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IL DIRITTO DI MORIRE

1. L’etica pratica di Jonas: tecnica e medicina

Si è visto come il lungo itinerario filosofico di Jonas approdi, consolidandosi in quella che viene definita la «terza fase» del suo pensiero, all’ambito etico. Con Il principio

responsabilità egli tenta di inserirsi nel quadro della disciplina morale, elaborando una

dottrina etica che si fondi su principi oggettivamente validi, formulando un imperativo categorico che indichi propriamente in cosa debba consistere il dovere per l’uomo, sostenendo la necessità di ripristinare i valori quali istanze di riferimento indispensabili per l’agire degli esseri umani. Tale elaborazione etica, però, non risponde puramente ad esigenze teoriche, bensì mira a costituire l’adeguata risposta a un particolare momento della storia umana in cui il terreno etico – cioè, in definitiva, un solido sistema di riferimento di valori che orienti la vita degli uomini – sembra vacillare, se non venire del tutto a mancare.

L’etica jonasiana, tuttavia, oltrepassa e supera – almeno negli intenti e sicuramente per alcuni suoi aspetti del tutto originali – la morale tradizionale, non solo in quanto si pone come proposta di ripristino di valori in un’epoca, quella dell’imperare del nichilismo, in cui lo stesso valore in quanto tale sembra aver perso forza e dignità, bensì perché – come si è visto – prende ad oggetto un’istanza mai presa in considerazione dalla riflessione etico-filosofica: la tecnica nella caratterizzazione peculiare che essa ha assunto in epoca moderna.

La tecnica moderna, pur nascendo in origine come ausilio pragmatico per migliorare la vita dell’uomo attraverso la creazione di strumenti utili a conseguire determinati scopi – dunque rispondendo alla medesima esigenza per la quale l’essere umano si è da sempre avvalso della tecnica –, fondendosi con il sapere scientifico e con un tipo di conoscenza prima inaccessibile all’uomo – anch’essi peculiarmente moderni –, è giunta a configurarsi come un processo inedito, imprevedibile nei suoi esiti, dotato di sue proprie e specifiche caratteristiche e

modalità. In una parola: la tecnica moderna è divenuta, propriamente, tecnologia1. Essa si è

sviluppata in una maniera tale da modificare radicalmente l’agire dell’uomo e la vita umana in ogni suo aspetto. Infatti, con la tecnologia, con le possibilità che essa ha già aperto e che di giorno in giorno continua ad aprire, con il suo rendere plausibili e attuabili orizzonti prima inimmaginabili, il fare e l’esistenza degli uomini sono irreversibilmente e profondamente mutati, e nessun ambito della vita umana è rimasto, per così dire, inviolato rispetto a questo processo. Il lavoro, la salute, la vita pratica quotidiana, la comunicazione, persino le attività ludiche ed edonistiche, ogni cosa è stata travolta dalla sindrome tecnologica. Non solo: la tecnologia ha investito anche aspetti che riguardano le fasi cruciali dell’esistenza umana in quanto tale, esistenziali e biologiche, come il nascere e il morire; momenti, questi, rispetto ai quali l’essere umano non ha mai disposto di alcuna significativa possibilità di intervento2.

Così l’etica jonasiana, l’etica della responsabilità – il principio sul quale deve fondarsi una morale che voglia essere adeguata al nuovo tipo di agire –, viene fondata come una «macroetica»3 per la civiltà tecnologica, e a tale civiltà essa tenta di restituire un opportuno

sistema normativo, indicando cioè specifici doveri e obblighi da assolvere e dei principi e dei valori da rispettare.

Infatti, proprio in quanto la tecnologia si è venuta a configurare gradualmente, da un lato, come caratteristica storica, essenziale della modernità, come un suo tratto distintivo, e, dall’altro, come realtà radicatasi in ogni aspetto della vita umana, essa rappresenta un’istanza ormai ineludibile: non è più possibile né ignorarne l’esistenza né rapportarsi ad essa

1 In particolare, per la differenza tra tecnica e tecnologia si rimanda a A. Fabris, Etica delle nuove tecnologie,

Editrice La Scuola, Brescia 2012, pp. 11-15. Le caratteristiche, inedite e nel contempo intrinsecamente problematiche, proprie del processo tecnologico, sono puntualmente illustrate da Jonas nel già citato saggio Perché la tecnica moderna è oggetto dell’etica.

