Il legislatore del 1578 ritenne opportuno specificare che la norma statutaria sui “delitti enormi”332
doveva applicarsi anche nei processi contro i corsari: laddove questi avessero rubato, dentro o fuori Piombino, beni di proprietà del Signore, di un suo vassallo o di un abitante dello Stato, il Vicario avrebbe dovuto procedere secondo la suddetta previsione degli Statuti e quindi «inquirendo, investigando,
procedendo, et puniendo, non tamen in poenis excedendo formas superius traditas per indicia, praesumptiones, et torturam, et omni modo, […] super quibus procedere teneantur dicti iudicantes celeriter, summarie, simpliciter et de plano sine strepitu, et figura iudicii quolibet die etiam feriato in honorem Dei»333. Nell'ipotesi in cui gli autori del furto fossero stati più d'uno, ciascuno di essi era obbligato in solido con tutti gli altri, remossa ogni cavillatione334. La sentenza poteva essere pronunciata in contumacia sia di tutti che solo di alcuni responsabili e il giudice poteva ordinare, anche prima della pronuncia, che venissero recuperati i beni rubati o, se non reperibili, che fossero sequestrati beni di proprietà dei responsabili presenti nel territorio dello Stato per risarcire il danno di chi avesse subito furto o rapina.
330
Cfr. M. Bellomo, Famiglia (dir. interm.), in Enciclopedia del Diritto, cit., p. 762; per una panoramica completa sui problemi connessi alla delimitazione della volontà individuale, cfr. ivi, pp. 759-762
331 A.S.C.P., Brevi, vol. 2, pp. 91-92
332Cfr. Statutorum Plumbinensium, liber III, cap. XXXV “Quae delicta dicantur enormia, et quomodo in eis procedatur” Lo Statuto precisa che, per “delitti enormi”, s'intendono «homicidium, furtum, incestus, stuprum, et si quis aliquam violenter cognoverit, vel nixus est cognoscere, conspiratio, omne vitium sodomiticum, aggressura viarum, rapina, incendium, venieficium, ars magica, fabricatio falsae monetae, falsitas instrumentorum, seu scripturarum aliarum, falsum testimonium, falsatio sententiarum, rei sacrae, vel religiosae ablatio, ruptio treguae vel pacis, debilitatio membri»..
333
v. nota precedente
334
117
Questa disposizione va poi coordinata con quella statutaria, dove si specifica che se la pena non fosse stata disciplinata da un'apposita previsione normativa, lo iudicans poteva imporre, a suo arbitrio, una pena tra le cinque e le cinquanta lire ed anche oltre, «secundum
qualitatem, et conditionem criminis, et personae»335.
Per gli omicidi e gli altri crimini commessi dai corsari il Breve rimanda agli Statuti e alle altre leggi in vigore.
335
118
PARTE TERZA. S
TORIA DELLA MAGISTRATURAPUPILLARE NELLA
P
IOMBINO DELC
INQUECENTOCap. VI – IL MAGI STRATO DEI PUPI LLI
6.1 Origini
La magistratura dei pupilli è un istituto particolarmente diffuso negli ordinamenti giuridici tardo medioevali e rinascimentali. Le sue radici affondano nel diritto germanico, secondo il quale all'imperatore faceva capo l'alta tutela (Obvormundschaft) dei soggetti più deboli, che così godevano di un regime privilegiato per una sollecita cura dei loro interessi336. Un istituto analogo lo ritroviamo inoltre nel diritto romano, nella figura dell'imperatore, dapprima con promissiones rivolte alla tutela di orfani, vedove e all'aiuto per la Chiesa, in seguito con
iuramenta che lo impegnavano verso i sudditi337. Nella compilazione giustinianea vengono dedicati alla tutela due libri del Digesto, quasi un libro intero del Codice, uno delle Istituzioni ed alcune Novelle: il diritto romano era così completo e puntuale nella disciplina di tutti gli aspetti, dalla gestione ordinaria alla straordinaria amministrazione, da rendere superflua una trattazione minuziosa da parte degli iura
propria, che quindi si concentravano sugli aspetti più pragmatici, tratti
dall'esperienza diretta.
