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Fallimento delle cooperative sociali anche con qualifica

Nel documento COOPERATIVE E ENTI NON PROFIT (pagine 44-48)

ONLUS

di Maddalena Tagliabue

L’approfondimento

La Cassazione, con sentenza n. 29245/2021, ha ribadito il principio della fallibilità delle cooperative sociali insolventi che svolgono attività commerciale secondo criteri di economicità (c.d. lucro oggettivo), senza che rilevi la qualifica di ONLUS di diritto, trattandosi di qualifica di carattere fiscale che non integra la“diversa previsione di legge” contemplata dall’art. 2545-terdecies, comma 2, del Codice civile.

L’accertamento della natura commerciale dell’attività svolta compete all’autorità giudiziaria, senza che abbiano natura vincolante i pareri e gli atti adottati dal Ministero dello Sviluppo economico nell’esercizio dei poteri di vigilanza attribuiti dalla legge.

Esiste però una giurisprudenza di merito che arriva a conclusioni diverse in virtù della qualifica di impresa sociale di diritto delle cooperative sociali, aprendo il dibattito dottrinale sul tema più generale della fallibilità degli enti del Terzo settore.

Riferimenti

Cass. civ., Sez. I, sent. 20 ottobre 2021, n. 29245 D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, art. 10, comma 8

Le argomentazioni della parte ricorrente La sentenza Cass. civ., Sez. I, 20 ottobre 2021, n.

29245 trae origine dal ricorso presentato da una cooperativa sociale contro la sentenza della Corte d’Appello che ha confermato la dichiarazione di fallimento pronunciata in primo grado dal Tribunale.

Il tessuto argomentativo del ricorso è incentrato sul fatto che non sussisterebbero i presupposti di

assoggettabilità della cooperativa alla procedura fal-limentare in quanto:

1) le cooperative sociali sono ONLUS di diritto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 8, del D.Lgs. n. 460/19971;

2) il Ministero dello Sviluppo economico ha atte-stato i caratteri della mutualità e della natura non commerciale della società nel corso del controllo sull’attività delle cooperative e sul rispetto delle finalità mutualistiche, effettuato ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 220/20022.

Le motivazioni della pronuncia della Cassazione

La Cassazione, nel dichiarare infondate le censure mosse dalla ricorrente, si sofferma principalmente e lungamente sull’irrilevanza della qualifica di ONLUS della società dichiarata fallita, alla quale erroneamente la stessa attribuisce rilevanza civilistica.

Il D.Lgs. n. 460/1997 ha introdotto nell ’ordina-mento, chiariscono i giudici di legittimità con argo-mentazioni ineccepibili, una disciplina speciale di carattere meramente fiscale e ciò è confermato da diversi elementi:

Maddalena Tagliabue - Avvocato, consulente e formatrice enti non profit - Gslex

Note:

1 “Sono in ogni caso considerati ONLUS, nel rispetto della loro struttura e delle lorofinalità ... le cooperative sociali di cui alla Legge 8 novembre 1991, n. 381”.

2 Il MISE effettua una periodica“revisione cooperativa” finalizzata tra l’altro ad “accertare, anche attraverso una verifica della gestione amministrativo-contabile, la natura mutualistica del-l’ente (...), l’assenza di scopi di lucro dell’ente nei limiti previsti dalla legislazione vigente, e la legittimazione dell’ente a benefi-ciare delle agevolazionifiscali, previdenziali e di altra natura”.

1) la normativa è intitolata“Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle orga-nizzazioni non lucrative di utilità sociale”;

2) la Relazione illustrativa spiegava come la disci-plina introdotta mirasse allo sviluppo del settore c.d. non profit “attraverso un razionale impiego della levafiscale, così da consentire allo Stato di effettuare risparmi in diversi comparti di servizi, ora direttamente gestiti, che potrebbero essere efficacemente assicurati da queste realtà emergenti e non più marginali”;

3) l’acronimo “ONLUS” veniva semplicemente aggiunto alle varie tipologie di enti (associazioni, fondazioni, società cooperative ecc.);

4) la Comunicazione per l’iscrizione all’Anagrafe delle ONLUS doveva essere inviata alla Direzione regionale delle entrate del Ministero delle Finanze e ciò costituiva condizione necessa-ria per beneficiare delle agevolazioni previste dal D.Lgs. n. 460/1997;

5) il comma 10 dell’art. 10, laddove stabilisce che

“Non si considerano in ogni caso ONLUS ... le società commerciali diverse da quelle coopera-tive” evidenzia, a contrario, che la qualifica di ONLUS può essere assunta dalle società coope-rative commerciali;

6) l’art.12(recante“Agevolazioniaifinidelleimposte sui redditi”), nell’introdurre nel D.P.R. n. 917/

1986 (T.U.I.R.) l’art. 111-ter - in base al quale “Per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), ad eccezione delle società cooperative, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel persegui-mento di esclusive finalità di solidarietà sociale”

testimonia che per le società cooperative lo svolgi-mento delle attività istituzionali può costituire esercizio di attività commerciale;

7) la clausola di compatibilità contenuta nell’art. 26, per cui“alle ONLUS si applicano, ove compatibili, le disposizioni relative agli enti non commerciali”, lascia intendere che non a tutti gli enti muniti della qualifica di ONLUS possono applicarsi le disposi-zioni dettate per gli enti non commerciali.