2 Come afferma Jonas per indicare la portata onnipervasiva della tecnologia: «la tecnica è entrata oggigiorno a far

parte di quasi tutto ciò che riguarda l’uomo – vivere e morire, pensare e sentire, agire e patire, ambiente e cose, desideri e destino, presente e futuro –, in breve […] è divenuta un problema centrale e pressante per l’intera esistenza dell’uomo sulla terra» (H. Jonas, Perché la tecnica moderna è oggetto della filosofia, cit., p. 7).

3 L’intento di elaborare una “macroetica” è significativo in quanto sta a sottolineare la nuova portata che ha

acquisito l’agire, per quanto riguarda sia l’ampliamento delle sue potenzialità sia l’ordine dei suoi effetti, i quali si estendono tanto a un livello spaziale – assumendo dimensioni planetarie – quanto temporale – non riguardando più solo il presente ma chiamando in causa soprattutto la dimensione del futuro (sul tema della mutata natura dell’agire umano cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., pp. 3-32 e, in questo lavoro, quanto detto nel § 1.2 del precedente capitolo). Un “ampliamento” della morale, inoltre, riguarda tanto il soggetto dell’agire quanto l’oggetto della cura etica, soggetto e oggetto che vengono significativamente a coincidere: ciascun essere umano è chiamato ad essere responsabile rispetto al nuovo potere che gli viene conferito dalla tecnologia, così come tutta l’umanità, in un senso – come si è visto – propriamente ontologico-metafisico, deve secondo Jonas diventare l’oggetto prioritario e principale della tutela morale.

considerandola come qualcosa di neutrale o accidentale. Si tratta pertanto di una realtà con cui è necessario fare i conti, rispetto alla quale, cioè, si impone la ricerca di risposte etiche4.

A ben vedere, però, l’elaborazione di una teoria etica che orienti l’uomo nell’epoca della tecnica moderna5, di una teoria che cioè spiega in cosa consiste il nuovo agire e propone –

provando a legittimarne la ragion d’essere – dei valori da rispettare e un dovere generale da assolvere, non risulta sufficiente, da sola, ad adempiere il compito che si pone, quello cioè di costituire una guida morale, proprio in virtù dell’oggetto che problematizza e di cui vuole farsi carico. Infatti, è lo stesso tema della nuova riflessione etica, la tecnologia, a richiedere per sua stessa natura un ulteriore passaggio, un completamento: è necessario prendere in esame e valutare le circostanze particolari, le situazioni concrete, che essa viene a creare, e non solo in quanto mere situazioni specifiche che, di per sé, determina inevitabilmente e naturalmente ogni agire, bensì propriamente in quanto circostanze che sollevano problematiche con cui l’uomo non si è dovuto mai confrontare. Detto altrimenti: la tecnologia solleva degli interrogativi pratici e al contempo inediti, «interrogativi che non furono mai posti in precedenza in termini di scelta concreta»6 e ai quali ora la morale deve restituire

risposta e soluzione.

La riflessione etica che nasce per far fronte alla tecnologia viene pertanto a rimandare in maniera essenziale all’ambito della sua applicazione; o meglio: la teoria etica della responsabilità, per portare a termine il vero e proprio obiettivo cui mira, deve poter trovare applicazione; la nuova teoria etica deve essere applicata, ovvero deve farsi prassi, deve restituire risposte e soluzioni efficaci e pratiche a situazioni pratiche, tanto complesse quanto inedite.

È così che, mentre Il principio responsabilità viene a rappresentare la parte fondativa dell’etica della responsabilità per la civiltà tecnologica, tale teoria etica giunge a trovare il

4 Cogliendo un aspetto centrale della posizione jonasiana, ovvero quello che riguarda l’urgenza filosofica di far

fronte alla realtà tecnologica quale realtà problematica senza tuttavia negarne l’utilità e l’imprescindibilità, commenta a tal proposito Becchi: «Al punto in cui siamo non possiamo più tornare indietro, anche se l’andare avanti comporta sempre nuovi pericoli. La morale dovrebbe allora insegnarci a convivere con gli alti rischi che l’avventura tecnologica porta inevitabilmente con sé. In ciò sta l’essenza dell’etica della tecnica» (P. Becchi, Introduzione, in H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, cit., p. XVI).

