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1.1 La necessità di una teoria etica

Le indagini condotte da Jonas nelle prime «due fasi» del suo pensiero sfociano in un terreno apparentemente estraneo rispetto a quello in cui esse si originano: l’ambito etico.

Tuttavia – come si è visto –, sia gli esiti degli studi sullo gnosticismo che quelli della biologia filosofica, da un lato, rivelano come gli stessi temi teorici in essi centrali abbiano già in nuce una parentela con la dimensione dell’agire dell’uomo – il senso del suo rapporto con il mondo e le modalità in cui questo viene interpretato, sia da un punto di vista ontologico-metafisico che da quello epistemologico, in quanto istanze che condizionano tale agire – e, dall’altro, sollevano problematiche propriamente morali – come la questione dei valori e quella di una libertà che nell’uomo assume una complessità tale da richiedere un uso consapevole e responsabile, cioè normativizzato.

Ma non è soltanto un’esigenza, per così dire, sistematica ad aprire la strada a una riflessione morale; piuttosto è l’incontro tra la portata etica dei risultati teorici raggiunti e uno sguardo attento all’attualità, con gli aspetti più propri e i problemi che la caratterizzano, a condurre Jonas all’elaborazione di un’etica che si inserisca non soltanto nella tradizione filosofica, assolvendo il suo consueto compito di guida per l’agire umano, ma soprattutto che sia adeguata a rispondere alle problematiche cui si trova a far fronte l’uomo di oggi.

In particolare, esiste un aspetto al quale, secondo Jonas, è necessario rivolgere una maggiore attenzione filosofica, poiché si tratta di un’istanza che è giunta a riguardare tutti gli aspetti del vivere e del fare dell’uomo: la tecnologia. È così che, sin da subito, l’etica jonasiana viene presentata come un’«etica per la civiltà tecnologica» e Il principio

responsabilità, l’opera centrale in cui vengono esposti i suoi contenuti, come un «Tractatus

technologico-eticus»1.

1 H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. xxix (ed. or.

Tuttavia, prima di procedere alla fondazione e all’elaborazione di una dottrina morale che sia adeguata a rispondere alle problematiche sollevate dall’era della tecnologia, a Jonas risulta di importanza fondamentale mostrare quali siano le ragioni più profonde per cui l’agire tecnologico esige la formulazione di una specifica etica di riferimento. A tal fine appare funzionale mostrare in che cosa propriamente consiste la tecnologia e su cosa si fondi.

Il termine “tecnologia” indica in generale – sebbene, come mostrerà Jonas, non si possa ridurre soltanto a questo – l’uso di strumenti tecnici, sempre più complessi ed elaborati, finalizzati a svolgere una determinata funzione pratica e a ottenere specifici scopi di utilità. L’ideazione e la produzione di tali strumenti deriva da competenze teoriche che si fondano, a propria volta, su un particolare tipo di sapere, che è quello scientifico, un sapere che, sin dalla sua costituzione, in virtù di ciò che prende ad oggetto, delle modalità in cui interpreta quest’ultimo e del metodo di indagine di cui fa uso, assume un suo proprio e peculiare statuto, distinguendosi così essenzialmente da ciò che era stato sempre inteso come sapere2.

A tal proposito Jonas delinea le caratteristiche della scienza moderna mettendola a confronto con il suo parente più prossimo, l’epistemologia classica, al fine di mostrare come il cambiamento della concezione del sapere abbia avuto implicazioni significative non soltanto da un punto di vista prettamente epistemologico3.

L’ambito del sapere, nella mentalità classica, si fonda sulla divisione strutturale tra due attività sostanzialmente separate e distinte tra di loro, una puramente teorica e un’altra di natura pratica: la teoria e la techne. La teoria rappresenta la conoscenza vera e propria, consistente nella contemplazione dell’essere delle cose nel tentativo di coglierne l’ultima e più intima natura e comprenderle così come sono. Il senso di questo sapere consiste nel permettere all’uomo che lo attua di raggiungere la massima perfezione: esso è a tutti gli effetti un sapere fine a se stesso, animato dal puro appetito alla verità, che non mira a ottenere altro scopo che la conoscenza stessa, intesa come ciò in cui si realizza

2 Sulla rivoluzione scientifica del XVII secolo e sul cambiamento della visione epistemologico-ontologica che si

attua in essa cfr. anche quanto detto alle pp. 19-20 del presente lavoro.

