• Non ci sono risultati.

Sino ad ora si è analizzato lo sviluppo del settore distributivo, affermando, sin da principio, come l’offerta delle imprese commerciali cerchi di rispondere al meglio alle mutevoli esigenze dei consumatori, ottimizzando il loro grado di soddisfazione. Ritengo quindi opportuno ed interessante analizzare anche l’altra faccia della medaglia, il mondo del consumo, che da sempre ha stimolato gli operatori della distribuzione ad offrire soluzioni sempre nuove e meglio rispondenti alle mutevoli necessità di acquisto del mercato e ai diversi ambiti spaziali di operatività.

L’analisi dell’evoluzione dei consumi di un paese, infatti, rappresenta un punto di riferimento essenziale per poter comprendere i cambiamenti fondamentali del contesto economico e sociale e per capire i processi di sviluppo delle strutture industriali e delle politiche delle imprese nel corso del tempo.

Per quanto riguarda la struttura e l’evoluzione dei consumi in Italia è possibile ricorrere alle fonti ufficiali fornite dall’ Istat24, i cui dati offrono un ampio panorama di studio e rappresentano un buon punto di partenza essendo disponibili dal 186125.

Le condizioni di vita della popolazione italiana all’indomani dell’Unità d’Italia erano molto precarie, il panorama italiano era estremamente drammatico, così come lo era dal punto di vista dell’istruzione e dei consumi che in quell’epoca subirono significativi peggioramenti: saranno queste le condizioni con cui il nostro Paese affronterà la seconda guerra mondiale26. Lasciando questo quadro di estrema sintesi, ben più interessanti sono i mutamenti avvenuti in epoca più recente: per quanto riguarda l’Italia si è soliti partire dagli anni ’50. Le ragioni di questa scelta sono numerose, anzitutto bisogna ricordare che solo da questi anni la struttura economica e produttiva italiana si è chiaramente indirizzata verso un’ economia industrializzata e di libero mercato, infatti, negli anni precedenti, l’economia italiana era basata esclusivamente sull’agricoltura e negli ultimi anni di regime fascista si era mossa in un ambito di economia autarchica. Infatti, è proprio quest’ultimo periodo che garantisce una panoramica evolutiva estremamente completa, è in questa fase dunque che la società italiana si è trasformata da agricola in industriale e si sono sviluppate una società e una cultura dei consumi, passando attraverso le fasi di un’accelerata industrializzazione.

L’arco di tempo che verrà analizzato può esser suddiviso in quattro periodi:

1) quello che va dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta, caratterizzato inizialmente dalla ricostruzione e successivamente da un intenso sviluppo culminato, a fine anni Sessanta, con il boom economico;

2) gli anni della recessione dei paesi industrializzati (1970-1982); 3) gli anni Novanta;

4) l’inizio del nuovo secolo: la situazione attuale.

24

Istituto nazionale di statistica.

25

D’Apice, C., L’arcipelago dei consumi, De Donato, Bari, 1981, pag. 11.

26

Naturalmente questa classificazione temporale deve esser intesa semplicemente come un tentativo per facilitare l’analisi in quanto i consumi sono una realtà in continua evoluzione, comunque sia, tale scelta dovrebbe garantire una certa omogeneità interna in quanto le condizioni di contorno che influenzano i consumi si presentano abbastanza stabili nei periodi considerati.

Per quanto riguarda la prima fase, il ventennio che copre gli anni Cinquanta e Sessanta rappresenta un periodo particolare nell’ambito della storia del nostro paese. I primi anni del dopoguerra, in Italia come nel resto d’Europa, furono caratterizzati dalla ricostruzione delle basi economiche e produttive, largamente compromesse dagli eventi bellici. Il problema dei consumi, dunque, per la maggioranza degli italiani si poneva quasi esclusivamente in termini di pura sussistenza e, spesso, non poche famiglie stentavano a raggiungere anche questa soglia minima. Era drammatica la situazione delle condizioni di vita, delle abitazioni e del reddito pro-capite: i confronti internazionali collocano l’Italia agli ultimi posti. Ad esempio, la disponibilità di calorie pro-capite era ancora al di sotto della media del periodo precedente, 1911-1940; il 38% delle famiglie italiane non era in grado di acquistare e di consumare carne, il 15% lo zucchero27. Esisteva, quindi, una situazione di grave e generalizzata povertà e naturalmente il problema dei consumi in questi anni si poneva in modo diverso rispetto ai periodi successivi, infatti non si registrano significativi cambiamenti rispetto agli anni immediatamente precedenti alla seconda guerra mondiale, e d’altra parte, non esistevano le condizioni economiche che potessero in qualche modo apportare modificazioni di rilievo.

