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7.3) Un esempio di eterostruttura graduata a basso fattore di rumore in eccesso

Esaminiamo adesso una struttura che consente di inibire fortemente la capacità delle fotolacune di provocare ionizzazioni per impatto, e di promuovere i fotoelettroni a tale ruolo, abbattendo così il fattore di rumore in eccesso F(M). Il tutto, inoltre, applicando una tensione inversa di polarizzazione piuttosto bassa. Una struttura simile può essere usata come fotorivelatore indipendente, oppure costituire la regione di moltiplicazione di uno più complesso: ad esempio potrebbe essere, nel visibile o nel medio – lontano infrarosso, la zona di guadagno p di un dispositivo n+/p/π/p+. L’idea su cui si basa il funzionamento è l’alternanza fra zone di accelerazione degli

elettroni e zone di assorbimento dell’energia cinetica che questi aquistano periodicamente. Riferiamoci alla figura 121.

Fig. 121

Diagramma a bande qualitativo di una struttura periodica ad eterogiunzioni, all’equilibrio, in alto, e sottoposta a polarizzazione inversa, in basso, con voltaggio |V| non forte. L’alternanza fra zone di accelerazione degli elettroni, create dalla particolare variazione graduale dell’Egap,

e zone di assorbimento dell’energia cinetica, che gli elettroni aquistano periodicamente, è alla base dei processi di breakdown a valanga innescati dai fotoelettroni caldi. Le fotolacune non producono ionizzazioni da impatto a causa della bassa pendenza di Ev: ciò limita la

rumorosit{ del “superreticolo”.

Lo strato fra x1 e x2 è costituito da In(0.53)Ga(0.47)As, mentre lo strato fra x2 e x1’ è formato da un insieme di

eterogiunzioni così costituite: fra x2 e x3 abbiamo un layer di In(0.53)Ga(0.47)As(1-x)Px, con x molto piccolo, diciamo

tendente a zero, per cui x2 è quasi un’omogiunzione, fra x3 e x4 abbiamo un layer di In(0.53)Ga(0.47)As(1-x)Px, con una

concentrazione di fosforo leggermente maggiore (e quindi di arsenico leggermente minore) di quella che caratterizza il film precedente (x un po’ più alto), e così via, fino ad arrivare al film, che termina presso la sezione x1’, costituito da InP. Durante la crescita dei vari layers da x2 a x1’ anche le concentrazioni di indio e di gallio

diminuiscono, così da garantire una buona compatibilità reticolare attraverso tutto il dispositivo. Questi layers sono cresciuti uno sopra l’altro, a partire dal substrato di In(0.53)Ga(0.47)As, per mezzo della tecnica CBE, ovvero una

particolare MBE, che permette di controllare bene la quantità di materiale crescente. In questo modo è possibile realizzare una transizione graduale da un composto ad un altro in modo da far variare lentamente il gap, evitando la formazione di scalini di energia potenziale per gli elettroni e per le lacune. Dunque si passa lentamente dall’Egap

del In(0.53)Ga(0.47)As a quello maggiore del InP, con la conseguente formazione di una grande barriera ΔEc. La

distanza fra x2 e x1’ è di 10 – 20 nm. L’intero dispositivo è una periodicizzazione spaziale della configurazione

appena descritta. Tutto il semiconduttore della struttura è drogato di tipo p, come si può notare dalla posizione del livello di Fermi nella banda della struttura in assenza di polarizzazione. La piccola barriera ΔEv è dovuta alla

tenue diffusione di lacune fra una generica sezione xk, compresa fra x2 e x1’, e la succesiva xk+1, conseguentemente

Adesso polarizziamo inversamente questo “superreticolo” con una tensione abbastanza piccola, inferiore a quella con cui abbiamo polarizzato i precedenti SAM – APD, ma tale da rendere negativa la pendenza delle barriere di Ec,

ed osserviamo il comportamento dei portatori fotogenerati. Gli elettroni aquistano energia cinetica all’interno di ciascuna delle zone di accelerazione, alla fine delle quali questi risultano molto energetici, “caldi”. La discontinuit{ di Ec, ovvero il fortissimo campo elettrico interno, localizzato alle interfacce x1’, conferisce ai fotoelettroni caldi

ulteriore energia per innescare una valanga. Questa è formata da fotoelettroni e fotolacune che iniziano a muoversi, come di consuetudine, partendo delle regioni di assorbimento delle energie elettroniche “calde”. La moltiplicazione è unicamente dovuta agli elettroni, incentivata dalla forma di Ec, mentre le lacune primarie e

secondarie procedono senza innescare ionizzazioni. Infatti mentre un fotoelettrone trova, presso una qualunque sezione x1’, una pendeza molto negativa dell’energia potenziale Ec, ovvero un campo elettrico accelerante molto

forte, il quale consente agli elettroni di innescare il breakdown a valanga, presso le stesse sezioni x1’ le fotolacune

trovano una barriera di potenziale Ev ad alta pendenza, ovvero un campo elettrico decellerante molto forte, il

quale rallenta le lacune ed impedisce loro di sfruttare l’energia cinetica, acquistata lungo il layer In(0.53)Ga(0.47)As,

per innescare ionizzazioni da impatto.