5 È importante sottolineare che tale orientamento va ora inteso, per così dire, in un duplice senso: l’uomo non ha

più bisogno soltanto di una guida rispetto alle azioni che deve o non deve compiere, rispetto a ciò che può o non può fare – compito, questo, proprio dell’etica tradizionale –, ma anche relativamente a come far fronte alle possibilità che pone di volta in volta la tecnologia. In altri termini, la disciplina morale non ha più a che fare soltanto con l’agire dell’uomo; una nuova istanza deve essere contemplata ora in quanto attiva e agente: la tecnologia come processo autoalimentantesi e in parte ormai autonomo, ambiguo, non totalmente intellegibile e per certi versi imprevedibile.

suo completamento in una parte applicativa, la quale viene elaborata da Jonas nell’opera

Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità: è propriamente qui, infatti,

che Jonas tenta – come suggerisce lo stesso titolo del volume – di compiere il «passo dal generale al particolare e dalla teoria all’ambito della prassi»7.

In Tecnica, medicina ed etica, pertanto, vengono affrontate alcune problematiche cruciali che si originano dalle nuove possibilità aperte dalla tecnologia e che nessun tipo di agire aveva mai posto. Si tratta, nello specifico, di questioni “bioetiche”, le quali sollevano interrogativi morali e che concernono – come si è accennato – l’esistenza dell’uomo sotto diversi aspetti, da quelli che toccano la vita quotidiana sino a quelli che vengono a riguardare in maniera più radicale la condizione umana. Si tratta, ancora, di tematiche che, da un lato, risultano essere molto concrete in termini di fattualità e di scelta e, dall’altro, vengono a toccare questioni più profonde, esulando dalle circostanze particolari da cui nascono e ponendo invece interrogativi che riguardano aspetti ultimi dell’esistenza umana.

È lecito che uno scienziato porti avanti una ricerca il cui esito può potenzialmente avere effetti nocivi? È cioè egli, data la natura del suo ruolo, esonerato da qualsiasi responsabilità morale? Può rivelare al mondo una scoperta che può essere usata non solo a fin di bene ma

7 H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, cit., p. 3. Il rimando a una sezione

applicativa, complementare alla parte teorica, è in realtà già presente in Il principio responsabilità. Nella Prefazione al volume pubblicato nel ’79, infatti, Jonas fa riferimento a una «parte applicata» che verrà aggiunta in futuro all’indagine sistematica, nonché alla formulazione di una «casistica provvisoria» che mostri «il nuovo genere di questioni etiche e di doveri» che devono essere ora di pertinenza della morale. Tematiche come prolungamento della vita, controllo del comportamento, manipolazione genetica vengono brevemente presentate da Jonas già in sede fondativa per restituire un’idea concreta del carattere inedito dell’agire tecnologico e delle questioni particolari sollevate da quest’ultimo (H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., pp. 24-28).

Al fine di comprendere in maniera compiuta la genesi dei testi etici jonasiani, tuttavia, sia detto per inciso che la «parte applicata», che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto vedere la luce alla fine dello stesso anno di pubblicazione di Il principio responsabilità, sarà invece pubblicata nel 1985, peraltro quale risultato di un accorpamento di saggi editi in periodi diversi e pertanto rispondenti a momenti differenti della produzione intellettuale – e della vita personale – di Jonas. Ora, esaminando la genesi stessa dei testi jonasiani è possibile ricostruire il processo di maturazione della riflessione etica all’interno dell’articolato percorso intellettuale di Jonas. Stando alla pubblicazione delle sue opere principali, infatti, sembrerebbe che l’elaborazione di un’etica applicata sia stata successiva a quella della teoria etica, cioè che l’interesse teorico sia stato antecedente a quello pratico. A ben vedere, invece, l’attenzione di Jonas alle tematiche morali, in particolare in relazione all’argomento della tecnica, nasce proprio a partire dalla sua stessa esperienza personale e dalle attività professionali che egli si trovò a svolgere alla fine degli anni ’60. Alcune conferenze che egli fu chiamato a tenere su problematiche inerenti all’ambito etico e il suo successivo contatto con istituti medici e di bioetica fecero sì che la filosofia diventasse per lui «una cosa importante sotto il profilo pratico» e che, pur non distaccandosi dall’ambito della ragione teorica, entrasse «in termini kantiani, nel campo filosofico della ragion pratica». È stato dunque primariamente l’interesse per alcune tematiche di bioetica e medicina – di cui costituiscono prova le date di pubblicazione di alcuni saggi che sono confluiti in Tecnica, medicina ed etica – a suggerirgli la necessità di una più approfondita riflessione in ambito morale: è da qui che ha mosso la riflessione sistematica e compiuta sulla disciplina etica e sui suoi nuovi compiti. Per la ricostruzione della genesi e dello sviluppo del pensiero etico jonasiano e il rapporto tra teoria etica ed etica applicata, nonché delle opere che ne trattano, si rimanda a H. Jonas, Memorie, cit., pp. 252-261, da cui sono tratte le affermazioni citate. Per il rapporto tra Il principio responsabilità e Tecnica, medicina ed etica si veda inoltre P. Becchi, Introduzione, cit., pp. x-xiii.

