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Buongiorno a tutti. Questa sessione ha il vantaggio di avere un numero limitato di relatori che avranno la possibilità di approfondire i loro argomenti.

Come sapete, questa presentazione è all’interno di quest’area tematica che si chiama Futuro. L’obiettivo dell’area tematica e della presentazione era cercare di illustrare e di fare il punto su quelle che possono essere le sfide nei prossimi anni, sia in termini di organizzazione del lavoro, ad esempio sulla misurazione ed evoluzione degli skills, sia sull’organizzazione delle imprese.

Abbiamo anche cercato di capire come il mondo che cambia può essere intercettato dalla contabilità nazionale. La sessione di oggi ha l’obiettivo di identificare i possibili drivers dell’andamento dell’economia italiana, sia quelli appena passati, quindi che cosa è suc- cesso durante il periodo di crisi, sia quali possono essere le prospettive cercando di leg- gere su un periodo più lungo le determinanti e le caratteristiche dello sviluppo italiano. Romina Gambacorta, la prima relatrice, ci illustrerà il lavoro che hanno fatto in Ban- ca d’Italia sulla relazione tra disuguaglianze e sviluppo economico nel periodo della crisi. Ci dirà se ci sono stati aspetti particolari che hanno portato ad acuire problemi già presenti, o quali sono state le differenze nell’ultima crisi rispetto alle crisi prece- denti. Questo secondo me è importante per capire il pezzo del passato recente. Invece il professor Felice successivamente cercherà di darci un’idea di più ampio respi- ro, illustrando sia in termini di dati sia in termini di analisi le determinanti dello svi- luppo economico italiano per cercare di capire o di immaginare quali possano essere gli aspetti principali da porre all’attenzione della politica economica. Alla fine di ogni presentazione ci sarà spazio per domande e quindi inizierei direttamente da Romina Gambacorta. Grazie.

Benvenuti. Grazie di essere qui; desidero ringraziare Fabio Bacchini per l’invito a par- tecipare a questa conferenza. Come anticipato, vi presenterò i risultati di un lavoro di ricerca, condotto in collaborazione con Andrea Brandolini e Alfonso Rosolia anche loro di Banca d’Italia, che cerca di spiegare l’andamento della disuguaglianza e della stagnazione dei redditi familiari in Italia nell’ultimo quarto di secolo. 1

Non possiamo parlare di aspetti distributivi dei redditi delle famiglie senza prima pas- sare per un’analisi delle fasi macroeconomiche che hanno caratterizzato l’economia italiana negli ultimi 25 anni, che ci consente di capire qual è stata la situazione eco- nomica delle famiglie rispetto agli altri settori istituzionali. Poi passeremo all’analisi dei dati micro, utilizzando l’indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia. A questo punto potremo parlare di variazione degli aspetti distributivi dei redditi, delle evoluzioni che possono essere intervenute nei vari strati della società, dell’impatto che hanno avuto le forze demografiche e le riforme fiscali del mercato del lavoro nella riallocazione delle risorse economiche.

1 Per i grafici e le slide citati nell’intervento si rinvia alla presentazione all’indirizzo https://www.youtube.com/

Fabio Bacchini

Romina

Gambacorta1

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Poi mi soffermerò sulla comparazione delle due fasi della recessione, anche e soprat- tutto rispetto a quello che è avvenuto nella disuguaglianza, all’interno dei gruppi de- mografici e tra i gruppi demografici stessi. Poi tirerò le conclusioni.

L’andamento delle principali grandezze macroeconomiche è riassunto in questo gra- fico, potete vedere la linea nera che rappresenta il prodotto interno lordo, negli anni dal 1960 al 2016, la linea blu vicina è quella della spesa per i consumi, la linea rossa è quella del reddito disponibile. Tutte queste grandezze sono espresse in termini pro capite a prezzi fissi e a numeri indice, la base è 1992, vedete infatti che si intersecano tutte in corrispondenza del ‘92.

Invece la linea verde riguarda il tasso di risparmio delle famiglie, in valori percentuali, e si riferisce alla scala di destra. Quello che è evidente è che partendo dagli anni ‘60 c’è stata, fino all’inizio degli anni Novanta, una fase di crescita economica sostenuta, il prodotto interno lordo cresceva a un ritmo del 4 per cento. Nel periodo che abbiamo riportato il prodotto interno lordo e il reddito disponibile sono più che triplicati, poi si è arrivati alla crisi valutaria del 1992, che può rappresentare una sorta di spartiacque tra una crescita sostenuta e un cambiamento delle dinamiche delle grandezze macro- economiche.

A partire dalla crisi valutaria vediamo che il prodotto interno lordo continua una cre- scita sebbene un po’ più ridotta, mentre invece c’è una biforcazione rispetto al reddito disponibile che vive un periodo di stagnazione, di sostanziale stabilità.

A fronte di questo però i consumi continuano a crescere sospinti soprattutto da una diminuzione del tasso di risparmio e cercheremo di capire quali sono le motivazioni di questa differenza e della biforcazione delle serie.