Riportiamo brevemente in appendice A il sistema di funzionamento dell’epitassia da fasci molecolari (MBE - “Molecular Beam Epitaxy”), tecnologia che permette l’integrazione nanometrica del superreticolo appena descritto. Inoltre riportiamo, in appendice B, una possibile tecnica per la rivelazione di radiazioni luminose appartenenti all’intervallo di lunghezze d’onda noto come FIR (“Far Infra Red” – “lontano infrarosso”, luce molto poco energetica), mentre, in appendice C, riportiamo una possibile scelta di semiconduttori III – V per la rivelazione di radiazioni ottiche più energetiche di quelle precedenti, ovvero rientranti nell’intervallo spettrale compreso, approssimativamente, tra la luce visibile e quella ultravioletta.

8) I fotomoltiplicatori al silicio (SiPMs – “Silicon Photon Multipliers”)

8.1) La modalità di funzionamento Geiger e la disposizione matriciale dei SAM – APDs

n

+

/p/π/p

+

al silicio

Fin qui abbiamo ipotizzato che gli APD funzionino in “modalit{ proporzionale”, ovvero che il fotosegnale di corrente IL, raccolto sulla resistenza esterna RL, sia direttamente proporzionale al numero di fotoni assorbiti dal

dispositivo, in modo tale che l’ampiezza del segnale elettrico sia proporzionale all’intensit{ ottica incidente Iν. Un

funzionamento simile si verifica per tensioni inverse di polarizzazione |V| comprese fra VBD ed un certo valore di

soglia V* (si osservino le figure 83 e 122). In questo intervallo di tensione il guadagno M è abbastanza piccolo e

garantisce una stretta correlazione fra entit{ dell’evento luminoso (sia in intensità che in frequenza) ed entità della risposta elettrica. Tale relazione si perde per tensioni |V| superiori a V*: sottoposto ad una polarizzazione

inversa così elevata, l’APD aquista un guadagno talmente alto che la corrente di uscita non è più riferibile ad un evento luminoso piuttosto che ad un altro. IL è la stessa in risposta ad un qualunque numero di fotoni assorbiti, e

ciò costituisce il principale problema del funzionamento appena descritto, noto come “modalit{ Geiger non proporzionale”.

Fig. 122

A sinistra riportiamo il grafico logaritmico del fattore di moltiplicazione della densità di corrente M, in funzione del voltaggio inverso |V| applicato ai terminali del fotodiodo SAM – APD di silicio (n+/p/π/p+), riportato a destra. Si notino, nel grafico di M, la regione di

La soluzione consiste nell’usare non più un singolo SAM – APD (prendiamo la struttura in Si n+/p/π/p+), bensì

una matrice costituita da tanti fotorivelatori SAM – APD, chiamati microcelle o pixel, messi in parallelo fra loro e opportunamente connessi. Non appena si verifica un evento luminoso, i suoi fotoni si distribuiscono sulla superficie della matrice di fotodiodi, i quali sono fortemente polarizzati in inversa e tutti funzionanti in modalità Geiger. Ciascuna di queste microcelle, se colpita da uno o più fotoni, produce una valanga, e quindi un segnale elettrico Ipix(t). Tale segnale è più simile ad un impulso digitale che non ad uno analogico (la microcella si

comporta come un counter 1 - 0), dal momento che l’informazione portata dall’eventuale Ipix(t) non possiede

livelli intermedi. Se questa corrente non scorre, in uscita dalla microcella, allora il pixel non ha ricevuto alcun fotone (nessuna valanga innescata), mentre se c’è corrente (un impulso di corrente) allora il pixel ha rivelato della luce. Se la superficie della matrice è sufficientemente ampia, cioè contiene un elevato numero di microcelle, e l’intensit{ luminosa incidente sufficientemente bassa (pochi fotoni), allora è molto improbabile che due fotoni colpiscano la medesima cella, per cui è ragionevole associare a ciascun segnale Ipix(t) l’arrivo di un fotone.

Conoscendo l’entit{ di questa corrente e misurando il segnale totale sul circuito esterno, collegato alla matrice, è possibile risalire al numero di fotoni che hanno colpito l’intera matrice di fotodiodi. La struttura bidimensionale, così funzionante, prende il nome di SiPM. Ne esistono vari modelli, contraddistinti da parametri, dimensioni e applicazioni che adesso descriveremo. In figura 123 riportiamo la foto di un SiPM appartenente ad una delle tipologie più diffuse, interessanti anche per un possibile utilizzo in ambito PET.

Fig. 123

Foto di un SiPM di superficie totale pari a 1mm2, costituito da 400 microcelle (400 GM – APDs, in file di 20), ciascuna di superficie totale pari

a 50x50 µm2. Nell’ingrandimento del singolo pixel sono ben visibili la finestra dielettrica antiriflettente (SiO2), la “resistenza di quenching”

(RQ) e la griglia metallica per la raccolta del fotosegnale totale.

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