La tendenza dell'autorità ad assumersi la responsabilità delle persone più disagiate, incrementata nel corso dei secoli dall'influsso della Chiesa e del cristianesimo, si evolse di pari passo con le nuove forme politiche di governo e con il rafforzarsi delle autonomie
336M.G. D
I RENZO VILLATA, Nota per la storia della tutela nell’Italia del
Rinascimento, in «La famiglia e la vita quotidiana in Europa dal ‘400 al ‘600 –
Fonti e Problemi.» Atti del convegno internazionale di Milano 1-4 dicembre 1983, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, pubblicazione degli Archivi di Stato, Roma 1986, p. 62
337
M.G. DI RENZO VILLATA, Nota per la storia della tutela nell’Italia del
119
cittadine: dal XIII sec. in tutta Italia iniziarono a fiorire magistrature incaricate di occuparsi degli affari e dei negozi in cui erano coinvolti minori, vedove ed altri miserabiles, cioè pazzi, prodighi, malati ed altri che subivano una limitazione della propria capacità giuridica. Questa generalmente si verificava tramite interdizione, che ha le sue radici nel diritto romano e precisamente nella cura prodigi. Talvolta la limitazione si verificava di diritto, come nel caso del pazzo (furiosus), altre volte, come per il prodigo, era necessario un provvedimento del magistrato che lo allontanasse a re paterna et avita commercioque, per prevenire il pericolo di dissipare il patrimonio famigliare, togliendogli la facoltà di alienare, per atti fra vivi o mortis causa, i beni che lo componevano. Con l'evolversi del diritto comune, il divieto abbracciò tutti i beni che entrassero nella disponibilità del prodigo (adventicia
adtracta). Tale divieto era destinato a permanere fino a che il
magistrato non provvedeva rimuovendo l'interdizione, verificando il venir meno delle condizioni che l'avevano determinata338.
In particolare, il pubblico potere si assumeva il compito di nominare e selezionare con cura i tutori339, i quali spesso si approfittavano di chi veniva loro affidato, tanto che già dal medioevo venivano definiti "tollitores" o "baratores"340, in quanto tendevano ad appropriarsi di quello stesso patrimonio che avrebbero dovuto conservare e incrementare in vista della maggiore età del pupillo341.
338 Cfr. E.B
ESTA, La famiglia nella storia del diritto italiano, cit., pp. 234-235, che precisa: «Vi fu allora d'altra parte tendenza a restringere il divieto entro limiti più angusti. Sotto Giustiniano il prodigo fu autorizzato a compiere gli atti che potessero migliorare la sua condizione (p. es. adire eredità), non quelli che la potessero peggiorare. Per gli altri aveva bisogno di un curatore. [...] La tradizione non si perse nel medioevo: vedemmo il pazzo sottoposto a tutela; il prodigo ebbe sempre un curatore. Lo richiedeva la Summa Perusina, la Lex romana rhaetica
curiensis, l'Epitome Monachi.»
339A Venezia, in assenza di tutori da designare, erano i magistrati a fungere da
"tutores omnium pupillorum", M.G.DI RENZO VILLATA, Nota per la storia della
tutela nell’Italia del Rinascimento, cit., p. 65 340
Cfr. ALBERICO DA ROSATE, Dictionarium iuris tam civilis quam canonici, vers.
Tutores; Odofredo, Lectura ad C. 2,4,1 de transactionibus l. neque pactio n. 2, in
M.G. DI RENZO VILLATA, Nota per la storia della tutela nell’Italia del
Rinascimento, cit., note 3 e 4, p. 59 341
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Indicativo era anche il fatto che la tutela, istituto di per sé gravoso e difficoltoso, che richiedeva molto tempo e sacrificio, veniva ad essere spesso ricercato da soggetti poco trasparenti.
