I Brevi contengono svariate norme relative alla raccolta di tributi, in denaro o in natura, nonché relative alla gestione degli stanziamenti per il governo della città e dello Stato187, che concorrono a disegnare il sistema fiscale vigente. Accanto a queste norme, il Breve del 1578 contiene due rubriche relative alle esenzioni: la prima188, riguardante i piombinesi, riporta una decisione dell'Anzianato, su istanza di Giovanni di Jacopo Saccarelli, risalente al 6 gennaio 1500 (st. Pisano); la seconda riguarda invece gli abitanti di Suvereto189.
Nella norma sui piombinesi viene statuito che ogni cittadino «sopportante le gravezze, reale et personale» era esentato dalla gabella
185A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 108rv 186A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 25 187
Vedi, ad exempla, A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 36r ss., cap. XIJ; cc. 74r ss., cap. XXXIJ; cc. 133v – 134r, cap. LXXXXJ; cc. 151r ss.; Brevi, vol. 2, pp. 228 ss.; cc. 246 ss.; cc. 250 ss.
188
A.S.C.P., Brevi, vol. 2, pp. 72 ss.
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sulle doti e sui livelli, sulle pigioni, sui beni e sugli animali acquistati per uso domestico; la dote in particolare non doveva essere sottoposta a gabella neppure quando la moglie o gli eredi, a seguito della morte del marito, la ricevessero indietro. La norma in questione era destinata a prevalere su norme contrarie, in quanto «dicta gabella siano franchi,
liberi, esempti, non obstante che alcuno capitolo in contrario parlasse»190.
La medesima disposizione prevedeva inoltre l'esenzione per chi acquistasse casa o vigna nel territorio di Piombino ad uso proprio, purché non le desse a livello e non le vendesse.
Dalla gabella erano esentati anche i venditori di grano, vino e generi analoghi, mentre ne erano gravati gli acquirenti, a meno che non si trattasse di «corsali et altre persone privilegiate, da li quali alcuna
gabella come ne brevi si contiene riscuoter non si possa»191.
L'ultima esenzione riguardava infine i coltivatori di mele: per il raccolto non erano tenuti a pagare nessuna gabella, né al Comune, né ai compratori.
La norma riguardante i suveretani risale invece ad un consiglio del 27 agosto 1501 (st. Pisano), su istanza di Guglielmo d'Antonio di Saccardo: essa prevedeva una generale esenzione dalla gabella, a condizione che non negassero mai il commercio del loro grano ai piombinesi e che non «debbino dalli detti huomini di Piombino
addomandare, né riscuotere alcuna gabella, ma s'intendano, e siano, franchi in Sovereto, et suo territorio, esenti di gabelle, passi e passaggi»192. Se fosse risultato che i suveretani, per beneficiare di questo sistema di esenzione, «mettessino, o cavassino mercantia per
altri dicendo quelle essere sue»193, avrebbero perso la merce e sarebbero stati condannati a pagare il doppio della tassa che avevano cercato di evadere. Il Comune di Suvereto sarebbe stato poi obbligato
190A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 73 191A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 74 192
A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 75
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alla medesima pena, ma senza efficacia liberatoria nei confronti del colpevole.
Il Breve del 1578 contiene anche una norma che concede l'immunità a studenti e scolari194, i quali «s'intendino liberi
absolutamente da ogni gravezza reale e personale fino che durerà l'tempo dello studio loro», nonostante la provvisoria assenza del
maestro di scuola. Questa norma evidenzia da un lato l'attenzione che gli Anziani ponevano all'educazione dei giovani, confermata del resto anche dalla norma che imponeva di saper leggere e scrivere, o essere addirittura Dottori, per l'accesso ad alcune cariche pubbliche, nella speranza che i padri fossero così incentivati a dare un'istruzione alla discendenza195; dall'altro, l'aver ribadito che tali immunità spettavano a prescindere dalla presenza di un maestro di scuola è diretta conseguenza delle continue difficoltà riscontrate, nel corso del Cinquecento, a reperire insegnanti adeguati196.
Per quanto riguardava i forestieri197, provenienti da territori diversi da quelli ricompresi nella giurisdizione del Signore, essi godevano di un'immunità dalla tassazione della città per un periodo di sei mesi, trascorsi i quali, sarebbero stati assoggettati «alle medesime
gravezze che sono li nati in Piombino». Cionondimeno avrebbero
goduto delle stesse franchigie ed immunità dei cittadini piombinesi, senza necessità di richiederle formalmente, ma in via del tutto automatica. Lo straniero venuto ad abitare in città inoltre non avrebbe potuto «esser gravato in persona, né in beni, né contra di lui in alcun
modo si possa proceder ad istantia d'altro forestiero per debiti fatti fuori dell Stato di S. Eccellenza Ill.ma innanzi che venisse ad habitar in
194
A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 72
195v. retro, cap. III, § 3.1
196La questione è annosa e non ho ritenuto opportuno approfondirla, in quanto avrei
rischiato di allontanarmi eccessivamente dall'oggetto della tesi. I Libri dei Consigli degli anni che vanno dalla metà del Cinquecento al 1578 contengono decine di ordini del giorno relativi alla difficoltà di reperimento di maestri di grammatica e di abaco adeguati. Rimando pertanto alle fonti consultate, elencate nella Bibliografia alla voce "Fondi archivistici".
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Piombino»198, a meno che nello strumento pubblico o nel contratto che sanciva il suo debito non fosse stato previsto che poteva essere convenuto ovunque egli si trovasse; inoltre, anche il Signore di Piombino poteva consentire che il debitore venisse sottoposto ad esecuzione, seppur in mancanza di un titolo apposito. Nel Breve più antico viene contemplata la possibilità che un forestiero si trasferisca in Piombino per ragioni connesse all'adempimento di un debito: in questo caso, entro otto giorni dal suo arrivo nel territorio, doveva recarsi dal Vicario e descrivergli i debiti per cui si trovava in città, specificandone il valore e indicando i creditori. Il Vicario doveva quindi comunicarlo al Signore, che «a quanto li piacerà potrà
risolverne, o in voce, o in scritto»199.