Già ad una prima lettura è evidente la discrepanza tra la versione della rubrica sulla vendita degli immobili contenuta nel primo Breve e quella contenuta nel secondo: quella del 1578 infatti è molto più sintetica e rinvia alla «rubrica predetta negli Statuti di
Piombino»165.
Confrontando la rubrica del primo Breve con quella corrispondente negli Statuti emergono vistose analogie, ma le due previsioni non sono perfettamente sovrapponibili: se i Brevi, molto più sinteticamente, fanno riferimento ad ogni «edificio, o' vero, altra cosa
immobile»166, negli Statuti la disposizione investe «quicumque
aedificium vel aliam rem communem», specificando che si applichi
«inter consortes habentes castra, munitiones, sive dominium castri, vel
insulae, districtus dictorum locorum communia»167. Viceversa, il Breve è più dettagliato nel disciplinare le prelazioni168. È probabile che nel '78 i membri della commissione incaricata di riformare i testi normativi abbiano voluto ovviare ad un'illogica proliferanza di previsioni attraverso un rinvio ad un'unica norma, quella statutaria.
La previsione, di carattere generale (qualunque persona, di
qualunque condizione si sia), era finalizzata a prevenire le controversie
che insorgessero tra compagni, consorti, congiunti o vicini169 relativamente all'alienazione di beni immobili.
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A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 158v ss., cap. CVIIJ; Brevi, vol. 2, p. 22
165A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 22; cfr. Statutorum Plumbinensium liber primus, cap. XX 166A.S.C.P., Brevi, vol. 1, c. 158v
167Cfr. Statutorum Plumbinensium liber primus, cap. XX, nr. 12
168A.S.C.P., Brevi, vol. 1., cc. 158v-159r; v. anche la glossa di Giovan Battista De
Luca, f. 19 r consortibus; R.DEL GRATTA, Giovan Battista de Luca e gli Statuti di
Piombino, cit., p. 177 169Cfr. N. T
AMASSIA, La famiglia italiana..., cit., «Le nostre consuetudini, indipendentemente dalla buona volontà del testatore, venivano poi in aiuto della famiglia. Questi benedetti immobili, in un modo o in un altro, a dispetto di tanti divieti, finivano per mutar padrone, pervenendo ad estranei. Vegliavano però i diritti di prelazione e di retratto: i parenti potevano sostituirsi al compratore estreaneo, ovvero riscattare la cosa già venduta; così almeno la proprietà restava nel grembo della famiglia.», p. 129
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Questa norma non è un caso isolato nel panorama italiano degli
iura propria170 e si giustifica nel quadro dei complessi rapporti personali e patrimoniali che scaturivano dall’appartenenza ad una
familia171. In particolar modo, la conservazione e l’accrescimento del patrimonio familiare si legava inscindibilmente alla perpetua durata del casato e al sostegno reciproco degli appartenenti, soprattutto in vista della gestione di uffici pubblici di rilievo o della difesa nei confronti di possibili atti ostili di gruppi concorrenti172. Per vincere le difficoltà legate al momento della successione, a seguito del decesso del pater
familias, venendo meno le «vecchie strutture della proprietà collettiva
familiare», come rilevato da Romano, già dal XIV sec. si verificò la tendenza a sostituirle con nuove organizzazioni, come i consorzi volontari173. Bellomo distingue nettamente questi ultimi dalla famiglia, in quanto il primo «come gruppo più ampio comprendeva diverse famiglie: delle quali organizzava i rapporti reciproci e governava le attività politiche o economiche. Il consorzio aveva propri organi, propri capi, propri statuti: e sui membri che riduceva ad unità esercitava una propria giurisdizione.»174
170 Romano cita come esempi lo ius prothimiseos in Sicilia, il diritto di tentie ad
Aosta, quello di recupera nell’Istria, lo ius congrui a Napoli, lo ius revocationis a Bergamo, il diritto de re paterna luenda a Milano, lo ius fiscale in Sardegna. Cfr. A.ROMANO, Famiglia, successioni e patrimonio familiare nell’Italia medievale e
moderna, Giappichelli, Torino, 1994, p. 42
171 In questo caso per familia s’intende, genericamente, un gruppo parentale basato
sul lignaggio e sulla discendenza patrilineare. I Brevi e gli Statuti fanno infatti riferimento ai “propinqui”, cioè a coloro che pur appartenendo al casato non risiedevano nella stessa dimora del pater familias, ma “vicini” «spesso in aggregati familiari estesi e talvolta anche “non strutturati”», A. ROMANO,
Famiglia, successioni e patrimonio familiare…, cit., pp. 14-15; v. anche M.