Per quanto riguarda la diffusione della magistratura pupillare sul territorio italiano, basti qui ricordare i principali esempi toscani: a Siena troviamo la Curia del Placito342 a Firenze troviamo gli Officiali
dei Pupilli343, mentre a Pisa esisteva una Curia Nova pupillorum344.
tutela e cura iniziarono ad affievolirsi: «Il funzionario pubblico fu chiamato ad intervenire nella redazione degli inventarii e ad assentire le alienazioni. Con una
actio in factum poté essere costretto a rispondere della sua negligentia. [...] A
questo punto la tutela dovette necessariamente interferire con la cura, la quale era sempre stata dativa, essendo data volta a volta (ad certam causam) a chi ne aveva bisogno (p. s. al furiosus) non di necessità, ma per volontà stessa di chi non potesse negotia tueri. Presupponeva che colui, cui era dato il curatore, potesse già compiere di per sé degli atti validi: integrava soltanto la sua volontà col consenso di chi lo guidasse. Giustiniano volle che, post pupillarem aetatem, ogni minore avesse fino al raggiungimento della età maggiore il suo stabile curatore. Già egli non riusciva più a distinguere fra tutela e cura.» Salvo poi constatare che nel tardo medioevo si tentò di recuperare l'antica distinzione romanistica, poiché «il furioso, il cieco, lo storpio, il muto continuarono ad avere di regola un tutore. Il caso tipico della cura fu quello del prodigo o del guastator.» E. BESTA, La
famiglia nella storia del diritto italiano, cit., pp. 219-220 e 227. Secondo
Marongiu, «la differenza fondamentale fra tutela e curatela è vista non tanto nella maggiore o minore età del giovane pupillo, ma in ciò che il tutore assiste la persona integrandone la personalità ed il curatore, invece, gli interessi ed il patrimonio del pupillo» A.MARONGIU, Curatela (dir. interm.) in Enciclopedia del
Diritto, vol. XI, p. 496
342 «La Curia del Placito era costituita da tre cittadini senesi di cui uno doveva essere
giudice, aveva giurisdizione civile e curava la tutela dei minori e delle donne. Nel 1503, con l'istituzione del giudice ordinario, la Curia del Placito perse la giurisdizione civile e conservò soltanto le attribuzioni in materia tutelare, mentre con la riforma medicea del 1561 il giudice ordinario assunse competenze anche in questa materia e le esercitò insieme ai giudici del Placito, denominati ora Savi dei pupilli, i quali rimasero attivi fino al 1783». D.BIZZARRI, Il diritto privato nelle fonti senesi del sec. XIII, in «Bullettino senese di storia patria», XXXIII-XXXIV,
(1926-1927), pp. 213-322, XXXV-XXXVI, (1928-1929), pp. 28-59; R. CELLI, Studi sui sistemi normativi delle democrazie comunali. Secoli XII-XV, I, Pisa,
Siena, Firenze 1976, pp. 231-246; L. ZDEKAUER, Il constituto dei Consoli del Placito del Comune di Siena, ora per la prima volta pubblicato da Lodovico Zdekauer, docente nella R. Università di Siena - Prima parte, Siena, Enrico
Torrini Editore, 1890
343
«Creata con provvisione del 30 luglio 1393, la magistratura degli "Uficiali de'
pupilli et adulti" assumeva i compiti che da circa un decennio erano esercitati
dagli Ufficiali del Monte e che consistevano nella tutela dei minorenni il cui padre fosse morto senza nominare un tutore e delle vedove, soprattutto per quanto riguardava la salvaguardia dei loro beni e le esecuzioni testamentarie. La magistratura era chiamata a giudicare le cause civili in cui fossero coinvolti i soggetti sottoposti alla sua tutela e quelle penali relative a frodi o furti da questi subiti. Se tuttavia gli ufficiali non emettevano la sentenza entro un anno, la competenza sul processo passava al tribunale della Mercanzia. Nel Quattrocento
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Con riferimento a quest'ultima, il Prof. Bonaini affermava: «[...] Il Breve Curiae Novae Pupillorum sta nel codice del Constituto, segnato L. E stava bene col Constituto, non essendo che la forma del giuramento prestato dal Giudice: il quale prometteva di far ragione ai pupilli secondo il Constituto della Legge; e, ove questo non provvedesse, secondo il Diritto Romano; da ultimo, secondo la buona consuetudine osservata in Pisa.»345