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Chair:

Marta De Philippis

Banca d’Italia

Interventi:

Competenze e digitalizzazione nei paesi Ocse

Luca Marcolin

Ocse

Occupazione, imprese e ruolo del capitale umano

Fabio Rapiti

Istat

Mansioni, competenze e dinamica occupazionale delle professioni italiane

Dario Guarascio

Inapp

Dinamica dei rapporti di lavoro nel breve periodo

Stefano Scaccabarozzi

Sessione parallela

Le evoluzioni del mercato del lavoro

e le nuove competenze

Benvenuti a tutti. Oggi parliamo di competenze e domanda di lavoro, quindi si analiz- zeranno quali sono le competenze richieste dal mercato del lavoro, come si è evoluta la domanda di lavoro negli ultimi dieci anni, a seguito delle rivoluzioni tecnologiche, e se esistono ancora delle carenze di alcune figure professionali.

Ritengo che questo argomento sia estremamente interessante: mentre esistono mol- teplici analisi sull’offerta di lavoro e su come essa si sia evoluta negli scorsi decenni, grazie alla disponibilità di dati molto ricchi a riguardo (la rilevazione della forza di lavoro per prima), esiste poca evidenza che caratterizzi la domanda di lavoro e la sua evoluzione. Questa sessione pomeridiana, quindi, presenterà quattro relazioni, su quattro data set diversi. Si analizzeranno diversi aspetti dell’evoluzione della domanda di lavoro.

La prima relazione è di Luca Marcolin dell’Ocse. Luca andrà a vedere come sono di- stribuite le competenze nei paesi Ocse e quali sono i rendimenti di queste competenze. Dato che abbiamo due ore, direi che la presentazione durerà più o meno 25 minuti e poi 5 minuti di discussione alla fine.

Grazie Marta e grazie a tutti per essere qui. Mi chiamo Luca Marcolin e lavoro all’Ocse. Nonostante la presentazione sia sulla dinamica delle competenze, io lavoro al Diretto- rato di scienza, tecnologia e innovazione, quindi vengo più dal lato tecnologico dell’a- nalisi. Tutto quello che vedrete è lavoro congiunto con altri colleghi, per lo più Robert Grundke e Mariagrazia Squicciarini.

L’analisi è inserita nel quadro di un progetto dell’Ocse che si chiama Going Digital, un progetto di due anni che ha come focus l’analisi della transizione verso l’economia di- gitale e come far funzionare questa transizione tecnologica per il benessere sociale e la crescita economica. In realtà, questo si traduce nella volontà di analizzare parte dell’e- conomia e della società nella prospettiva di dare dei consigli di politiche pubbliche per il design di una politica pubblica efficace. C’è, quindi, una componente analitica e una componente di “policy suggestion” se volete.

Oltre ad un approccio complessivo sulla trasformazione digitale, che quindi prende in considerazione svariati ambiti di analisi e di politica pubblica, ci sono dei capitoli all’interno del progetto che si focalizzano più in profondità su alcune aree specifiche: una è il lavoro e le competenze su cui darò una presentazione; l’altra è la dinamica della produttività e del mercato; la terza è sul benessere.

Focalizzandosi sulle competenze, oggi presenterò uno dei tre lavori fondamentali che cadono all’interno del capitolo competenze del Going Digital, e in particolare cercherò di mostrarvi come la trasformazione digitale ha cambiato la domanda di competenze nel mercato del lavoro. Cercherò di mostrare quali sono le competenze che ottengono dal mercato il più alto ritorno, e di farlo per competenze di tipo diverso, in particolare competenze cognitive e non cognitive.

Marta De Philippis

Luca Marcolin

sessione parallela

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L’analisi si basa su dati cross-country, che coprono molteplici paesi (31 tra Ocse e non Ocse), a livello di lavoratore individuale, e distinguendo tra lavoratori che sono occu- pati in settori ad alta intensità digitale e settori a più bassa intensità digitale.