3 È propriamente nel saggio Dell’uso pratico della teoria, ora in H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una

biologia filosofica, cit., pp. 239-262 (ed. or. The Practical Uses of Theory, in «Social Research», XXVI, 1959), indispensabile premessa teorica alla sua etica, che Jonas muove dal paragone tra la concezione antica e la concezione moderna del sapere – rappresentate emblematicamente dalle parole di Aristotele e da quelle di Francesco Bacone –, per mostrare come, nel passaggio dall’una all’altra, mutino sostanzialmente oggetto, fine e, in definitiva, senso del sapere. Ciò risulta funzionale a mettere a fuoco, da un lato, il tipo di legame che si stabilisce tra scienza moderna e tecnologia e, dall’altro, i problemi filosofici che, nel suggellarsi di tale legame, sono venuti a crearsi.

massimamente l’essenza umana. Ogni altro sapere specifico è invece di pertinenza della

techne, la quale si configura come una qualsiasi abilità pratica che si serve di un insieme di

competenze teoriche, che vengono dunque in essa applicate, finalizzate alla realizzazione di uno scopo determinato.

Ora, nella concezione moderna il significato di teoria e pratica cambia sostanzialmente e si attua un significativo spostamento semantico della nozione di sapere. Infatti, come viene mostrato da Jonas riportando le paradigmatiche parole di Bacone4, il senso primario della

scienza non è quello di giungere a una qualche conoscenza fine a se stessa, bensì essere al servizio della vita dell’uomo, migliorarne le condizioni di esistenza, realizzarne i desideri, produrre soluzioni per risolverne i problemi, in una parola: servire alla sua felicità. È così che la concezione di sapere fine a se stesso, cioè come teoria, scompare, e l’unico significato di sapere che rimane è quello di sapere per, cioè di conoscenza sempre utile a qualcosa e, di conseguenza, nei fatti sempre relativa a un determinato dominio tecnico.

Alla luce di tale nuova ed esclusiva funzione assunta dal sapere, tuttavia, anche la stessa relazione di teoria – concepita ora nell’unico senso di insieme di nozioni teoriche – e prassi – cioè l’utilizzo fattuale di tali nozioni – cambia essenzialmente: quest’ultima non consiste più nella semplice applicazione di un apparato teorico già concepito e definito anteriormente, così come la prima non ha più uno statuto di indipendenza assoluta rispetto alla pratica. Nella scienza della natura la pratica serve alla teoria così come la teoria serve alla pratica; il loro è un rapporto di interdipendenza assoluta e l’una risulta inconcepibile senza l’altra. Le conoscenze scientifiche, infatti, necessitano di un ambito di sperimentazione pratico, in virtù del quale si costituiscono: la natura viene interrogata a partire da ipotesi teoriche, ma solo le sue risposte pratiche, manifeste, visibili, andranno a definire la teoria stessa5.

La teoria moderna è pertanto intrinsecamente pratica in quanto deve già contenere in sé le risposte fisiche dell’esperienza; essa è intrinsecamente pratica in quanto vive di un rapporto non puramente speculativo con la natura, dalla quale riceve risposte immediate e imprescindibili per la sua stessa costituzione; è, insomma, non una teoria che serve alla prassi, ma una teoria che è già prassi. «In questo modo – afferma pertanto Jonas – la fusione

4 Cfr. H. Jonas, Dell’uso pratico della teoria, cit., p. 239.

5 In questo senso: «Dobbiamo, dice Bacone, “venire alle mani con la natura” e farle qualcosa per costringerla a

fra teoria e prassi diviene inscindibile in una misura che i meri termini di scienza “pura” e “applicata” non rendono evidente»6.

