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9. Cenni sui rapporti tra processo penale e processo tributario

9.1 Estensione del giudicato penale nel processo tributario

In linea di principio, dalle disposizioni descritte nel precedente paragrafo, la Corte di Cassazione ritiene che il giudicato penale non abbia efficacia vincolante nel processo tributario.

Tuttavia, il giudice tributario, oltre a fondare il proprio convincimento sulla base delle prove trasmesse ai sensi dell’art. 33, D.P.R. 600/1973 (v. par. 6.3), può, nei limiti di cui l’art. 32, D.L.gs 546/1992, acquisire al materiale probatorio la pronuncia penale al fine di valutarne il contenuto ai sensi dell’art. 116 c.p.c.328

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A. R. CIARCIA, L’utilizzo, nel procedimento e nel processo tributario, delle risultanze probatorie ed istruttorie penali, in Dir. e Prat. Trib., 2013, pag. 831.

328 Corte Cass., Sez. Trib., 23 maggio 2012, n.8129; Corte Cass., Sez. Trib., 25 gennaio 2002, n. 889; Corte Cass., Sez. Trib., 23 ottobre 2001, n. 13006; Corte Cass., Sez. Trib., 8 marzo 2001, n. 3421; Corte Cass., Sez. VI civ., ord. 24 ottobre 2012, n. 18233; Corte Cass., sez. trib., 15 luglio 2011, n. 14817,; Corte Cass., Sez. Trib., 29 dicembre 2010, n. 26296, Corte Cass., Sez. Trib., 16 dicembre 2008, n.29369; Corte Cass., Sez. Trib., 21 giugno 2002, n. 9109; Corte Cass., Sez. Trib., 6 novembre 2001, n. 13731; Corte Cass., Sez. Trib., 13 aprile 2000, n. 12577.

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Più precisamente, la commissione tributaria può fondare il proprio accertamento su una prova ritenuta decisiva da parte del giudice penale, salvo che il mezzo istruttorio non sia escluso dalla legge processuale tributaria329.

La sentenza di non luogo a procedere resa dal giudice dell’udienza preliminare a norma dell’art. 425 c.p.p. non è opponibile all’Amministrazione Finanziaria330, anche perché tecnicamente non costituisce il giudicato, in quanto è revocabile in caso di sopravvenienza o scoperta di fonti di prova.

Stessa sorte tocca al decreto di archiviazione che non esonera il giudice tributario dalla motivazione adeguata331. In ogni caso, eventuali atti difensivi introdotti nel fascicolo del p.m. a cui fa riferimento il decreto di archiviazione devono essere depositati nel processo tributario332.

Con riguardo al patteggiamento, la Suprema Corte333 aveva affermato che “la

sentenza penale di applicazione della pena ex 444 c.p.p. (…) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell'accertamento: in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto ininfluente ai fini della prova a carico di una società la sentenza di patteggiamento emessa in sede penale nei confronti del legale rappresentante della società medesima per gli stessi fatti oggetto della pretesa tributaria" (Cass. n. 24587 del 2010, n. 19505 del 2003, n. 27022 del 2007)”. In altri termini, il patteggiamento era diventata “presunzione” di evasione

superabile con la prova contraria da parte del contribuente334.

Invero, con l’entrata in vigore del comma 2 bis dell’art. 13., D.Lgs. 74/2000, per effetto del DL 138/2011 convertito con modificazione dalla L. 148/2011, la questione ha perso rilevanza in quanto il patteggiamento può essere chiesto dalle parti “solo qualora

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Su questi aspetti si veda S. GALLO, Limiti all’efficacia del giudicato penale nel processo tributario, in Fisco, 2009, 1, 2748; Mazza, I perduranti effetti del giudicato penale nel processo tributario e nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in GT - Riv. giur. trib., 2002, 732.

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Corte Cass., Sez. Trib., 22 settembre 2000, n. 12577; con nota di P. CORSO, Sentenza di non luogo a procedere e pretesa inopponibilità all’amministrazione finanziaria rimasta estranea al processo penale, in GT – Riv. Giur. Trib., 2001, pag. 192. Si veda N. MONFREDA – F. STELLA, Efficacia della sentenza penale nel processo tributario, in Il fisco, 2013, pag. 4494 e ss.

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Corte Cass., Sez. Trib., 16 febbraio 2010, n. 3564; P.CORSO, L’archiviazione penale non esonera il giudice tributario da una motivazione adeguata, Corr. Trib., 2010, pag. 1040; similmente Corte di Cass., Sez. Trib., 17 marzo 2010, n. 6457.

