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Stabilizzazione in sito

Nel documento Il riciclaggio delle pavimentazioni stradali (pagine 122-130)

Capitolo 8 Materie prime secondarie per utilizzo stradale

8.4. Materiale recuperato in sito

8.4.2. Stabilizzazione in sito

identificano con gli “strati legati”, può interessare anche strati più profondi, normalmente “non legati”.

Ricordiamo brevemente che il pacchetto stradale è formato da uno strato di usura, uno strato di binder o di collegamento, e uno strato di base, costituiti da materiale legato, nello specifico con legante bituminoso (che per lo strato di base di una pavimentazione semirigida sarà invece di tipo cementizio); lo strato di fondazione successivo è invece formato da materiali inerti non legati.

Il riciclaggio in profondità è la tecnica più utilizzata nel caso in cui si debba effettuare un intervento strutturale, ossia di consolidamento di pavimentazioni preesistenti e deteriorate, con strati sovrastanti più o meno sottili: si parlerà in questo caso di “stabilizzazione in sito”.

Tecnicamente per stabilizzazione si intende un processo di trattamento che prevede l’apporto di leganti artificiali e/o naturali in modo che si abbia una modifica delle proprietà chimiche, fisiche e meccaniche del materiale trattato, ma soprattutto che siano durevoli nel tempo.

Negli ultimi anni si stanno diffondendo tecniche di stabilizzazione che prevedono l’utilizzo di leganti bituminosi, come emulsione e bitume schiumato, o idraulici, come calce e cemento, che possono essere combinati tra di loro o utilizzati singolarmente: avremo quindi stabilizzazioni con calce, con cemento, ma anche con calce-cemento, emulsione-cemento, bitume schiumato-cemento [16].

Relativamente all’analisi delle modalità operative dell’intervento, le stabilizzazioni vengono realizzate con macchine operatrici semoventi, che disposte in successione formano dei veri e propri treni, che svolgono tutte le fasi della lavorazione, dalla scarifica della vecchia pavimentazione alla compattazione dello strato finale (vedi “Treno di riciclaggio: composizione e modalità esecutive”, par. 6.3).

La scelta del tipo di stabilizzazione da effettuare, viene presa in base alle caratteristiche della fondazione e del terreno di sottofondazione, ai macchinari a disposizione, alle possibilità di reperimento dei leganti da utilizzare, ma soprattutto al risultato finale che si vuole raggiungere: lo scopo è quello di migliorare le caratteristiche meccaniche dei materiali (soprattutto in termini di resistenza e portanza) che dimostrano scarse qualità per l’utilizzo a cui sarebbero destinati.

La tecnica della stabilizzazione a calce viene utilizzata in presenza di terre incoerenti o scarsamente portanti, tipicamente argillose, per conferire loro un miglioramento delle caratteristiche meccaniche.

Grazie all’uso di questo tipo di legante diminuisce, difatti, l’indice di plasticità, si verifica un miglioramento delle caratteristiche meccaniche (sfruttando soprattutto l’interazione tra le particelle umide dell’argilla e la calce), si riducono marcatamente i fenomeni di rigonfiamento ed essiccamento conseguenti alle variazioni di umidità, migliorano le caratteristiche di resistenza (soprattutto a taglio e a fatica) e aumenta la capacità portante del piano trattato (grazie anche allo sviluppo della reazione di idratazione della calce che porta ad un indurimento dell’impasto), sia a breve sia a lungo temine, sotto le azioni cicliche veicolari anche in presenza di acqua.

Il campo di applicazione è molto esteso: con la stabilizzazione a calce si interviene per migliorare le condizioni di strade di campagna, le capacità portanti dei piani di posa dei rilevati stradali, per la costruzione del corpo stradale, per sottofondi (formazione e risanamento) e per fondazioni stradali (formazione e risanamento) [6].

Fig. 8.15 - 8.16: Macchinari per la stabilizzazione a calce

Le fasi necessarie per effettuare una stabilizzazione di questo tipo consistono nella scarificazione e polverizzazione della terra in sito, nel successivo spandimento della calce e dell’acqua, nella miscelazione e nella finale compattazione; una volta che la maturazione è stata completata viene effettuata l’esecuzione degli strati sovrastanti, previa verifica della regolarità superficiale, profondità di mescolazione e densità del secco; vengono poi valutati il modulo di deformazione Md, l’indice CBR e le caratteristiche meccaniche sul materiale prelevato in sito, che dovranno risultare non inferiori a quelle di progetto.

