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Il rilievo della giurisprudenza C.EDU nel procedimento tributario: parametro di incostituzionalità (o

3. La giurisprudenza della C EDU in materia di utilizzo di poteri istruttori

3.3. Il rilievo della giurisprudenza C.EDU nel procedimento tributario: parametro di incostituzionalità (o

Dalle considerazioni in precedenza svolte si può affermare l’applicabilità delle garanzie della Cedu anche ai procedimenti tributari interni ed occorre verificare quale sia l’effetto dei principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla normativa interna.

Per far ciò, ricordo che con la riforma costituzionale del 2001213il primo comma dell’art. 117 Cost. dispone che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni

nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Tale norma è stata interpretata dalla Consulta con le famose

sentenze 348 e 349 del 2007 nel senso che la legislazione statale e regionale è condizionata dagli obblighi assunti a livello internazionale.

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Più precisamente, la Consulta ha affermato che i principi della giurisprudenza della C.EDU in applicazione delle sue garanzie valgono anche nel nostro ordinamento anche se la condanna nel caso specifico non era rivolta allo Stato italiano214.

Ciò premesso, secondo il Giudice delle Leggi, di fronte ad un contrasto tra una norma internazionale ratificata ed esecutiva in Italia e le disposizioni interne, il giudice a

quo deve esperire il tentativo di interpretare le leggi in modo conforme alla Convenzione

nel significato datovi dai giudici di Strasburgo; nel caso di infruttuoso tentativo il giudice interno deve adire la Corte Costituzionale essendo preclusa l’applicazione diretta della Convenzione (ossia la disapplicazione della norma interna215): in altre parole, per la Consulta i diritti dell’uomo non sono negoziabili.

Queste interpretazioni che trasformavano i principi desumibili dalle pronunce europee quale parametro di costituzionalità della legislazione italiana sono state parzialmente riviste con la sentenza della Consulta n. 264 del 2012. Più precisamente, la Corte ha affermato che la legittimità della normativa interna discende da una lettura dell’art. 6 CEDU, come applicato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in rapporto alle altre disposizioni costituzionali.

Pertanto, “(…) la norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art.

117 Cost., come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni” cui la Consulta in virtù del suo ruolo di “integrazione delle tutele”.

Più precisamente, la valutazione di legittimità costituzionale con riferimento al parametro della Cedu “deve essere operata con riferimento al sistema, e non a singole norme,

isolatamente considerate, in quanto «un’interpretazione frammentaria delle disposizioni normative […] rischia di condurre, in molti casi, ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalità di tutela» (sentenza n. 1 del 2013). Altrimenti detto, la

valutazione dalla Corte è “sistemica e non frazionata dei diritti coinvolti dalla norma di

volta in volta scrutinata, effettuando il necessario bilanciamento in modo da assicurare la massima espansione delle garanzie di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione reciproca (sentenze n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012)”216.

In conclusione, la Consulta si riserva il bilanciamento dei principi espressi in tali pronunce con gli altri interessi costituzionalmente garantiti. Di conseguenza, come la dottrina ha evidenziato, vi è stato un arretramento della capacità di penetrazione dei

214

Inoltre, la Corte ha chiarito che anche se una sentenza della C.EDU non riguarda una controversia contro lo Stato italiano ma contiene “affermazioni generali, che la stessa Corte europea ritiene applicabili oltre il caso specifico (…) questa Corte considera vincolanti anche per l’ordinamento italiano” (tra le tante, par. 4.4, Corte Cost., 18 luglio 2013, n. 170).

215

Sulla natura della C.EDU quale norma interposta, si veda G. RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. Trib., 2009, pag. 585.

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principi Cedu rispetto alle sentenze della Consulta nn. 348 e 349 del 2007217: la loro applicazione, infatti, non sarà immediata e, con riferimento alla normativa procedimentale tributaria, laddove qualcuno solleverà la questione di costituzionalità per incompatibilità con le pronunce della C.edu si scontrerà con un sistema costituzionale che in tema di qualificazione delle pene si informa al principio di legalità (art. 25 Cost.) e che in materia procedimentale ruota intorno all’art. 53 Cost. che, come noto, configura la lotta all’evasione quale necessario corollario del principio di capacità contributiva.

Sul punto, invero, occorre aggiungere che l’Italia aderisce all’Unione Europea e,

quantomeno con riferimento alle materie oggetto del trattato (per es. art. 113 TFUE218), la

Cedu trova un suo spazio di applicazione per via dell’art. 6 TUE dopo Lisbona in forza del quale “l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’Uomo e

delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli stati membri. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali …. In quanto principi generali del diritto comunitario”.

Sempreché sia corretto correlare tale norma con l’orientamento della Consulta per il quale l’art. 117 Cost. ha comportato una cessione di sovranità legislativa nelle materie oggetto del trattato U.E., il giudice come anche la pubblica amministrazione ha il potere- dovere di non applicare le norme interne incompatibili con i principi Cedu, senza bisogno di passare per il vaglio di costituzionalità219.

In conclusione, sebbene il sistema non sia ancora assestato, quantomeno in prospettiva futura, il giudice dovrà interpretare la norma tributaria interna coerentemente con i canoni della Cedu, oppure, in caso di antinomia irrisolvibile, deve rinviare la questione alla Corte costituzionale. Per le materie oggetto del trattato UE (per es. l’I.V.A.), non appare arduo ipotizzare il potere disapplicativo della normativa interna incompatibile. Peraltro, ricordo che le regole comunitarie sono suscettibili di imporsi anche a materie non

armonizzate quando determinano restrizioni alla libertà europee220.