E, d’altra parte, il processo conoscitivo non si arresta all’acquisizione di una determinata conoscenza: la teoria, così integrata grazie all’interazione di attività teorica e pratica, andrà a supportare nuove ipotesi e dunque nuovi procedimenti d’indagine e così via in un circolo senza fine. Con le parole di Jonas: «La teoria stessa è divenuta un processo e […] un processo che implica costantemente il proprio uso pratico […]. La teoria è divenuta tanto una funzione dell’uso quanto l’uso una funzione della teoria». Infatti «in base ai risultati pratici dell’applicazione si pongono alla teoria nuovi compiti, le cui soluzioni vengono riportate all’uso e così via. Così la teoria è profondamente immersa nella prassi»7. Questo è

il senso vero e proprio della tesi jonasiana per cui per la teoria moderna l’applicazione pratica non è casuale, bensì connaturata o, detto altrimenti, che la scienza della natura è essenzialmente tecnologica8.

Ora, secondo Jonas, l’aspetto più importante del cambiamento del rapporto tra teoria e pratica è che il sapere che così si attua di volta in volta comporta sempre un intervento concreto che agisce sull’esterno, cioè, propriamente, su ciò che prende ad oggetto, risolvendosi, in ultima analisi, in un rapporto modificante e manipolante con l’oggetto di studio9. Ciò è connesso al fatto che nel nuovo approccio della scienza vengono

essenzialmente modificati entrambi i termini della relazione conoscitiva: da un lato l’oggetto, la natura, non è più ciò che deve essere contemplato per essere compreso così com’è, ma, in quanto istanza dinamica che “viene sorpresa all’opera”, è ciò deve essere compreso nel suo funzionamento per poter essere manipolato, riprodotto, modificato10;

dall’altro, il soggetto conoscente non si limita a prendere atto dello stato delle cose in natura – cioè a «sapere che cosa» –, ma è interessato a sapere come esse funzionano – e a «sapere

6 Ibidem.

7 Ivi, p. 261. 8 Cfr. ivi, p. 249.

9 Essendo un sapere intrinsecamente pratico, infatti, esso comporta sempre il compiersi di un’azione che dunque,

in quanto tale, non può che avere un qualche impatto tangibile sull’esterno: «Un uso è pratico – spiega infatti Jonas – quando comprende un’azione esterna che causa o impedisce un cambiamento nell’ambiente. (Quindi l’applicazione della matematica nella fisica non è pratica bensì teorica)» (ibidem).

10 Come Jonas sottolinea in questa sede e in altre della sua opera, il cambiamento di approccio conoscitivo nei

confronti della natura muove da un cambiamento della stessa idea ontologica di quest’ultima: essa è stata ridotta dalla scienza moderna a mera materia, a un insieme di grandezze quantificabili e di forze meccaniche traducibili in termini fisico-matematici. Pertanto, non c’è più un essere eterno delle cose da contemplare, non esistono più enti aventi una dignità intrinseca e una ragion d’essere trascendente; l’universo della scienza moderna consiste ormai interamente di «cose comuni» (cfr. ivi, p. 243).

bene come»11 –, in modo tale da saperle riprodurre, cioè in modo tale che il suo sapere

diventi un saper fare12. Infatti, per la scienza moderna, «conoscere una cosa significa sapere

com’è fatta o come può essere fatta e significa pertanto essere in grado di ripetere o variare o anticipare il processo di produzione»13. È in questo senso che è possibile affermare che

sapere è sapere come funziona, che conoscere è fare, e che, in definitiva, la scienza moderna consiste propriamente in un fare, ma, ancora più essenzialmente, in un poter fare: il sapere è potere.

È in questo punto in cui la scienza moderna si rivela nella sua essenza che essa deve incontrare per Jonas il terreno filosofico, e in particolare quello etico; se, infatti, il fare della scienza è nella sua sostanza un poter fare, e dunque un potere, in quanto tale esso necessita di una normativizzazione: «il potere per sua natura può essere sia di fare male che di fare bene»14, il che implica la necessità di una guida per un uso positivo.

Non solo: l’esigenza di una regolamentazione risulta ancora più stringente se si prende in considerazione la natura della tecnologia come manifestazione principe di tale potere; essa, lungi dal rappresentare un uso neutrale delle conoscenze scientifiche e dal costituire un innocuo mezzo per, va invece problematizzata, dato il suo intrinseco riferirsi a questioni tanto di natura pratica – quali i suoi ambiti d’uso, le sue conseguenze concrete – quanto di natura teorica – come i valori cui fa riferimento, più o meno implicitamente, e i fini che nei fatti persegue.