L’analisi ha bisogno di due blocchi fondamentali, uno è come fare a misurare la transizione digitale e l’altro blocco è come fare a misurare le competenze del lavo- ratore. Il primo blocco è la misurazione della trasformazione digitale. Non abbiamo all’Ocse in modo comparativo un dataset che contenga allo stesso tempo informazio- ni dettagliate sul lavoratore e informazioni dettagliate sulla tecnologia che è messa a disposizione del lavoratore sul luogo di lavoro, quindi abbiamo dovuto adottare una strategia differente nella quale andiamo a misurare l’intensità digitale dei settori in cui questi lavoratori sono occupati e poi abbiamo tutte le informazioni più dettaglia- te sul lavoratore.

Per fare la misurazione dell’intensità digitale abbiamo predisposto una tassonomia dei settori, settori Isic rev.4, a un livello di disgregazione più o meno di due digit. Questa tassonomia in particolare cerca di catturare le svariate dimensioni della transi- zione digitale: una dimensione tecnologica, una dimensione di capitale umano e una dimensione di interfaccia del datore di lavoro, dell’impresa con il mercato.

Quali sono le dimensioni dell’economia digitale che prendiamo in considerazione? Sono investimento in hardware e software dalla contabilità nazionale, utilizzo di beni intermedi di natura Ict, quindi sia servizi che beni fisici, e questi sono effettivamente quanto un settore qualsiasi ha comprato nell’anno di beni o servizi di natura Ict in volume. Dopodiché c’è una dimensione di intensità di robot nel settore, cioè lo stock di robot effettivamente impiegato nel settore scalato per la dimensione del settore stesso, e una dimensione di impiego di quante persone tra la forza lavoro totale del settore im- piegata in occupazioni specializzate Ict. Infine un’intensità del settore in e-commerce, cioè quante vendite sono state fatte dalle imprese del settore attraverso una piattafor- ma online.

Il risultato sono svariati ranking di settore, uno per ciascun indicatore che vi ho men- zionato. Dopodiché con una metodologia ad hoc, che è spiegata nell’articolo, ma che non avrò tempo di sviluppare qui, mettiamo assieme le varie dimensioni per creare un ranking globale dei settori che vedete qui rappresentato in modo schematico per quella che è l’informazione tra il 2013 e il 2015.

Dividiamo i settori in quattro quartili: uno a bassa intensità digitale, uno ha molto alta intensità digitale e poi due quartili intermedi. In realtà il risultato è probabilmente non completamente sorprendente, ci sono alcuni settori prevedibili che stanno nella parte bassa della distribuzione, e altri settori che invece stanno nella parte alta della distribuzione, perlopiù settori nei servizi.

Secondo blocco: misurazione delle competenze dei lavoratori. Lo facciamo attraverso la base dati Piaac, l’indagine internazionale sulle competenze degli adulti, che svariati ricercatori in Italia, soprattutto all’ex Isfol, hanno già utilizzato per descrivere la si- tuazione italiana. La base dati contiene oggi dati su individui di età 16-65 anni in 31 paesi, intervistati tra il 2012 e il 2015.

La base dati contiene informazioni su che tipo di mansioni i lavoratori fanno sul luogo di lavoro e i lavoratori vengono testati per le loro effettive capacità di comprensione del testo e di comprensione numerica in modo comparabile a quello che è il test per gli studenti di età 15 anni nel contesto di Pisa.

Esempi di domande sulle mansioni che vengono espletate dagli individui sul luogo di lavoro sono la frequenza con la quale il lavoratore usa il computer, interagisce con i suoi colleghi e/o manager, o con la quale può scegliere l’ordine o le mansioni stesse

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che fa sul posto di lavoro. Questo è il tipo di domande attraverso le quali noi misuria- mo alcune delle competenze sul lavoro.

