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I termini per la notifica dell’avviso di accertamento in caso di denuncia penale ex art 331 c.p.p.

6. Riflessi dell’emersione di indizi di reato nell’indagine amministrativa

6.1 I termini per la notifica dell’avviso di accertamento in caso di denuncia penale ex art 331 c.p.p.

ex art. 331 c.p.p. relativa ad uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000.

In forza del terzo comma degli artt. 43, D.P.R. 600/1973 e 57, D.P.R. 633/1972, “in

caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.

Tale disposizione, introdotta dall’art. 37, c. 25, D.L. 4 luglio 2006, n. 223251, secondo la Relazione governativa, è finalizzata a “garantire la possibilità di utilizzare per un periodo

250 Art. 14, c. 4, Bis, L. 24 Dicembre 1993, n. 537: “4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”. Sul punto si veda F. TUNDO, Indeducibilità dei costi da reato: dal reddito d’impresa alla rilevanza in ambito Irap, Corr. Trib., 2013, pag. 291; A. CARINCI, La disciplina sui costi da reato abbandona il doppio binario tra giudizio tributario e giudizio penale?, Corr. Trib., 2013, pag. 64.

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La disposizione prevede il raddoppio dei termini ordinari per l’accertamento delle II.DD. e dell’IVA da 4 a 8 anni (dichiarazione infedele) e dal 5 a 10 anni (dichiarazione omessa) ed è stata introdotta dall'art. 37, comma 24, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248. Analoga disciplina è prevista all’art. 84, Reg. CE 23 aprile 2008, n. 450 nonché nella Sect. 6502 (c) del Revenue Act, nell’Abgabeordung e nel Livres des procedures fiscal (su tali aspetti si rinvia a G. FRANSONI, Osservazioni controcorrente sul doppio termine dell’accertamento, in Rass. Trib., 2012, pag. 3121 e ss.)

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di tempo più ampio di quello ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dall’Autorità giudiziaria”.

Di fatto, in tali ipotesi si consente l’apertura o la riapertura dell’istruttoria amministrativa; ovviamente, in quest’ultimo caso sulla base dell’acquisizione di tali nuovi elementi emersi durante il procedimento penale.

Più precisamente, anche prima di tale novella era possibile la circolazione del materiale probatorio dal procedimento penale al procedimento tributario in deroga del segreto istruttorio, ma ora l’Agenzia delle Entrate può emettere un avviso di accertamento

o un accertamento integrativo252 in termini ben più ampi.

Ciò detto, fin dalla sua introduzione, la dottrina si è scagliata contro tale disposizione in esame sostenendone a più riprese la sua irragionevolezza e la sua incostituzionalità; specie per l’effetto della riapertura dei termini di accertamento che alla data della entrata in vigore della norma erano già scaduti253.

Inoltre, ciò che è sembrato contrastare con la ratio della norma254 è stata l’attività dell’Agenzia delle Entrate che da soggetto passivo (colui che riceve i nuovi elementi emersi nelle indagini penali) ha inteso la normativa come potere della stessa di estendere l’istruttoria ai periodi oggetto del nuovo maggior termine. Bastava (e basta) al termine delle indagini inviare una denuncia penale ex art. 331 c.p.p ad oggetto uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000 per sfruttare il maggior termine.

Nel 2011 la disposizione tanto criticata nella sua applicazione pratica è stata oggetto di un arresto della Consulta (n. 247 del 25 luglio 2011) che, nella sostanza, ha respinto le censure delle dottrina fatte proprie dal giudice a quo ed ha legittimato detta prassi.

Il ragionamento della Consulta è complesso e deve essere interamente riportato, anche perché tale pronuncia si può considerare diritto vivente.

In primo luogo, il Giudice delle Leggi ha sconfessato la relazione governativa al decreto legge: premesso che la voluntas legis ex art. 12 delle preleggi al c.c. deve essere intesa in senso oggettivo (e non soggettivo)255, la ratio della norma consiste nel dotare l’Amministrazione finanziaria “di un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati

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Ai sensi dell’art. 43, c. 4, D.P.R. 600/1973 e art. 57, c. 4, D.P.R. 633/1972 “fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (…)”.

