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EVOLUZIONE DELLA DISTRIBUZIONE E COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE. IL CASO DEL DESIGNER OUTLET DI BARBERINO DEL MUGELLO

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INDICE

Introduzione...p. 3

Capitolo 1 L’evoluzione del sistema distributivo e del comportamento di

acquisto del consumatore ... 9

1.1. La distribuzione commerciale ... 9

1.2. Lo sviluppo del settore distributivo... 13

1.3. Analisi dell’offerta delle imprese commerciali: dal piccolo dettaglio tradizionale al Factory outlet center ... 18

1.4 La rete distributiva italiana: una modernizzazione tardiva ... 26

1.5. L’evoluzione dei consumi in Italia... 36

1.6. L’evoluzione del comportamento d’acquisto del consumatore ... 53

Capitolo 2 Una nuova frontiera: il fenomeno Factory Outlet Center... 69

2.1. Definizione del fenomeno outlet ... 69

2.2. La storia degli spacci e lo scenario Usa ... 77

2.3. Lo scenario europeo ... 82

2.4. Lo scenario italiano ... 89

2.5. La funzione socioeconomica dell’outlet ... 108

2.6. Un nuovo modello d’acquisto: il brand-gain... 112

2.7. Le prospettive future ... 115

Capitolo 3 La regione Toscana e gli outlet: Il Designer Outlet di Barberino del Mugello e l’impatto sul territorio ... 117

3.1. Urbanesimo e attività commerciale: le nuove scelte localizzative ... 117

3.2. Analisi dell’impatto economico territoriale del Factory outlet center e degli interventi necessari per la valorizzazione del territorio nella nostra regione ... 121

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3.3 Analisi della rete commerciale in Toscana ...134

3.4. Il Designer Outlet di Barberino del Mugello ...142

3.5. Analisi del contesto socio-economico e commerciale del Mugello ...149

3.6. Gli effetti dell’apertura del Designer Outlet di Barberino del Mugello. ...156

Conclusione...165

Bibliografia ...171

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INTRODUZIONE

Il fenomeno dei factory outlet center costituisce una formula commerciale innovativa che- nata negli Stati Uniti all’inizio del Novecento- sta conoscendo un crescente successo in Europa e in particolare in Italia. La sua diffusione evidenzia la ricerca da parte del settore dell’offerta industriale e distributiva di nuove soluzioni alla crescente saturazione degli spazi di mercato. Gli outlet rappresentano, infatti, l’evoluzione dei tradizionali e spartani spacci aziendali, dove i prodotti – rigorosamente della stagione precedente – venivano venduti a prezzi ribassati; la concentrazione di più outlet in un’area commerciale tipo mall, o una cittadella identificata ex-novo, è stata battezzata factory outlet center (FOC). Si tratta, quindi, di una particolare categoria di “centro commerciale per grandi marchi” all’interno del quale lo spazio è creato per intrattenere e “coccolare” il consumatore, avvolgendolo in un clima polisensuale, accogliente e familiare, che lo predispone meglio all’acquisto e che è capace di distrarlo dai problemi della quotidianità e dal traffico cittadino. All’interno dei FOC, infatti, tutto è creato appositamente per far vivere al consumatore un’esperienza unica ed indimenticabile, nella quale lo shopping diventa un momento di piacere multisensoriale, facendo leva sull’interazione tra fisicità corporea del cliente ed ambiente di vendita.

In Italia l’introduzione di questi centri è piuttosto recente, il primo è stato inaugurato, infatti, solo nel settembre 2000 a Serravalle Scrivia, ma nel corso degli ultimi anni sta vivendo una progressiva espansione sul territorio. Data la sua relativa novità, dunque, non è stato semplice reperire le fonti necessarie per elaborare questo lavoro in quanto si assiste ad una vera e propria mancanza di contributi letterali. Esistono invece molti interventi su tale fenomeno pubblicati principalmente su riviste economiche come “Largo Consumo” e “Mark Up” che mi hanno permesso di avere un quadro generale sulle dinamiche evolutive e sulle peculiarità dei factory outlet center. A conferma della mancanza di contributi letterali, basti pensare che in Italia, ad oggi, esiste soltanto un'unica ricerca sulle

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caratteristiche dei consumatori-tipo di tali centri elaborata dall’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma e dall’Università degli Studi di Siena, ricerca che inevitabilmente ho utilizzato per elaborare i dati qui presentati. La mancanza di studi e fonti per analizzare questo fenomeno evidenziano dunque la necessità di ulteriori approfondimenti in materia al fine di maturare una formazione in linea con una realtà economica in continua evoluzione.

Nonostante queste difficoltà sono riuscita, a seguito di una lettura integrata di tutti gli autori che si sono occupati del tema, a maturare una soddisfacente conoscenza del fenomeno dei FOC. Nel lavoro di tesi ho approfondito, quindi, gli aspetti legati agli effetti che queste grandi strutture di vendita provocano sul territorio che le ospita dal punto di vista socio-economico e territoriale concentrando in particolare l’attenzione sul panorama regionale. A tal proposito sono risultate estremamente utili le ricerche effettuate sui due factory outlet center presenti nella nostra regione - il Valdichiana Outlet Village, inaugurato lo scorso 16 Luglio, ed il Designer Outlet di Barberino del Mugello, inaugurato il 12 Marzo dell’anno corrente. Di estrema utilità si sono mostrati anche i colloqui con i responsabili marketing di queste strutture, rispettivamente la signora Loretta Gallorini ed il signor Lorenzo Aletti, che mi hanno permesso di maturare una formazione critica nei confronti degli effetti derivanti dall’insediamento di queste grandi strutture di vendita sul territorio.

L’obiettivo di questo lavoro, dunque, partendo dall’analisi delle tappe evolutive del sistema distributivo e del comportamento d’acquisto del consumatore, è l’analisi del fenomeno dei factory outlet center e delle relative ripercussioni sul territorio in cui queste strutture sono insediate. A tal proposito si analizza il caso del Designer Outlet di Barberino del Mugello ed in particolare degli effetti, sia dal punto di vista socio-economico che da quello territoriale, che questo avrà sull’area mugellana.

Il lavoro di tesi si articola complessivamente in tre capitoli: nel primo capitolo, grazie alla presenza di una vasta letteratura, dopo aver chiarito il ruolo del sistema distributivo, si ripercorrono le tappe della sua evoluzione attraverso un’analisi delle diverse tipologie distributive, da quelle più tradizionali fino a

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quelle più evolute, come il factory outlet center, concentrandoci successivamente sulla rete distributiva italiana e sulle ragioni del suo ritardo rispetto agli altri paesi europei.

Per comprendere la natura di questi fenomeni è però necessario analizzare approfonditamente l’evoluzione del comportamento di acquisto del consumatore, si offre perciò una panoramica generale di come questo sia cambiato nel corso del tempo ponendo l’accento anche sugli importanti riflessi che tali mutamenti hanno avuto sui suoi acquisti.

Il consumatore, nel corso degli ultimi anni, si è fatto sempre più accorto, informato, capace di confrontare e scegliere tra più alternative; un consumatore sempre più difficile da accontentare che ad oggi deve lottare anche con una forte crisi dei consumi che sta colpendo il nostro paese. Il consumatore, scisso tra ciò che desidera e ciò che può permettersi, cerca dunque nuove strade di consumo, attraverso le quali salvaguardare la propria auto-gratificazione e nutrire la propria sensibilità edonistica. L’imperativo del momento, dunque, non è rinunciare agli acquisti, ma spendere bene il proprio denaro secondo la logica del good value for money; è in questo nuovo scenario che si fondano le basi per il successo di un nuovo panorama distributivo: il factory outlet center.