I colleghi dell’ex Isfol hanno fatto molto lavoro per rappresentare queste competenze per l’Italia, molto di più di quanto io possa presentarvi qui in modo comparato. Questa è giusto un’introduzione. Quello che emerge è che per le capacità di lettura del testo e comprensione numerica l’Italia non ottiene risultati strabilianti se comparata ad altri paesi G20: come vedete, siamo sul lato basso della distribuzione, come la Turchia. Quello che forse è interessante con Piaac, oltre alla misurazione del livello delle com- petenze, è l’uso delle competenze. In questo grafico vedete la percentuale dei lavoratori che è considerata sovra-capace o sotto-capace rispetto alle richieste del proprio lavoro. Questo è misurato come la percentuale di persone che hanno competenze (come da risultati del test già menzionato) al di sopra di un massimo che è dato dalle compe- tenze delle persone che rispondono “io mi sento effettivamente capace di fare il mio lavoro”. Come vedete, l’Italia ha una grossa percentuale di lavoratori sia che hanno competenze in eccesso rispetto alle necessità espresse dal proprio posto di lavoro, che competenze in ammanco rispetto a quanto richiesto dal proprio datore di lavoro. Questa prima rappresentazione prescindeva dalla divisione tra economia digitale ed economia a bassa intensità digitale. Chi lavora in industria ad alta intensità digitale potrebbe avere competenze diverse da chi lavora in industria a bassa intensità digitale. Questo può essere causato da una serie importante di fenomeni. Per esempio, le occu- pazioni delle persone che lavorano nei settori ad alta intensità digitali potrebbero esse- re completamente diverse da quelle delle persone che sono impiegate negli altri settori. Per fare un lavoro un po’ più strutturato, un po’ più comprensivo ed effettivamente isolare, se volete, l’effetto del lavorare in un settore ad alta intensità digitale, abbiamo utilizzato dell’econometria e in particolare delle regressioni a livello individuale in cui, al di là della correlazione tra le competenze dell’individuo e il proprio salario, controlliamo anche per fattore come l’età dell’individuo, la formazione acquisita, il fatto che lavori part-time, il settore più disaggregato dove lavora e anche l’occupazione in cui l’individuo lavora.

La prospettiva è di breve periodo, e facciamo due ipotesi fondamentali: che l’offerta di lavoro è data come fissa, e che le “preferenze” del mercato rispetto ai prodotti da acqui- stare sono fisse nel tempo. Date queste condizioni iniziali, una correlazione positiva tra il dimostrare una determinata competenza e il salario suggerisce che la competenza è richiesta dal mercato stesso.

I risultati dell’analisi sono presentati in slide in forma grafica, ma tutte le tabelle eco- nometriche sono incluse nell’articolo, nello studio che vedete citato qui sotto, quindi vi invito a far riferimento ad esse. Quello che vedete è la dimostrazione grafica di un coef- ficiente di una regressione, quindi nella barra in blu scuro vedete qual è il premio dato a ciascuna competenza per i lavoratori in industrie a bassa intensità digitale, intendo dire dalla mediana in giù. In particolare, a un aumento di una deviazione standard delle competenze questa è la risposta che il mercato del lavoro dà in termini di premio sala- riale, quindi nell’ordine dallo 0 al 10 per cento in più di salario. Una volta che abbiamo considerato, come dicevo prima, anche età, educazione, etc. Il premio che è dato al lavo- ratore per lavorare in settori ad alta intensità digitale è invece la parte in azzurro chiaro del grafico. Vedete che esiste un premio in termini di capacità di autorganizzazione e in capacità di conoscenze Stem, quindi scientifiche. Al contrario, per tutti gli altri tipi di conoscenze il premio è non esistente, non è statisticamente significativo.

Infine, quali altri fattori possono aiutare i lavoratori ad ottenere un ritorno positivo dall’economia digitale? Il primo è chiaramente la formazione sul lavoro, qui menzio-

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nata come on the job training, ma non è l’unico tipo di formazione a cui possiamo guardare. I dati sono comunque di Piaac e fanno vedere che la proporzione dei lavo- ratori in Italia che ha avuto nell’anno almeno una volta un corso di formazione sul lavoro è sufficientemente basso, sicuramente più bassa che in altri paesi del campione. Quello che inoltre è interessante notare è che i lavoratori che beneficiano di corsi di on the job training, o che hanno beneficiato nell’anno particolare, hanno dei titoli di studio di medio o alto livello. Chi ha un titolo di studio di basso livello accede meno frequentemente a della formazione sul lavoro.