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Ricordo che norma si applica “a decorrere dal periodo di imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e al secondo comma” dell’art. 43, D.P.R. 600/1973 e dell’art. 57, D.P.R. 633/1972.

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“La disposizione crea un’interruzione dell’accertamento tributario e una sorta di canale preferenziale per le indagini penali, i cui risultati si vogliono utilizzare anche ai fini tributari. L’assunto è quello (…) di una maggiore capacità conoscitiva delle indagini penali rispetto all’accertamento tributario” (E. MARELLO, Segreto professionale e segreto nell’accertamento tributario, in Rass. Trib., 2011, pag. 284).

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Sul punto, G. FRANSONI, Osservazioni controcorrente sul doppio termine dell’accertamento, in Rass. Trib., 2012, pag. 312.

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utili a contrastare illeciti tributari, i quali, avendo rilevanza penale, sono stati non ingiustificatamente ritenuti dal legislatore particolarmente gravi e, di norma, di complesso accertamento”.

Sulla base di tale premessa, il Giudice delle Leggi chiarisce che la novella legislativa non ha inteso prorogare i termini di cui ai comma 1 e 2, ma ha introdotto termini differenti laddove vi sia l’obbligo di denuncia penale a seguito dell’emersione durante le indagini, penali o amministrative, di un illecito penale ex L. n. 74/2000.

I termini, insomma, non derivano da una tardiva acquisizione di elementi caratterizzanti l’illecito penale, ma sono il riflesso della presunta condotta del contribuente che l’amministrazione ritiene di aver accertato256. In altre parole, sono più brevi in ipotesi di contribuente che ha correttamente presentato la dichiarazione dei redditi/i.v.a., subiscono un incremento di un anno nel caso di omissione della stessa e sono lunghi nel caso di presunta condotta penale che comporti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.

Da tale precisazione, la Consulta desume che il termine lungo non è una proroga dei termini stabiliti nei primi due commi degli artt. 43 e 57 ed opera anche se i presupposti per tale raddoppio sono rilevati successivamente alla scadenza dei termini ordinari.

E ciò vale anche con riferimento ai periodi di imposta per i quali l’Agenzia, all’atto dell’introduzione della norma, non aveva più il potere di operare l’accertamento. In questo caso, invero, la Consulta ha aggiunto che l’eventuale censura di incostituzionalità non sarebbe potuta nemmeno fondarsi sul comma 3 dell’art. 3 dello Statuto (che prevede che i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati) in quanto non ha rango di norma interposta quale parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale257.

La Corte, poi, si è occupata della presunta irragionevolezza della norma del 2006 con riferimento a tre aspetti: incertezza sul termine di decadenza ancorato non ad un dato certo (come una data precisa) ma alla presunta scoperta di un illecito penale (elemento incerto anche perché non è detto che la tesi degli investigatori sia confermata in processo), arbitrarietà di un meccanismo che consente ad una parte, l’Agenzia delle Entrate, di superare agevolmente il termine di decadenza e, infine, irragionevole lunghezza del maggior termine.

Secondo la Consulta non vi sarebbe alcuna incertezza di diritto sul termine di decadenza poiché l’Ufficio non ha alcuna arbitrarietà nell’ottenere il raddoppio dei termini in quanto esso “opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte

256 Sul punto si veda Il raddoppio dei termini per l’accertamento tributario (art. 43, c. 3, D.p.r. 600/1973 e 57, c. 3,

D.P.R. 633/1972), a cura di Abi, Ania, Assonime, Confundustria, 2010. F. FONTANA, L’incidenza dell’esito del procedimento penale sui termini per l’accertamento tributario, Riv. Giur. Trib., 2010, pag. 818.

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Per una critica di tale interpretazione si veda, P. CENTORE, La Consulta legittima il raddoppio dei termini per l’accertamento, in Corr. Trib., 2011, pag. 2781.

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di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall’art. 331 cod. proc. pen. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale. Per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, tale obbligo sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita”258.

