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Evoluzione della teoria istituzionale

IV. Trasferimento dei sistemi di controllo

4.2 Filiale estera e autonomia

4.3.1 Evoluzione della teoria istituzionale

La nascita dell’approccio istituzionale si deve agli studi di politica economica, in particolare agli studi di Veblen (1898), Selznick (1949). La teoria istituzionale ha messo al centro dell’analisi l’importanza del rapporto tra l’azienda e le condizioni dell’ambiente, cosi l’organizzazione è entrata in azione reciproca con l’ambiente di riferimento. Gli istituzionalisti vedono le organizzazioni come un aggregato di individui che ha come obiettivo la massimizzazione della propria utilità. L’approccio istituzionale ha messo in primo piano i condizionamenti di ordine materiale e simbolico che le istituzioni storiche esercitano sull’orientamento ed sul comportamento umano. Sono gli uomini a creare le istituzioni, ma queste retroagiscono sugli uomini ponendo vincoli e restrizioni, condizionandoli nei loro aspetti cognitivi e normativi (Bonazzi, G., 2006).

A livello teorico l’approccio istituzionale ha avuto delle lacune, esso ha fallito nel sottolineare l’importanza del processo evolutivo dello sviluppo delle istituzioni

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(Rutherford, M., 1996). In ogni caso, il suo insuccesso non è stato dovuto alla proposizione di domande di ricerca sbagliate, ma piuttosto si riferisce alle risposte descrittive e relative ad un contesto storico specifico che l’approccio ha tentato di dare (Powell and Di Maggio, 1991).

Negli anni 70 è stato sviluppato l’approccio neo-istituzionale, il quale ha cercato di capire perché vi sono organizzazioni diverse con dei modelli organizzativi simili. A differenza della teoria istituzionale di Selznick (1948) dove il potere delle istituzioni esterne è considerato la chiave di lettura, nella teoria neo-istituzionale l’importanza è data all’adattamento che legittima socialmente l’organizzazione.

L’approccio istituzionale e l’approccio neo-istituzionale condividono l’idea della non razionalità degli attori: il primo considera la non razionalità nelle procedure informali adottate dall’organizzazione dovute alle pressioni degli attori esterni che hanno potere. Il secondo invece considera la non razionalità nelle procedure formali dell’organizzazione dovute a delle pressioni tra organizzazioni e alle convinzioni culturali. Powell e Di Maggio (1991) hanno cercato di approfondire i motivi di omogeneizzazione di organizzazioni che appartengono allo stesso contesto. Gli autori hanno identificato tre meccanismi con cui le organizzazioni diventano simili:

 l’isomorfismo coercitivo: dovuto alle pressioni e al bisogno di legittimazione. Le pressioni, che potrebbero essere formali o non, sono esercitate da altre organizzazioni da cui dipende l’organizzazione e da pressioni di tipo culturali. Se si pensa ad esempio alle pressioni esercitate dall’azienda madre nei confronti della o delle filiali estere, o nei confronti delle aziende controllate.

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 l’isomorfismo mimetico: legato ai processi di imitazione dovuti alla incertezza, questa ultima come sottolineano gli autori potrebbe derivare dall’incertezza nell’utilizzo della tecnologia, nella definizione degli obiettivi generali dell’organizzazione o all’incertezza dovuta alla scarsa comprensione dell’ambiente esterno. L’incertezza porterebbe l’organizzazione a imitarne altre per evitare l’ambiguità. La somiglianza tra le organizzazioni e le loro strutture potrebbe derivare da un contesto caratterizzato da un grado elevato di incertezza, questo porterebbe le organizzazioni ad adottare soluzioni simili, in quanto il cambiamento potrebbe essere costoso in questo contesto. Esse tendono ad utilizzare soluzioni già presenti in altri contesti operativi credendo che queste siano le migliori possibili o che ne garantiscano più facilmente la legittimazione.

