di Gianni Mario Colombo
L’approfondimento
La giurisprudenza comunitaria afferma senza mezzi termini che lo scopo di lucro, tipico delle società commerciali, non è incompatibile con l’esenzione dell’IVA per i servizi socio-assistenziali resi da organismi aventi talifinalità. Sulla stessa lunghezza d’onda, alcune recenti sentenze della Corte di cas-sazione che commentiamo in questo articolo.
Diversa la posizione della Agenzia delle entrate, la quale ritiene che un ente, assumendo la qualifica di impresa sociale, non potrà neppure rientrare tra“gli enti aventifinalità di assistenza sociale”.
Riferimenti
D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, artt. 79, 89, comma 7 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 1, n. 27-ter
In materia di IVA la riforma del Terzo settore (D.Lgs. n.
117/2017, di seguito CTS) non ha previsto una speci-fica disciplina. Pertanto, ad eccezione delle ODV e APS che optano per il regime forfettario di cui all’art. 86 del CTS, aifiniIVAcontinuerannoadapplicarsiagliETSle disposizioni di cui al D.P.R. n. 633/1972.
Il comma 7, lett. b) dell’art. 89 del CTS così si esprime: all’art. 10, comma 1, ai nn. 15, 19, 20 e 27-ter del D.P.R. n. 633/1972, la parola “ONLUS” è sostituita dalle seguenti: “Enti del Terzo settore di natura non commerciale”1.
È importante, quindi, stabilire la natura dell’ente per verificare il perimetro e applicabilità della norma2. Conviene, pertanto, esaminare la nozione di “Enti del Terzo settore di natura non commerciale”, veri-ficando il superamento di un duplice test: uno sulla natura dell’attività e uno sulla natura (commerciale o
non commerciale) dell’ente, trattandosi di due aspetti tra di loro collegati. In estrema sintesi, si può dire che, ai sensi dell’art. 79, comma 2, del CTS, le attività di interesse generale sono di natura“non commerciale”, allorché esse siano svolte a titolo gratuito o dietro corrispettivi che non superino i costi effettivi. Ai sensi dell’art. 79, comma 5, l’ente è considerato “non commerciale” quando svolge in via esclusiva o pre-valente attività di interesse generale con modalità non commerciali (vedi commi 2 e 3 dell’art. 79).
Qualora ciò non si verificasse, occorre valutare se i proventi derivanti dalle attività istituzionali (art. 5), svolte con modalità commerciali, nonché le attività diverse (art. 6) siano o meno prevalenti rispetto alle entrate di natura non commerciale3.
L’art. 89, già citato, lega il diritto alla esenzione da IVA di alcune prestazioni svolte alla qualifica “non commerciale” dell’ente. A questo proposito, va rile-vato, peraltro, che il giudizio di non commercialità dell’attività e dell’ente potrà essere dato
Gianni Mario Colombo - Dottore Commercialista e Revisore Contabile
Note:
1 Dette modifiche saranno efficaci, in quanto rientranti all’interno del Titolo X del CTS, a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione Europea, previ-sto per alcune disposizionifiscali del medesimo CTS, e, comun-que, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del RUNTS (art. 104, comma 2, D.Lgs. n. 117/2017).
2 Cfr. A. Fatarella - F. Napolitano,“ONLUS: il futuro regime fiscale dipenderà dalla scelta adottata”, in Terzo settore, non profit e cooperative, n. 1/2020. “Pertanto, affermano gli Autori, qualora la ex ONLUS iscritta nel RUNTS, in un periodo di imposta fosse riqualificate ai sensi dell’art. 79, comma 5 del D.Lgs. n. 117/2017, come commerciale, non rientrerebbe tra i soggetti che possono fruire della esenzione aifini IVA previste dal citato art. 10 del D.P.R. n. 633/1972”.