La distribuzione commerciale acquisisce pertanto una posizione di grande rilievo, poiché è negli spazi fisici che avviene il contatto diretto tra domanda ed offerta. I luoghi di consumo si trasformano quindi in palcoscenici, sui quali si dipana lo schizofrenico rapporto comunicazionale tra brand e consumatori. Si pone quindi l’attenzione anche sull’importanza nel consumo delle emozioni e sul ruolo assunto dal punto vendita, come spazio nel quale si dipana l’esperienza di consumo. Il marketing tradizionale lascia il posto, infatti, ad una nuova prospettiva: il marketing esperenziale che costituisce la filosofia centrale per la gestione dei FOC.

Il secondo capitolo è, quindi, dedicato all’analisi di questa nuova formula distributiva. Proprio riguardo ai caratteri specifici dei factory outlet center, si sono riscontrate le maggiori difficoltà nel reperimento di fonti, data la carenza della letteratura in materia. Nell’elaborazione del capitolo si è cercato di

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elaborare una visione d’insieme, attraverso una lettura critica dei contributi principali, costituiti principalmente dal testo di Ferrari e Martorana “Outlet: La rivoluzione dei consumi. Il fenomeno socioeconomico che ha cambiato il comportamento dei consumatori italiani” e dalla ricerca effettuata dall’Università degli Studi di Roma e di Siena, prima citata.

Nella trattazione del capitolo, viene innanzitutto precisato il significato del termine outlet, intorno al quale si assiste oggi ad una generalizzata “confusione linguistica e concettuale”, al fine di comprendere ed evidenziare le peculiarità degli outlet e dei consumatori che si rivolgono a questo nuovo canale distributivo.

Gli outlet rappresentano l’evoluzione degli spacci aziendali, in cui è possibile acquistare un capo griffato, ovviamente della stagione precedente, ad un prezzo ribassato; ma non solo: sono dei veri e propri centri di aggregazione, piacevoli e creati appositamente per distrarre i consumatori dai problemi della quotidianità, perché al loro interno non esiste il traffico cittadino, non esistono i “pensieri”, ma esiste solo la voglia di vivere un’esperienza unica ed indimenticabile agevolata dallo stile architettonico con cui queste strutture vengono costruite. Nati negli Usa e importati in Europa nel corso degli ultimi anni, i factory outlet center stanno vivendo una progressiva diffusione anche sul territorio nazionale. Dopo quindi una breve analisi sulla loro storia e sugli sviluppi all’interno del loro paese di origine, si restringe il campo d’indagine al panorama europeo e, più in dettaglio, al territorio nazionale, ponendo particolare l’attenzione sulla localizzazione, sulle caratteristiche dei consumatori e sull’assortimento dei FOC stessi. Nel lavoro si evidenzia inoltre l’inadeguatezza dei tradizionali modelli d’acquisto del consumatore, a fronte di questa nuova tipologia distributiva e si matura l’idea dell’esistenza di un nuovo modello d’acquisto, il brand-gain, che permette al consumatore di coniugare l’acquisto di un prodotto di marca senza rinunciare alla componente economica strutturalmente favorevole presente all’interno dei FOC. Sulla base quindi delle peculiarità e della complessità del fenomeno dei factory outlet center analizzate e discusse in questo capitolo, si conclude e sì da per assunto che questo nuovo

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modello distributivo possa considerarsi, a tutti gli effetti, un elemento strutturale del panorama distributivo nazionale.

Nel terzo capitolo si pone infine l’attenzione sullo stretto legame che da sempre lega il commercio con le dinamiche urbanistiche, con particolare riferimento alle sinergie, alle opportunità, ma anche alle problematiche, che si vengono a creare tra queste grandi strutture di vendita ed il territorio che le ospita, ponendo in particolare l’accento sugli effetti sociali, economici ed ambientali derivanti dalla loro localizzazione sul territorio. Si offre anche una panoramica delle soluzioni a cui in generale le istituzioni, e tutte le parti sociali interessate dal fenomeno del FOC, dovrebbero volgere affinché quest’ultimo non si ponga in contrasto con il commercio locale, ma si configuri anzi come un’importante vetrina per la valorizzazione del territorio in cui viene insediato. Nella stesura di questa parte, di fondamentale importanza è stata l’elaborazione dei dati delle ricerche effettuate sui FOC presenti nella regione Toscana, precedentemente citate.

Restringendo il campo d’indagine il focus si concentra sull’analisi dell’impatto socio-economico e territoriale che il Designer Outlet di Barberino del Mugello ha avuto sull’area della comunità montana mugellana. A tal fine si offre una panoramica generale della situazione distributiva Toscana, regione in cui il Designer Outlet è insediato e, dopo una breve descrizione di questo nuovo successo firmato dalla Mc Arthur Glen, società leader a livello europeo nella gestione e promozione dei factory outlet center, viene presa in esame più da vicino la situazione economico- commerciale dell’area mugellana, al fine di avanzare alcune ipotesi riguardo ai futuri effetti sull’area dovuti all’apertura dell’outlet.

A questo punto mi sento in dovere di ringraziare la professoressa Valeria Pinchera che, con i suoi preziosi consigli, mi ha aiutato a volgere alla struttura finale di questo lavoro; il signor Raffale Mannelli, responsabile del settore commercio presso la sede della Regione Toscana di Firenze, che mi ha cortesemente fornito il materiale necessario per l’elaborazione della mia tesi. Insieme a lui ringrazio anche la società di ricerche Simurg, in particolar modo il

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signor Claudio Salvucci, per la disponibilità e tempestività con cui ha soddisfatto le mie richieste.

Un particolare ringraziamento, inoltre, va alla mia famiglia, con particolare attenzione, a mia mamma che mi ha sempre sostenuto ed aiutato in ogni momento della mia vita bello o brutto che fosse, dandomi la forza e l’amore di cui avevo bisogno. Ringrazio anche i miei nonni, il mio fidanzato Gabriele, la mia più cara amica Irene nonché le mie grandi compagne di studio e amiche Chiara e Giulia che mi hanno sempre supportato in questo importante percorso di studio universitario.

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CAPITOLO PRIMO

L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DISTRIBUTIVO E DEL CONSUMATORE

1.1 La distribuzione commerciale

La distribuzione commerciale rappresenta un sistema in continua evoluzione in quanto è diretto a collegare due mondi contraddistinti da un crescente dinamismo di tipo circolare: il mondo del consumo, che per le continue variazioni di tipo demografico, economico, culturale e sociale, determina un processo ininterrotto di cambiamenti nel mondo della produzione, che, a sua volta e per sue scelte strategiche ed organizzative, produce continue e sistematiche influenze sul comportamento d’acquisto del consumatore1.

Le imprese commerciali, prodotto stesso della distribuzione, quindi, trovandosi al centro dei processi innovativi circolari dei due mondi devono adattare, in modo tempestivo ed idoneo, le proprie scelte per approfittare e non subire gli effetti dell’innovazione ( si veda fig.1.1 ).

fig.1.1- Interrelazione del sistema distributivo

Fonte: nostra elaborazione da Sciarelli, S., Vona, R., L’impresa commerciale, McGraw-Hill, 2000, pag XIII.

Le imprese commerciali, sono quelle che tutti noi conosciamo meglio, quelle a cui ci rivolgiamo ogni giorno per i nostri bisogni quotidiani , quelle

1

Sciarelli, S., Vona, R., L’impresa commerciale, Mc Graw-Hill, Milano, 2000, pag XIII. Mondo del consumo Mondo del commercio Mondo della produzione

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grazie alle quali veniamo in contatto con l’offerta dei beni. Si può, dunque, definire il loro operato come “l’insieme delle attività necessarie a mettere a disposizione dei consumatori i beni che questi desiderano nei tempi, nei luoghi e nelle modalità desiderate”.

L’attività distributiva di base consiste, infatti, nel “ trasferire i beni dai luoghi di produzione a quelli di consumo, nel conservarli nel tempo in modo da immetterli nel mercato in ragione delle graduali richieste degli acquirenti e nel porli a disposizione di questi ultimi secondo le modalità di assortimento, di pagamento e di consegna ad essi gradite”2.