Peraltro e a fortiori, l’utilizzo del termine lungo è sempre sottoposto al vaglio del Giudice tributario che “dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la

sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

A tal fine la Corte precisa che “a) in presenza di una contestazione sollevata dal

contribuente, l’onere di provare detti presupposti è a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il più ampio potere accertativo attribuitole dal censurato terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972; b) il correlativo tema di prova − e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario − è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato; c) gli eventuali limiti probatori propri del processo tributario hanno, pertanto, una ridotta incidenza nella specie e, comunque, non costituiscono oggetto delle sollevate questioni”.

Quanto al termine, la Consulta ritiene non sia irragionevolmente lungo in quanto è di poco superiore al termine di prescrizione dei reati (allora era di 6 anni) e “la sua entità è

adeguata a soddisfare la ratio legis di dotare l’amministrazione finanziaria di un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari, i quali avendo anche rilevanza penale, sono stati non ingiustificatamente ritenuti dal legislatore di complesso accertamento”.

L’arresto è stato variamente criticato dalla dottrina.

Innanzitutto, il legislatore ha dato all’Agenzia delle Entrate la possibilità di operare un giudizio sull’esistenza del reato quando la stessa, a mente della L. n. 4/1929, non ha competenza di accertare il reato stesso.

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Cassazione pen. n. 27508/2009; n. 26081/2008 e n. 15400/2008; n. 1244/1985; n. 6876/1980; n. 14195/1978. Peraltro, il pubblico ufficiale allorché abbia acquisito la notitia criminis nell’esercizio od a causa delle sue funzioni non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia.

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Inoltre, si chiede alle Commissioni tributarie un giudizio incidenter tantum di stampo penalistico che sembra confliggere con il diritto ad essere giudicati dal proprio giudice naturale nonché con i limitati poteri istruttori di cui all’articolo 7, D.Lgs. 546/1992.

Vi sono poi altri aspetti critici.

In primo luogo, come può il funzionario rilevare la sussistenza del dolo259?

In secondo luogo, la norma ha trasformato la natura della denuncia: nel sistema penale “è uno strumento non autonomo, un tramite per l’eventuale azione successiva; nel nostro sistema è invece divenuto un fatto dotato di efficacia giuridica propria, indipendentemente dagli eventi successivi” 260.

Tutto ciò premesso, a mio avviso, alcune critiche della dottrina non sembrano cogliere nel segno, giacché ancorare il termine lungo all’emersione di un fatto che comporta l’obbligo di denuncia rappresenta una chiara e razionale scelta del legislatore che individua negli illeciti puniti da una sanzione penale, quindi più gravi, un termine maggiore per recuperare l’evasione realizzata.

Inoltre, affermare che l’Agenzia delle Entrate non è l’organo deputato all’accertamento degli illeciti tributari è vero, ma questo non esclude che, anche prima della novella legislativa, il funzionario fosse comunque tenuto alla denuncia ex art. 331 c.p.p. in ipotesi di emersione di illeciti penali nell’ambito di una attività istruttoria.

Mi pare altresì pretestuoso affermare che l’Agenzia delle Entrate non è indipendente nel giudizio se inoltrare la denuncia o meno in quanto le consente di rimettersi in termini per l’accertamento. Questo comportamento, invero, può essere ascritto a singoli funzionari ma non di certo all’esercizio della funzione di accertamento.

Ciò detto, mi sembrano irrazionali altri aspetti della norma. Il legislatore, infatti, mirava a reprimere comportamenti illeciti che emergevano nel corso delle indagini penali grazie ai poteri istruttori dei p.m. e per i quali il termine per l’accertamento era già scaduto, viceversa la Consulta conferisce di fatto all’Amministrazione, che non ha tali poteri di accertare tali illeciti, la facoltà di raddoppiare i termini a seguito di indagine amministrativa. In altre parole, nelle intenzioni del legislatore, era la Procura che poneva in essere una prima valutazione dell’esistenza di reato e sulla base di questa l’Agenzia operava la rettifica; non il contrario.