3 Per un approfondimento cfr. G.M. Colombo - M. Setti,Terzo settore - Aspetti civilistici, contabili e fiscali, Wolters Kluwer, 2020, cap. 10.
oggettivamente a fine esercizio. Solo a tale data, si potrà, conseguentemente, avere conferma di avere operato correttamente in esenzione da IVA. Se la risposta dovesse essere negativa, si incorrerebbe nella situazione paradossale di dover versare un’imposta che non è stata incassata, e di pagare le relative sanzioni.
Il caso delle ONLUS
Fatte queste premesse, è evidente l’impatto che la riforma potrà avere sulle ONLUS che, in futuro, potrebbero rimanere esclusi dal beneficio dell’esen-zione. Basti pensare, ad esempio, ad una fondazione ONLUS che gestisce una comunità di assistenza ai disabili, svolge l’attività con modalità imprenditoriali, e non supera i test di non commercialità di cui all’art.
79 del CTS.
In questo contesto, la scelta più logica, sarebbe quella di assumere la qualifica di impresa sociale, godendo, tra l’altro, della esenzione ai fini IRES, ai sensi dell’art.
18, D.Lgs. n. 112/2017. Ai fini IVA, ad un primo esame, l’ente dovrebbe applicare l’aliquota del 22%, in quanto le imprese sociali non rientrano nel novero degli ETS non commerciali, e, quindi, non bene fi-ciano dell’esenzione ai fini IVA, salvo che la concreta fattispecie non integri una diversa ipotesi di esenzione di cui all’art. 104.
A questo punto, prima di decidere, conviene, anzi-tutto, verificare se in capo all’ente l’esenzione viene meno per il solo fatto della perdita della qualifica di ONLUS oppure no. Ad esempio, nel caso delle prestazioni didattiche ed educative, compete l ’esen-zione IVA, indipendentemente dal possesso del requisito soggettivo ONLUS, (tant’è che ne possono godere anche le società), nel momento in cui tali prestazioni siano rese da istituti o scuole riconosciute da Pubbliche amministrazioni (art. 10, n. 20). Ora, sostituita la parola ONLUS con “Ente del Terzo settore di natura non commerciale”, ci domandiamo:
se un ente (istituto o scuola) ha la presa d’atto da parte della Pubblica amministrazione, e, come tale, ha diritto all’esenzione, (non, cioè, in base al fatto che rivesta la qualifica di ONLUS), non si vede il motivo per cui, assumendo la qualifica di ente del Terzo settore, e mantenendo peraltro il requisito soggettivo di cui sopra (cioè scuola riconosciuta) debba avere
natura non commerciale per poter continuare a godere della esenzione.
In altri casi, si potrebbe valutare la possibilità di inquadrare, in base alla concreta fattispecie che si realizza, l’attività svolta in una diversa ipotesi di esenzione di cui all’art. 10.
Così, ad esempio, con riferimento alle prestazioni socio-assistenziali, si potrebbe verificare la possibilità, se ne sussistono i presupposti, di inserirle nell’art. 10, n. 21.
A questo fine, ci si può confrontare, a titolo esem-plificativo, con le risoluzioni n. 268/1995, n.
345266/1987, n. 69/1999, n. 188/2002, n. 164/
2005, in cui l’Agenzia delle entrate, interpretando l’espressione “e simili”, ritiene che il legislatore abbia inteso ricomprendere nella previsione di esenzione da IVA anche le prestazioni di assistenza sociale rese da organismi diversi da quelli ivi indicati5.
Lefinalità socio-assistenziali e l’art. 10, comma 1, n. 27-ter
A seguito di tale modifica, in base all’art. 10, comma 1, n. 27-ter, i soggetti che possono rendere le presta-zioni socio-assistenziali in regime di esenzione IVA sono i seguenti6:
1) organismi di diritto pubblico;
2) istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assi-stenza pubblica, previste all’art. 41 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833;
3) enti aventifinalità di assistenza sociale;
4) enti del Terzo settore di natura non commerciale.
