciarono ad essere avanzati dubbi in tal senso: cfr. F. CARNELUTTI, La pena dell’ergastolo è costituzionale?, in Riv. dir. proc., 1956, p. 1 ss.
2 G. FIANDACA, Commento all’articolo 27 comma terzo della Costituzione, cit., p. 309.
3 A. MORO, Lezione 13 gennaio 1976. Cfr. S. ANASTASIA, F. CORLEONE (a cura di), Contro l’ergastolo, Roma, 2007, p. 137.
4 Cfr. S.ANASTASIA, F. CORLEONE, Le buone e tenaci ragioni per l’abolizione dell’ergastolo, cit., p. 11 e 12.
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state avanzate alcune proposte di abolizione della reclusione perpetua, proponendo di sostituirla con pene detentive estremamente lunghe, di trenta o quarant’anni, tuttavia considerare sanzioni di questo genere come totalmente diverse rispetto all’ergastolo costituisce una vera e propria «frode delle etichette».5
L’ergastolo, nella previsione codicistica, appare come una pena eliminativa, anche se non in senso fisico, perché è volta ad escludere per sempre il soggetto condannato dalla comunità sociale.6 Non appare possibile fornire un’interpretazione della finalità rieducativa in modo da renderla compatibile con una pena usque ad mortem: ritenere che la sanzione debba perseguire l’obiettivo della redenzione morale sarebbe in contrasto con i principi fondamentali dello Stato di diritto che si regge sul rispetto della sovranità della persona e sulla separazione tra diritto e morale. L’unico significato cui si può ricondurre l’espressione costituzionale è quello di reinserimento sociale o di recupero sociale.7
Questo significa che la condanna non deve essere un «punto di arrivo», ma anzi un punto «da cui ripartire».8 Si può dire che la rieducazione «vieta alla pena di essere solamente pena».9 Quindi una sanzione che sia esclusivamente retributiva non può essere inflitta né minacciata, ma anzi deve essere sempre perseguito l’obiettivo della reintegrazione del condannato nella società.10 E non si può pensare che i costituenti, affermando che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, intendessero riferirsi esclusivamente agli autori di delitti bagatellari.11
5 G. MARINUCCI, Politica criminale, cit., p. 79.
6 L. FERRAJOLI, Ergastolo e diritti fondamentali, cit., p. 81. 7 Cfr. ivi, p. 83.
8 G.M. FLICK, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale, in
Dirittopenitenziarioecostituzione.it, 2012, p. 198.
9 E. FASSONE, Fine pena: ora, cit., p. 71.
10 Cfr. A. PUGIOTTO, Una quaestio sulla pena dell’ergastolo, cit., p. 2.
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Nel caso dell’ergastolo, tuttavia, il problema della rieducazione non sembra neppure porsi dal punto di vista edittale. Si nega al condannato ogni possibilità di reinserimento sociale: questo avviene a priori perché la valutazione del legislatore, in quanto tale, non si basa sull’osservazione della personalità del singolo detenuto, ma esclusivamente sulla gravità del reato commesso.12
Nessuno può invece essere considerato, ex lege, come irrecuperabile: la Costituzione impone di partire dal presupposto per cui tutti possono cambiare, tutti possono essere rieducati, «c’è dentro ognuno qualcosa di buono che può e deve essere illuminato».13 Quindi l’ordinamento deve porre le condizioni per cui tutti gli ergastolani recuperino la libertà: la pena non può mai essere concepita come slegata da qualsiasi prospettiva di reinserimento sociale.14
Nessuno è mai tutto in un gesto che compie: la sanzione deve cercare di valorizzare gli aspetti positivi del carattere del soggetto e indurlo a un ripensamento critico del proprio passato che lo porti a un comportamento maggiormente rispettoso della legge penale. La parola tendere, che compare nell’articolo 27 c. 3 Cost., non implica affatto che la rieducazione debba essere uno scopo sussidiario della pena, ma significa, al contrario, che questo è un obiettivo che deve essere sempre perseguito. Tuttalpiù vi possono essere delle situazioni in cui non potrà essere raggiunto, perché è in ogni caso necessario rispettare il diritto di autodeterminazione del detenuto, che è libero di aderire o meno alle offerte rieducative.15
12 Cfr. S.ANASTASIA, F. CORLEONE, Le buone e tenaci ragioni per l’abolizione dell’ergastolo, cit., p. 12 e G.M. FLICK, Ergastolo: perché ho cambiato idea, in Ristretti orizzonti, 1/2017, p. 20 ss.
13 A. MORO, Bisogna sapere che le persone possono cambiare, in Ristretti orizzonti, 1/2017, p. 2. 14 L. RISICATO, La pena perpetua tra crisi della finalità rieducativa e tradimento del senso di umanità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 1254.
15 Cfr. A. PUGIOTTO, Il volto costituzionale della pena, cit., p. 2 e 3. In questo senso si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza 313/1990. Cfr. Consulta OnLine.
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Concludendo, prima di esaminare la giurisprudenza sul punto, mi sembrano estremamente appropriate le parole di Andrea Pugiotto: «nessuna persona è mai soltanto nel suo errore […] Distinguere l’errore dall’errante è uno sforzo cui dovremmo applicarci sempre, se non altro per una forma di altruismo interessato, perché nella vita tutti facciamo esperienza dell’errore (e molti dell’orrore). E nessuno ne uscirebbe bene se fosse ricordato esclusivamente per la cosa peggiore che ha fatto».16
Allora l’ergastolo, al meno dal punto di vista edittale, non appare coerente con l’articolo 27 della Costituzione proprio perché nega questo aspetto dell’uomo e lo condanna a una reclusione a vita, o da un’altra prospettiva fino alla morte, considerando esclusivamente il reato commesso e senza offrigli la possibilità di un cambiamento.