Nel ventennio considerato, l’economia italiana esce da una situazione di sottosviluppo per inserirsi tra i primi dieci paesi industrializzati: se il livello di reddito nazionale per abitante può rappresentare una misura, sia pure imperfetta, del livello di benessere di una collettività, nel periodo 1950-1970 il reddito per abitante in Italia passa da un valore iniziale di 100 a 234,1; in Francia da 100 a

27

136; in Gran Bretagna da 100 a 13228: ciò significa che le distanze relative che separavano la popolazione italiana da quella degli altri paesi industrializzati si sono notevolmente ridotte.

I primi significativi cambiamenti si iniziano ad osservare solo a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, in concomitanza all’inizio di un processo di profonda trasformazione dell’intero tessuto economico e sociale della popolazione italiana. Numerosi sono, infatti, gli indicatori economici che evidenziano l’intensità dei cambiamenti di quegli anni registrando tassi di incremento sconosciuti alla storia economica del nostro paese: dall’aumento del reddito nazionale lordo alla distribuzione della forza lavoro, dalle migrazioni interne allo spopolamento delle campagne a favore del processo di urbanizzazione a al progressivo incremento demografico29. Se si pone uguale a 100 il valore assunto nel 1951 da alcuni elementi del bilancio economico nazionale, nel 1970 il reddito nazionale lordo raggiunge quota 280,5, i consumi privati interni 275,5, i consumi pubblici 199,4, le importazioni 903,9 ed infine le esportazioni 1062,1 ( si veda tab. 1.5 ).

Tab.1.5- Principali grandezze macroeconomiche ( numeri indici 1951 = 100) [1951-1970] Anni Reddito nazionale lordo Consumi privati interni Consumi pubblici Esportazioni Importazioni 1951 100 100 100 100 100 1955 124,6 120,4 113,0 147,1 143,8 1960 163,0 154,4 136,0 336,4 291,8 1965 209,6 202,8 169,3 629,6 460,9 1970 280,5 275,5 199,4 1062,1 903,9

Fonte: nostra elaborazione su D’Apice, C., L’arcipelago dei consumi, op. cit. pag. 76

28

D’Antonio, M., Sviluppo e crisi del capitalismo italiano 1951-1972, De Donato, Bari, 1973, pag. 57.

29

L’azione concomitante di tutti questi fattori determinò un rapido processo di crescita che mise in moto modificazioni strutturali che investirono l’intera vita economica e sociale di tutto il paese con importanti riflessi anche sul mondo dei consumi che subirono un notevole incremento: i consumi privati crescono in linea con il reddito.

E’ in questo periodo che si iniziano ad osservare le prime importanti trasformazioni nelle abitudini di consumo. Parte della popolazione italiana si avvicinò a modelli di consumo di massa, inizialmente condizionati dall’influenza culturale americana, anche se queste influenze vennero filtrate dalla cultura nazionale. Si parla in questi anni, tra il 1950 e il 1965, del cosiddetto fenomeno dell’ “Americanizzazione del quotidiano”30: per una serie di ragioni economiche, politiche e sociali gli Stati Uniti divennero il paese di riferimento, il modello da imitare per lo sviluppo dei consumi sia per l’Italia che per gli altri paesi europei.

Questi sono gli anni in cui le forme esteriori di soddisfazione dei bisogni divengono più esplicite grazie alla maggiore disponibilità reddituale delle famiglie che amplia necessariamente la base di coloro che potenzialmente possono accedere all’uso delle nuove categorie di consumo siano esse automobili, elettrodomestici, radio, televisione o più semplicemente un alimentazione qualitativamente migliore.

Da un punto di vista sociologico, si sottolinea la trasformazione del ruolo del consumo nell’ambito delle scelte della popolazione italiana: da un fatto necessario legato alla sopravvivenza fisica, al quale non veniva legata alcuna soddisfazione psicologica, ad un’attività gradevole nella quale l’individuo poteva sviluppare momenti di auto realizzazione e di gratificazione sociale. Questi cambiamenti nella funzione sociale del consumo non riguardarono unicamente la sfera dei comportamenti individuali, ma risultarono in parte sospinti dai cambiamenti sociali in atto, in particolare dalla crescente urbanizzazione e dallo sviluppo di un ceto medio impiegatizio31.

30

Papadia, E., La rinascente, Il Mulino, 2005, pag. 86.

