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IL DIRITTO DI MORIRE

2. Jonas nel dibattito bioetico contemporaneo

L’operazione teorica di Jonas volta ad applicare principi e valori etici a circostanze reali e concrete, tali da suscitare particolari problematiche riguardanti l’agire, non costituisce un caso isolato. Essa si inserisce piuttosto all’interno di un nuovo approccio e, per così dire, di una nuova direzione che la stessa riflessione morale viene a intraprendere a partire dagli anni ’50 del Novecento.

Se è vero, infatti, che Jonas è stato il primo pensatore a mettere a fuoco la componente pratica ed etica della tecnica, e dunque a interpretare la necessità di sottoporre quest’ultima a un attento esame filosofico-morale, dall’altro è vero anche che ben presto lo stesso progresso tecnico-scientifico, con il suo apportare radicali cambiamenti in tutti gli ambiti della vita dell’uomo, ha richiesto alla disciplina etica di ripensare la sua funzione e tentare di apportare un contributo non solo teorico ma pragmatico, cioè non solo attuando una riflessione su tali cambiamenti, ma soprattutto tentando di restituire soluzioni concrete alle inedite problematiche, appunto di natura pratica e concreta, che essi iniziavano a sollevare.

Tradizionalmente il vero e proprio compito della morale è stato quello di individuare criteri, norme e principi di comportamento con il fine, da un lato, di restituire un orientamento sensato per l’agire umano, e, dall’altro, di garantire la legittimità e la validità oggettiva delle istanze a cui tale orientamento doveva riferirsi. Seguendo questo duplice scopo la riflessione etica si è interrogata sul significato di concetti come quelli di bene, di virtù, di dovere, e lo ha fatto muovendosi in contesti concettuali e prospettive differenti e restituendo di volta in volta risposte diverse, che avessero propriamente una funzione normativa oppure che apportassero

14 Ivi, p. 6. Anche alla luce di ciò la medicina si conferma l’ambito privilegiato da cui muovere la nuova riflessione

etica: essa, investita delle nuove possibilità tecniche, è il luogo dove tali quesiti radicali – insite già di per sé nella realtà tecnologica, ma non sempre evidenti – emergono in maniera chiara e rivelano la grandezza della loro portata. Non solo: è proprio l’ambito medico a mostrare come tali questioni non possano più essere relegate in un ambito di riflessione meramente teorico e astratto, ma riguardano in maniera reale e concreta la vita quotidiana di tutti gli uomini.

un contributo significativo alla disciplina etica stessa, assumendo, ad esempio, uno statuto non normativo ma piuttosto descrittivo o analitico16. Dunque, per quanto essa abbia dato

luogo a dottrine e teorie differenti, il fine ultimo di tale riflessione è rimasto sempre il medesimo: restituire un ausilio efficace per l’agire, anche solo a partire dall’analisi delle condizioni di possibilità della sua effettiva capacità di farlo. Con ciò, tuttavia, la disciplina etica non si è mossa mai, di fatto, oltre i limiti dell’indagine e dell’elaborazione teoriche, quasi che il filosofo morale potesse pronunciarsi “dall’alto” sulla realtà e sui valori che dovevano essere fatti valere in essa, senza tuttavia mai calarsi effettivamente nel terreno concreto.

Ma con gli sviluppi tecnologi che a partire dalla seconda metà del secolo scorso investono tutti gli ambiti della vita umana – le nuove tecniche di comunicazione, i nuovi mezzi di trasporto, le nuove possibilità in ambito clinico-sanitario, le nuove scoperte scientifiche –, nonché con la presa di coscienza anche dei loro possibili usi estremi e devastanti – di cui l’utilizzo della bomba atomica costituisce il caso emblematico –, alla riflessione morale viene richiesto un ripensamento tanto dei suoi compiti e della sua funzione quanto del suo approccio nei confronti della realtà concreta.

Il processo, in verità, non si origina in prima battuta all’interno del terreno filosofico: i problemi sollevati dalle nuove tecnologie, soprattutto in ambito medico, assumono ben presto la concretezza di casi giuridici, e la risonanza mediatica di quest’ultimi17, insieme ai

cambiamenti politici, determinano una maggiore presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, chiamata in qualche modo a prendere parte ai dibattiti sollevati. È proprio a partire da questo movimento che si origina, in ambito ora propriamente filosofico, una riflessione sistematica e organizzata volta a prendere in esame le specifiche problematiche etiche sollevate dalle tecnologie, al fine di applicare principi e criteri morali al terreno della prassi concreta e alle specifiche circostanze.