anche in maniera negativa, nociva, distruttiva? Ne ha il dovere? Ne ha diritto? E – per considerare un altro problema della medesima portata – fino a che punto può spingersi la ricerca medica, in quanto scienza volta a compiere il bene per l’uomo, nella misura in cui per fare progressi si trova nella condizione di dover sacrificare alcuni soggetti per poter raggiungere il proprio scopo? Ma ancora: una volta scoperto che è possibile modificare il DNA dell’essere umano, è lecito farlo anche se, insieme ai vantaggi a cui può condurre questa possibilità, si annidano rischi che riguardano le sorti, la costituzione, in definitiva, la stessa immagine dell’uomo? E una volta compreso che la procreazione può essere trattata non soltanto alla stregua di una faccenda naturale, ma che può essere controllata, ovvero agevolata, interdetta, “pilotata”, con mezzi artificiali e a discrezione degli individui, quali sono le condizioni che rendono legittima e auspicabile questa opportunità di controllo? E se la scienza medica è giunta a un così alto livello di progresso da poter compiere operazioni tali da salvare la vita di un uomo, qual è la maniera migliore di gestire queste possibilità? Siamo in grado di garantire l’accesso a questi benefici a tutti quelli che ne hanno bisogno, oppure di volta in volta le situazioni particolari richiedono specifiche valutazioni? È possibile individuare un protocollo standardizzato che renda queste pratiche giuste ed eque? E, infine, se la morte non rappresenta più l’ineluttabile per eccellenza, il momento ultimo rispetto al quale all’uomo è dato solo rassegnarsi, ma è possibile trattarla alla stregua di un evento cui, pur sempre nei limiti delle possibilità umane, si può in qualche modo far fronte, non solo a volte riuscendo ad evitarla, ma anche procrastinandola, spostandone i confini, persino dandone una definizione del tutto arbitraria e tentando così di stabilirne le condizioni, è moralmente doveroso per l’uomo riflettere sul significato, sulle conseguenze, sulla legittimità, sui limiti di questa possibilità? Rispetto a quello che, insieme alla vita, rappresenta il più elevato mistero dell’esistenza, è giusto per l’uomo, ora dotato di inedite opportunità, di un nuovo potere, stabilire i limiti oltre i quali non è possibile inoltrarsi, sebbene la tecnologia alimenti l’illusione che la morte sia qualcosa di arginabile e controllabile da parte dell’uomo? Qual è il prezzo da pagare per tale possibilità?

Responsabilità morale e neutralità della ricerca scientifica, sperimentazione sui soggetti umani, intervento sulla costituzione biologica dell’essere umano e ingegneria genetica, procreazione medicalmente assistita, teorie elaborate in ambito medico per giustificare alcuni tipi di interventi e operazioni, eutanasia sono i temi centrali che Jonas ora affronta e dei quali il potere tecnologico rappresenta la causa diretta: problematiche che non avevano ragione di

essere poste prima dell’avvento della tecnica moderna e delle prospettive di progresso che essa ha aperto. Ed è in tali problematiche che la teoria morale, l’etica della responsabilità, deve trovare applicazione8.