La distribuzione, come detto, riunisce nello spazio e nel tempo due agenti economici, produzione e consumo, che spesso svolgono le loro attività in luoghi e con processi temporali diversi e questo servizio, essenzialmente logistico, può essere personalizzato e differenziato in modo da offrire formule sempre più variegate e complete che soddisfino al meglio le esigenze dei consumatori.

Industria e distribuzione, dunque, concorrono insieme a formare il valore finale di un bene, rappresentato non solo dalla sua capacità estrinseca di soddisfare un bisogno, ma anche dalla possibilità di “aderire” alle necessità del processo d’acquisto.

Se il fine ultimo del commercio è quello di è quello di rendere disponibili i beni ai consumatori, in questi ultimi anni si è assistito ad una crescita forte ed imprevista della complessità delle esigenze della domanda, infatti, se tradizionalmente si pensava che le attività distributive rispondessero a necessità di natura essenzialmente logistica rappresentate dal trasferimento dei prodotti dai luoghi di produzione a quelli del consumo, in realtà, invece, i processi di distribuzione vanno arricchendosi di contenuti informativi necessari per orientare l’attività produttiva e gli acquisti del mercato. Inoltre, negli ultimi anni, si è assistito ad un continuo processo di ridefinizione dei rapporti all’interno dei canali di distribuzione indotto dalla continua evoluzione delle imprese commerciali, consapevoli della propria capacità di condizionare le scelta d’acquisto dei consumatori, i cui effetti hanno fatto nascere una maggior

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conflittualità tra gli operatori dell’industria e della distribuzione, non disponibili ad accettare un ruolo subalterno l’uno rispetto all’altro.

Per lo studio dei fenomeni distributivi è essenziale, comunque, focalizzare l’attenzione sulla domanda dei servizi commerciali che scaturisce dalle attività poste in essere dai consumatori per scegliere tra le varianti di prodotto esistenti sul mercato. L’evoluzione della domanda di beni e servizi ha stimolato gli operatori della distribuzione ad offrire soluzioni sempre nuove e più rispondenti alle mutevoli necessità di acquisto del mercato.

Il prodotto del commercio si concentra su due fondamentali macro categorie che raggruppano i servizi elementari in base alla natura logistica o informativa degli stessi3. Nella natura logistica rientrano il servizio di prossimità, ossia la dimensione spaziale del servizio, che si concretizza nella maggiore o minore accessibilità del bene; e il servizio di stoccaggio, ossia la disponibilità dei beni nel tempo, che si concretizza nella funzione di magazzino svolta dal commercio a favore del consumatore. Il servizio di stoccaggio si suddivide a sua volta in altre due dimensioni: l’estensione dell’orario di apertura, stabilito dal venditore, e l’ampiezza dell’assortimento che aumenta le probabilità del consumatore di aver successo nella ricerca dei beni di cui ha bisogno.

Un ruolo di primaria importanza, invece, nel corso del tempo è stato assunto dai servizi informativi che hanno permesso al consumatore di ridurre i suoi costi di ricerca. In questa categoria rientrano la selezione, operata dal distributore rispetto a certi bisogni o ad un preciso target di riferimento cercando di interpretare le necessità dei propri mercati di sbocco; la profondità dell’assortimento – numero di varianti per categoria di prodotto – che consente all’acquirente di beneficiare di informazioni preziose grazie alla selezione dei beni operata dal distributore attraverso il confronto in un medesimo luogo di più beni alternativi; l’ informazione diretta , che si concretizza nella disponibilità a risolvere i problemi della clientela.

Tutti questi elementi concorrono a definire il tipo di sevizio commerciale offerto, possono esser visti come gli “ingredienti” che, variamente combinati,

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permettono al distributore di porre in essere formule commerciali diverse che rispondono in modo altrettanto diverso alle necessità del consumatore4.

Con l’evolvere della complessità dei mercati, inoltre, una maggiore importanza va attribuita anche ad altri servizi elementari quali, la velocità del servizio, che permette di ridurre il tempo necessario all’acquisto da parte del consumatore; il comfort, ossia le condizioni qualitative entro le quali si svolge l’acquisto; ed il servizio post-vendita, volto a risolvere i problemi successivi all’acquisto del prodotto.

Altro elemento fondamentale, sempre per quanto riguarda la domanda dei beni e dei servizi, è la distinzione tra:

- acquisti banali ( o ricorrenti ), ossia beni ai quali ci riferiamo per soddisfare le esigenze di consumo elementari, senza eccessivi sforzi valutativi;

- acquisti problematici ( o non ricorrenti ) ossia tutti quei beni che richiedono maggiori sforzi valutativi e che coinvolgono completamente il consumatore.

Il confine tra queste due categorie non è né oggettivo né stabile nel tempo in quanto può modificarsi a seconda di come viene percepito l’acquisto del bene dal consumatore, infatti, in questi anni caratterizzati dallo sviluppo del grande dettaglio e dalla razionalizzazione di quello tradizionale, il processo di banalizzazione delle abitudini di acquisto ha riguardato un numero crescente di categorie merceologiche dando un forte impulso alla diffusione delle tecniche del libero servizio. Il processo di modernizzazione del commercio infatti ha interessato soprattutto il largo consumo, che ha potuto introdurre più agevolmente tecnologie e processi produttivi innovativi, in virtù della maggiore standardizzazione degli assortimenti e delle attività logistiche. Per comprendere la natura di questi fenomeni è però necessario analizzare, come faremo in seguito, l’evoluzione del comportamento del consumatore nel mercato.

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Importanti riflessi sulla domanda di beni e servizi vengono attribuiti anche all’evoluzione delle variabili ambientali degli ultimi anni che hanno investito il piano demografico, sociale, culturale, tecnologico, istituzionale ed economico riflettendosi anche sulle imprese (industriali, di servizi, commerciali…) condizionandone le decisioni competitive. Negli ultimi decenni, infatti, è aumentato il peso demografico degli anziani, è cambiata la struttura della famiglia, è aumentata l’emigrazione, questi cambiamenti associati all’innalzamento del livello medio di istruzione, al maggior grado di diffusione delle informazioni dovuto allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa e al rapido miglioramento nel tenore di vita avutosi in molte parti del mondo, hanno esercitato decisive influenze sul piano economico e sociale modificando sensibilmente la scala dei bisogni sia di beni che di servizi commerciali a favore dei consumi “meno necessari” e del tempo libero.

In uno scenario così competitivo, dunque, è inevitabile che le imprese commerciali assumono un ruolo sempre più importante: esse infatti devono essere sempre più efficaci e tempestive nel rispondere alle esigenze del mercato con prodotti specifici.

1.2 Lo sviluppo del settore distributivo

Il settore distributivo svolge una funzione di interfaccia tra produzione e consumo le cui caratteristiche e il cui valore economico si desumano dal grado di integrazione che i due insiemi di soggetti, messi in atto dalla distribuzione - produttori e consumatori- esercitano sulla funzione della stessa.

Lo sviluppo e le trasformazioni del settore distributivo riguardano le modificazioni avvenute nel tempo nella ripartizione delle attività tra produttori, distributori e consumatori.

Prima di procedere alla ricostruzione dell’evoluzione del sistema distributivo è importante sottolineare le attività principali del processo economico:

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- l’attività di produzione, in cui si materializza la disponibilità di beni e servizi;

- le attività di consumo dei beni e servizi acquistati per soddisfare i bisogni;

- le attività intermedie, finalizzate al collegamento tra produzione e consumo , nel tempo e con le modalità desiderate dalla domanda.

E’ possibile individuare tre grandi fasi della distribuzione commerciale5:

1. la nascita della rete distributiva indipendente; 2. la rivoluzione commerciale;

3. la fase attuale.