Per quanto riguarda gli organismi di diritto pubblico, in assenza di chiarimenti specifici, la Corte di Giustizia (causa C-408/97 del 12 settembre 2000), richiede che l’esercizio dell’attività deve essere effet-tuato direttamente da parte del soggetto pubblico, dei suoi organi o delle sue emanazioni, cioè dei soggetti
Note:
4 Cfr. sul punto: G. Sepio,“Il regime tributario degli enti del Terzo settore, nell’ambito delle prospettive disegnate dalla riforma”, in A. Fici - E. Rossi - G. Sepio - P. Venturi (a cura di),Dalla parte del Terzo settore, Laterza, pag. 133.
5 Cfr. sul punto: G.M. Colombo - M. Setti,Terzo settore, op. cit., pag. 369 ss.
6 Cfr. M. Peirolo,“Attività socio-sanitaria e assistenziale soggetta a IVA se svolta dall’impresa sociale” in questa Rivista, n. 11-12/
2021.
che ne siano espressione (Cassazione, ordinanza n.
12491/2019).
Alquanto agevole risulta, poi, individuare le istituzioni sanita-rie previste dalla Legge 23 dicembre 1978, n. 833, in quanto tale provvedimento richiama le convenzioni stipu-late con vari enti (ad esempio, enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti, ospedali religiosi acattolici e istituti che esercitano attività ospedaliera).
Infine ed è questo il punto saliente che ci interessa -per quanto riguarda gli enti indicati sub 3) e 4), si impone, ora, un coordinamento tra il citato art. 10, comma 1, n. 27-ter), del Decreto IVA con la norma-tiva contenuta nel nuovo Codice del Terzo settore, a cui occorre ormai fare riferimento.
In questa sede ci interessa esaminare in modo parti-colare il caso delle prestazioni socio-sanitarie svolte da una società, e i riflessi che ciò potrebbe avere in funzione della assunzione della qualifica di impresa sociale (art. 1, D.Lgs. n. 112/2017).
Alcune pronunce giurisprudenziali
In assenza di una normativa specifica in merito ai presupposti del riconoscimento della qualifica, e di documenti interpretativi, non è facile definire quali siano gli enti aventi “finalità di assistenza sociale”, previsti dalla norma in esame, non essendo, tra l’altro, chiaro chi dovesse stabilire la finalità assistenziale dell’attività dell’ente.
Sul punto, è interessante la lettura della sentenza n.
30975 del 2 novembre 2021 della Corte di cassazione.
La Suprema Corte ha affermato che, in tema di IVA, aifini dell’esenzione di cui all’art. 10 (comma 1) n.
27-ter del D.P.R. n. 633/1972, concernente le pre-stazioni socio-sanitarie di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in merito alla riconducibilità dei sog-getti passivi (incluse le società commerciali) nella categoria degli “enti aventi finalità di assistenza sociale”, la sussistenza della qualifica, ove denegata dall’amministrazione, può essere accertata, sulla base della valutazione degli elementi del caso concreto, dal giudice investito della questione.
Per la verità, la sentenza, citata sopra, ribadisce un orienta-mento consolidato dalla Cassazione (si veda, ad esempio, ord. 10 maggio 2019, n.
12491). Premesso che non è previsto il formale riconosci-mento dellafinalità assistenziale dell’ente erogante, poiché il relativo accertamento può essere rimesso al giudice del caso concreto, aggiunge che: “nulla osta all’operatività dell’esenzione la natura societaria del-l’ente”, giacché, alla luce della giurisprudenza unio-nale, la nozione di organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo stato membro, non esclude enti privati che perseguono scopo di lucro (Cass. n. 34612/2019).
Ancora più esplicita sul punto è la sentenza n. 29105 del 20 ottobre 2021 della Corte di cassazione, la quale dichiara:“Quanto alla incompatibilità tra la natura di società di capitali del contribuente, caratterizzata dal fine ontologico di lucro e la sua qualificazione, ai fini della esenzione di cui all’art. 10 n. 27-ter del D.P.R. n.