La tecnica della stabilizzazione a cemento viene utilizzata invece per migliorare la capacità portante delle fondazioni stradali che presentano una stabilità compromessa in seguito a profonde deformazioni della sovrastruttura stessa, o più in generale per migliorare le prestazioni dei materiali componenti; l’aggiunta di cemento permette infatti di aumentare la resistenza dello strato finale, spesso realizzando un prodotto addirittura superiore ai misti cementati che ormai da anni vengono prescritti come

fondazione nelle strade ad elevato traffico pesante.

Fig. 8.17: Macchinario per la stabilizzazione a cemento

Le applicazioni sono limitate ai terreni sabbiosi con granulometria continua; dopo la fase di miscelazione e compattazione si hanno in tempi brevi elevate resistenze a causa di veri e propri fenomeni di presa.

Uno dei maggiori problemi con cui ci si deve confrontare quando si opera con materiali trattati con cemento è l’inevitabile formazione di fessure da ritiro. Il grado di fessurazione e la qualità complessiva degli strati stabilizzati sono prevalentemente condizionati da fattori chiave, come lo studio della miscela, la qualità ed il tipo di cemento utilizzati, l’aggiunta della giusta quantità di acqua, l’uniformità di applicazione ed un’attenta fase di maturazione che eviti la completa asciugatura della superficie (mediante spruzzaggio frequente con acqua o con l’applicazione di un impermeabilizzante provvisorio).

Le due tecniche fin’ora considerate possono anche essere utilizzate contemporaneamente (con calce e cemento): difatti se un materiale da stabilizzare, di cui si voglia aumentare la resistenza, possiede anche una certa quantità di particelle limo-argillose può essere utile combinare all’azione del cemento gli effetti positivi che derivano dall’utilizzazione della calce stessa. Molti progetti di risanamento stradale prevedono, per l’appunto, la stabilizzazione a calce dei piani di posa e successivamente il recupero dei materiali asportati che vengono riposizionati nella trincea di scavo e stabilizzati a cemento per formare una nuova fondazione stradale.

Anche la stabilizzazione delle terre con calce e/o cemento necessita però di uno studio preliminare in laboratorio, per definire al meglio il quantitativo “ottimale” di calce e/o cemento da miscelare con il materiale presente in sito e la percentuale ottimale di acqua da aggiungere in fase di miscelazione.

Relativamente alla stabilizzazione con bitume schiumato e cemento, ricordiamo brevemente il processo che dà origine a questo tipo di legante. Il bitume caldo, alla temperatura di circa 160 -180ºC, viene miscelato in un’apposita camera di espansione con una piccola quantità d’acqua fredda, trasformandosi in una sostanza schiumosa; quando le particelle d’acqua vengono a contatto con il bitume caldo, l’energia termica del bitume stesso viene trasmessa all’acqua.

Non appena la temperatura di quest’ultima raggiunge il punto di ebollizione, si verifica un cambiamento di stato: difatti si creano delle bolle piene di vapore acqueo che vengono ricoperte da un sottile film di bitume.

Allo stato “schiumato”, ossia in uno stato temporaneo di bassa viscosità, il bitume può essere aggiunto e mescolato con aggregati a temperatura ambiente, anche in presenza di umidità in sito.

Normalmente anche con questa tecnica vengono addizionate piccole quantità di cemento, calce o altro materiale similmente fine (passante al 100% al setaccio da 0,075 mm). L’aggiunta di questi tipi di filler “attivi”, oltre a migliorare la capacità di mantenimento della resistenza dopo il contatto con l’acqua, aumenta la frazione del materiale minore di 0,075 mm, contribuendo anche a disperdere meglio il bitume: ciò è indubbiamente vantaggioso, soprattutto se il materiale riciclato presenta una carenza di fini.

Alcune ricerche hanno evidenziato come i filler attivi (e in particolare il cemento), oltre ad integrare il filler naturale, creino sulla superficie delle particelle, delle irregolarità alle quali le goccioline di bitume tendono ad aderire; inoltre migliorano la lavorabilità della miscela e ne riducono l’indice di plasticità.