La prima fase coincide con la nascita della rete distributiva indipendente: mentre inizialmente la funzione di scambio veniva svolta dagli stessi produttori, con l’ampliarsi del mercato si assiste ad un progressivo allontanamento del produttore dai suoi potenziali consumatori grazie all’introduzione della figura dell’ intermediario. I vantaggi dell’affidare a terzi la vendita al consumo dei beni prodotti dall’industria sono collegati alla riduzione del numero di spostamenti e dei costi di transazione che devono esser sostenuti dai consumatori per reperire i beni (si veda fig. 1.2. e 1.2b ).

fig.1.2- Relazioni di scambio tra produttori (P) e consumatori ( C ) in assenza di intermediari

5

Pellegrini, L., Economia della distribuzione commerciale, Egea, Milano, 1990, pag. 5.

C C C C

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fig. 1.2b- Relazioni di scambio tra produttori e consumatori in presenza di

intermediari

Fonte: Pellegrini, L., Economia della distribuzione commerciale, op. cit. pag. 9.

Naturalmente questa rappresentazione fa riferimento ad un contesto ancora povero di alternative di acquisto, dove i beni sono principalmente indifferenziati.

Nella seconda fase si assiste alla cosiddetta “ rivoluzione commerciale”, ossia al passaggio del settore da condizioni di produzione uniformi, fondate sulla piccola impresa familiare con una limitata integrazione nel mercato, a condizioni in cui l’offerta dei servizi si differenzia grazie alla nascita di imprese commerciali, interamente integrate nel mercato, che operano secondo una logica industriale. Questa trasformazione deriva dalle necessità di rispondere alle modificazioni verificatesi dal lato della domanda e quindi avviene come processo di ridefinizione delle modalità con cui la distribuzione interagisce con l’approvvigionamento dei consumatori.

La rivoluzione commerciale coincide, inoltre, con le innovazioni nelle tecniche di vendita avvenute in Francia e negli Stati Uniti nei primi decenni dell’800, innovazioni che porteranno alla nascita del grande magazzino, la prima formula distributiva moderna.

Il grande magazzino, con le sue peculiarità, consente al consumatore di prendere visione della merce senza impegno d’acquisto: prezzi fissi, esibizione della merce, possibilità di renderla indietro, consegna a domicilio, ampiezza degli assortimento, pagamenti in contanti renderanno il grande magazzino la formula

P P P P

C C C C

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commerciale più attrattiva ad alto coefficiente di servizio6. Si tratta del primo segno di separazione tra distribuzione alimentare (comunemente detta grocery) e non alimentare (detta non grocery) caratterizzata in modo sempre più marcato dall’offerta di servizi informativi che ci obbligherà, nel seguito, ad analizzare i due comparti dell’offerta commerciale separatamente.

Negli anni Trenta nascono nuove formule distributive ancora una volta in risposta delle mutate condizioni della domanda: la diminuzione del potere d’acquisto conseguente alla crisi del 1929 e le difficili condizioni economiche di quel periodo infatti danno vita al supermercato, una formula che dominerà il settore della distribuzione alimentare nel dopoguerra. Gli anni Cinquanta aprono un ventennio di crescita economica di dimensioni senza precedenti e consentono ad una parte crescente della popolazione di accedere a nuovi consumi: beni che prima erano considerati di lusso, diventano ora di uso comune e vengono acquistati con maggior frequenza; questo riguarda soprattutto beni di consumo non alimentare, come tessile ed abbigliamento, che si “banalizzano” e diventano paragonabili ai consumi di generi alimentari.

L’evoluzione del settore commerciale è determinata, in sintesi, dal grado di indipendenza delle grandi imprese di distribuzione nei confronti dei loro fornitori e dai tentativi di soddisfare la domanda commerciale. Nasce così, con la rivoluzione commerciale, un nuovo problema: quello dei rapporti tra industria e distribuzione, non sempre aventi obiettivi coincidenti. Inoltre, altro elemento rilevante su cui si evolve il commercio è il contatto diretto con il consumatore: l’informazione sui comportamenti di acquisto diventa fondamentale per poter controllare la distribuzione. Sono questi i temi su cui si apre la terza fase, quella attuale, dove l’attenzione si concentra sulle ripartizioni delle funzioni di marketing tra industria e distribuzione.

Nella terza fase infatti diviene necessario distinguere la distribuzione dei beni alimentari da quella dei beni non alimentari. Questa distinzione è dovuta alle diverse caratteristiche che i servizi commerciali assumono nei confronti delle due

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categorie: di natura essenzialmente logistica nel caso dei beni alimentari e di natura informativa nel caso degli altri beni.

Per quanto riguarda i beni alimentari si tende alla despecializzazione dell’assortimento accogliendo così la volontà del consumatore della concentrazione di più acquisti in termini di tempo e spazio. Da qui emerge dunque la condizione di indipendenza tra distribuzione e produzione, spesso causa di conflitto tra le due realtà in quanto la distribuzione si è appropriata di una parte delle funzioni di marketing che i produttori vorrebbero svolgere per conto proprio .

La situazione è diversa nel caso di beni durevoli e semidurevoli: l’accentuarsi del processo di differenziazione nella produzione, il continuo ricambio dell’offerta e la crescente segmentazione della domanda rendono infatti gli assortimenti despecializzati sempre meno organici e convenienti alla continua trasformazione del mercato cosicché torna a riproporsi la distribuzione specializzata. La distribuzione specializzata permette di condizionare le politiche dei produttori, attraverso il proprio ruolo informativo nei confronti del consumatore e del produttore. In questo senso oggi si assiste alla diffusione di nuove formule come il franchising e, in generale, di tutti quegli accordi che si configurano come contratti di distribuzione esclusiva e selettiva più o meno vincolanti per il partner commerciale. Non si tratta della costituzione di vere e proprie reti di distribuzione, ma di accordi contrattuali che tentano di vincolare i comportamenti degli operatori commerciali agli obiettivi del produttore, infatti, secondo la normativa dell’affiliazione commerciale il franchising è un contratto tra due soggetti in base al quale una parte ( il franchisor), concede la disponibilità all’altra ( il franchisee ), verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi7.

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1.3 Analisi dell’offerta delle imprese commerciali:

dal piccolo dettaglio tradizionale al Factory outlet center

Tutti conosciamo le diverse tipologie di negozio poiché le usiamo quotidianamente per i nostri acquisti , dandone scontata l’esistenza, ma a questo punto ritengo opportuno analizzare brevemente le diverse tipologie di prodotti offerte dal mondo del commercio, ricordando come negli ultimi anni questo settore è stato investito da un’ondata di innovazione per rispondere al meglio alle esigenze del mercato.

L’innovazione della distribuzione, infatti, riflette l’importanza del suo ruolo nei confronti del consumatore: il bisogno che questi esprime riguarda le sue necessità di approvvigionamento, ovvero le modalità con cui reperire i beni che gli sono necessari8. La distribuzione non produce i beni, può solo cercare di proporre al consumatore modalità di approvvigionamento che gli siano efficienti, quindi che facilitino il reperimento e la scelta dei beni stessi.

Il modello proposto dalla letteratura per la definizione delle varie forme distributive si basa su un criterio di classificazione primario: la natura del processo di approvvigionamento che differenzia gli acquisti banali da quelli problematici. In questo modo è possibile, dunque, raggruppare le diverse formule distributive tenendo in considerazione il grado di specializzazione dell’assortimento9. L’analisi delle diverse formule distributive deve esser condotta lungo due dimensioni: da un lato, come detto, lungo il complesso iter che precede l’atto d’acquisto del bene e dall’altro lungo la distinzione tra il settore grocery e non grocery . Nella realtà non è possibile tracciare una linea di demarcazione così netta delle due dimensioni, tale distinzione serve per individuare uno schema chiaro ed esemplificativo della complessità dei fenomeni reali.

Per quanto riguarda il dettaglio grocery i diversi format distributivi che ritengo opportuno analizzare sono:

8

Pellegrini, L., Il commercio in Italia, op. cit. pag. 42.