259

E. MARELLO, Il raddoppio dei termini per l’accertamento al vaglio della Corte Costituzionale, in Rass. Trib., 2011, pag. 1301.

260

E. MARELLO, Il raddoppio dei termini per l’accertamento al vaglio della Corte Costituzionale, in Rass. Trib., 2011, pag. 1301.

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Comunque sia, la vera irrazionalità della norma, a mio avviso, consiste nell’assenza

di alcun raccordo tra il procedimento penale ed il procedimento tributario261.

Come è stato efficacemente notato, il raddoppio dei termini “non è connesso alla

sussistenza di uno dei delitti di cui al D.Lgs. 74/2000, ma ad una rappresentazione astratta sulla sussistenza degli elementi del reato, reato che in concreto può essere del tutto assente”262.

L’assenza di un meccanismo di raccordo potrebbe portare a risultati paradossali: a fronte di un assoluzione sul piano penale potrebbe esserci la conferma della legittimità dell’accertamento da parte dei giudici tributari, il che sarebbe ancor di più inaccettabile se l’assoluzione dipendesse da una prova inutilizzabile in campo tributario come, per esempio, la prova testimoniale.

Insomma, la ratio della norma per come è stata individuata dalla Consulta (e cioè dotare l’Amministrazione finanziaria di uno strumento utile per contrastare gli illeciti tributari più gravi) contrasta con il fatto che il raddoppio dei termini è legittimo anche in caso di assoluzione o, addirittura, mancato esercizio dell’azione penale263,264.

Addirittura, se, come si è visto, la Suprema Corte, Sezioni penali, ritiene che ai fini della denuncia il funzionario non deve tener conto delle cause di non punibilità, delle cause di estinzione del reato e di esclusione della pena, e se nel caso concreto tali condizioni sussistono, in tali ipotesi si arriverà ad un giudizio penale favorevole per il contribuente, ma l’amministrazione potrà godere di un termine più ampio.

Se, in definitiva, con l’allungamento del termine si vuole reprimere con più forza l’illecito più grave che senso ha conferire tale potere all’Amministrazione finanziaria nel caso in cui l’illecito non sia stato commesso?

Occorre, infine, affrontare ulteriori aspetti problematici posti dalla norma ma non affrontati dalla Consulta: il raddoppio vale solamente con riferimento al periodo nel quale emerge il presunto illecito penale? Ed il contribuente può azionare il diritto di accesso agli atti per avere copia della denuncia ex art. 331 c.p.p.?

261 Secondo una giurisprudenza di merito, qualora il processo penale è definito con una formula di insussistenza del reato non sussiste nemmeno l'obbligo di denuncia, con la conseguenza che non opera il raddoppio dei termini (Comm. Trib. Prov. di Torino, sentenza n. 97/15/11 dell'8 giugno 2011. Alla stessa stregua, qualora il reato tributario sia prescritto (Comm. Trib. Reg..dell'Umbria, sent. n. 227 del 24/11/2011) o qualora vi sia stata l’archiviazione del procedimento penale (Comm. Trib. Prov., Padova, Sentenza n. 85 del 18 giugno 2013) , l'Amministrazione finanziaria non può usufruire del raddoppio dei termini per procedere all'accertamento.

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E. MARELLO, Il raddoppio dei termini per l’accertamento al vaglio della Corte Costituzionale, in Rass. Trib., 2011, pag. 1296 e ss.

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E. MARELLO, Il raddoppio dei termini per l’accertamento al vaglio della Corte Costituzionale, in Rass. Trib., 2011, pag. 1299. Si veda anche C. DI GREGORIO, Corte Costituzionale, sent. 20 luglio 2011, n. 247 . Il raddoppio dei termini supera il vaglio della Consulta, Il fisco, 2011, pag. 5682 e ss.

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La Circ. 54/E dell’Agenzia delle Entrate del 23 dicembre 2009 ritiene che il raddoppio operi a prescindere dalle successive vicende del giudizio penale per via della separazione dei giudizi. Contra, C. T. P. di Torino, Sez. XXIV, 15 febbraio 2010, n. 4.