La problematicità della tecnologia dunque non si arresta al suo fondamento ontologico- epistemologico. È la sua stessa natura a sollevare aspetti problematici: è problematica la dinamica in cui si dispiega, non circoscritta a usi determinati, ma infinita e autoalimentantesi; sono problematici gli effetti che determina, spesso imprevedibili, di portata e senso opposti rispetto ai propositi positivi delle azioni da cui si originano e per le quali, dunque, il solo essere animate da “buone intenzioni” risulta insufficiente; diventano problematiche le modalità in cui la tecnologia condiziona la vita dell’uomo, rendendolo da individuo agente che, attuando un ormai smisurato potere, sembra realizzare il suo massimo grado di libertà rispetto alla sua stessa natura a soggetto ridotto a una totale dipendenza

11 Ivi, p. 255.

12 «Di fatto questo tipo di comprensione è esso stesso un tipo di produzione immaginaria o di imitazione dei suoi

oggetti e questa è la ragione più profonda per l’applicabilità tecnologica della moderna scienza naturale» (ivi, p. 254).

13 Ivi, p. 255. 14 Ivi, p. 245.

rispetto a quegli oggetti. Sono problematici, in ultimo, i fini e gli scopi a cui il progresso tecnologico sembra mirare; a maggior ragione nella misura in cui la scienza dichiara tali fini come svincolati da qualsiasi tipo di valore15. Ma – riflette Jonas – l’insaziabile sete di

cambiamento che sottende il progresso tecnologico non è forse giudicato come qualcosa di positivo e dunque non viene salutato come valore? E nella misura in cui la felicità dell’uomo è intesa come lo scopo ultimo da perseguire non vale la pena definire in maniera ponderata e seria in cosa essa consista? È anzi proprio il concetto di “felicità”, cui dichiarano di tendere sia il sapere scientifico che il progresso tecnologico su cui essa si fonda, a risultare di fatto ancora molto vago e a lasciare così indeterminato quale sia il vero miglior interesse dell’uomo.

Alla luce di tutto ciò è necessaria una guida di riferimento per l’agire scientifico e tecnologico in particolare; occorre cioè un sapere che muova una riflessione su questo stato di cose, che indichi un uso “illuminato”, positivo, saggio, della scienza tecnologica e delle sue possibilità e potenzialità. È fondamentale secondo Jonas che si recuperi ciò che nel passaggio dalla mentalità antica a quella moderna si è perduto: una teoria dell’uso della teoria, cioè un sapere che si erga al di sopra del sapere scientifico per interrogarsi sui criteri e sui valori a cui quest’ultimo si rifà – nonostante lo neghi –, sugli scopi che intende perseguire, su ciò che il suo uso, in quanto agire, mette in campo. In definitiva, ciò che propriamente occorre è una teoria etica.

Solo l’etica filosofica, infatti, può erigersi a sapere intorno ai valori e intorno ai fini, può essere cioè in grado di fondare oggettivamente i principi affinché questi ultimi siano legittimati in quanto tali, permettendo così una valida distinzione tra uso giusto e sbagliato, degno o indegno, desiderabile o indesiderabile, lecito o illecito della tecnologia.

Ma non si tratta soltanto di una scelta possibile: una guida etica per la società tecnologica si pone per Jonas come un urgente e ineludibile compito filosofico. L’urgenza è data da due dati di fatto: in primis, dagli scenari realistici di minaccia e dalle prospettive concrete di pericolo causati dall’agire tecnologico; in secondo luogo, dall’aver abdicato da parte

15 Per una spiegazione puntuale della «forma» e della «materia» in cui consiste la tecnologia, cioè delle sue

caratteristiche più proprie sia da un punto di vista teorico che concreto e fattuale, e per tutte le problematiche che essa mette in campo, circa i suoi effetti, le modalità d’uso, la portata delle sue azioni e, infine, il suo venire a toccare problemi radicali, di natura non solo etica ma persino metafisica, si rimanda ai due saggi contenuti in H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, cit., intitolati significativamente Perché la tecnica moderna è oggetto della filosofia (pp. 7-27; ed. or. Toward a Philosophy of Technology, in «Hasting Center Report», IX (1979), n. 1) e Perché la tecnica moderna è oggetto dell’etica (pp. 28-36; ed. or. Technology as a Subject for Ethics, in «Social Research», XLIX (1982), n. 4).

dell’uomo contemporaneo a qualsiasi riferimento a valori superiori e trascendenti. Detto altrimenti: l’epoca della tecnologia è la stessa epoca del nichilismo; eppure essa, proprio in virtù della radicalità dei problemi che pone, avrebbe bisogno, forse più di ogni altra nella storia dell’umanità, di una massima saggezza per farvi fronte16. Tuttavia l’uomo di oggi non

appare nelle condizioni di farlo: «tremiamo – dice allora Jonas – nella nudità di un nihilismo nel quale il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto»17.

