In figura 78 riportiamo la sezione e la pianta di un PIN al silicio largamente diffuso (disegni non in scala), ottimizzato per la ricezione di segnali ottici NIR appartenenti alla prima finestra di attenuazione delle fibre ottiche realizzate in silice, nel quale i lati p ed n sono pesantemente drogati, mentre lo strato “intrinseco” di fatto è costituito da Si leggermente drogato di tipo n. L’alto livello di drogaggio di p ed n consente di localizzare la zds interamente presso il layer n-, anche per alti valori della tensione inversa di polarizzazione, oltre ad attenuare le
correnti di diffusione fra quest’ultimo e ciascuna delle due well. Tali correnti sono inessenziali sia perché i fotominoritari, lì generati, ricombinano prima di poter entrare nella zona di campo, sia perché l’intensit{ luminosa assorbita dalle well è trascurabile, in virtù della piccola profondità a cui si trovano le interfacce p+/n- e
n+/n-. L’unica corrente di diffusione apprezzabile è quella delle lacune fotogenerate nella zona neutra di n-
(queste infatti, a causa del drogaggio molto basso, hanno una certa probabilità di diffondere e raggiungere la zds). Tuttavia lo spessore considerevole della zona di campo (d) consente di trascurare la frazione di fotoni incidenti che arriva fino al bulk n-. Il pesante drogaggio delle well rende spessa la zds ed ohmici i contatti con
l’alluminio. La finestra antiriflettente è realizzata con uno strato di silice SiO2. L’ossido, oltre alla passivazione ed
alla diminuzione della riflettività, subita dalla potenza ottica incidente, provvede anche a colmare le vacanze superficiali, attenuando la corrente di leakage ed aumentando la QE del PIN.
Fig. 78
Pianta e sezione di un fotodiodo PIN al silicio, ottimizzato per la ricezione di fotosegnali infrarossi di lunghezza d’onda λ 0.85 µm (ricezione di segnali, ovvero di stringhe di bit, in prima finestra, nel caso in cui il PIN sia connesso ad una fibra ottica in qualità di primo stadio di un ricevitore). A questo scopo sarebbe più indicato un PIN all’GaAs, il quale ha un coefficiente di assorbimento α più alto di quello del Si, per quelle frequenze. Tuttavia il processo realizzativo per il PIN all’GaAs è più complicato e costoso di quello per il PIN al Si.
Riportiamo come esempio alcune grandezze tipiche:
I
d= I
0(
– 1) – I
Lη 1.1, V
T26 mV
Dimensioni zona attiva:
2µm x 10µm
QE = (1 – R)
(1 –
α
-1= 20 µm, con λ = 850 nm
tempo di diffusione delle lacune
tempo di transito
=
costante di tempo =R
LC
d banda=
200 MHz
Fig. 79
Equivalente circuitale, molto semplificato, dell’elettronica di front-end necessaria all’elaborazione del fotosegnale elettrico prodotto dal PIN al Si.
Elenchiamo i passi di processo necessari all’integrazione del dispositivo, partendo da un wafer di Si n-
monocristallino (di tipo CZ, spessore tipico di 700 µm, purificato in più possibile dalle trappole metalliche, mediante gettering intrinseco o estrinseco):
crescita termica di uno strato di ossido (dry o wet) o deposizione CVD dello stesso
Nel caso si opti per la seconda tecnica riportiamo alcune delle reazioni più sfruttate (la scelta è determinata dalla temperatura e dal tipo di forno a disposizione)
o a temperature basse (300 – 450 °C) si sfrutta la reazione del silano con l’ossigeno SiH4 + O2 → SiO2 + 2H2
a temperature medie (650 – 750 °C) si utilizza la decomposizione, a bassa pressione, del tetraetil ortosilicato (TEOS) Si(OC2H5)4
o a temperature alte (oltre i 900 °C) la LPCVD (pressione nel reattore ridotta, diffusione migliore, velocità di crescita del flm maggiore) di diclorosilano ed ossido nitroso
SiH2Cl2 + 2N2O → SiO2 + 2N2 + 2HCl
Quest’ultima produce strati di ossido di qualit{ eccellente, molto simile a quella che caratterizza gli ossidi cresciuti termicamente
deposizione di un film di fotoresist positivo (steso uniformemente mediante centrifugazione, con velocità di spinnaggio di circa 5 103 – 104 giri al minuto, ma che dipende dal tipo di resist impiegato)
precottura del fotoresist (“prebaking”)
Questa serve ad evaporare la maggior parte del solvente del resist, così che la matrice polimerica che lo costituisce e il relativo attivatore fotosensibile aderiscano bene all’ossido
esposizione, alla luce UV, attraverso la maschera 1
La sorgente ultravioletta è costituita, in genere, da una lampada di quarzo contenente vapori di mercurio e xenon. Gli atomi di Hg, dopo essere stati eccitati dalla scarica, emettono (all’atto della diseccitazione)
una luce con λ = 436 nm, mentre gli atomi di Xe ne emettono una con λ = 365 nm. La maschera è una
lastra di quarzo (il quale è trasparente agli UV) di spessore 3mm. Il cromo (opaco agli UV) vi è steso sopra con un film di spessore dell’ordine nei nm, dove imposto dalle geometrie desiderate. Per ottenere
le dimensioni geometriche previste, è necessario che il sistema di condensatori e proiettori ottici siano calibrati al fine di attenuare il problema della diffrazione della luce.