Il bitume schiumato può essere usato come legante con i più svariati materiali, che spaziano dagli aggregati lapidei di qualità ottenuti per frantumazione, fino alle ghiaie di qualità più scadente con un certo grado di plasticità.

La stabilizzazione con bitume schiumato ha il vantaggio di ridurre i costi sostenuti per il trasporto, ma anche di annullare quelli di produzione (l’unico investimento è quello richiesto inizialmente per l’acquisto delle attrezzature); inoltre il materiale trattato con questo tipo di legante rimane lavorabile per lunghi periodi e di conseguenza può essere stoccato anche in condizioni climatiche avverse senza che il bitume venga dilavato dagli aggregati; infine è un legante che si presta bene anche per il trattamento di materiali in sito con tenori d’umidità relativamente alti, in quanto il legante può essere aggiunto senza acqua supplementare.

Anche le emulsioni bituminose, infine, si prestano per la stabilizzazione in sito.

Questo tipo di legante, come sappiamo, è composto da due liquidi immiscibili, uno nella fase dispersa, sottoforma di piccole goccioline (bitume), l’altro nella fase continua (acqua).

Grazie alla presenza di una sostanza attiva in superficie, un emulsionante, le particelle di bitume non possono raggrupparsi: attorno alle particelle stesse si forma un film protettivo, che genera delle forze repulsive tra di loro, mantenendole disperse nella fase acquosa continua.

Successivamente alla miscelazione con il materiale, l’acqua viene eliminata e le particelle di bitume si aggregano, formando una pellicola ininterrotta che si deposita sulla superficie dell’aggregato, rivestendolo, e dando origine al processo di “rottura” dell’emulsione; infine si verifica la presa, ossia la fase in cui il bitume perde l’acqua rimasta al suo interno (in primo luogo per evaporazione), si stringe sempre più intorno all’inerte fino ad aderirvi completamente, determinando l’aumento della rigidezza e della resistenza a trazione dello strato stabilizzato con l’emulsione bituminosa.

Una miscela stabilizzata con un’emulsione deve soprattutto dissipare l’acqua in eccesso, ossia maturare, affinché la sua resistenza aumenti. Anche se taluni materiali stabilizzati con emulsione bituminosa possono acquisire la loro piena resistenza in un breve periodo di tempo (un mese), nel caso di altri materiali la maturazione può durare anche più di un anno. La durata di tale periodo è influenzata dal contenuto d’umidità del materiale in sito, dalle interazioni chimiche fra emulsione e aggregati, dal clima locale (temperatura, precipitazioni e umidità atmosferica) e dalla percentuale di vuoti della miscela. L’aggiunta di cemento può non solo controllare o eliminare il rischio di una rottura impropria dell’emulsione (a causa dell’umidità della miscela stessa), ma anche aumentare in maniera significativa la velocità di acquisizione della resistenza. Da alcune ricerche è tuttavia emerso che l’aggiunta di un quantitativo superiore al 2% in massa influisce negativamente sulle proprietà a fatica dello strato stabilizzato. Per questa ragione la percentuale di cemento aggiunta è solitamente limitata all’1,5%, o al massimo ad un valore del 2%.

Due Capitolati molto importanti, delle società ANAS e AUTOSTRADE, descrivono alcune di queste tipologie di interventi.

Entrambe presentano le stesse considerazioni in relazione al materiale fresato e alla normativa che lo compete:

seguito “fresati” sono materiali provenienti da fresature dirette, a freddo o a caldo, o da demolizioni a blocchi di pavimentazioni preesistenti, sottoposte a successiva frantumazione. Essi vanno utilizzati o nei conglomerati bituminosi, con o senza altri materiali vergini, oppure per la costruzione di rilevati di qualsiasi tipo, per piazzole di sosta, rampe di conversione o d’uscita per usi di servizio o in condizioni di blocco stradale, allargamento di corsie d’emergenza, aree di parcheggio, d’atterraggio elicotteri ecc. e per tutte le sottofondazioni delle pavimentazioni”;

“...l’impiego definitivo del fresato deve rispondere a quanto prescritto dal

decreto legislativo del 5 Febbraio 1997 n° 22. In particolare, la messa in riserva e l’impiego di fresato per gli usi sopra descritti, al di fuori dei conglomerati bituminosi, è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto eseguito sul materiale tal quale, secondo il metodo riportato in allegato n° 3 al Decreto Ministeriale del Ministero dell’Ambiente n° 72 del 5 Febbraio 1998”.