16 In particolare, nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti, nel contesto della filosofia analitica il dibattito etico si

è basato, nella prima metà del ’900, prevalentemente sulla meta-etica, ossia sull’analisi del linguaggio morale e degli elementi che lo strutturano, quali enunciati, definizioni, istanze logiche.

17 Mi riferisco ai noti casi, che ebbero luogo negli Stati Uniti, della sentenza Roe vs. Wade, che nel 1973

liberalizzava l’aborto, e a quello della famiglia Quinlan, che ebbe inizio nell’aprile del 1975, nel quale i genitori della giovane Ann Karen in stato di coma irreversibile richiesero l’eutanasia per la figlia, attraverso la sospensione dei macchinari artificiali che la tenevano in vita.

Nasce così, intorno agli anni ’70 del Novecento in ambiente americano, la bioetica quale prima disciplina volta a rispondere alle sfide etiche provocate in particolare dalle tecnologie mediche, giunte – come si è già messo in evidenza – a un punto tale da venire a riguardare aspetti essenziali della vita umana, come i modi di nascere, di vivere e di morire. Ad essa ben presto vengono ad affiancarsi le cosiddette “etiche applicate”, quali settori disciplinari volti a occuparsi di tutti i possibili ambiti riguardanti la vita dell’uomo nei quali lo sviluppo delle tecnologie ha determinato una radicale trasformazione, dando luogo a questioni e interrogativi che necessitano di un’indicazione concreta di tipo morale. Ciascuna etica applicata, pertanto, assume come proprio oggetto di indagine e di riflessione una determinata realtà, come, per fare alcuni esempi tra i tanti possibili, l’ambiente, la comunicazione, l’economia18.

L’affermarsi delle etiche applicate in ambito filosofico ha avuto importanti e utili implicazioni sia a livello pratico-istituzionale che socio-culturale. Da un lato, infatti, esse hanno condotto alla creazione di pratiche istituzionalizzate, di codici deontologici, di documenti a garanzia dei diritti del paziente, di comitati etici, tutte istanze, queste, entrate ormai a far parte integrante della prassi in uso; dall’altro esse hanno contribuito all’affermarsi di una maggiore e più diffusa coscienza a livello pubblico e collettivo. In ciascun ambito poi, filosofico-scientifico, istituzionale o pubblico che sia, essa ha in ogni caso determinato l’originarsi di definite correnti, spesso in opposizione tra loro, come, per fare solo un esempio, quelle di “progressisti” o “conservatori” o quelle, in ambito propriamente bioetico, pro life e

pro choice, le quali prendono di volta in volta posizione sui particolari casi che vengono

sottoposti all’attenzione pubblica, soprattutto quelli più estremi e paradigmatici.

È in tale contesto filosofico-culturale, dunque, che Jonas si inserisce come voce autorevole: tuttora, infatti, egli rappresenta uno dei protagonisti del dibattito bioetico contemporaneo.

18 Per un’introduzione alle etiche applicate si veda A. Fabris (a cura di), Etiche applicate. Una guida, Carocci,

Roma 2018; e, in particolare il contributo di M. Mori, Un’introduzione alla bioetica, in ivi, pp. 21-32, dove viene brevemente delineata la storia della bioetica, a partire dalla sua origine e dalle istanze che ne sono state a fondamento, sino ai successivi sviluppi ed ultimi esiti, tanto nel contesto storico-politico in cui è nata quanto nel nostro Paese. Nella Premessa a questo volume viene anche posta attenzione al problema, intrinseco allo stesso statuto delle etiche applicate, del metodo di approccio di tali discipline alle situazioni pratiche e concrete cui devono far fronte. Tra i poli opposti di un approccio top-down, di tipo sintetico-deduttivo – volto ad applicare i principi etici generali al caso particolare –, e di quello bottom-up o “casistico” – basato sull’analisi di specifici casi di studio –, viene qui significativamente proposto un approccio di tipo “circolare”, che non muova cioè da una preliminare adozione di una delle due prospettive, ma che tenga conto di volta in volta del tipo di complessità che può sussistere nel rapporto tra elaborazione teorica e applicazione pratica.