Esclusa, dunque, ogni rilevanza della qualifica di ONLUS, per la portata meramente fiscale delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 460/1997, la

Cassazione ha applicato la disciplina generale sui presupposti di fallibilità delle imprese commerciali:

in base all’art. 1, comma 1, della Legge fallimentare3

“sono soggetti alle disposizioni sul fallimento ... gli imprenditori che esercitano una attività commerciale...”.

In merito al requisito oggettivo della natura com-merciale dell’attività svolta, la Suprema Corte afferma in primis che il relativo accertamento è di competenza dell’organo giurisdizionale chiamato a pronunciarsi sulla dichiarazione di fallimento4(e non del Ministero dello Sviluppo economico). Nel caso di specie, la commercialità dell’attività era stata correttamente desunta dalla documentazione prodotta relativa non solo all’elevato ammontare dei costi del personale e dei ricavi per vendite e prestazioni ma anche al compimento di operazioni straordinarie di acquisi-zione e cessione di rami d’azienda e alla detenacquisi-zione di partecipazioni sociali in società lucrative.

Per quanto concerne l’individuazione del requisito soggettivo della qualità di imprenditore, secondo l’art. 2082 del Codice civile: “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata alfine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.

La Cassazione ha più volte ribadito5come, ai sensi e per gli effetti della citata norma, non è necessario lo scopo di“lucro soggettivo” (ripartizione degli utili) essendo sufficiente che l’attività svolta, di produzione o scambio di beni o servizi, sia organizzata in modo professionale (dunque con sistematicità e continuità) ed abbia il carattere della economicità, intesa nel senso di“lucro oggettivo” e cioè sia svolta con modalità tali da soddisfare l’esigenza di essere astrattamente idonea a coprire i costi di produzione, alimentandosi con i suoi stessi ricavi.

Proprio l’identificazione dell’economicità della gestione quale requisito essenziale dell’attività d’impresa ha permesso, nel tempo, di riconoscere lo statuto di imprenditore commerciale fallibile

Note:

3 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, s.m.i.

4 Cfr. Cass. n. 9567/2017.

5 Cass. n. 22955/2020.

anche ai consorzi, alle fonda-zioni e agli enti di tipo associativo6.

Non si vede allora perché le suddette norme e la relativa interpretazione non dovreb-bero essere applicabili anche alle cooperative ed alle coope-rative sociali.

Considerazioni sulla sentenza e sulla fallibilità degli enti del Terzo settore

La sentenza in esame, come già accennato, si pone in assoluta continuità con la costante giurispru-denza espressa dalla Corte di cassazione secondo la quale lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) è giuridicamente irrilevante per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, poiché riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attività; l’attività di impresa è individuabile tutte le volte in cui sussiste una obiettiva economicità dell’attività eser-citata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo).

Questa interpretazione è in linea anche con il diritto dell’Unione Europea, che ha adottato una nozione di impresa ancora più ampia, essendo comprensiva di

“qualsiasi entità esplicante un’attività economica, indipendentemente dallo stato giuridico di questa entità e dal suo modo difinanziamento”7.

Si consideri poi che il fine mutualistico non vale di per sé ad escludere la natura di imprenditore commerciale di una cooperativa: “lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla c.d. mutualità pura, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla c.d. mutualità spuria che, con l’atte-nuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei con-fronti di terzi non soci, conciliando cosi il fine mutualistico con un’attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro”8. Assolutamente condivisibile è poi l’affermazione secondo la quale anche la qualifica di ONLUS di diritto delle cooperative sociali non vale ad

escluderne la fallibilità, trattan-dosi di una qualifica meramente fiscale, come ben argomentato nella sentenza.

Ciò che invece la sentenza non prende minimamente in consi-derazione è la qualifica di impresa sociale di diritto, che le cooperative sociali rivestono in virtù del disposto dell’art. 1, comma 4, del D.Lgs. n.

112/2017:“le cooperative sociali e i loro consorzi, di cui alla Legge 8 novembre 1991, n. 381, acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali”. A tali enti le disposizioni del decreto stesso “si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative ed in quanto compatibili”.

A questo proposito, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella nota n. 29103 del 31 gennaio 2019, ha evidenziato lo scopo“premiale” ed agevo-lativo della norma, che fa sì che non incomba su tali enti l’onere di dimostrare il possesso dei requisiti previsti per la generalità delle imprese sociali né, di conseguenza, quello di porre in essere le modifiche agli statutifinalizzate ad adeguarli alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 112/2017. In tale provvedimento il Ministero ha analizzato le implicazioni pratiche di questa qualificazione sulle cariche sociali, sull’ammis-sione ed esclusull’ammis-sione dei soci, sul bilancio sociale, sull’organo di controllo, sulle operazioni straordina-rie e sulla disciplina del lavoro e del volontariato ma non si è pronunciato sul tema dell’insolvenza.

