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Il tutto dell’essere, il cammino

Nel documento Introduzione alla pedagogia sistematica (pagine 198-200)

13 “Senso” e libertà

15. Il tutto dell’essere, il cammino

L’educatore che pensa deve essere mondano. Questa frase non espri- me alcuna pretesa nei confronti dell’intenzione dell’educatore e signi- fica meno che mai uno slogan programmatico del laicismo, non indica un atteggiamento a-religioso o addirittura anti-religioso nelle questioni scolastiche. L’aggettivo “mondano” non è assunto qui nel senso logo- rato, consumato e comune, come si parla di “gioie mondane”, di “in- tenzione mondana” e “scuola mondana”. Mondano non è per noi il concetto contrario a “sacro” e “spirituale”, non riguarda l’uomo impi- gliato nel sensibile, che diventa succube delle tentazioni e delle amenità della “Frau Welt”. Il termine non è nemmeno da prendere nel senso dell’antitesi, come all’incirca la comprensione di sé del credo cristiano si attua nel distacco nei confronti della filosofia pagana e contrappone la pistis alla sophia tou kosmou. “Mondano” è da pensare in modo più rigoroso; il termine indica l’“appartenenza” essenziale all’abbracciante tutto dell’essere. Il tutto è più che una somma di ciò che è lì a portata di mano, più che un insieme di ciò che è presente; il “tutto” è come il

cammino di tutte le cose, come il sorgere delle figure finite e come il tra-

monto di tutti gli individui, come il movimento di ciò che appare e di ciò che scompare, come la via duplice e tuttavia la stessa “in su e in giù” (Eraclito fr. 60)46, in cui vita e morte si compenetrano, Dioniso e Ade

sono tutt’uno (fr. 15); il “tutto” è l’onnipotenza creativa e distruttiva: la produzione infinita e allo stesso tempo l’assoluto annientamento. Tutte le cose in generale sono mondane, esse non sono solo esistenti nella sfe- ra neutrale di “semplice presenza”; esse sono travolte dall’universale mo-

45 F. Hölderlin, L’unico, in Le liriche, cit., p. 649.

vimento di ciò che appare, sono messe in gioco nel gioco del mondo. Ma l’uomo – abbiamo detto – è più mondano delle cose coinvolte: egli sa del gioco del sorgere e del tramontare, sa della vita e della morte e del significato non-finito delle cose finite, strappate dal fondamento origi- nario, egli, in una certa maniera, prende parte al gioco, è consapevole e compagno di gioco della signoria del mondo. Egli gli appartiene in un senso più radicale rispetto a qualsiasi altra cosa: gli appartiene “ascol- tando”, obbediente, porgendo l’orecchio al suo silenzioso indicare. Oppure anche: può rinchiudersi, farsi sordo alla chiamata del silenzio, volgendosi all’intramondano che si fa avanti e che irrompe, nel volgersi alle cose può dimenticare il mondo che condiziona. L’oblio del mon- do è una possibilità fondamentale dell’essere vivente aperto al mondo. L’uomo è l’unico ente che non “sta in sé”, “chiuso” e autarchico; egli è dischiuso e aperto, coinvolto nella sua natura dal tutto dell’essere; come Semele, che, fulminata dalla saetta di Zeus e “colpita dal divino”, ha partorito Bacco, così la natura umana, colpita dal “fuoco celeste” e dalla “sacra notte”, pervasa da morte e vita, colpita dal mondo, proprio perciò genera la tragedia, la filosofia e i misteri eleusini.

In un modo diverso e tuttavia comune, nonostante tutte le opposi- zioni, il tripartito riferimento al mondo è esperito all’inizio dell’uma- nità occidentale. Da quelle esperienze si determina tuttora, anche se in una debole risonanza, la natura essenziale dell’educazione. Educazione è di più, qualcosa di totalmente altro di un semplice abbellimento, ad- destramento e formazione di giovani uomini, privi di forma, per mezzo di uomini più vecchi, che hanno già una “forma”. L’educazione è la vo- lontaria e consapevole fondazione dell’umanità nell’essenza del mondo. L’educatore deve essere mondano, e invero in modo particolare, se è un educatore che pensa. Peraltro tutta la prassi educativa si muove conti- nuamente in un elemento di riflessione, ponderazione e meditazione; essa non può così venire attuata “direttamente”, come certe attività in cui alla formazione e all’acquisizione di capacità appartiene anche un pensare, esse però, una volta che sono apprese, quasi si svolgono da sé. L’educare non è un’abilità che, una volta appresa, si domina dunque con assoluta sicurezza. Resta sempre una parte problematica, un’ombra di ambiguità degna di essere posta in questione, un dubbio inquietante.

“Educare” è l’arte massimamente preoccupante, differente dall’insegna- re la vita. E non è possibile, in questo, riconoscere i sofisti, che saltano a piè pari questo aspetto “preoccupante” e si spacciano per i maestri si- curi di un’arte sicura. Se l’educazione autentica si muove nell’elemento di riflessione e meditazione, nel ponderare e consigliare, con ciò non è ancora raggiunto quello che abbiamo chiamato poco fa educazione

pensante, e nemmeno è un interesse strettamente teoretico rivolgersi al

fenomeno educativo, se viene fatto il tentativo di penetrare e rischiarare questo fenomeno di vita con concetti analitico-strutturali. Sicuramente è un guadagno scientifico, se si aspira a un’osservazione categoriale dei singoli tratti strutturali. Una tale teoria si può limitare alla constata- zione; ossia essa si può rapportare a effettivi fenomeni educativi e dati precedentemente, senza essere essa stessa toccata dal fervore educativo. Oppure può comprendere la questione della “teoria” dell’educazione in modo più essenziale, non solo come una constatazione di presenti ten- denze di vita educative, che in modo politico-culturale sono concrete in una socialità data precedentemente, ma essa può guardare attentamente l’espresso cammino comune della formazione dell’ideale come il pro- prio compito. La teoria non accerta solamente, non registra meramente gli ideali, operanti ed efficaci, ma collabora nell’autocomprensione di una popolazione su quello che per quest’ultima è l’elemento sommo. La “pedagogia teoretica” interviene attivamente nell’interpretazione di vita di una comunità. Anche se primariamente non crea gli ideali, si comprende, tuttavia, come compartecipe e co-interessata agli interessi vitali che muovono un popolo; essa porta corresponsabilità. Dove la “teoria” non è una fredda curiosità, bensì è essa stessa fervore, lì si corre il rischio di perdere la distanza critica – ma essa è anche più prossima e più originaria al fenomeno.

Se un animale, una pianta o una cosa estranea sono oggetto di con- siderazione, può tornare utile alla messa a fuoco dell’osservazione met- tere da parte l’“interesse”. Si dice che noi tratteniamo i nostri desideri e le nostre brame, che vogliono fare uso delle cose estranee; ci limitiamo, di tanto in tanto, a essere ancora un “occhio”. La messa tra parentesi di desiderose tendenze nella nostra relazione con le cose, da noi impie- gate e adoperate, lascia tuttavia apparire l’essere a sé stante dell’ente

Nel documento Introduzione alla pedagogia sistematica (pagine 198-200)