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1) il piccolo dettaglio tradizionale; 2) il minimercato o su perette; 3) il supermercato;

4) l’ipermercato; 5) il discount.

1) Il piccolo dettaglio tradizionale

Queste tipologie d’impresa sono essenzialmente caratterizzate da assortimenti despecializzati che includono una quantità di beni di largo consumo limitata dalla poca superficie di vendita a disposizione, a cui si associano dosi consistenti di prossimità e assistenza durante il processo di acquisto10.

Il piccolo dettaglio tradizionale risulta oggi una formula distributiva poco adatta a soddisfare le mutevoli esigenze dei consumatori, ecco perché si assiste ad una loro notevole diminuzione; in realtà la sopravvivenza di tale formula è legata alle singole capacità degli esercenti che dovranno riposizionare la formula aderendo , quando opportuno, alle iniziative associazionistiche, per evitare lo scontro diretto con il grande dettaglio despecializzati puntando sulla gestione di efficaci politiche di marketing one-to-one. Soltanto in questo modo le piccole imprese del dettaglio grocery potranno cercare un proprio spazio di mercato e difenderlo dagli attacchi della concorrenza di maggiori dimensioni.

2) Il minimercato o superette

Può esser definito come un supermercato a scala ridotta per il grado di specializzazione dei propri assortimenti e per le superfici di vendita generalmente comprese tra i 200 e i 400 mq. La peculiarità di questo format è rappresentata dall’assortimento, costituito da un numero selezionato di referenze di marca, caratterizzate da un elevato turnover, da margini commerciali contenuti e dalla tecnica del servizio libero11.

10

Sciarelli, S., Vona, R., L’impresa commerciale, op. cit. pag. 45 e seguenti.

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Il minimercato sposando alcune caratteristiche del supermercato e del piccolo dettaglio tradizionale è stato il punto di riferimento dei dettaglianti tradizionali più vitali che hanno sperimentato la formula del libero servizio in spazi ridotti senza sacrificare la prossimità e la qualità dei prodotti per fronteggiare la concorrenza del grande dettaglio despecializzati.

3) Il supermercato

Nato negli Stati Uniti negli anni Trenta ovunque oggi è la formula che viene associata all’offerta dei beni alimentari. La formula si caratterizza per l’assortimento, costituito da un elevato numero di referenze food e non food, adatte a soddisfare esigenze di acquisto banali e ricorrenti attraverso superfici di vendita maggiori di 400 mq con numero di casse contenuto (10-25) e assenza di servizi complementari come bar, ristoranti, etc…

Il successo di questa formula è rappresentato dalla sua capacità di riuscire a concentrare gli acquisti a prezzi concorrenziali per effetto della maggiore efficienza organizzativa senza sacrificare drasticamente il servizio di prossimità. Se la superficie di vendita è molto grande, ma non così tanto da rientrare nella categoria dell’ipermercato (2.500- oltre 10.000mq) il supermercato viene definito superstore, da il nome di un’analoga formula sviluppata in Gran Bretagna dove ritroviamo i principali superstore di riferimento, come Tesco e Sainsbury12.

In Italia le prime due insegne sono state Sma/Upim e Standa, ma attualmente Esselunga è l’unica insegna a detenere un elevato numero di unità ad insegna superstore.

4) L’ ipermercato

L’ipermercato nasce in Francia nel 1963, quando alla periferia di Parigi apre il primo punto vendita di Carrefour. Il segreto del suo successo è la raccolta sotto uno stesso tetto di tutti i prodotti che la grande massa dei consumatori vive come banalizzati, a prescindere dalla merceologia di riferimento. Nonostante l’offerta alimentare rimanga quella di primaria importanza, perché genera una

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maggior frequenza di visita, le merceologie non alimentari assumono un peso sempre maggiore al crescere delle dimensioni del punto vendita13.

Per poter offrire al consumatore una gamma più completa di prodotti e servizi, agli ipermercati si abbinano in genere delle gallerie, composte da piccoli negozi specializzati indipendenti, che insieme formano il cosiddetto centro commerciale.

In Italia alcune tra le principali insegne operanti sul mercato sono sicuramente Ipercoop, Carrefour e Auchan.

5) Il discount

Il discount si è sviluppato durante gli anni Settanta in Germania e da qui esportato e copiato un po’ ovunque. Nato per soddisfare le esigenze di consumo corrente di specifici segmenti di clientela caratterizzati da una particolare attenzione e predisposizione a effettuare acquisti razionali massimizzando il rapporto qualità/prezzo.

Generalmente se ne distinguono due versioni accomunate dal tentativo di offrire al consumatore un forte vantaggio di prezzo: la versione hard e soft. Nel primo caso l’obiettivo è la ricerca della riduzione dei costi di tutte le fasi della filiera, sia quelle della produzione che quelle della distribuzione, attraverso la riduzione dei beni in assortimento e la produzione della merce sulla base di specifiche tecniche definite dallo stesso produttore. In questo modo, dunque, i beni in assortimento sono il risultato del controllo dell’intera filiera e vengono venduti con marchi di proprietà del distributore o a lui concessi in esclusiva da un produttore garantendo notevoli risparmi di costo. Per quanto riguarda la versione soft l’obiettivo è la riduzione del costo di produzione del servizio attraverso la riduzione del numero di varianti offerte per tipologia di prodotto. In questo modo si riesce a far concentrare gli acquisti della clientela su pochi articoli facendo aumentare le rotazioni degli stessi e diminuendo i costi. La versione soft, quindi, agisce sui costi controllati dal distributore senza intervenire su quelli di produzione dei beni.

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Il successo di questo format sta proprio nella sua capacità di offrire prodotti altamente convenienti, fattore rilevante per tutto il sistema distributivo che è stato costretto ad allineare di nuovo i propri prezzi verso il basso.

Se nel dettaglio grocery è possibile “ confezionare” nell’ambito della medesima formula distributiva , assortimenti in grado di coprire la maggior fetta del mercato, ciò non è praticabile, con la stessa efficienza ed efficacia, nel non grocery: abbigliamento, calzature, così come tanti altri settori problematici, essendo caratterizzati da una domanda fortemente segmentata, richiedono livelli di specializzazione tali da rendere spesso impraticabile, da parte delle stesse imprese, la strada della standardizzazione. Un’importante conferma di questa affermazione è rappresentata dal processo di trasformazione del grande magazzino, dovuto al progressivo decadimento commerciale della formula da negozio despecializzati del non grocery in un punto vendita che offre un assortimento concentrato su un numero sempre minore di reparti specializzati14. In questo ambito ritengo opportuno analizzare:

1) il grande magazzino; 2) il dettaglio focalizzato;

3) le grandi superfici specializzate; 4) il centro commerciale;

5) I factory outlet center.

1) Il grande magazzino

Il grande magazzino, nato intorno alla metà dell’Ottocento, rappresenta la prima formula distributiva moderna. Introdusse concetti fortemente innovativi, tipici del servizio commerciale allora però non utilizzati nel contesto distributivo: ingresso libero, esposizione della merce, possibilità di effettuare il cambio del prodotto, pagamenti in contanti.

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Nasce in questo contesto il fenomeno dello shopping, non necessariamente finalizzato all’acquisto ma permette di osservare i prodotti senza pressioni e condizionamenti del personale di vendita.

Il successo iniziale dei grandi magazzini si ridimensionò per effetto dello sviluppo del dettaglio despecializzati (supermercati, ipermercati…) a seguito del processo di banalizzazione dei beni , ma anche a causa della crescita di attrattività del dettaglio tradizionale despecializzato urbano, spesso più adatto a soddisfare mercati più esigenti.

Negli ultimi anni sono mutate le scelte di marketing dei grandi magazzini, oggi si tende a focalizzare l’attenzione su segmenti di clientela potenziale caratterizzati da comportamenti ed esigenze di acquisto “ problematici” cui offrire assortimenti più specializzati in linea con le caratteristiche del target prescelto.

