Già pochi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana cominciarono a sorgere dubbi circa la conformità della pena dell’ergastolo con il finalismo rieducativo, tanto che della questione venne investita anche la suprema Corte di Cassazione che concluse per la sua infondatezza affermando che un ipotetico temperamento della pena avrebbe potuto essere preso in considerazione «dagli organi legislativi dello Stato, nella esplicazione di quella che è lor propria competenza».93
Nel corso degli anni ’50 molti studiosi di diritto penale discussero di questo tema: nel corso di un convegno a Venezia si arrivò a concludere per l’incompatibilità dell’ergastolo con il dettato costituzionale, mentre in un successivo convegno a Perugia, nel settembre del 1956, la pena venne prevalentemente considerata legittima, purché fosse introdotta la possibilità della liberazione condizionale. Due anni dopo, nel 1958, si tenne a Roma un congresso per la riforma del sistema penale e penitenziario, durante in quale furono avanzate alcune proposte di intervento tra cui riduzione dei casi di ergastolo e «umanizzazione» del trattamento penitenziario dei condannati all’ergastolo (con riferimento in particolare all’isolamento diurno, all’ammissione al lavoro all’aperto e alle proposte di grazia).94
93 Ordinanza 16 giugno 1956, sez. unite penali. Sul punto cfr. M. PISANI, La pena dell’ergastolo, cit., p. 590.
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Le istanze di riforma furono accolte infine dal legislatore con la L. 25 novembre 1962, n. 1634, recante “Modificazioni alle norme del codice penale relative all’ergastolo e alla liberazione condizionale”.
L’articolo 1 modificava l’articolo 22 c.p. statuendo che il condannato all’ergastolo potesse essere ammesso tout court al lavoro all’aperto senza che vi fosse più la condizione di aver scontato «almeno tre anni di pena». Contestualmente veniva abrogata la previsione dell’esecuzione dell’ergastolo in una colonia o in un altro possedimento d’oltre mare.95
L’articolo 2 riformava la disciplina dettata per il concorso di reati dall’articolo 72 c.p.: in caso di concorso di reati comportanti la pena dell’ergastolo, si continuava a comminare l’ergastolo96, accompagnato dall’isolamento diurno da sei mesi a tre anni, mentre nella diversa ipotesi di concorso di delitti puniti con l’ergastolo e delitti puniti con pene detentive temporanee superiori a cinque anni era ridotta la durata dell’isolamento diurno da due a diciotto mesi.97
Nessuna modifica invece per la previsione dell’articolo 73 c. 2 , che prevedeva l’ergastolo semplice, ovvero senza isolamento diurno, nel caso di concorso di più delitti ciascuno dei quali punito con la reclusione non inferiore a ventiquattro anni.98
La maggiore innovazione della L. del 1962 fu senza dubbio quella relativa alla liberazione condizionale, disciplinata dall’articolo 176 c.p.. Innanzitutto fu modificato il presupposto generale per la concessione della misura: non venivano più richieste le generiche «prove costanti di buona condotta», ma si esigeva un
95 Cfr. M. PISANI, La pena dell’ergastolo, cit., p. 592.
96 Il primo comma dell’articolo 72, che nella sua versione originaria disponeva per questa ipotesi la pena di morte, era stato così modificato dal d.l. 22 gennaio del 1948, n. 21.
97 Cfr. M. PISANI, La pena dell’ergastolo, cit., p. 592. Originariamente invece l’articolo 72 c. 2 fissava la durata dell’isolamento da sei mesi a quattro anni.
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comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento del condannato. Si cercava così di rendere l’istituto più inerente alle previsioni costituzionali: il beneficio, a partire da questo momento, viene accordato soltanto a chi abbia acquisito, partecipando all’opera di rieducazione, la capacità di reinserirsi nella società, senza il pericolo di commissione di altri reati.99
Accogliendo le proposte avanzate da parte della dottrina si giunse poi finalmente ad ammettere alla liberazione condizionale anche il condannato all’ergastolo, a condizione che avesse scontato effettivamente100 almeno ventotto anni101 di pena (art. 176 c. 3 c.p.).102 La concessione del beneficio rimaneva peraltro sempre subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato (salvo che il condannato dimostrasse l’impossibilità di adempierle).
In caso di ammissione dell’ergastolano alla liberazione condizionale l’articolo 177, contestualmente modificato, stabiliva l’estinzione della pena e la revoca delle misure di sicurezza personali una volta che fossero decorsi cinque anni103 senza che fosse intervenuta alcuna causa di revoca del beneficio104.
99 Sembra infatti questo il significato da attribuire all’espressione «sicuro ravvedimento». Sul punto cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, cit., p. 855.
100 L’opinione prevalente riteneva che dovesse aversi riguardo alla pena inflitta dal giudice, senza considerare le eventuali riduzioni per indulto o grazia. Cfr. V. GREVI, Riduzioni di pena e liberazione
condizionale per i condannati all’ergastolo, in Riv. it. dir. e proc. pen, 1978, p. 80. Nel 1986 la c.d.
legge Gozzini ha modificato l’art 176 c.p. eliminando l’avverbio «effettivamente».
101 Con la c.d. legge Gozzini, nel 1986, l’articolo 176 c.p. sarà nuovamente modificato, diminuendo il periodo di pena da scontare a ventisei anni.
102 Sul punto cfr. M. PISANI, La pena dell’ergastolo, cit., p. 593. Nel corso di un convegno svoltosi a Milano nel 1958 sotto la presidenza di De Nicola si era proposto di subordinare la concessione della liberazione condizionale per il condannato all’ergastolo all’espiazione della massima pena della reclusione prevista dall’ordinamento (quindi trent’anni). Cfr. ivi, p. 591.
C’era poi chi aveva suggerito di considerare, nel calcolo della pena scontata, anche l’età del condannato, per evitare che fossero esclusi dal beneficio i detenuti di età avanzata. Cfr. ivi, p. 593, nota 40.
103 Mentre per i condannati a pena detentiva diversa dall’ergastolo era necessario un periodo pari alla durata della pena inflitta.
104 Cfr. M. PISANI, La pena dell’ergastolo, cit., p. 593. L’articolo 177 prevede la revoca del beneficio della liberazione condizionale se la persona condannata commette un delitto o contravvenzione della stessa indole, trasgredisce agli obblighi inerenti la libertà vigilata. In questi casi si stabiliva che il condannato non poteva essere riammesso alla liberazione condizionale, ma la Corte
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