BELLOMO, Profili della famiglia italiana nell’età dei Comuni, ed. Giannotta, Catania, 1986, pp. 25-35 e, dello stesso autore, Famiglia (dir. intermedio), n. 4 (Le funzioni della famiglia italiana nell’età del rinascimento giuridico
medievale.) in Enciclopedia del Diritto, vol. XVI, Giuffré, 1967, pp. 747 ss. 172 Più diffusamente, sul paradosso che conduceva i gruppi familiari ad adoperarsi
per il mantenimento dei propri beni, soprattutto fondiari, senza però agire per la massimizzazione della loro utilità economica, v. M. BELLOMO, Profili della
famiglia italiana…, cit., pp. 17-21 173 A. R
OMANO,Famiglia, successioni e patrimonio familiare…, cit., pp. 32 ss. 174 M. B
ELLOMO, Profili della famiglia italiana…, cit., p. 27; v. anche, dello stesso autore, Famiglia (dir. intermedio), in Enciclopedia del Diritto, cit., p. 749: spesso la distinzione finiva per sfumare, dal momento che si costituivano in consorzio
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La previsione dei Brevi e degli Statuti piombinesi, quindi, si colloca in una tradizione diffusa ed antica e la commistione tra i profili personale e patrimoniale spiega perché colui che avesse avuto intenzione di procedere alla vendita, permuta, locazione, concessione, enfiteusi o livello175 avrebbe dovuto denunciare le proprie intenzioni innanzitutto a compagni e consorti e, in mancanza, a parenti, congiunti e vicini, esattamente in tale ordine, poiché tale era l'ordine delle prelazioni. Lo Statuto precisa che tutti dovevano essere adeguatamente messi a conoscenza della vendita, infatti se l'alienante non avesse reperito i destinatari della comunicazione «tunc fiat denunciatio ad
domum consortis propinquioris et deinde successive vel eorum procuratorum per nuncium curiae scribenda in actis curiae»176. Il prezzo doveva essere giusto, e', conveniente e, laddove sorgessero contestazioni, il bene doveva esser fatto stimare «per dui huomini
comuni pratichi et di tal cosa intelligenti»177. L'alienante avrebbe dovuto quindi attendere trenta giorni dalla denuncia, per permettere agli interlocutori di decidere se procedere o meno all'acquisto (o di prendere conoscenza dell'alienazione). Il Breve si limita a sottolineare che «sia lecito alli predetti pagando in fra detto tempo il pretio di tal
cosa, poter fare costringere, et gravare esso tale a venderli la cosa predetta»178. Come sottolinea Giovan Battista De Luca, la disciplina descritta non trovava applicazione «in venditione necessaria ad quem
quis compellitur facto iudicis sed solummodo in voluntaria»179.
Lo Statuto, in questo caso, risulta molto più accurato: esso disciplina infatti le conseguenze del mancato rispetto di queste norme.
discendenti del medesimo capostipite. Le stesse fonti spesso indicano come
familia, o societas, quel che in realtà era un consorzio.
175Cfr. Statutorum Plumbinensium liber primus, cap. XI, nr. 11: «eadem in permutatione et contractu livellario sive emphyteutico, et etiam in quocumque alio, quod in fraudem huius constituti factum fuerit, obtineant [...]»
176
Cfr. Statutorum Plumbinensium liber primus, cap. XI, n. 4
177 A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 158r-159v 178 A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 159rv 179
v. la glossa di Giovan Battista De Luca, f. 19 r consortes propinquos; R. DEL
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Innanzitutto, la vendita era da considerarsi nulla: il consorte, o il vicino, avrebbero potuto chiedere la rescissione del contratto di vendita entro un anno dalla notizia della conclusione del negozio180. Il compratore, ovvero colui che avesse il possesso della cosa acquistata, avrebbe dovuto restituire sia la cosa stessa che il contratto di vendita: la riconsegna doveva essere fatta «cum omnibus solemnitatibus
necessariis et opportunis».
Ovviamente i requisiti di forma erano rigorosi: sia nel Breve che nello Statuto viene ribadita la necessità di osservarli strettamente181. Infine, non essendo espressamente previsti dalla norma, essa non poteva essere applicata nei confronti degli affini, né tantomeno nei confronti degli ordinati in sacris: il privilegio clericale infatti copriva non solo i soggetti, ma anche il patrimonio182.