Nel Breve del 1569 il Vicario era chiamato a rendere ragione245 una volta al giorno il sabato e il periodo di Quaresima, per il resto della settimana e negli altri periodi dell'anno due volte al giorno.
Per le cause di valore inferiore ai quaranta soldi (relative alle opere, alle giornate dei lavoratori, a chiese, persone ecclesiastiche, vedove pupilli e miserabili) era tenuto a procedere sommariamente246 e senza spese di fatto. Nella versione più recente, tranne che nei giorni di ferie, il Vicario doveva presentarsi quotidianamente e sedere al banco, rendendo ragione una volta al giorno, prima di pranzo, doveva inoltre suonare la campana per un quinto d'ora, prima di sedersi al banco per l'udienza, spedire le cause e poi suonarla nuovamente per segnalare la contumacia: quest'ultimo suono simboleggiava la fine della giornata e da quel momento in poi non era più ammessa la presentazione di atti né di scritture, con l'eccezione dei protesti, dei sequestri, ed altri atti necessari e straordinari che patiscano dilazione247.
Per quanto riguardava le causa di valore inferiore ai quaranta soldi, il Breve del 1578 specifica che il Mag.co Vicario procedeva e decideva di fatto in forma orale248.
Il giorno dopo pranzo e la sera il Vicario attendeva alle cause criminali e all'esame dei testimoni, e l'attuario provvedeva a redigere le copie degli atti e registrare le liti. Per la presentazione dell'istanza nelle liti sopra i venti scudi, il termine era di trenta giorni utili (dove per
245 Qui nel senso di “amministrare la giustizia”, “occuparsi delle cause”. Cfr. Brevi,
vol. 1, c. 3v, cap. II; Brevi, vol. 2, p. 3 (Dell’Uffitio del Mag.co Vicario) 246
Il procedimento sommario tendeva a prevalere su quello ordinario, in una struttura processuale consolidatasi già dal Medioevo, quando la scienza giuridica elaborata dalle università identificò nel giudice l’organo di impulso processuale e le parti persero la libera disponibilità goduta nelle epoche precedenti. Per approfondimenti circa i caratteri tipici del processo nella fase del diritto intermedio v. A.CAMPITELLI, Processo civile (dir. interm.) in Enciclopedia del
Diritto, vol. XXXVI, 1987 247
A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 3v-4r; Brevi, vol. 2, p. 4
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"utili" si intendevano esclusi i giorni "ferriati"249): nel corso di questo termine doveva essere instaurato il processo, con le dilazioni e i modi previsti dagli Statuti, e da quel momento in poi il Vicario aveva dieci giorni utili per giudicare. In questi dieci giorni, non si poteva consegnare né ricevere alcuna scrittura, e se ciò si fosse verificato Vicario e Attuario avrebbero dovuto respingerla: questa fase infatti era destinata unicamente alla decisione, e altri atti potevano essere ammessi solo se il Vicario avesse ritenuto necessario richiedere chiarimenti ulteriori alle parti.
Nelle cause civili di valore superiore alle venticinque lire, nei cinque giorni successivi alla pronuncia della sentenza, il Vicario doveva mettere per iscritto i motivi in iure e farli registrare nel processo e, nel caso in cui li avesse omessi, sarebbe incorso in una pena di venticinque lire per ciascuna volta250.
Nelle cause sotto i venti scudi il termine era di quindici giorni utili e, per giudicare, il Vicario aveva altri cinque giorni utili. Per il resto, la disciplina era analoga alla precedente.
Nelle cause sotto le venticinque lire il Vicario procedeva sommariamente e decideva senza strepito o figura di giudizio: l'istanza era di dodici giorni utili (nella versione più antica non si distingue tra i giorni utili per la trattazione della causa e quelli necessari alla decisione, ma si parla più genericamente di un termine complessivo di quindici giorni) e il Vicario aveva tre giorni utili per decidere251. Se quest'ultimo non avesse provveduto entro i termini, era soggetto ad una sanzione di venticinque lire e al risarcimento del danno subito dalla parte.
Venivano concessi tre giorni per l'esecuzione.
249A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 3 250
A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 5
251Il Breve più antico dedica alle cause di valore inferiore alle venticinque lire un
apposito capitolo, a differenza di quello più recente che raccoglie tutta la disciplina sotto lo stesso. A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 90r-90v, cap. L; Brevi, vol. 2, pp. 5-6
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Tali sentenze non potevano essere appellate, né annullate ed erano subito esecutive purché date nei termini previsti, mentre le altre sentenze, definitive o interlocutorie, potevano essere appellate e annullate nei casi previsti dalla legge e nei termini indicati dagli Statuti di Piombino252.
Dal Breve più antico si deduce come il carattere sommario del processo nelle cause di valore inferiore alle venticinque lire fosse funzionale ad una deflazione del carico giudiziario: infatti, emerge il tentativo di dissuadere le parti dal farsi assistere da avvocati o procuratori in quanto i relativi costi sarebbero ricaduti interamente su chi avesse richiesto il loro intervento, aumentati di una sanzione di venticinque lire da versare nella Camera del fisco signorile253.