2) Il dettaglio focalizzato

Principale caratteristica di questo format distributivo è la specificità dell’assortimento, formate da un numero più o meno ristretto di linee e varianti di prodotto appartenenti ad un determinato settore merceologico, oppure accomunate da una precisa funzione d’uso.

Il dettaglio focalizzato infatti si presenta con dimensioni modeste, superfici di vendita limitate, localizzate prevalentemente all’interno delle aree commerciali cittadine al fine di assicurare flussi di traffico necessari per sostenere lo sviluppo delle attività. Nei “ centri” di offerta distributiva, infatti, l’elevata concentrazione di punti di vendita tra loro complementari aumenta la capacità di attrazione complessiva della zona a vantaggio dei singoli operatori che ne fanno parte.

3) La grande distribuzione specializzata

La grande distribuzione specializzata si caratterizza per l’elevato grado di specializzazione dell’assortimento che, generalmente, viene circoscritta a un tema specifico, ad esempio sport e tempo libero, “fai da te” , arredo casa,

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etc…oppure ad una precisa categoria merceologica, come elettrodomestici, calzature, giocattoli15.

Questa formula, focalizzandosi su specifici segmenti di mercato, sia su scala locale che nazionale ed internazionale, offre una forte specializzazione, un format di vendita a libero servizio, spesso assistita da personale con elevato livello di qualifica. Tali esercizi assumono spesso il nome di category killer in quanto sono in grado di offrire una vasta scelta di prodotti del settore in cui si specializzano ad un prezzo basso, uccidendo la concorrenza.

4) Il centro commerciale

Nonostante non sia una formula distributiva, ma un insieme di formule che condividono una struttura edilizia comune, i centri commerciali vanno documentati per l’importanza che hanno assunto nel sistema distributivo.

Essi rappresentano una minaccia per le tradizionali concentrazioni dei punti vendita delle città, ma nonostante questo il loro recente successo è estremamente rapido e segue quello dell’ipermercato. E’ quest’ultimo infatti che svolge un ruolo trainante garantendo un notevole flusso di clientela, la quale poi utilizza anche altri negozi e attività di servizio che sempre più spesso convivono nei centri commerciali suburbani.

L’organizzazione spaziale, in dimensioni sempre più vaste, comporta notevoli benefici sia per l’impresa commerciale che per il consumatore: l’aumento delle dimensioni medie è indicativo della tendenza ad una nuova generazione di centri che supera, sotto molti aspetti, il modello tradizionale. In questi insediamenti commerciali viene data sempre più maggiore importanza ai servizi per il tempo libero, che comprendono non più solo i servizi di ristorazione – pure ampliati e diversificati – ma anche ad esempio, centri benessere, aree gioco per bambini e via dicendo16.

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Esempi di famose aziende che operano attraverso questa formula distributiva sono: Castorama, Obi nel settore del “fai da te”, Declathon e Cisalfa in quello dello sport, Ikea e Mondo Convenienza nel settore dell’arredamento.

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Esempi a conferma di quanto detto sono : il centro commerciale I Gigli a Firenze, le catene dei centri commerciali Warner etc...

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Non si tratta di una connessione del tutto nuova, infatti la connessione tra shopping e tempo libero viene considerata da tempo una peculiarità dei centri commerciali, ma è sicuramente nuova l’importanza data a questo aspetto che rende i centri commerciali luoghi diversi rispetto al passato, luoghi dove recarsi per fare la spesa, ma anche per divertirsi. In questi casi perde l’importanza l’ipermercato alimentare che nei centri commerciali tradizionali , come detto, costituisce la principale attrazione per i clienti e la principale destinazione della superficie del centro.

Questa trasformazione dunque è legata alle necessità di conquistare aree più vaste di mercato, differenziando l’offerta rispetto ai centri commerciali già esistenti.

Un discorso a parte, che in genere sfugge alle statistiche, è l’aumento dei parchi commerciali, cioè di quell’ insieme di attività commerciali medie e grandi che pur si collocano nella stessa area con evidenti sinergie. La fortuna di questa formula è legata infatti alla diffusione delle medie e grandi superfici specializzate.

Segue in certi casi questa tendenza anche la diffusione dei:

5) factory outlet center (FOC)

I factory outlet center rappresentano per dimensione, attrattiva ed espansione il “fenomeno nuovo” e sicuramente più appariscente, per lo meno in Italia, degli ultimi anni.

I FOC costituiscono una sorta di evoluzione tipologica dei tradizionali spacci aziendali che tradizionalmente sorgono nelle immediate vicinanze dei luoghi di produzione. Nei FOC vengono offerte rimanenze, linee sperimentali, eccedenze di produzione di articoli di marca, a prezzi molto scontati. Rispetto alla tipologia originaria si differenziano per:

- la localizzazione, del tutto indipendente dalle case produttrici;

- la concentrazione spaziale nella medesima sede fisica di una pluralità di marchi e prodotti differenti;

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- la qualità e l’articolazione delle tecniche di vendita.

I factory outlet center tendono ad assumere dimensioni rilevanti e a localizzarsi in zone ad alta accessibilità, spesso nelle vicinanze di una zona turistica in modo da attrarre il maggior numero di persone. L’area di attrazione dei FOC è molto ampia e ha una dimensione sovra regionale.

Essi hanno sviluppato un segmento nuovo del settore commerciale che, tra l’altro, può interagire bene con il centro commerciale tradizionale: lo dimostra il caso stesso di Serravallle Scrivia, dove la realizzazione del FOC ha portato nelle immediate vicinanze alla costruzione di un centro commerciale con un grande ipermercato17.

1.4 La rete distributiva italiana: una modernizzazione tardiva

Tutte le ricerche sulla distribuzione commerciale in Italia sottolineano il ritardo con cui la rete distributiva nazionale ha affrontato il problema della sua modernizzazione rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei. Le ragioni di questo ritardo sono molteplici, in particolare si sottolinea:

- la resistenza del consumatore italiano, generalmente poco preparato ad accogliere le modalità di servizio tipiche della distribuzione moderna ( supermercati, ipermercati, etc…);

- un’economia che si è sviluppata più tardi rispetto ad altri paesi europei come Francia, Inghilterra e Germania;

- un’articolazione della rete urbana che non fornisce l’ambiente ideale per la realizzazione di grandi superfici di vendita.

Queste spiegazioni risultano poco convincenti, nonostante rappresentino un fondo di verità: la prima, ad esempio, non tiene conto che la società italiana ha raggiunto i presupposti per lo sviluppo della grande distribuzione negli anni

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Settanta; è ormai da tempo infatti che la partecipazione femminile al mercato del lavoro ha raggiunto elevati livelli e che la disponibilità di mezzi di trasporto per raggiungere i punti di vendita più grandi lontani è alla portata della maggior parte dei consumatori; la seconda spiegazione non convince se si pensa ad un paese come la Spagna che, pur avendo iniziato il proprio sviluppo economico dopo il Franchismo, oggi ha una distribuzione più moderna di quella italiana; anche la terza spiegazione non è sufficiente in quanto nel nostro paese esistono comunque numerosi centri di dimensioni sufficienti per realizzare insediamenti commerciali ed esiste anche un’elevata mobilità che permette anche a chi vive in centri più piccoli di accedere facilmente a questo tipo di offerta commerciale, per di più la grande distribuzione si può affermare anche attraverso una efficiente rete di punti vendita di dimensioni più ridotte18.

La principale causa del ritardo italiano è, dunque, da ricercare altrove e più precisamente nella normativa di settore che per anni ha imposto molti vincoli di tipo protezionistico, rendendo difficile la diffusione di nuove formule distributive e, più in generale, ha impedito alle imprese più dinamiche, grandi o piccole che siano, di muoversi liberamente per cogliere le occasioni offerte dal mercato.