L’altro aspetto sono le capacità manageriali che vengono implementate sul posto di lavoro. Qui vedete quelle che si chiamano high performance work practices, la scala è un po’ difficile da interpretare, quindi mi concederete di non dilungarmi. Quello su cui vorrei puntare il dito è che l’Italia non sembra avere molto frequentemente queste capacità manageriali avanzate sul posto di lavoro, almeno in comparazione con la media dei paesi Ocse. Quello che manca fondamentalmente è la capacità di lasciar decidere al lavoratore le proprie mansioni sul lavoro, l’impegno nel management di fare mentoring, o anche, in realtà, di altri lavoratori di fare mentoring ai nuovi entrati. On the job training è poi una flessibilità nell’organizzazione delle mansioni sul lavoro. In conclusione, quello che ho cercato di mostrare è che nel nostro lavoro consideriamo le competenze come un concetto multisfaccettato, innanzitutto competenze cognitive e non cognitive, che si possono misurare in modi diversi, due di questi sono la frequenza di certe mansioni sul lavoro oppure dei test cognitivi diretti. Abbiamo preso in con- siderazione che i lavoratori hanno più di una competenza allo stesso tempo e che la tecnologia digitale ha livelli di complementarietà e di sostituibilità differenti a seconda della competenza e a seconda effettivamente della dimensione di tecnologia. Da qui l’importanza di prendere in considerazione che anche la tecnologia è multisfaccetta- ta, e che essa può esistere sul mercato ma comunque non essere adottata, non essere fatta propria dal datore di lavoro. Per finire, che cosa possiamo fare come istituzione pubblica? Qui alcune delle conclusioni di politica pubblica che caratterizzeranno l’in- terezza del progetto Going Digital. L’importanza di investire nelle competenze, questa sembra evidente, che sarà sempre più necessario continuare a formarle durante la vita del lavoratore e non solamente durante la scuola, e che i lavoratori che forse ne avranno più bisogno, cioè quelli a basso livello formativo iniziale, sono probabilmente quelli che al momento beneficiano di formazione sul lavoro meno di altri.

Un approccio di politica pubblica che dovrebbe essere olistico, che quindi prende in considerazione le politiche pubbliche del mercato del lavoro in congiunzione a quelle della formazione e del welfare, ma anche altre politiche pubbliche forse considerate meno di frequente in congiunzione a quelle del mercato del lavoro e della formazione. Quindi la politica industriale, che è politica dell’investimento e dell’innovazione, e che può allo stesso tempo influenzare le competenze e lo sviluppo della tecnologia digitale nel paese. Grazie.

Grazie Luca. Ci sono domande dal pubblico? Nessuna domanda. Io avrei una curiosità: quando avete guardato ai premi delle diverse tipologie di competenze, avete anche guardato all’eterogeneità fra paesi? Dove si posiziona l’Italia in questa distribuzione? La risposta è no. In realtà, l’analisi prende in considerazione il paese in cui il lavo- ratore è occupato, quindi il risultato che hai visto è a prescindere dal paese in cui il

Marta De Philippis

Luca Marcolin

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lavoratore è impiegato. Non abbiamo però fatto un’analisi paese per paese. Potremmo farla in realtà, i dati lo permettono. È decisamente una cosa fattibile.

Grazie. Se non ci sono domande, inviterei il secondo relatore, Fabio Rapiti dall’Istat, che ci presenterà una relazione su come si è evoluta l’occupazione in Italia negli ulti- mi anni e come siamo finiti in un cattivo equilibrio.

Buongiorno a tutti e grazie per essere presenti. Questo in realtà è un lavoro congiunto con quattro colleghi: Andrea De Panizza, Matteo Lucchese, Federica Pintaldi. Abbiamo raccolto un po’ di evidenze che l’Istituto nazionale di statistica ha prodotto nell’ultimo anno: ci sono evidenze descrittive e anche qualche analisi econometrica. sulla parte relativa alle imprese valorizziamo soprattutto l’ultima edizione del Rapporto sulla

competitività 2018, presentato a marzo, e il nuovissimo Rapporto sulla conoscenza 2018 presentato a febbraio. Due prodotti molto importanti in cui con delle banche

dati integrate riusciamo ad approfondire l’analisi in modo adeguato ai problemi che affrontiamo.