31

Nonostante la spesa per consumi registri variazioni di rilievo e nonostante il cambiamento del ruolo del consumo non si deve dimenticare che la società italiana è ancora legata alle logiche dell’attività contadina: d’altra parte il passaggio da una struttura agricola ad una industriale, da una realtà rurale ad una urbana, non può comportare modificazioni di rilievo nel modo di abitare, di vestirsi, di alimentarsi.

Una serie di bisogni che molto semplicemente venivano soddisfatti all’interno di un’economia rurale divengono ora merci e servizi oggetto di scambio determinando di per sé un incremento dei consumi rilevati e dei bisogni da soddisfare.

E’ possibile tratteggiare i cambiamenti più significativi intervenuti negli anni Cinquanta-Settanta sulla struttura delle famiglie italiane e le modificazioni avvenute nei valori e negli stili di consumo attraverso la tabella 1.6.

Tab.1.6- Consumi privati interni per gruppi di beni e servizi (composizione percentuale sui valori in termini reali)[1951-1970]

Anni Alimentari bevande Vestiario calzature Abitazione Mobili servizi casa Trasporti comunicazioni Igiene, salute Ricreazione spettacolo, cultura 1951 44,9 9,2 13,0 5,7 5,0 5,9 6,4 1955 44,9 9,5 11,6 5,5 5,5 5,8 6,5 1960 44,5 9,1 10,7 5,4 6,5 6,0 6,5 1965 42,6 9,0 9,6 6,1 8,3 6,5 6,1 1970 40,4 9,2 8,2 6,3 10,4 7,5 5,8

Fonte: nostra elaborazione su D’Apice, C., L’arcipelago dei consumi, op. cit. pag. 78,79.

Dalla tabella 1.6. si può osservare come in Italia all’inizio del periodo considerato, il 1951, una quota rilevante della spesa totale veniva destinata al soddisfacimento dei bisogni alimentari che insieme al vestiario e all’abitazione coprivano circa il 70% della spesa totale. Questo implica che soltanto una minima parte del reddito veniva destinata a bisogni voluttuari.

Alla fine del periodo la situazione cambia a favore di una maggiore disponibilità finanziaria a soddisfare bisogni che in passato avevano un peso irrilevante nella composizione complessiva. Tale tendenza riflette infatti il

legame tra benessere economico e spese primarie confermando la tesi che ad un espansione del benessere economico si associa una contrazione relativa delle spese primarie ed un ampliamento delle spese secondarie.

Non vi è dubbio, dunque, che in questi anni la società italiana si trasformò in modo radicale e, con essa, la struttura economica e industriale del paese. Anche i consumi, in quegli anni, evidenziarono importanti fenomeni evolutivi: da una situazione di pura ricerca della soddisfazione dei bisogni primari, i consumatori italiani riuscirono ad affacciarsi ad un consumo tipico di una società e di una economia avanzata e industrializzata.

Nonostante gli importanti riflessi positivi di questo periodo, comunque, non possiamo dimenticarci di puntualizzare una delle sue eredità negative: la distorsione dei consumi. Un preoccupante fenomeno che iniziò a manifestarsi allora e che, a distanza di quarant’anni, non si è ancora ricomposto32. La distorsione dei consumi si manifesta principalmente in due circostanze:

- qualora i consumi non si diffondano in maniera armonica nelle varie classi sociali della popolazione o in diverse zone geografiche (distorsione quantitativa);

- quando si verifica un sovvertimento delle priorità soddisfatte dai consumatori tramite l’acquisto di beni e servizi, per cui, pur rimanendo non totalmente esauditi alcuni bisogni primari, i consumatori destinano parte delle loro risorse all’acquisto di beni e servizi voluttuari (distorsione qualitativa).

L’evoluzione dei consumi in Italia ha reso manifeste entrambe le distorsioni: da un punto di vista quantitativo si è assistito ad una progressiva sperequazione nei processi di diffusione dei consumi a favore delle classi sociali più abbienti e delle popolazioni residenti nel settentrione; da un punto di vista qualitativo, invece, lo sviluppo di una società dei consumi in Italia ha visto l’imporsi di modelli di consumo tipici dei paesi ricchi, pur permeando inalterate

32

alcune condizioni di arretratezza. Si registrò, infatti, in quegli anni la progressiva diffusione di prodotti quali il televisore, la radio, l’automobile, gli elettrodomestici nonostante alcuni bisogni primari come la casa, la salute e l’istruzione non fossero ancora pienamente soddisfatti.