217

Sul punto, P. PUSTORINO, Corte Costituzionale, Cedu e controlimiti, in Giur. It., 2013, pag. 775. Si tratta di un commento alla Corte Cost., 28 novembre 2012, n. 264. Si veda, A. RUGGERI, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il volto di un sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale (a prima lettura di Corte cost. n. 264 del 2102), in www.giurcost.org).

218

La disposizione prevede che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni della concorrenza.

219 Ricordo che le norma comunitarie prevalgono su quelle costituzionali salvo che non contengano i principi o diritti inalienabili della persona umana (Corte Cost., n. 94/117).

220

Peraltro, ciò vale anche con riferimento a fattispecie interne perché si realizza una discriminazione a rovescio a carico della fattispecie solo interna. S. MARCHESE, Diritti fondamentali europei e diritto tributario dopo il Trattato di Lisbona, in Dir. e Prat. Trib., 2012, pag. 331 e ss.

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Detto in altri termini, in tema controversie tributarie relative alle sanzioni amministrative e alla materia tributaria di competenza della UE è possibile far valere nel modo anzidetto una violazione della Convenzione: la Cedu oltre ad offrire una tutela risarcitoria rappresenta e rappresenterà sempre di più un parametro di costituzionalità o di disappicabilità della normativa interna contraria221.

La giurisprudenza di legittimità interna sembrava avere recepito questi principi con alcune pronunce del 2004 e del 2005 in materia di diritto al risarcimento per irragionevole durata del processo nel quale si affermava che “le controversie che non investono in

maniera specifica la determinazione del tributo, ma (…) che riguardino l’applicazione (e, quindi, la determinazione) di sanzioni di carattere tributario, sono sicuramente ricomprese nell’ambito dell’applicazione” della c.d. Legge Pinto222.

Dopodiché, nel 2008, il Giudice di legittimità ha aggiustato il tiro specificando che le controversie in materia tributaria devono ritenersi contemplate nella autonoma nozione di materia penale soltanto qualora le sanzioni irrogate siano commutabili in pene detentive ovvero siano qualificate sotto il profilo della particolare afflittività223.

Per ultimo, nel 2014, la Corte224 ha totalmente ribaltato le pronunce del 2004/2005

negando l’applicabilità della Legge Pinto al processo tributario ritenendo che il carattere afflittivo della sanzione amministrativa tributaria non sia sufficiente ai fini dell’assimilazione della sanzione tributaria alla sanzione penale per due motivi: da un lato la Corte di giustizia dell'Unione europea nella decisione 26 febbraio 2013, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson avrebbe rimesso al giudice interno la qualificazione della natura della sanzione e dall’altro lato “il nostro sistema costituzionale è retto dal principio di

stretta legalità nell'individuazione degli illeciti e delle sanzioni penali (art. 25 Cost.)”225.

221

Per approfondimenti, si rinvia a G. MELIS-A. PERSIANI, Trattato di Lisbona e sistemi fiscali, in Dir. e Prat. Trib., 2013, pag. 267 e ss.

222

Corte Cass., n. 17499 del 30 agosto 2005, Idem, 17 giugno 2004, n., 11350. 223

Corte Cass., Sez. Trib., Sent. n. 19367 del 15 luglio 2008. 224

Corte di Corte Cass., Sez. II civ., 8 settembre 2014, n. 18885, con commento di A. RUSSO, Poche chances per l’”equa riparazione” causata dal processo “lumaca”, in Il Fisco, 2014, pag. 3680.

225

“Si legge nella motivazione della sentenza di questa Corte, al cui decisum occorre dare continuità, che "in sostanza il processo tributario può ritenersi "sostanzialmente penale" e, dunque, precludere un eventuale successivo procedimento penale sui medesimi fatti, solo quando "i provvedimenti già adottati nei confronti dell'imputato ai sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale (...) Ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri. Il primo consiste nella qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell'illecito e il terzo nella natura nonchè nel grado di severità della sanzione in cui l'interessato rischia di incorrere" (parr. 34- 35, 37). Orbene, la pronunzia in esame amplia il novero degli elementi alla stregua dei quali il giudice nazionale è chiamato a decidere se le sanzioni tributarie assumano o no natura penale, introducendo dei riferimenti alla qualificazione giuridica dell'illecito e alla natura dello stesso, che sono immediatamente applicabili nell'ordinamento italiano. Invero, posto che il nostro sistema costituzionale è retto dal principio di stretta legalità nell'individuazione degli illeciti e delle sanzioni penali (art. 25 Cost.), recepito anche in sede di legislazione ordinaria, all'art. 1 c.p., e che è quindi demandato solo ed esclusivamente al legislatore l'individuazione del tipo penale, pare assai più conferente ancorare l'assimilabilità di una sanzione amministrativa (o tributaria) ad una

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Il primo argomento è, a mio avviso, inconferente in quanto in tema di ragionevole durata del processo il punto di riferimento per vagliare la copertura della Convenzione consiste nella giurisprudenza della C.edu e non in quella della Corte di Giustizia.

Viceversa, il secondo argomento appare molto serio in quanto, sul presupposto che le sanzioni tributarie rientrino nei c.d. criteri Engel, lascia presagire il bilanciamento degli interessi che la Corte Costituzionale dovrà operare in sede di giudizio di legittimità ex art. 117 Cost. della normativa sanzionatoria tributaria: le garanzie Cedu sono idonee a costituire parametro di costituzionalità della normativa procedimentale sanzionatoria oppure ciò è escluso in quanto l’art. 25 Cost. riserva allo stato italiano la qualificazione della natura dell’illecito?

A mio avviso, se la Corte costituzionale decidesse per la seconda opzione ciò comporterebbe l’abrogazione della norma di ratifica dell’adesione alla Cedu.