 l’isomorfismo normativo: l’ultimo motivo che potrebbe spiegare la somiglianza tra le organizzazioni è chiamato isomorfismo normativo. Questo ultimo deriva in particolar modo dal professionalismo, inteso come la lotta dei vari membri che rappresentano una professione alla definizione delle condizioni e dei vari modi di lavoro. Due sono le fonti di isomorfismo in questo caso, la prima è l’esistenza di un sistema educativa che legittima il professionalismo e crea le conoscenze base a tale proposito. La seconda è l’esistenza dei network professionali che diffondono le conoscenze in maniera rapida. Le università sono quelle che creano la consapevolezza professionale e formano i manager. Avere la stessa formazione significherebbe avere la stessa concezione nei confronti di problemi simili, questo porterebbe ad adottare le stesse soluzioni.

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L’approccio neo-istituzionale assume, quindi, che le procedure formali delle organizzazioni riflettano i miti istituzionali dell’ambiente in cui opera l’organizzazione, invece che dalle esigenze relative all’attività dell’organizzazione. Le strutture organizzative sono create e strutturate secondo questi miti, in contesti fortemente istituzionalizzati le organizzazioni dovrebbero dunque supportarli. La legittimità è condizionata dal rispetto delle istituzioni, il successo e la sopravvivenza quindi dipendono dal rispetto delle istituzioni (Meyer et al., 1991).

Un altro aspetto da sottolineare è il rapporto esistente tra le istituzioni e la cultura. Zucher (1977) ha confermato l’importanza delle istituzioni e il suo condizionamento alle scelte compiute dalle persone, ma ha sottolineato il ruolo delle istituzioni nel trasferimento della cultura da una generazione ad un’altra. La conoscenza sociale, una volta istituzionalizzata diventa un dato di fatto, diventa una parte della realtà oggettiva, e può essere trasmessa direttamente su tale base. Gli individui, tramite il loro comportamento, trasmettono una realtà istituzionalizzata, questa ultima definisce cioè che è giusto e reale, macro e micro livelli sono intrecciati tra di loro. La Zucker (1977) ha proposto l’approccio etnometodologico, con cui nessuna azione può avere significato indipendentemente dal suo contesto. Per capire come le istituzioni influenzano le azioni e le scelte degli individui, il ricercatore dovrebbe studiare il legame dal punto di vista degli individui, dovrebbe analizzare come gli individui rispondono ai condizionamenti esercitati dalle istituzioni. Nell’approccio etnometodologico non c’è bisogno di riconoscere il postulato funzionalista della interiorizzazione di valori per spiegare l’origine dell’ordine sociale. Ciò che interessa agli etnometodologici è la conoscenza ravvicinata di come l’ordine sociale viene percepito e trasmesso nella vita quotidiana, partendo dalla constatazione che nel senso comune le istituzioni sono esperite come strutture oggettive e resistenti, fonte

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esteriore di ogni significato per le azioni individuali (Bonazzi, 2000). Nel suo lavoro la Zucker (1977) ha sostenuto che differenti gradi di istituzionalizzazione influenzano la persistenza e il trasferimento della cultura tra le generazioni, i risultati della sua ricerca hanno confermato la sua ipotesi di base, quando aumenta il grado di istituzionalizzazione diventa più facile il trasferimento e la continuità culturali tra le generazioni. Il cambiamento risulta quindi difficile in contesti istituzionalizzati, una volta che una procedura o una norma diventa come istituzione aumenta la resistenza al cambiamento.

I risultati verificati dall’autore sono molto importanti ai fini di questa ricerca: il grado di istituzionalizzazione aumenta con l’aumento della socializzazione, e l’internalizzazione della norma stessa aumenta quando queste procedure diventano realtà e vengono date per scontato. La socializzazione e l’internalizzazione delle norme avviene quando le norme stesse sono compatibili con i valori culturali degli individui, una volta che una norma viene istituzionalizzata il suo trasferimento e la sua persistenza tra le generazioni aumenta, aumenta anche la resistenza al cambiamento. I valori condivisi dalle persone, a nostro parere, hanno un ruolo centrale prima nella socializzazione e nella internalizzazione e successivamente nella trasmissione e mantenimento delle norme e procedure.