Prima di concludere questo paragrafo, non possiamo dimenticarci di porre l’attenzione su uno dei momenti principali nello sviluppo della cultura dei consumi, ossia l’introduzione dei Grandi magazzini a metà del XIX secolo. Al loro interno, si poteva trovare di tutto, e lo shopping aveva caratteristiche del tutto diverse da quelle proprie dello shopping tradizionale: i grandi magazzini, infatti, proponevano prezzi fissi, ingresso libero, l’interno inoltre disponeva di ampi e luminosi spazi con la merce in vista33. Nei grandi magazzini gli acquirenti non erano più contraenti attivi che entravano nel negozio solamente se avevano degli acquisti da fare, ma si trasformavano in soggetti che accettavano passivamente il prezzo imposto e che potevano tranquillamente aggirarsi per il negozio senza essere costretti all’acquisto. Essi venivano sedotti dalle merci che, occhieggiando dagli espositori, promettevano piaceri di ogni genere.

I grandi magazzini inducevano nei visitatori una specie di stato confusionale, simile al sogno, in cui si veniva sovrastati dai profumi allusivi emanati dalle merci che circondavano i potenziali clienti. Questa era la formula dei grandi magazzini: il negozio, dunque, veniva concepito come spettacolo visivo sia internamente che esternamente, uno spettacolo che avrebbe dovuto persuadere i potenziali clienti ad entrare e a godere dell’esperienza di “andare a far compere” senza aver già deciso cosa comprare – requisito necessario per visitare una bottega tradizionale-34.

La nascita dei grandi magazzini, pertanto, ha segnato la trasformazione della pratica dello shopping, infatti, prima i negozi erano specializzati in un’unica categoria merceologica, vi era l’obbligo di acquisto, i prodotti non erano esposti, non era possibile effettuare cambi: lo shopping assumeva forme diverse da quelle a cui oggi siamo abituati.

33

Papadia, E., La Rinascente, op. cit. pag. 10.

34

Morris J., Le vetrine della moda, in C. M. Belfanti e F. Giusberti (a cura di); Storia D’Italia, Annuali 19, La moda, Einaudi Editori,Torino, 2003, pag. 842.

I grandi magazzini, figli della rivoluzione avvenuta nella produzione e nei trasporti, sembrano, grazie alle loro enormi dimensioni, indicare ai clienti che potevano trovare, in uno stesso edificio, qualunque cosa volessero, qualunque cosa desiderassero e ciò fa scomparire, quasi magicamente, ogni pensiero di privazione o carestia. Le loro grandi dimensioni sono costruite a posta per stupire le piccole creature umane: i grandi magazzini prosperavano grazie all’abbondanza dei beni prodotti dall’industria su larga scala, beni scadenti, di basso prezzo, che inseriti in questi nuovi “contesti di lusso” vengono venduti distraendo i consumatori dalla scarsa qualità degli oggetti venduti al loro interno. Diventa quindi importante riuscire a trasformare una semplice merce, in qualcosa di assolutamente desiderabile facendo leva in primo luogo sulla pubblicità, sull’utilizzo di frasi accattivanti e di slogan, grazie alle quali le merci diventano qualcosa di più che semplici oggetti in vendita acquistando ogni sorta di qualità, ma questo non basta, occorre anche preparare l’interno del punto vendita attraverso vetrine elaborate, decorazioni sbalorditive, illuminazione fiabesca e soprattutto grazie ad un modo accattivante di esporre le merci cosicché anche il più banale degli oggetti diventa desiderabile in relazione al modo in cui viene esposto.

Il grande magazzino, infatti, ha importanti riflessi sui consumi della società, incoraggiano i consumatori a provare cose nuove, a fare esperienze, rappresentano una forma di evasione, di libertà dall’ambiente domestico rivolta soprattutto alle donne. Il loro successo è dovuto anche ad una diversa attitudine psicologica e culturale nei confronti del consumo, generata dal diverso ruolo che quest’ultimo ebbe nel processo di formazione della società35, furono proprio i cambiamenti avvenuti tra gli anni ’50 e ’60 che crearono un habitat sicuro allo sviluppo della grande distribuzione e fu proprio questa l’epoca d’oro dei grandi magazzini anche grazie all’ effetto di una profonda trasformazione che agì sul piano della mentalità modificando abitudini, comportamenti e stili di vita.

Dopo anni «difficili» ( i primi del dopoguerra) e dopo anni – almeno per alcuni - «spensierati» ( il periodo del boom economico) durante i quali pareva non

35

esistessero limiti alla crescita economica e dei consumi, la fine degli anni Sessanta manifestò i primi sintomi di un disagio economico e sociale che caratterizzerà tutto il decennio successivo e i primi anni Ottanta. Gli anni Settanta e i primi anni Ottanta furono caratterizzati da numerose e gravi turbolenze ambientali che si ripercossero sui consumi delle famiglie. E’ questa la seconda fase su cui ci concentreremo.