633/1972, ‘come ente avente finalità di assistenza sociale’ la Corte ha rilevato che secondo la giurispru-denza comunitaria, l’art. 13, Parte A, n. 1, lett. g) e h), della Sesta Direttiva (77/388), relativo all’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto delle prestazioni connesse alla protezione dell’infanzia e della gioventù, deve essere interpretato nel senso che la
‘nozione di organismi riconosciuti come aventi carat-tere sociale dallo stato membro incarat-teressato’ non esclude enti privati che perseguono fini di lucro (Corte Giustizia, 26 maggio 2005, K, causa C-1498/03)”.
Come si vede, queste pronunce della Cassazione sono particolarmente significative perché ammet-tono la spettanza dell’esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 27-ter, non solo agli enti ma anche alle società che perseguono scopo di lucro.
La posizione dell’Agenzia delle entrate
Ritornando al punto da cui siamo partiti, ci poniamo il seguente quesito: un ente che attualmente gode dell’esenzione ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 27-ter, II PROBLEMA
In assenza di una normativa specifica in merito ai presupposti del riconoscimento della qualifica e di documenti
interpretativi, non è facile definire quali siano gli enti aventi“finalità di assistenza sociale”, non essendo, tra l’altro, chiaro chi debba stabilire lafinalità assistenziale dell’attività dell’ente.
non in base alla qualifica di ONLUS, bensì al fatto che persegue, statutariamente e di fatto, finalità di assi-stenza sociale, se decidesse di assumere la qualifica di impresa sociale, perderebbe il diritto all’esenzione?
L’Agenzia delle entrate (si veda risposta a interpello n.
475/E/2021) sostiene che sarebbe preclusa l’esen-zione IVA per gli enti commerciali che svolgono le attività socio-sanitarie di cui sopra, e, quindi, anche alle imprese sociali7.
Ma le motivazioni non convincono. L’Agenzia, infatti sostiene che una volta assunta la qualifica di impresa sociale l’istante non potrà neppure rientrare tra gli“enti aventi finalità di assistenza sociale” che effettuano le prestazioni di cui al richiamato art. 10, n. 27-ter, e argomenta la propria posizione soste-nendo che:“il citato art. 89, comma 7, lett. b) del CTS, sostituendo la parola ONLUS con ‘enti del Terzo settore di natura non commerciale’, ha evi-denziato la volontà del legislatore di escludere dal novero dei soggetti che possono applicare la dispo-sizione contenuta nell’art. 10, comma 1 del D.P.R.
n. 633/1972, tutti gli enti che hanno una natura commerciale, e, di conseguenza, anche le imprese sociali, che, per definizione, sono di carattere commerciale”.
In conclusione, con riferimento all’art. 10, comma 1, n. 27-ter, alla luce delle sentenze citate sopra, e del consolidato orientamento della Corte di cassazione, a nostro parere risulta che l’esenzione IVA può spettare anche alle società lucrative. Nel caso nostro (impresa sociale), quindi, l’agevolazione spetterebbe a maggior ragione, perché trattasi di un ente non lucrativo8. A questo punto, non resta che sperare che l’Agenzia delle entrate, possa, tenendo conto della giurispru-denza della Corte, mutare orientamento.
Note:
7 Ad analoghe conclusioni era giunta l’Agenzia delle entrate nella risposta ad interpello n. 388 del 3 giugno 2021. In particolare, l’Agenzia ha chiarito che l’impresa sociale, nella forma di società a responsabilità limitata, per espressa previsione normativa, non può acquisire la qualifica di ONLUS, e, neppure rientrare nel-l’ambito degli “enti del Terzo settore di natura non commer-ciale”, con la conseguenza che tale attività non beneficia della esenzione da IVA.
8 Cfr. A. Fatarella, l’ONLUS e l’imposta sul valore aggiunto: prima e dopo le riforme del Terzo settore. In tale contesto“sembrerebbe opportuno alfine di agevolare il passaggio da ONLUS a ETS, un eventuale intervento legislativo che, compatibilmente con la normativa europea, renda meno l’abolizione della figura di ONLUS, prevedendo, ad esempio, un ampliamento dei soggetti che possono fruire della esenzione IVA, oppure, che tenga conto del possibile mutamento della qualifica fiscale da ETS non com-merciale a ETS commerciali.”