È per questo che il sapere, la teoria, è chiamato improrogabilmente a pronunciarsi, e l’uomo, a sua volta, a fare appello a nuovi principi etici e a riscoprire l’indispensabilità di valori e norme di riferimento, a rispondere, in definitiva, con un nuovo tipo di responsabilità, pena la sua stessa esistenza e l’inviolabilità della condizione umana18.

1.2. La mutata natura dell’agire umano

Stabilita la necessità di una riflessione morale che funga da guida normativa per la civiltà tecnologica, Jonas prende in esame le caratteristiche della disciplina etica nella sua impostazione classica al fine di valutare la sua idoneità anche nel caso dell’agire tecnologico. L’indicazione fondamentale da cui muove Jonas, infatti, è quella secondo la quale è opportuno non dare per scontata la relazione che sussiste tra etica e agire.

È a partire da tale considerazione che viene messo in evidenza come, fino al mutamento storico rappresentato dalla modernità, l’agire umano abbia sempre condiviso alcune caratteristiche essenziali e che, proprio in virtù di ciò, anche le varie manifestazioni dell’etica tradizionale abbiano condiviso i medesimi presupposti. È in questa prospettiva che

16 «Siamo […] continuamente alle prese con opzioni su prospettive ultime che richiedono una somma saggezza:

una situazione impossibile per l’uomo in generale, visto che egli non possiede tale saggezza, e per l’uomo contemporaneo in particolare, orientato com’è […] a negare l’esistenza del […] valore assoluto e [della] verità oggettiva. Eppure abbiamo tanto più bisogno della saggezza quanto meno crediamo in essa» (H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 29).

17 Ivi, p. 31. Anzi, Jonas non manca ancora una volta di sottolineare come l’assenza assoluta di valori e

l’accentramento nelle mani dell’uomo di un potere smisurato siano l’esito interconnesso del medesimo processo: «proprio quel movimento che ci ha messi in possesso di quelle forze, il cui impiego deve essere ora regolato normativamente – ossia il movimento del sapere moderno nella forma delle scienze naturali – ha spazzato via, con un’ineluttabile complementarità, i fondamenti da cui si erano potute dedurre le norme, distruggendo anzi la stessa idea di norma» (ivi, pp. 30-31).

18 Afferma significativamente Jonas, evidenziando la necessità di una riflessione etica che prenda ad oggetto la

tecnologia e insieme il fondamentale ruolo della disciplina morale all’interno della stessa filosofia: «Qui non è più il piacere della conoscenza, bensì la paura del futuro o la preoccupazione per l’uomo a motivare fondamentalmente il pensiero […]. Oltre ogni stimolo di curiosità scientifica, questo appello della cosa stessa indica allo studioso la sua missione, ossia quella di diventare attraverso la contemplazione, cooperatore nel compito che si impone in essa» (H. Jonas, Scienza come esperienza personale, cit., pp. 29-30).

Jonas prende in esame le caratteristiche fondamentali che accomunano ogni etica tradizionale nella sua stretta relazione con l’agire umano cui fa riferimento. Lo fa per rispondere a una domanda centrale: l’agire tecnologico è considerabile alla stregua di ogni altro agire sinora messo in atto dall’uomo?

L’etica tradizionale, in virtù dei presupposti da cui muove, dell’oggetto della propria riflessione e di tutti i possibili scenari di cui deve tener conto, si delinea per Jonas come “etica della prossimità e della sincronicità”. Essa, infatti, nella sua funzione di guida per l’agire, di determinazione dei principi e fondazione dei doveri, al di là dei contenuti particolari che ha di volta in volta proposto, condivide la sua strutturale relazione con un