332

Corte Cass., Sez. Trib., 19 settembre 2012, n. 15743. 333

Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-09-2011, n. 18902.

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ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2” ossia quando i debiti tributari e le relative sanzioni ridotte sono estinti mediante pagamento anche a seguito di accertamento con adesione o di conciliazione.

Anche la sentenza irrevocabile di assoluzione o di condanna non fa stato nel processo tributario, ma, come nei casi in precedenza osservati, la commissione può utilizzare la suddetta pronuncia ai fini della decisione335.

9.2. Efficacia dell’accertamento tributario nel processo penale.

Si è già detto dell’efficacia di attenuante o di presupposto del patteggiamento del pagamento del tributo con le sanzioni ridotte nell’ambito di una procedura di accertamento con adesione o di conciliazione tributaria (v. par. 5).

Sul punto rimane da osservare che nell’accertamento con adesione la pretesa è ridimensionata da un atto negoziale concordato tra le parti con la conseguenza che il giudice penale non è vincolato dall’imposta così determinata. Tuttavia, per ritenere valida l’iniziale pretesa che superava la soglia di punibilità ci devono essere elementi concreti di fatto che orientino per una maggiore attendibilità della quantificazione iniziale dell’imposta336.

Infine, con riferimento alla sentenza tributaria passata in giudicato, il giudice penale la può acquisire ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., e la valenza probatoria può essere liberamente valutata secondo le regole previste dall’art. 192 c.p.p337: “è da escludere

l'incidenza del giudicato tributario nel parallelo processo penale sia perchè diversi sono gli strumenti probatori e di difesa sia perchè il principio del "libero convincimento" del giudice penale non si concilia con la presenza di giudicati vincolanti. Il recepimento, da parte del giudice penale, dell'accertamento sul fatto emergente da una sentenza irrevocabile pronunciata in esito al processo tributario (caratterizzato da limitazioni alla prova) deve ritenersi consentito, ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p., ma deve accompagnarsi (stante il

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Corte Cass., Sez. trib., 15 gennaio 2014, 657. 336 Corte Cass., n. 19138, 8 maggio 2014. 337

Com’è noto, nel processo tributario la dichiarazione del contribuente prestata all’Agenza dell’Entrate o alla G.d.f. allegata al p.v.c. o comunque resa nell’ambito delle indagini è ritenuta dalla Corte di Cassazione quale confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. e, nonostante che l’obbligazione tributaria sia un diritto indisponibile, “fa piena prova contro colui che l'ha fatta”( Corte Cass., n. 309, 11 gennaio 2009 con commento di P.D. DE DOMINICIS, L’ammissibilità e la valenza probatoria della confessione stragiudiziale nel processo tributario, in AA.VV. Il processo tributario a cura di Della Valle, Ficari, Marini, Cedam, pag. 222 e ss. Contra, Corte Cass., n. 11170, 11 giugno 2004, in Boll.Trib., 2005, pag. 1497, con nota di VOGLINO, Ancora sul valore delle dichiarazioni e del comportamento in sede di verifica. In tale ultima sentenza emerge comunque l’utilizzabilità della dichiarazione del contribuente che, però, stante l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria non può formare piena prova contro chi la ha prestata).

Viceversa, queste dichiarazioni valgono anche nel processo penale?

A questo proposito, in tema di dichiarazioni autoindizianti, siccome l’art. 220 disp. att. c.p.p. rinvia all’art. 63, c. 1, c.p.p. se esse sono rese in una indagine amministrativa e non è stato applicato il disposto dell’art. 220 esse non sono utilizzabili.

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richiamo agli artt. 187 e 192 c.p.p., contenuto in quella norma) ad una verifica della compatibilità degli elementi su cui si fonda con le risultanze del processo penale”.338

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CONCLUSIONI

Le norme che regolamentano le sanzioni penali e tributarie in materia di Imposte Dirette e di Imposta sul Valore Aggiunto prevedono che i procedimenti di accertamento di responsabilità penale e tributaria ad oggetto i medesimi fatti si svolgano seguendo la regola del doppio binario: le indagini penali sono condotte sulla base delle norme del c.p.p. mentre le indagini amministrative devono rispettare i parametri di cui ai D.P.R. 600 e 633; similmente, il giudizio sul fatto penale si basa su prove ammesse dal c.p.p. mentre il giudizio tributario risponde a quanto disposto dall’art. 7, D.Lgs. 546/1992.