La sua rilevanza non si deve soltanto al significativo contributo che egli è riuscito ad apportare attraverso l’analisi di alcune delle questioni centrali di tale dibattito, ma anche all’originalità delle sue posizioni in merito, molte delle quali “controcorrente” – come recita lo stesso titolo di una sua conferenza19 – e non collocabili all’interno di una definita scuola di

pensiero: per certi aspetti conservatore, ma per altri progressista, sempre attento a non allontanarsi dalla formulazione di argomenti razionalmente sostenibili, quindi a muoversi in un’ottica laica e secolarizzata, ma nemmeno restio a fare proprie riflessioni vicine a un sentire religiosamente connotato o comunque ispirato a valori trascendenti e metafisici. In breve: l’approccio sempre sui generis tipico e caratteristico del pensiero jonasiano non si smentisce nemmeno nell’ultimo stadio del suo lavoro filosofico.

In generale, Jonas non nega mai i benefici della tecnica, ma per lui è fondamentale porre sempre l’accento sui rischi che alcune sue utilizzazioni, apparentemente del tutto legittime ed ed esclusivamente positive, portano con sé: portare l’uomo contemporaneo a tale consapevolezza – si è visto – si pone oggi per lui come l’urgente e primario compito della filosofia in generale e dell’etica in particolare. Pertanto, ciò che risulta indispensabile chiamare in causa è propriamente una responsabilità tecnologica: essa implica, da una parte, considerare i progressi tecnologici non solo come scoperte che devono essere salutate con entusiasmo, ma sempre come passi dell’umanità forieri di rischi e conseguenze pericolose, e pertanto tali da richiedere che si proceda sempre con prudenza e cautela; dall’altra – come Jonas ha messo in evidenza nell’elaborazione fondativa della sua etica per la civiltà tecnologica – tale responsabilità si caratterizza come ontologica prima ancora che etica: l’uomo è primariamente chiamato a essere responsabile di fronte all’essere. L’essere infatti, costituisce secondo Jonas un valore in sé e, in quanto tale, merita responsabilità e rispetto. Questo è un aspetto non reso esplicito nella trattazione delle specifiche e singole tematiche affrontate dall’autore, ma che rimane costantemente in sottofondo e dalla considerazione del quale non si può prescindere se si vogliono cogliere tutte le sfumature sottese alla sua riflessione.

Alla luce di tutto ciò è possibile, infine, individuare quello che è l’interrogativo di fondo che si cela dietro alle argomentazioni che Jonas formula sugli specifici problemi affrontati e

19 Against the Stream. Comments on the Definition and Redefinition of Death, pubblicato in H. Jonas, Philosophical

Essays. From Ancient Creed to Technological Man, cit. (ed. it. Controcorrente. Osservazioni sulla definizione e ridefinizione della morte, in Id., Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici, cit., pp. 209-220).

che li tiene uniti pur nella loro diversità: tutto ciò che la tecnica in generale, e quella medica in particolare, è in grado di fare è anche lecito che lo faccia? Un poter fare giustifica, in quanto tale, un fare, un agire conseguente? Un potere di fare, cioè, legittima un diritto a fare?

La risposta di Jonas a tali quesiti è negativa: è necessario tentare di individuare sempre il limite tra ciò che è lecito fare e ciò che non lo è. Del perenne tentativo di individuazione di questo limite l’essere umano, ora che detiene nelle sue mani uno smisurato potere, è chiamato a essere responsabile.

Tale interrogativo di fondo, pertanto, viene ad essere centrale in una delle principali tematiche bioetiche trattate da Jonas, di assoluta rilevanza nello stesso dibattito contemporaneo: quella dell’eutanasia. Essa riguarda l’agire tecnologico in ambito medico e uno degli ambiti essenziali della vita umana in cui questo ha avuto un impatto rivoluzionario, appunto quello del morire. In essa trovano applicazione molti dei principi e dei valori fondati da Jonas come moralmente rilevanti in sede teorica: oltre che il principio responsabilità, il quale deve guidare l’agire dei soggetti coinvolti nelle circostanze che riguardano la morte di un individuo, anche quello della tutela della dignità e dell’immagine dell’uomo in quanto uomo, e quello della vita come valore assoluto.