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Con riferimento al primo aspetto, secondo la G.d.f. la lettera della novella disposizione consente il raddoppio dei termini e quindi ha efficacia anche nei confronti di periodi di imposte nei quali non emerge un reato tributario (circ. n. 1/2008).

Questa impostazione non mi pare condivisibile: così come se per un anno la dichiarazione è stata omessa l’incremento di un anno del termine ordinario di accertamento non si estende al periodo successivo in cui tale dichiarazione è stata correttamente inoltrata, l’eventuale raddoppio del termine attiene al solo periodo per il quale si configura l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.

In relazione alla seconda questione, il Consiglio di Stato265 ritiene che la notitia

criminis non sia un atto di indagine coperto dal segreto delle indagini ex art. 329 c.p.p.; di

conseguenza, il richiedente ha il diritto di accesso266 ai sensi della L. 241/1990 della denunzia presentata dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate. Questa decisione, variamente interpretata dalla dottrina267 e singolare nel ritenere la notitia criminis quale atto di indagine, mi pare condivisibile in un punto: se, come generalmente, accade la

265

Per ultimo, si veda Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 10 agosto 2011, n. 4769. 266

Il diritto di accesso disciplinato dalla L. 241/1990 si intende secondo due profili: il c.d. diritto di accesso endoprocedimentale (o partecipativo) che è espressamente escluso nel procedimento tributario ed il c.d. diritto di accesso esoprocedimentale esercitato ai sensi degli artt. 22 e ss. Tale ultimo diritto di accesso è esercitabile dal contribuente in quanto una volta concluso il procedimento di accertamento non vi sono più esigenze di segretezza (Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5144). In altre parole, l’inaccessibilità degli atti è temporanea, solo con riferimento alla fase istruttoria (Cons. Stato, Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 53). Il diritto di accesso trova il fondamento nell’art. 21 Cost. quale diritto all’informazione e dell’art. 97, c. 1, Cost. quale strumento atto a garantire trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa (così, G.M. CIPOLLA, Diritto di difesa del contribuente ed accesso informativo alla “notitia criminis”, GT Riv. Giur. Trib., 2012, pag. 58).

267

Tale sentenza che tiene conto dell’esigenza di conoscere l’esistenza della denuncia ex art. 331 c.p.p. che è presupposto per l’applicabilità dell’art. 43, c. 3, D.P.R. 600/1973 è stata criticata dalla dottrina.

In primo luogo, si è detto che non regge, specie paragonando la denuncia ex art. 331 c.p.p. alla comunicazione della notizia di reato ex art. 347 c.p.p. (dove si indica che la polizia giudiziaria deve indicare le fonti di prova e le attività investigative compiute), la qualificazione di tale elemento che non costituisce atto di indagine e come tale non soggetto al segreto ex art. 329 c.p.p. Più precisamente, il segreto investigativo viene meno con la chiusura delle indagini preliminari (salvo per gli atti per cui è obbligatoria la presenza del difensore) e la denuncia ex art. 331 c.p.p. da parte dell’Agenzia delle Entrate più che consistere in uno spunto investigativo, contiene atti che nella sostanza sono di indagine veri e propri (M. Di SIENA, Accesso agli atti e rapporto penale, in Dialoghi Trib., 2011).

Condivide l’interpretazione del giudice amministrativo G.M. CIPOLLA, Diritto di difesa del contribuente ed accesso informativo alla “notitia criminis”, GT Riv. Giur. Trib., 2012, pag. 55 e ss. Più precisamente, l’autore ritiene che al termine del procedimento di accertamento il segreto di indagine non è indirettamente il mezzo per preservare il procedimento dalla divulgazione ab extrinseco dei fatti ad esso acquisiti. L’autore, tuttavia, critica l’affermazione per la quale la notitia criminis non è un atto delle indagini, ma un suo presupposto in quanto se fosse sempre garantito il diritto di accesso “verrebbe svilita sul nascere l’esigenza di accertare in sede penale i fatti oggetto della notitia”, così