bagno di sviluppo
Consiste nella rimozione del resist esposto alla luce (il quale è divenuto solubile) immergendolo in opportuna soluzione. In quei punti l’ossido non è più protetto.
cottura del resist ("postbaking”)
Serve ad aumentare la resistenza del resist rimasto. Si effettua a temperature intorno ai 110 – 140 °C attacco con acido HF (che è corrosivo per l’ossido ma selettivo verso il Si)
rimozione del resist
diffusione termica di boro (oppure impiantazione ionica dello stesso) per convertire localmente il Si in p+ (l’ossido presenta un coefficiente di diffusione termica praticamente nullo per la maggior parte degli
elementi usati come droganti, boro incluso)
attacco con acido HF per rimuovere tutto l’ossido rimasto crescita di uno strato di ossido termico
stesura di un film di fotoresist precottura
Tempi e temperature di questo passaggio devono tener conto del fatto che adesso ci sono 3 well p+, le cui
concentrazioni di boro non devono subire grossi cambiamenti (a livello di profilo, profondità di giunzione ecc…), possibili a causa della diffusione termica
esposizione agli UV attraverso la maschera 2 bagno di sviluppo
cottura attacco HF
rimozione del resist
diffusione termica di fosforo oppure arsenico (oppure impiantazione ionica), al fine di convertire localmente il Si in n+
attacco HF per rimuovere tutto l’ossido rimasto
crescita di ossido termico o deposizione CVD dello stesso
Le diffusioni termiche precedenti hanno creato well di spessore esiguo (al massimo 4 µm). Ciò è confacente all’esigenza di avere correnti di diffusione, di fotominoritari, quanto più piccole possibili, e quindi di minimizzare la potenza ottica persa. Se utilizziamo l’ossidazione termica, la reazione Si + O2
→ SiO2 (dry), oppure Si + 2H2O2 → SiO2 + 2H2 (wet), provoca la conversione della superficie del Si in
ossido, per una profondità pari a metà (circa) dello spessore finale dello strato di SiO2. Quindi le well, di
per sè molto strette, potrebbero ridursi troppo. È quindi possibile che la CVD, in questo caso, sia da preferire.
stesura del fotoresist precottura
esposizione agli UV attraverso la maschera 3 bagno di sviluppo
cottura
attacco HF (apertura delle 5 finestre) rimozione del resist
deposizione di un film di alluminio mediante tecniche come l’evaporazione termica, quella ad electron – beam oppure mediante sputtering (oggi le ultime 2 sono le più utilizzate).
L’alluminio ha una resistivit{ ( 2.65 µΩcm) maggiore di quella di conduttori come l’oro ( µΩcm) o il rame ( 1.7 µΩcm), ma ha il pregio di aderire molto meglio di questi sia sul Si che sul SiO2.
stesura del fotoresist precottura
esposizione agli UV attraverso la maschera 4 (definizione delle piste di metal) bagno di sviluppo
cottura
attacco acido (corrosivo per l’Al ma selettivo verso il Si)
Fig. 80
Riportiamo le quattro maschere utilizzate durante l’integrazione del PIN al Si, il suo layout (leggermente ingrandito rispetto all’effettiva sovrapposizione delle quattro maschere che lo costituiscono) ed un’immagine del dispositivo ottenuta al microscopio elettronico a scansione.