Dalle questioni bioetiche prese in considerazione da Jonas si evince così un altro aspetto caratteristico della sua indagine: se tecnica ed etica costituiscono il binomio chiave all’interno della riflessione jonasiana, nella misura in cui la tecnica moderna diventa, da un lato, l’oggetto privilegiato dell’indagine morale, e, dall’altro, il terreno reale in cui tale teoria deve trovare verifica e applicazione, Jonas, da ultimo, affianca ad essi un terzo termine, il quale viene a completare il quadro in cui sviluppare la sua analisi: la medicina9.

Per quanto la tecnologia sia intervenuta in tutti gli ambiti della vita dell’uomo, infatti, l’ambito della medicina, insieme a quello della biologia umana, viene designato da Jonas come il terreno principe a partire dal quale e nel quale muovere la sua riflessione, in quanto esso rappresenta l’ambito in cui l’impatto della tecnologia si manifesta emblematicamente.

In primo luogo, infatti, l’ambito della medicina e della biologia umana costituiscono quello «a noi più vicino» in quanto essi riguardano intrinsecamente l’essere umano10, poiché

8 È importante sottolineare che, nel caso particolare dell’etica jonasiana, applicare la teoria alla prassi non significa

soltanto far fronte al nuovo compito che l’istanza tecnologica pone alla stessa filosofia morale, ovvero “venire alle mani” con la realtà concreta (si veda in proposito il paragrafo seguente), ma significa che è lo stesso principio individuato dalla teoria come il fondamento dell’agire morale ad avere la capacità di essere applicato, ed è in tale capacità che risiede propriamente il suo valore. In altri termini, la stessa applicazione pratica della teoria etica viene ad assumere una duplice valenza: essa mostra, in primo luogo, che il senso più proprio e il valore della nuova proposta etica risiedono nella sua stessa possibilità di applicazione, cioè nella capacità della teoria di rispondere ai problemi concreti, e, nel contempo, poiché Jonas individua nel principio responsabilità il criterio principe per affrontare questi ultimi, verifica la capacità del principio di rispondere alle nuove domande poste dallo sviluppo tecnologico e, con ciò, dimostra la validità di questo. Anche alla luce di tale fondamentale aspetto è dunque possibile interpretare il rapporto tra Il principio responsabilità e Tecnica, medicina ed etica; a tal proposito Becchi definisce significativamente quest’ultimo come una “microetica” quale analisi circostanziata di problemi particolari che, facendo seguito alla “macroetica” elaborata in Il principio responsabilità, tenta di illustrare «in concreto il senso di quella nuova etica della responsabilità» (ivi, p. xi; corsivo mio).

9 Anche in questo caso, la considerazione dell’ambito medico dal punto di vista etico, per quanto appaia elaborata

in forma compiuta soltanto in Tecnica, medicina ed etica, è in realtà antecedente all’elaborazione vera e propria della teoria della responsabilità e va di pari passo con l’interesse di Jonas per l’ambito morale (a tal proposito cfr. supra, p. 93 nota 7). La medicina infatti costituisce l’oggetto delle prime riflessioni etiche immediatamente successive alla cosiddetta «seconda fase» del pensiero dell’autore: l’ambito medico fu argomento di trattazione delle conferenze che egli fu chiamato a tenere alla fine degli anni ’60, nonché specifico campo d’azione dello Hasting Center, l’istituto di bioetica fondato nel 1969, di cui egli entrò a far parte come founding fellow. È Jonas stesso, ancora una volta, a pronunciare la sua testimonianza: fu proprio il lavoro in ambito medico a renderlo consapevole della rilevanza pratica e concreta che poteva assumere la riflessione etico-filosofica («Lavorando presso questo istituto, entrai a far parte di un ente pubblico, che per la prima volta stabilì un collegamento fra riflessione sull’etica della ricerca e decisioni estremamente pratiche»; H. Jonas, Memorie, cit., p. 259), del fatto che la tecnica fosse un’istanza suscettibile di esame morale, e infine, del forte impatto che in particolare aveva avuto la tecnica sullo stesso ambito medico («Solo lo Hasting Center, che guidò la mia visione sui problemi etici della tecnologia moderna, mi rese […] cosciente del fatto che la medicina è una delle forme del progresso tecnico che sul piano etico e del merito rientravano nelle mie tematiche. Molti dei miei successivi scritti sull’etica medica derivano da quell’attività […]»; ivi, p. 260).

10 «Da quale estremo dell’ampio spettro tecnologico si può dunque iniziare? Forse è meglio iniziare da quello a noi