Eppure, è proprio sulla base della qualifica di impresa sociale (di diritto) che parte della giurisprudenza di merito esclude la fallibilità delle cooperative sociali.

Enigmatica in tal senso è la sentenza del Tribunale di Siracusa del 5 maggio scorso che ha espresso i seguenti IN SINTESI

Esclusa ogni rilevanza della qualifica di ONLUS, per la portata meramentefiscale delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n.

460/1997, la Cassazione ha applicato la disciplina generale sui presupposti di fallibilità delle imprese commerciali

Note:

6 Cass. n. 8374/2000; Cass. n. 22955/2020; Cass. n. 978/2021;

Cass. n. 21818/2011; Cass. n. 13465/2010; Cass. n. 6853/2011;

Cass. n. 5305/2004.

7 Così CGE 23 aprile 1991, Klaus Hofner e Fritz Elser c. Macroton GmbH, causa C-41/90. La Commissione l’ha definita altresì come“una qualsiasi attività di natura economica che partecipi agli scambi economici, anche a prescindere dalla ricerca di pro-fitto” (Decisione n. 92/521/CEE della Commissione del 27 ottobre 1992, in G.U.C.E., 12 novembre 1992, L326, pag. 31 ss.).

8 Cass., Sez. 1, 8 settembre 1999, n. 9513.

principi: “Se è vero ... che il fine mutualistico non esclude in sé la natura di imprenditore commerciale di una cooperativa ... la questione della sottoponibilità al fallimento della cooperativa sociale ... è oggi posta in discussione dall’art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 112 del 2017, che anche per le imprese sociali aventi forma di cooperativa sembra imporre la sottoposizione a liqui-dazione coatta amministrativa” (anziché al falli-mento). La norma citata, che secondo il Tribunale non è incompatibile con la specifica disciplina delle cooperative, prevede che“In caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, di cui al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni”.

La dottrina sul punto è divisa: vi è chi sostiene la tesi della fallibilità9e chi invece considera prevalente l’art.

14 citato e quindi la esclude10.

Quello che, a parere di chi scrive, non convince della seconda tesi è il principio che lega la non fallibilità all’idea che l’impresa sociale costituisca un tertium genus rispetto all’impresa commerciale e a quella agricola. Teoria, quest’ultima, smentita dalla giuri-sprudenza e dalla dottrina prevalenti.

È invece condivisibile l’osservazione di quegli autori che hanno messo in rilievo come, sul tema delle conseguenze dell’insolvenza, “la Riforma del Terzo settore offre uno dei vertici di massima irrazionalità normativa”11.

Infatti, le ipotesi che possono verificarsi sono diversee non sempre questa disparità di trattamento può essere considerata ragionevole.

Si pensi, in particolare, che gli enti del Terzo settore possono fallire, salvo che si tratti di imprese sociali.

Che gli enti del Terzo settore possano essere dichiarati falliti è conseguenza dell’applicazione della nozione di imprenditore commerciale che, come è stato

precedentemente illustrato, va intesa in senso ogget-tivo, dovendosi riconoscere il carattere imprendito-riale all’attività economica organizzata atta a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, senza che rilevi ilfine altruistico perseguito12. Già da tempo la Cassazione si è pronunciata in questo senso: “le associazioni13 assumono la qualità di imprenditore commerciale e sono sottoposte alle relative norme ... se esercitano attività commerciale in via esclusiva e principale ... la natura di ente non commerciale dei soggetti in questione prevista dalla legislazione tributaria, nonché la decommercializza-zione di alcune attività, non preclude l ’assoggetta-mento di tali enti a falli’assoggetta-mento”14. Senza contare che il fallimento di un’associazione non riconosciuta può determinare il fallimento personale degli associati che hanno agito in nome e per conto dell’ente15. Il fatto che un’associazione (o una fondazione), a parità di attività e di modalità dello svolgimento (commerciale) possa essere sottoposta soltanto alla procedura della liquidazione coatta amministrativa se assume la qualifica di impresa sociale ma possa essere dichiarata fallita se iscritta in altra sezione del Registro unico nazionale del Terzo settore costituisce una dispartita di trattamento difficil-mente argomentabile e sostenibile giuridicadifficil-mente.

Note:

9 E. Cusa,“Frammenti di disciplina delle cooperative con la qua-lifica di impresa sociale”, in Nuove leggi civ., 2019.

10 G. Bonfante,“Cooperative sociali, imprese sociali e lCA: un tertium genus di imprese?”, in Le Società, n. 7/2021.

11 E. Cusa, op. cit.

12 Cass., Sez. lav., 19 agosto 2011, n. 17399, sull’attività di gestione di una struttura alberghiera da parte di un ente religioso; Cass., Sez. 3, 19 giugno 2008, n. 16612.

13 Lo stesso dicasi per le fondazioni.

14 Cass., sentenza n. 8374 del 20 giugno 2000.

15 Cass. civile, Sez. I, sentenza 18 settembre 1993, n. 9589.

Le opportunità

a cura di Bruno Pagamici

Nel documento COOPERATIVE E ENTI NON PROFIT (pagine 44-48)