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Un esempio di recupero di terre e rocce da scavo: lo smarino delle gallerie

Nel documento Il riciclaggio delle pavimentazioni stradali (pagine 113-119)

Capitolo 8 Materie prime secondarie per utilizzo stradale

8.3. Materiale proveniente da terre e rocce da scavo

8.3.2. Un esempio di recupero di terre e rocce da scavo: lo smarino delle gallerie

Una tipologia di materie prime secondarie, può provenire dagli scavi effettuati per le gallerie: il materiale di risulta presenta infatti le stesse opportunità di impiego del corrispondente materiale che si trova in natura, tenendo però in considerazione che possiede caratteristiche iniziali diverse, individuabili ad esempio, nel caso di materiale roccioso, attraverso indagini sui materiali litoidi e sulle formazioni geologiche interessate; queste caratteristiche sono influenzate sia dalla tipologia di scavo che dall’eventuale presenza di minerali pericolosi o contaminanti, e necessitano quindi di differenti processi di trattamento.

L’interesse per il reimpiego di tale risorsa, sia in forma tal quale e sia trasformata in aggregato lapideo, è di assoluta attualità in quanto la disponibilità di materie prime vergini è notevolmente diminuita a seguito del considerevole sfruttamento avvenuto in passato delle risorse naturali: la qualità stessa degli aggregati riciclati prodotti viene accertata mediante l’assegnazione del marchio CE, e ciò conferma le enormi potenzialità di questa tipologia di materie prime secondarie.

In fase preliminare ai fini progettuali ed in fase costruttiva ai fini conoscitivi diretti, vengono effettuate indagini di tipo geognostico (rilievi geologici, geostrutturali, sondaggi, etc), geofisico (da superficie, da sotterraneo, in foro) ed idrogeologico con lo scopo di supportare le scelte in termini di tecnologia di scavo e di scelta del sostegno. Le caratteristiche ricercate nel materiale prima e dopo lo scavo sono di tipo petrografico, geomeccanico, fisico e tecnologico; tra le principali ricordiamo la resistenza meccanica, la deformabilità, la resilienza, l’abrasività, la porosità, la capacità di assorbimento d’acqua, la gelività, la lavorabilità.

Le tecniche di scavo nelle gallerie sono essenzialmente di due tipi:  scavo tradizionale;

 scavo meccanizzato.

Lo scavo tradizionale, o convenzionale, viene generalmente realizzato mediante l’asportazione del terreno per via meccanica tramite l’utilizzo di martelli demolitori, frese meccaniche, benne, oppure attraverso l’abbattimento con esplosivo dei fronti di scavo: la tecnica migliore viene scelta in base alla caratteristiche meccaniche del materiale da scavare.

Nel caso di operazioni meccanizzate, puntuali o a piena sezione, l’asportazione del terreno avviene tramite macchine operatici continue, che avanzano facendo contrasto sulla volta della galleria e che sono rivestite, quando necessario, da uno scudo metallico con lo scopo di garantire la stabilità della volta: sono le cosiddette “talpe meccaniche”.

Fig. 8.14: Esempio di “talpa meccanica”

Successivamente lo smarino, dopo essere stato condotto fuori dalla galleria, viene depositato o in apposite aree all’interno del cantiere, o trasportato in siti prescelti per lo stoccaggio provvisorio e per la caratterizzazione, secondo quanto previsto dalla legge L. 443/2001, meglio conosciuta come Legge Lunardi [48].

Il riutilizzo dello smarino può essere condizionato da varie fonti di inquinamento, e tra le principali ricordiamo gli interventi di stabilizzazione, la tecnologia di scavo, o cause esterne.

In particolare il pre-sostegno della volta, che avviene generalmente mediante centine metalliche spruzzate con del calcestruzzo proiettato (spritz beton), produce dei materiali di sfrido, che possono inquinare il terreno scavato (smarino).