Due furono i fattori che crearono le condizioni di una forte discontinuità rispetto al passato:

- da un lato, i movimenti contestatori del 1968 che misero in chiara evidenza i limiti dei modelli e dei comportamenti di consumo di quell’ epoca. Il punto centrale della contestazione fu “l’americanizzazione del quotidiano”, che, come già affermato in precedenza, rappresentava il riferimento culturale di base dello sviluppo qualitativo e quantitativo dei consumi in Italia;

- dall’altro, la crisi energetica e la messa in discussione dei modelli di sviluppo delle economie dei Paesi industrializzati, fattori che si manifestarono in una generale stagnazione dell’economia, nel sorgere di fenomeni inflattivi e, nei casi più gravi come l’Italia, nel verificarsi di entrambi i fenomeni congiuntamente, la cosiddetta «stagflazione». Nel 1973 si verificò la prima crisi petrolifera che segnò sia in Italia che in tutte le nazioni industriali, per un decennio, la fine tanto improvvisa quanto drammatica della crescita continua, quasi illimitata, dei consumi36.

Questi furono i due elementi centrali del periodo, quelli che più direttamente hanno creato le condizioni di una inaspettata inversione di tendenza nello sviluppo dei consumi in Italia. Ma non si possono, comunque, dimenticare altri fenomeni di «contorno» altrettanto importanti, anche se non direttamente legati ai fenomeni che stiamo analizzando: quelli furono gli anni di una profonda crisi delle relazioni industriali, di ricorrenti crisi politiche, della fuga di capitali

36

Ragone, C., Consumatori con stile: l’evoluzione dei consumi in Italia 1940-1986, Longanesi, Milano, 1987, pag. 31.

all’estero (fenomeno già in atto negli anni Sessanta) , dell’incidenza sempre più accentuata della disoccupazione, della nascita del terrorismo e così via. Tutti eventi che hanno contribuito a rendere difficili gli anni Settanta, anni che devono esser considerati un periodo di riflessione e di maturazione dei consumatori italiani.

Un periodo indispensabile, benché doloroso, dopo gli eccessi degli anni precedenti: nel giro di venti anni, infatti, l’Italia mutò radicalmente e non poteva ragionevolmente continuare sulla strada degli incrementi dei consumi, sia per un fatto puramente economico, sia per gli effetti che ciò avrebbe implicato sulla struttura sociale e sui comportamenti di consumo37.

Vi era la necessità di un periodo di riflessione che permettesse alla società italiana di assorbire ed interiorizzare cambiamenti così profondi, così come ai consumatori e alle imprese di acquisire una maggiore maturità. In questo periodo, infatti, il consumatore riuscì a recuperare una dignità e dei criteri di scelta che rischiava di perdere perché prossimo all’assuefazione causata dai modelli di consumismo diffusi nel paese38. Questi anni, non vi è dubbio, furono caratterizzati da un andamento decisamente sottotono per quanto riguarda i consumi delle famiglie italiane che subirono una drastica battuta di arresto, ma non vi è neppure dubbio che questo periodo è all’origine di un generalizzato fenomeno di crescita culturale – intesa quella industriale dei consumi – e del ritorno, almeno in parte, della centralità del consumatore in quanto soggetto e non oggetto del fenomeno dei consumi.

E’ importante osservare che, la crisi degli anni Settanta venne subita soprattutto dagli strati meno abbienti della popolazione italiana, dalla popolazione meridionale e in particolare da coloro che si erano trasferiti nelle grandi città del nord.

37

Fiocca, R., L’evoluzione dei consumi e politiche di marketing, op. cit. pag. 124.

38

Tab.1.7- Consumi privati interni per gruppi di beni e servizi ( composizione percentuale sui valori ) [1970-1980]

Anni Alimentari, bevande Vestiario, calzature Abitazione Mobili, servizi casa Trasporti, comunicazioni Igiene, salute Ricreazione, spettacolo, cultura 1970 35,4 9,6 12,9 6,2 10,1 3,7 7,6 1975 33,3 8,8 13,1 6,7 10,1 4,9 7,5 1980 30,8 9,2 12,6 7,0 11,3 5,2 8,4

Fonte: nostra elaborazioni su Fiocca, R., L’evoluzione dei consumi e politiche di marketing, op. cit. pag. 129.

Dalla tabella 1.7. si nota come negli anni Settanta la quota destinata ai generi alimentari e alle bevande continuò a ridurre la sua incidenza sul totale dei consumi delle famiglie passando dal 35,4% nel 1970 al 30,8% nel 1980 a favore di un progressivo aumento delle voci di spesa secondarie, quali “ mobili e servizi