Seppur più lentamente a causa di questi vincoli anche in Italia il commercio è cambiato radicalmente: il settore alimentare infatti è sempre più in mano alla grande distribuzione attraverso una fitta rete di supermercati, nelle zone suburbane nascono e prosperano i grandi ipermercati e centri commerciali, le grandi superfici specializzate rinnovano il mercato di intere categorie di prodotti mentre i vecchi negozi a conduzione familiare, che per secoli hanno caratterizzato il panorama delle nostre città, fanno spazio a forme più moderne come quelle del franchising.

La distribuzione commerciale è uno dei settori economici dove l’intervento regolatorio è stato e continua ad essere più pervasivo. Esistono infatti regolamentazioni comuni che influenzano direttamente la libertà d’impresa di tutti gli operatori, oltre a regolamentazioni che si riferiscono a specifici comparti

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e a specifiche aree dei comportamenti aziendali. Le origini di tutto ciò si ritrovano in due motivazioni concomitanti: da un lato la convinzione che il commercio e la sua capacità competitiva non avessero effetti rilevanti sul sistema economico, dall’altro, invece, l’importanza che l’amplissima platea di esercenti commerciali, in gran parte piccole iniziative artigianali, aveva nel determinar egli equilibri di natura politica.

La vecchia normativa, la legge 426 del 1971, che per oltre trenta anni ha regolato il commercio italiano è stata determinante per lo sviluppo dello stesso: l’obiettivo era quello di intervenire per regolare l’accesso al mercato di nuove imprese imponendo dei vincoli all’entrata. Questa legge ha avuto conseguenze profonde che non si riassumono soltanto nello sviluppo ritardato del commercio italiano, ma anche in una serie di distorsioni rispetto a quello che sarebbe stato lo sviluppo del settore in un mercato meno vincolato, distorsioni che hanno generato inefficienza nella gestione delle imprese e di conseguenza costi per il consumatore. La modificazione dei contenuti di questa legge si è resa con il tempo necessaria e ciò ha portato finalmente alla cosiddetta “ riforma Bersani” nel 1998, dal nome del ministro dell’industria che l’ha promossa. Il fine di questa riforma è innanzitutto la liberalizzazione del settore attraverso due obiettivi: riportare il commercio dentro le regole di un’economia di mercato e rispettare il principio di sussidiarietà, che vuole delegati agli enti che le rappresentano gli interventi che hanno effetti su singole comunità di cittadini.

La riforma del commercio dunque rappresenta un significativo passo verso la liberalizzazione e cerca anche di individuare i casi in cui è necessario vincolare il mercato per evitare che si determino situazioni negative per la collettività.

La sua realizzazione e il suo successo dipendono dal modo in cui gli enti locali esercitano la delega che a essi viene trasferita con la riforma che attua un significativo passaggio di competenze a Regioni e Comuni.

In generale possiamo dire che le Regioni si sono dimostrate assai lente e conservatrici nell’interpretare la riforma cosicché tale legge non sembra aver inciso in modo determinante sull’evoluzione del settore commerciale19.

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Semplicemente, un processo di modernizzazione della distribuzione commerciale era già in corso e non si è fermato, è andato avanti lungo la strada della progressiva “industrializzazione” del settore.

Volendo ricostruire uno scenario del commercio italiano o una serie storica di riferimento ci imbattiamo in un mix di fonti tra loro diverse con cifre sovente contrastanti tra loro. Purtroppo le fonti certe e ufficiali sono molto limitate, per cui, spesso, non resta che rivolgersi a fonti private o ad istituti di ricerca territoriali, i cui dati, sono raramente confrontabili, mancando criteri comuni di classificazione in quanto ogni fonte tende ad utilizzare classificazioni differenti20.

Lo stesso Osservatorio Nazionale del Commercio, su cui ci baseremo, pur costituendo un punto di riferimento importante si basa su dati camerali, che, per alcune Regioni e Province, sono attendibili, ma in alcuni casi non lo sono perché il sistema di rilevazione non funziona. Osservando i dati relativi alla distribuzione commerciale riportati di seguito, si ritrova conferma di quanto detto precedentemente sull’evoluzione del settore distributivo.

Nella lettura degli stessi è opportuno tener presente i limiti di attendibilità dei dati cercando di leggerli in modo quasi qualitativo, con una forte attenzione ai principali cambiamenti in atto.

Tab.1.1- Imprese commerciali per numero di addetti (1991-2001)

Numero addetti Imprese Variazione percentuale 1991- 2001 1 747.293 15,4 2-5 406.146 -26,6 6-9 43.987 -7,6 10-19 23.217 -2,0 20-49 7.574 4,4 50-99 1.530 30,9 100-249 683 52,1 >250 301 77,1 Totale 1.230.731 -3,9

Fonte: Commercio e città, APT, n. 11, op. cit. pag. 16.

20

Signanini, S., Il commercio nella Toscana del futuro: verso un equilibrio sostenibile, Franco Angeli, Milano, 2005, pag.12.

(30)

Dall’analisi di questa tabella, si può osservare come il numero delle imprese commerciali sia tendenzialmente in calo nel periodo di riferimento a fronte di un aumento, invece, delle imprese più grandi, con una crescita di oltre il 50% di quelle con oltre 100 addetti, mentre diminuiscono le più piccole con un -26,6% per quelle con un solo dipendente.

Interessante osservare come la stessa tendenza non si manifesta per le imprese con un solo dipendente che riflettono un aumento del 15,4 %. Questo dato può avere diverse spiegazioni, coerenti con la progressiva modernizzazione del commercio: potrebbe, infatti, trattarsi di un effetto della diffusione del franchising, ma potrebbe essere anche l’effetto della nuova legislazione che liberalizza tutti i piccoli negozi e, allo stesso tempo, favorisce le imprese di maggiori dimensioni.

Tab.1.2- Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio, per numero di addetti delle imprese ( base2000=100 ) [2001-2003]

Numero addetti 2001 2002 2003 1-2 101,0 102,1 102,0 3-5 102,0 103,3 103,5 Totale < 5 101,4 102,6 102,6 6-9 101,8 104,0 105,6 10-19 102,2 104,3 107,0 >20 105,6 110,9 116,7 Totale >6 103,9 107,8 111,9 Totale imprese 102,7 105,2 107,3

Fonte: Commercio e città, APT, n. 11, op. cit. pag. 17.

Si veda da questa tabella come le vendite delle piccole imprese (fino a 2 addetti) e delle medie imprese (fino a 5 addetti) fanno registrare aumenti lievissimi negli ultimi tre anni, a differenza, invece, delle imprese commerciali con più di 20 addetti che rappresentano il fattore trainante della crescita delle vendite, confermata a sua volta dalla tab. 1.3. che evidenzia una crescita costante della grande distribuzione che passa dal 26,9% nel 2001 al 28,1% nel 2003.

(31)

Tab.1.3- Composizione percentuale delle vendite per forma distributiva (2001-2003)

Fonte: nostra elaborazione su Commercio e città, APT, n. 11, op. cit. pag. 17

L’evoluzione del commercio riflette il passaggio dell’economia, passata da una fase concentrata sulla produzione ad oggi, dove l’economia è dominata dal consumo e dove il ruolo dominante è assunto dalla distribuzione. La grande distribuzione, infatti, permette al consumatore di avere a disposizione tutto ciò che è in vendita; non provoca, quindi, soltanto una semplice sostituzione del piccolo commercio, ma amplia anche la dimensione del mercato, promuovendo e incentivando il consumo stesso.

Considerata nel suo complesso, quindi, possiamo affermare che la grande distribuzione appare una formula vincente ed in espansione anche se, scendendo nel particolare e andando ad osservare gli andamenti delle singole forme distributive, si possono rilevare importanti differenze.

Nella grande distribuzione italiana dominano due formule distributive: il supermercato e l’ipermercato. E’ a queste due formule che negli ultimi anni si attribuisce l’aumento del valore delle vendite (si veda tab. 1.4 ).