Gli interventi di consolidamento, hanno lo scopo di migliorare le caratteristiche meccaniche del terreno prima dello scavo, attraverso l’iniezione di malte cementizie oppure la messa in opera di chiodature. Le malte, di per sé, sono materiali inerti, quindi non inquinanti, ma possono contenere resine chimiche, additivi o silicati, utilizzati per migliorarne l’efficienza. Le chiodature, realizzate in vetroresina, possono contribuire invece all’inquinamento dello smarino solo quando sono applicate al fronte dello scavo. Un’ulteriore fonte di inquinamento può nascere da cause esterne, come ad esempio il traffico veicolare su una strada vicina (o sulla stessa strada nel caso si tratti di un intervento di allargamento) oppure altre attività produttive situate nella zona limitrofa. Nel caso si utilizzi una tecnica di scavo con esplosivo, i residui della combustione possono contaminare lo smarino.

organiche, rifiuti ed agenti contaminanti, come ad esempio amianto, uranio, radon; in questi casi si adotteranno delle ben precise procedure operative [23].

Secondo l’attuale classificazione dei materiali con amianto, ad esempio, le rocce e le terre derivanti da scavo di gallerie non sono considerati rifiuti fino a quando la concentrazione di sostanza inquinante o pericolosa non si pone al di sopra di un certo limite consentito dalla legge; in caso contrario lo smaltimento del materiale di risulta dovrà essere realizzato in accordo con la normativa sui rifiuti speciali, tossici e nocivi. Nel caso di scavi in presenza di ammassi rocciosi con minerali uraniferi, invece, dovrà essere eseguito il controllo con spettrometria gamma del materiale roccioso frantumato (smarino) mirato a valutare quantitativamente il contenuto di radioattività del materiale stesso, prima che questo sia allontanato dalla galleria; può anche essere presente il Radon, originato dai minerali uraniferi della crosta terrestre.

Una volta che ci si è accertati che non si tratti di rifiuti pericolosi, i suddetti materiali possono essere riutilizzati con ricollocazione in altro sito per reinterri, riempimenti, ad esempio di cave coltivate, rilevati e macinati ed altri impieghi, ma solo dopo una preventiva analisi delle proprietà fisiche e meccaniche dello smarino tal quale, e dopo l’esito favorevole delle prove di laboratorio, che comprendono l’analisi granulometrica e la determinazione delle caratteristiche meccaniche (contenuto d’acqua, limite liquido e limite plastico, prove di compattazione), dopo eventuali trattamenti di frantumazione e vagliatura. Non è sempre possibile infatti il riutilizzo nell’ambito del cantiere di produzione, perché la tipologia di opera/lavoro non prevede l’uso dei materiali prodotti, o perché non è detto che le prescrizioni di progetto consentano il riutilizzo degli stessi.

8.3.3 Normativa relativa alle terre e alle rocce da scavo

Relativamente alle terre e alle rocce da scavo, l’art. 186 del Testo Unico in Materia Ambientale, attenendosi alle indicazioni contenute nell’art. 8 (comma 1, lettera f-bis), del D. Leg.vo 22/1997, ribadisce che il materiale proveniente anche da gallerie ed i residui di lavorazione della pietra non sono da considerarsi rifiuti se destinati all’effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, “e sono, perciò,

esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a

valutazione di impatto ambientale secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente, ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle Province autonome per la protezione dell’ambiente”, sempre che la concentrazione di inquinanti non superi i limiti di

accettabilità stabiliti dalle norme vigenti [48].

Tale condizione implica però che non vi sia una trasformazione preliminare del materiale scavato, e che si verifichi l’effettivo riutilizzo secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA o, qualora non sottoposto a VIA, almeno secondo il progetto autorizzato da autorità competente, previo parere dell’ARPA.

In questo caso quindi non è necessaria l’osservanza delle condizioni previste per i depositi temporanei, né l’autorizzazione per il deposito preliminare. Per trasformazione preliminare deve intendersi, ad esempio, un qualsiasi trattamento che abbia lo scopo di alterare il contenuto medio degli inquinanti, oppure anche la semplice operazione di vagliatura finalizzata ad ottenere da un ammasso più amassi aventi percentuali di inquinanti diverse rispetto a quello originario.