La presentazione è piuttosto semplice. Dopo un’introduzione in cui inquadriamo il pro- blema dell’occupazione guardandolo in prospettiva negli ultimi dieci anni – abbiamo lo stesso livello di occupazione ma una ricomposizione fortissima e un incremento della disoccupazione tra il 2008 e il 2017 – poi affrontiamo alcuni temi collegati al capitale umano, quindi il trend storico dell’istruzione, i rendimenti, l’offerta e la domanda di laureati, la sovra istruzione. Affrontiamo poco alcune questioni legate invece ai cambia- menti nelle professioni, quindi l’occupazione delle professioni. In ultimo, affrontiamo il lato della domanda di lavoro, il sistema delle imprese, e vi faccio vedere delle evidenze che abbiamo pubblicato recentemente. Poi proviamo a fare qualche conclusione. La premessa è che ovviamente i fattori che determinano la domanda di lavoro e le competenze sono, come sappiamo bene, la tecnologia ma anche la globalizzazione e sono importanti anche i fattori demografici. Ma negli ultimi dieci anni ha avuto un impatto fortissimo la crisi economica che da un lato ha influenzato la domanda, se pensate ha abbattuto gli investimenti produttivi delle imprese, investimenti non solo fisici su beni intangibili ma anche sul capitale umano; dall’altro ha avuto un effetto sull’offerta, una lunga disoccupazione può avere effetti sull’offerta.

Vediamo, sinteticamente, che cosa è successo in questi ultimi dieci anni. Abbiamo detto che siamo allo stesso livello dell’occupazione ma con una ricomposizione fortissima. Ci sono soprattutto meno ore lavorate, principalmente a causa di più part-time soprat- tutto involontario, più occupazione dipendente e ovviamente una forte diminuzione degli indipendenti, e più lavoro a termine. C’è una fortissima riallocazione settoriale, una contrazione dell’occupazione nelle costruzioni, nell’industria, una forte espan- sione nei servizi, soprattutto nel commercio, nel turismo e nei servizi alle imprese. Un’elevata riduzione nella Pa e nell’istruzione. In realtà questo è un aspetto molto importante perché, quando ragioniamo di domanda di lavoro qualificato, una forte riduzione di occupazione e di domanda, dovuta anche ai vincoli di bilancio del settore pubblico, determinano un effetto che spesso trascuriamo: il settore pubblico assorbe i lavoratori più qualificati, i lavoratori laureati, questo quindi ha un effetto, e ce l’ha ricordato Reyneri di nuovo in un articolo su La Voce che è uscito ieri.

C’è una forte ricomposizione anche tra le professioni: calano drasticamente quelle operaie, soprattutto nelle costruzioni e nella manifattura, c’è una stabilità sostanziale

Marta De Philippis

Fabio Rapiti

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in quelle qualificate che prima erano cadute e poi si sono riprese; c’è la crescita in quelle non qualificate dove cresce soprattutto il lavoro degli immigrati, e soprattutto, c’è anche la crescita, nel commercio e nei servizi, delle figure impiegatizie. C’è una ripresa forte dell’occupazione femminile, che si era un po’ attenuata ma era stata rile- vante anche durante la crisi. Ci sono i divari territoriali che non solo non si riducono ma si accentuano: siamo a parità di 23,1 milioni di occupati circa ma il Mezzogiorno ha ancora 310mila occupati in meno, quindi -4,8 per cento, e il Centro-Nord ne ha 243mila in più. Se vediamo anche la composizione di questi occupati, la situazione è ancora peggiore. Ovviamente rimane anche la situazione dei giovani che non è mi- gliorata in questa fase, anzi.

Vediamo cosa è accaduto nell’occupazione e nelle ore lavorate. Questi sono dati di con- tabilità nazionale. Avete quattro macro settori, come vedete in basso a destra i servizi sono l’unico settore in cui, in termini di occupazione, l’occupazione è andata oltre il 2008, in termini di ore lavorate siamo tornati a quel livello. In tutti gli altri settori, soprattutto nelle costruzioni ma anche nella manifattura, siamo molto più in basso. Ovviamente questo calo degli occupati, ma soprattutto delle ore lavorate pro capite, che sono ancora intorno al -5 per cento rispetto al 2008, spiega in buona parte anche perché c’è un reddito pro capite più basso.

Un breve ragionamento sulla domanda di lavoro. Noi possiamo misurare la domanda di lavoro con il tasso dei posti vacanti. Come vedete nel grafico a sinistra abbiamo le due cadute del tasso di posti vacanti. Lì non è rilevante il livello, guardiamo soltanto