Ciò significa che, nelle intenzioni del legislatore, le diverse regole procedimentali, tra le quali i diversi poteri istruttori, il diverso rilievo dell’elemento soggettivo, nonché la diversa importanza delle presunzioni legali, possono portare a due differenti risultati opposti pur vertendosi il giudizio sui medesimi fatti. Laddove, però, si accerta entrambe le responsabilità opera il principio di specialità al fine di garantire l’unicità della sanzione.

La razionalità di questo assetto che trovava una logica nell’esigenza di rendere più efficiente l’azione di contrasto all’evasione, nel meccanismo finale che garantisce l’unicità della sanzione e, soprattutto nella diversa posizione tra soggetto passivo e imputato, sta cedendo di fronte ad alcune novelle legislative ed ad alcune pronunce della C.EDU e della Corte di Cassazione.

In particolare, il vistoso abbattimento delle soglie di punibilità operato con il D.L. 138/2011 rende non più distinguibile la posizione del soggetto passivo rispetto a quella dell’imputato: la gravità della condotta che orientava più alte soglie di punibilità non è più elemento distintivo tra illecito penale ed illecito tributario con la conseguenza che la sanzione penale non può definirsi come extrema ratio o, da altro punto di vista, non si coglie quale sia la specialità della tutela penale rispetto a quella amministrativa.

Inoltre, l’art. 20, D.Lgs. 74/2000 è stato derogato dalla norma relativa alla deducibilità dei costi da reato (che stabilisce una “preminenza” del procedimento penale su quello tributario) e dal 14, c. 2, bis, D.lgs. 74/2000 in forza del quale l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale cui si associa il versamento del tributo evaso e della sanzione ridotta, diventano presupposti per il patteggiamento.

Al contempo, la C.EDU tende sempre di più a far rientrare sotto l’ombrello delle garanzie convenzionali il procedimento tributario in quanto finalizzato all’irrogazione di una sanzione che per gravità ed afflittività rientra nei criteri Engel. In attesa di un giudizio di costituzionalità ex art. 117 Cost. con la Cedu quale norma interposta, tali pronunce rendono evidenti non solo il superamento dell’art. 19, D.Lgs. 74/2000, ma la necessaria

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applicazione di tutte le garanzie dell’imputato a colui che è soggetto ad indagine tributaria, tra i quali, ad esempio, il nemo tenetur se detegere, la possibilità di bloccare un accesso dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate al domicilio etc…

Infine, la Corte di Cassazione, sebbene formalmente non si opponga al sistema in precedenza delineato ritenendo che il giudicato penale non si estenda automaticamente al giudizio tributario e che le prove acquisite sul piano penale e trasmesse all’autorità amministrativa non possano da sole fondare il giudizio della commissione tributaria, di fatto ha operato uno stravolgimento del principio del doppio binario, giacché la condanna nonché la prova valutata dal giudice penale al fine di un tale giudizio ha l’effetto di invertire l’onere della prova nel processo tributario.

Sempre il giudice di legittimità, in palese violazione dell’art. 111 Cost. nella parte in cui prevede che il giusto processo sia regolato dalla legge, legittima travasi di materiale probatorio tra istruttoria amministrative e penale inquietanti: la G.d.f. può trasmettere senza alcuna autorizzazione da parte dell’Autorità giudiziaria i risultati dell’indagine penale e questi sono utilizzabili dall’Agenzia delle entrate che a sua volta può raccogliere elementi di prova in violazione degli artt. 32 e ss., D.P.R. 600/1973 e trasmetterli ex art. 332 c.p.p. senza che tale censura si rifletta nell’accertamento della responsabilità penale.

Infine, l’introduzione dell’art. 43, c. 2 bis, D.P.R. 600/1973 ha obbligato il giudice tributario ad operare un giudizio di natura penale nel caso in cui debba verificare la presenza dei presupposti per la denuncia ex art. 331 c.p.p. ai fini della legittimità della proroga dei termini.

Insomma, le novelle legislative, la C.EDU e la giurisprudenza di legittimità hanno creato il presupposto per un superamento del sistema creato 15 anni fa e che ha mostrato tutta la sua incoerenza proprio sul versante procedimentale: che coerenza ha un sistema processuale che potenzialmente può fornire due differenti risposte alla medesima esigenza di giustizia?

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