Tab.1.4- Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio per tipo di punto vendita ( base 2000=100) [2001-2003]

Forma distributiva 2001 2002 2003 Ipermercati 104,5 108,9 113,2 Supermercati 104,9 109,9 115,7 Discount 103,9 108,9 114,7 Grandi Magazzini 100,3 101,7 101,8 Altri specializzati 104,9 107,3 109,7 Totale 104,6 109,3 114,4

Fonte: Commercio e città, APT, n. 11, op. cit. pag. 20 Forma distributiva 2001 2002 2003 Variazione percentuale 2001-2003 Grande distribuzione 26,9 27,3 28,1 + 1,2 Piccola distribuzione 73,1 72,1 71,9 - 1,2

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Per quanto riguarda i supermercati il loro sviluppo appare continuo da molti anni. A partire dagli anni Ottanta il numero dei supermercati in Italia è aumentato di circa 250 unità all’anno e oggi sono più che quadruplicati rispetto agli inizi di quel periodo21. Essi costituiscono da tempo l’ossatura della distribuzione italiana, la rete di base del commercio moderno: la formula del supermercato infatti ben si adatta al territorio andando a servire in modo efficace sia quelle zone dove, per la limitata popolazione o per l’inadeguatezza dei sistemi di comunicazione, le grandi strutture non possono insediarsi sia il tessuto delle città storiche.

Anche per quanto riguarda gli ipermercati si assiste ad un notevole aumento: se agli inizi degli anni Novanta erano meno di 200, nel 2000 erano già 350. Questo a conferma che gli ipermercati hanno trainato lo sviluppo della grande distribuzione negli ultimi dieci anni, conquistando ogni anno rilevanti nuove quote di mercato, con una crescita superiore rispetto a quella delle altre formule distributive. Tuttavia la crescita degli ipermercati sembra aver raggiunto il proprio culmine all’inizio di questo decennio tornando a stabilizzarsi su livelli più normali, simili a quelli dei supermercati.

fig1. 3 Numeri di ipermercati in Italia (1991-2002)

0 50 100 150 200 250 300 350 400 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

Fonte: nostra elaborazione su Commercio e città, APT, n. 11, op. cit. pag. 23.

21

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Un discorso particolare meritano i discount: quando all’inizio degli anni Novanta iniziarono ad essere realizzati in Italia, sembravano costituire una novità destinata conquistare rilevanti quote del mercato distributivo.

Tuttavia, la diffusione dei supermercati nel nostro paese, la loro capacità di rinnovarsi e riposizionarsi sul mercato attraverso nuovi assortimenti come il “primo prezzo” e prodotti a marchio del distributore, hanno rallentato e limitato il successo dei discount nel nostro paese a differenza del ruolo e dell’importanza che questi hanno assunto negli altri paesi europei, come Germania, Norvegia e Finlandia.

Inoltre, la crescita dell’inflazione e la diminuzione del potere di acquisto degli stipendi degli ultimi anni hanno contribuito ad una ripresa delle vendite dei discount portando a nuovi possibili sviluppi22.

Nel 1998 nel nostro paese si poteva contare circa 3000 discount (si veda fig. 1.4 ).

fig1.4- Numero di discount in Italia (1991-1998)

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998

Fonte: nostra elaborazione su Commercio e città, APT, n. 11, op. cit. pag. 25

22

A conferma di tale crescita si veda la tab.1.4 che evidenzia una crescita dei discount superiore a quella dei supermercati e degli ipermercati.

(34)

Per quanto riguarda i grandi magazzini il loro potenziale di crescita sembra essersi ormai esaurito. In Italia essi hanno avuto il periodo di massima espansione intorno agli anni Sessanta per poi perdere progressivamente quote di mercato.

In forte crescita invece sono le grandi e medie superfici specializzate, come già detto, definite category killer per la loro capacità di offrire una vasta scelta di prodotti nel settore in cui si sono specializzati ad un prezzo estremamente competitivo rispetto alla concorrenza.

fig1.5- Numero grandi magazzini in Italia (1981-2002)

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1 9 8 1 1 9 8 2 1 9 8 3 1 9 8 4 1 9 8 5 1 9 8 6 1 9 8 7 1 9 8 8 1 9 8 9 1 9 9 0 1 9 9 1 1 9 9 2 1 9 9 3 1 9 9 4 1 9 9 5 1 9 9 6 1 9 9 7 1 9 9 8 1 9 9 9 2 0 0 0 2 0 0 1 2 0 0 2

Fonte: nostra elaborazione su Commercio e città, APT, Celid, 2005, pag.26

Osservando questo grafico si vede come a partire dal 1994 si assiste ad una forte crescita dei grandi magazzini, questo può esser dovuto al fatto che spesso le grandi superfici specializzate sfuggono alle statistiche e vengono in parte comprese nella categoria dei grandi magazzini, a conferma di come non esista una classificazione univoca delle formule commerciali.

Importante considerazione, inoltre, deve esser fatta per lo sviluppo dei centri commerciali nel nostro paese: nel 2003 sono stati aperti in Italia 39 centri commerciali. Si tratta del numero di aperture più elevato degli ultimi anni dopo

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un periodo abbastanza statico che aveva seguito il boom degli anni Novanta. Nonostante questo, la formula dei centri commerciali non ha ancora raggiunto i livelli europei e ciò fa presumere che presenti ancora molti margini di sviluppo23. I centri commerciali di nuova realizzazione, infatti, tendono ad esser sempre più grandi rispetto a quelli già esistenti e questo a conferma della maggior importanza che, nel nostro secolo, viene data agli aspetti ludici e di intrattenimento.

Un discorso a parte meritano i factory outlet center che rappresentano l’ “ultima moda” nel settore distributivo del nostro paese. Importati dagli Stati Uniti con ritardo in Italia essi hanno incontrato un successo senza previsioni: dal primo FOC aperto nel 2000 a Serravalle Scrivia, in Piemonte, il successo di questa iniziativa permette oggi di contare circa 20 di queste strutture nel nostro paese.

I factory outlet center hanno tuttavia sviluppato un nuovo segmento nel settore commerciale che, tra l’altro, può interagire bene con il centro commerciale tradizionale: lo dimostra il caso stesso di Serravalle Scrivia dove la realizzazione del FOC ha portato alla successiva costruzione nelle immediate vicinanze di un centro commerciale con un grande ipermercato.

23

L’Italia si trova ancora al di sotto della media europea per densità con 126mq per 1000 abitanti contro i 169 mq per 1000 abitanti del resto d’Europa.

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fig1.6- Numero Factory outlet center (2000-2006) 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

Fonte: nostra elaborazione su Largo Consumo, Febbraio 2004; Ferrari, F., Martorana, M., Outlet: la rivoluzione dei consumi. Il fenomeno socioeconomico che ha cambiato il comportamento dei consumatori italiani, pag17 e seguenti.

1.5 L’evoluzione dei consumi in Italia

Sino ad ora si è analizzato lo sviluppo del settore distributivo, affermando, sin da principio, come l’offerta delle imprese commerciali cerchi di rispondere al meglio alle mutevoli esigenze dei consumatori, ottimizzando il loro grado di soddisfazione. Ritengo quindi opportuno ed interessante analizzare anche l’altra faccia della medaglia, il mondo del consumo, che da sempre ha stimolato gli operatori della distribuzione ad offrire soluzioni sempre nuove e meglio rispondenti alle mutevoli necessità di acquisto del mercato e ai diversi ambiti spaziali di operatività.

L’analisi dell’evoluzione dei consumi di un paese, infatti, rappresenta un punto di riferimento essenziale per poter comprendere i cambiamenti fondamentali del contesto economico e sociale e per capire i processi di sviluppo delle strutture industriali e delle politiche delle imprese nel corso del tempo.

Figura

fig. 1.2b-  Relazioni di scambio tra produttori e consumatori in presenza di
fig. 2.4- I modelli d’acquisto tradizionali e l’approccio brand-gain

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