La stessa disciplina si applicava nelle cause di pigioni, livelli, fitti, «crediti di bottegai per robbe di sua bottega date a credenza»254, per salari e opere anche di valore superiore alle venticinque lire, purché il credito non fosse più vecchio di un anno: in tale eventualità, era nuovamente applicabile la disciplina di Brevi e Statuti ed allora era anche possibile appellare. Infatti, nelle cause di valore superiore alle venticinque lire, l'appello doveva essere concesso255 e, se il Vicario o un altro giudice fosse contravvenuto a questa normativa, qualunque loro intervento contra legem sarebbe stato nullo e questi avrebbero dovuto pagare gli eventuali interessi del danno sofferto dalla parte256.
In base al Breve più antico veniva data al Vicario la possibilità di sospendere o prorogare le cause per esigenze del Principe o della comunità a cui fosse necessario attendere, ma doveva anticipatamente
252 A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 6 253 A.S.C.P., Brevi, vol. 1, c. 90v
254 A.S.C.P., Brevi, vol. 1, c. 4v; Brevi, vol. 2, p. 6 255
v. anche Statutorum Plumbinensium, liber primus, cap. X: gli Statuti prevedevano l'appello per tutte le sentenze nelle cause di valore superiore alle venticinque lire, se pronunciate entro il territorio piombinese, e superiori alle dieci, se in aliis
locis. 256
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darne notizia al Notaio del Banco Civile e spiegarne la causa257. Il Breve del '78 invece trasforma radicalmente questa disposizione: la sospensione e la proroga delle istanze e delle cause non spettava più al Vicario, ma al Signore o al Luogotenente generale (o Governatore) oppure alle parti di comune accordo258.
Il Vicario doveva procedere personalmente all'esame dei testimoni e, nelle cause di valore superiore alle venticinque lire, doveva dettare le testimonianze al notaio parola per parola. In caso di necessità, la stessa regola valeva anche nelle cause di valore minore (sia nelle cause civili che in quelle criminali). Il Vicario non poteva delegare a nessuno, nemmeno al notaio, l'escussione dei testimoni, con l'eccezione dell'ipotesi in cui i testimoni si trovassero fuori città o fosse necessario interrogare donne ed altri soggetti per cui «honestà o giusto
impedimento» suggerisse di non recarsi al Palazzo. Se l'esame fosse
stato condotto in violazione di tali prescrizioni, le testimonianze sarebbero state ipso iure nulle259. La sanzione a carico del Vicario era, in questo caso, la restituzione dell'emolumento ricevuto per la causa in questione e una pena di dieci lire per ogni testimonianza a cui non avesse assistito o di cui non avesse fatto il dettato al notaio. Tali somme dovevano essere versate al fisco e trattenute dai grasceri dal suo salario: questa sanzione era stata espressamente prevista dal Signore con suo moto proprio, ed era prevista anche a carico del Notaio, laddove avesse registrato testimonianze del valore superiore alle venticinque lire in assenza del Vicario che le avesse dettate parola per parola. Non era ammessa scusa né giustificazione.
Nelle cause civili era fatto il divieto al Mag.co Vicario di applicare sanzioni superiori alle lire cinque, «nemeno di lire dua per
ciascheduna volta, e' ciascheduna persona»260, salvo che non fosse espressamente prevista da Brevi e Statuti e altri ordini una pena di tipo
257 A.S.C.P., Brevi, vol. 1, c. 10r 258 A.S.C.P., Brevi, vol. 2, p. 7 259
A.S.C.P., Brevi, vol. 1, cc. 5rv; Brevi, vol. 2, pp. 7-8
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diverso. Se poi la pena di lire cinque fosse stata ritenuta insufficiente, o comunque non opportuna, gli era consentito usare «la forza con la
famiglia»261.
Nel caso in cui il Vicario non avesse rispettato i termini prescritti, o fosse contravvenuto alle modalità disciplinate nel Breve, i grasceri erano tenuti a trattenere dal salario successivo venticinque lire per ciascuna violazione e versarle al fisco, con l'interesse di un terzo: la norma sancisce esplicitamente che la finalità era evitare che le liti venissero trascinate troppo a lungo, essendo l'istanza fissata per utilità pubblica262.
Per valutare se i ritardi fossero imputabili o meno a colpa del Vicario, era previsto che nel termine assegnato per giudicare almeno una parte dovesse presentarsi e protestare contro la perenzione dell'istanza; lo stesso avveniva quando il Vicario non avesse instaurato tempestivamente il processo e fosse stato a ciò sollecitato dalle parti in
atti. Se la colpa del ritardo era imputabile al procuratore, era
quest'ultimo a dover sostenere le spese del processo e ad «agitar la
causa di nuovo»263, senza nessun salario: e questo anche nel caso in cui non avesse ricevuto il mandato di procura, ma avesse promosso la causa in nome della parte.
Infine, tutti i provvedimenti presi in corso di causa dovevano essere messi per iscritto.