Più nello specifico, nelle “LINEE GUIDA DI PROGETTO E NORME TECNICHE PRESTAZIONALI” dell’ANAS (2008), gli interventi di stabilizzazione in sito sono relativi alle seguenti lavorazioni:

 Art 2.1. Riciclaggio in sito mediante bitume schiumato (RBS): “La lavorazione

dello schiumato permette di riciclare in sito vecchie fondazioni (misti cementati ammalorati, misti stabilizzati da “potenziare” (in manutenzione) o per “creare” la fondazione con materiale in sito o con materiale di apporto)”.

 Art 2.5. Misto cementato in sito (MCS): “La stabilizzazione a cemento si

applica in sito su vecchie fondazioni che possono comprendere anche una parte dello strato di imposta della sovrastruttura stradale; è possibile stabilizzare anche misti granulari di riporto; in tal caso non si devono usare materiali fresati contenenti bitume” [32].

Anche nelle “NORME TECNICHE D’APPALTO PRESTAZIONALI” della società AUTOSTRADE SPA, del 2004, sono specificati dettagliatamente i possibili interventi di stabilizzazione in sito, relativamente alle fondazioni e ai sottofondi.

Dopo aver ricordato che “I sottofondi sono le superfici d’appoggio normalmente non

legate della pavimentazione ... per la costruzione dei rilevati e dei sottofondi è consentito l’impiego parziale o totale di materiali fresati che hanno superato i test di cessione secondo le prescrizioni del seguito. Nelle manutenzioni si useranno

preferibilmente questi materiali di recupero fresati, mentre per nuove costruzioni richiedenti quantità non disponibili di questi ultimi, si useranno terreni naturali, seguendo le norme tecniche generali autostrade, edizione 1999”, il documento descrive

gli interventi di stabilizzazione in sito:

 Art.2.4. FONDAZIONI LEGATE: RICICLAGGIO IN SITO DEL MISTO CEMENTATO E/O GRANULARE CON AGGIUNTA DI CEMENTO E ACQUA: “La rigenerazione in sito a freddo viene realizzata mediante idonee

attrezzature che consentono di miscelare in sito, anche in cassonetti ricavati da pavimentazioni preesistenti, il misto cementato per fondazione o il misto granulare costituenti la preesistente fondazione, con cemento ed eventuali inerti freschi ed acqua .... In alternativa si potranno usare materiali fresati di pavimentazioni bituminose”.

 Art 2.5. FONDAZIONI LEGATE: RICICLAGGIO A FREDDO IN SITO DEGLI STRATI DI FONDAZIONE (LEGATI E NON LEGATI) MEDIANTE BITUME SCHIUMATO E CEMENTO (SOTTOBASE A SCHIUMA DI BITUME): “La rigenerazione in sito a freddo viene realizzata mediante idonee

attrezzature mobili (con miscelatore a volume variabile) che consentano di miscelare in sito la fondazione esistente, sia legata che stabilizzata granulometricamente (o la medesima integrata con materiale bituminoso fresato), con aggiunta di bitume schiumato, cemento, acqua e se necessario inerti freschi … saranno anche utilizzabili i materiali fresati dagli strati superiori alla preesistente fondazione”.

 Art 2.8. FONDAZIONI LEGATE : RICICLAGGIO A FREDDO IN SITO DI MATERIALI PREESISTENTI CON EMULSIONE BITUMINOSA MODIFICATA E CON AGGIUNTA DI CEMENTO PER LA FORMAZIONE DI STRATI DI FONDAZIONE: “La rigenerazione in sito a freddo viene

realizzata mediante idonee attrezzature che consentano di miscelare in sito misti cementati, misti granulari o altri materiali anche bitumati, preesistenti nel luogo, con emulsione bituminosa modificata e cemento, ed eventuali inerti freschi additivi ed acqua … Gli inerti di integrazione devono provenire esclusivamente da frantumati di cava (frantumazione 100%) e conformi alle specifiche tecniche della miscela di base oppure da fresato degli strati superiori a quello trattato” [40].

Nel documento Il riciclaggio delle pavimentazioni stradali (pagine 122-130)