Non sono invece da intendersi come trasformazioni preliminari, ad esempio, la vagliatura, il lavaggio, la riduzione volumetrica, l’essiccazione di materiale mediante stendimento al suolo ed evaporazione, oppure la stabilizzazione geotecnica mediante trattamento a calce o a cemento.

La frequenza della verifica del rispetto dei limiti va condotta ogni qualvolta si verifichino variazioni del processo di produzione o della natura dei materiali di scavo (art. 186, comma 4) [48].

Qualora, al momento della produzione delle rocce e terre non sia possibile il loro immediato riutilizzo, l’art.186, comma 8, prevede che queste si possano conservare in un apposito sito, anche esterno al luogo di produzione, indicando tipologia e quantitativo del materiale, per un periodo massimo di 6 mesi con possibilità di proroga. Come limiti massimi di concentrazione di inquinanti, continuano ad essere validi i valori indicati nell’Allegato 1, tabella 1, colonna B, del D.M. 471/1999, “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del D. Leg.vo 5.2.1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”.

Delle importanti novità sono state apportate con il D. Lgs. n. 04/2008, che modifica profondamente l’articolo 186, prevedendo a tutti gli effetti una nuova modalità di gestione delle “Terre e Rocce da Scavo”, relativamente a tutte attività che comportano

l’allontanamento degli stessi, nonché il ricevimento di materiali per il reinterro [48]. La normativa in questione presenta i seguenti aspetti fondamentali:

 La competenza per le verifiche è Comunale, fermo restando la possibilità di richiedere parere ad ARPA per i casi complessi o ritenuti tali: la responsabilità della gestione ricade ora sugli attori coinvolti a vario titolo nello scavo e nella movimentazione delle terre e delle rocce che ne derivano.

 Per ogni tipologia di lavoro che richieda scavi o riporti di qualsiasi natura, il Progettista dovrà produrre il cosiddetto progetto di gestione delle terre e rocce

da scavo, formato da una relazione tecnica, un elaborato grafico, eventuali

analisi di campioni a sostegno del progetto, prospetto informativo e dichiarazioni.

 La relazione tecnica dovrà dimostrare:

 che il materiale sia impiegato direttamente per opere o interventi preventivamente individuati e definiti;

 sin dalla fase della produzione vi sia certezza del suo utilizzo integrale;  l’impiego integrale del materiale destinato al riutilizzo sia possibile senza un

preventivo trattamento o qualsiasi trasformazione che ne alteri i requisiti merceologici e di qualità ambientali, affinché possa spontaneamente rientrare nei limiti di legge consentiti, in relazione alle emissioni e agli impatti ambientali per il sito nel quale verranno utilizzate;

 sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;

 sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica;

 le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità dell’ambiente interessato, nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non sia contaminato, ma compatibile con il sito di destinazione;  sia dimostrata la certezza dell’utilizzo integrale.

Si ricorda inoltre che il D. Lgs. 152/2006 aveva previsto alcune semplificazioni amministrative delle procedure per i cantieri di piccole dimensioni (<6000 m3); purtroppo con l’entrata in vigore del nuovo Decreto, non ci sono eccezioni per i piccoli cantieri, pertanto la procedura deve ritenersi valida per qualsiasi attività di

movimentazione di materiale di scavo, fatto salvo il caso in cui si proceda al “riutilizzo in sito”.

Un’altra importante novità è stata apportata col D.L. n.185/2008, art.20, successivamente convertito in legge n.2/2009, che inserisce tra i materiali esclusi dall’applicazione della disciplina sui rifiuti (art.185 del D.lgs. 152/06), le terre e rocce da scavo non contaminate utilizzate nel sito di produzione; detti materiali non costituiscono quindi rifiuto e conseguentemente non sarà più necessario prevedere la redazione di un espresso progetto.

Nel caso invece in cui il materiale sia utilizzato al di fuori del cantiere di produzione, continuano ad applicarsi le regole della normativa vigente.

Nel documento Il riciclaggio delle pavimentazioni stradali (pagine 113-119)