A seguito invece della seconda crisi economica che ha colpito l’Italia, quella finan- ziaria prima e la crisi del debito sovrano dopo, vediamo che la riduzione del prodotto interno lordo è stata notevolmente più importante rispetto a quella che abbiamo vis- suto per la crisi valutaria, ma soprattutto si è protratta per un periodo maggiore di tempo. In questo secondo episodio di recessione non soltanto il reddito disponibile è diminuito, ma anche il prodotto interno lordo e i consumi si sono ridotti. Cerchiamo di capire che cosa è successo.

La prima cosa che abbiamo notato è una stagnazione dei redditi familiari a fronte di consumi crescenti, che cosa è successo? Come abbiamo detto c’è stata una contrazione del tasso di risparmio, le famiglie hanno trovato meno conveniente detenere attività finanziarie, questo anche perché tra i fattori che hanno determinato la contrazione del tasso di risparmio c’è stata la forte riduzione dei tassi di interesse, quindi è stato meno conveniente per le famiglie detenere ad esempio titoli di Stato. Era più conveniente, in- vece, rivolgere i propri risparmi verso attività reali, ad esempio l’acquisto di abitazione di residenza, che garantivano in quel periodo maggiori capital gain.

Infatti, in quel periodo è cresciuta notevolmente la quota di famiglie in possesso l’abita- zione di residenza, che era già alta nel confronto internazionale per l’Italia e adesso lo è ancora di più. Il secondo aspetto che abbiamo visto era la divergenza dei redditi familiari da quelli nazionali. Perché il prodotto interno lordo è aumentato e il reddito disponibile invece è rimasto costante? Questo risultato si può spiegare anche attraverso una redi- stribuzione delle risorse dalle famiglie verso lo Stato e dalle famiglie verso le imprese. Alcuni fattori che hanno comportato una ridistribuzione delle risorse delle famiglie verso lo Stato, sono stati ad esempio le politiche di consolidamento fiscale che hanno seguito la crisi valutaria, che hanno portato a un contenimento delle spese dello Stato e un aumento della tassazione verso le famiglie, per esempio, l’introduzione dell’im- posta sulla ricchezza reale e il prelievo sul conto corrente (questa è stata una politica

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una tantum). Inoltre, la progressiva riduzione dei rendimenti dei titoli di Stato, che ha provocato una riduzione delle spese dello Stato, ma anche una riduzione delle entrate delle famiglie che erano le maggiori detentrici di titoli di Stato. Questo spiega un po’ la riallocazione delle risorse dalle famiglie verso lo Stato.

Invece, per quanto riguarda la ridistribuzione delle risorse verso le aziende, possiamo fare riferimento alle riforme del mercato del lavoro, che hanno seguito la crisi valu- taria e che avevano l’obiettivo di favorire una maggiore concorrenza nel mercato del lavoro, ma anche di contenere la dinamica salariale allo scopo di contenere il tasso di inflazione.

Queste riforme hanno avuto l’effetto di aumentare l’occupazione, soprattutto sospinta dall’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, ma anche quello di provocare una stagnazione dei salari reali.

Vediamo l’andamento del tasso di occupazione dei maschi e delle femmine, a sinistra quello dei maschi, a destra quello delle femmine dal Settanta ad oggi. Si è leggermente ridotto quello dei maschi, ma questo anche a causa dell’invecchiamento della popo- lazione, mentre invece quello delle donne continua ad aumentare, perché era molto basso, era il 35 per cento all’inizio, adesso arriva al 60 per cento. Le due scale sono diverse, però il 60 per cento per le donne rimane ancora più basso del tasso di occupa- zione degli uomini.

Se li mettiamo insieme, vediamo sul grafico di destra il rapporto tra occupati e popo- lazione in percentuale; si nota subito la crescita nel periodo precedente alla crisi valu- taria, la recessione successiva alla crisi valutaria, poi la ripresa successiva e di nuovo l’aumento della disoccupazione a seguito della recente doppia recessione.

Quello che mi premeva far notare è che, a fronte di una crescita del tasso di occupa- zione, tra la crisi valutaria e la doppia recessione si osserva però una stagnazione dei salari reali, che spiega perché la dinamica dei redditi sia stata contenuta in questo periodo di ripresa economica.

In questo grafico invece possiamo osservare come si distribuisce il prodotto interno lordo e il reddito nazionale disponibile, che sono rispettivamente le linee continua e tratteggiata, tra i vari settori cioè famiglie, Stato e imprese. Fino agli anni Novanta la crescita del Pil corrispondeva a una crescita anche della quota attribuita alle famiglie (area in nero), dagli anni Novanta in poi il reddito disponibile delle famiglie rimane costante, mentre invece si allargano le quote attribuibili agli altri settori. Settori che sono, per i motivi che abbiamo detto prima, lo Stato (area in grigio scuro), a seguito delle politiche fiscali restrittive e della diminuzione dei tassi di interesse, e le imprese (area grigio chiara), anche in seguito alle riforme del mercato del lavoro e soprattutto alla contrazione dei salari reali.

A questo punto abbiamo inquadrato qual è la situazione macroeconomica del conte- sto in cui ci stiamo muovendo e possiamo passare all’analisi dei fattori distributivi, che poi è lo scopo di questo lavoro. Per farlo abbiamo utilizzato i dati dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane. È un’indagine condotta dalla Banca d’Italia dagli anni ‘60, allo scopo di raccogliere informazioni sulle condizioni socioeconomiche delle famiglie, quindi composizione della famiglia, variabili socio demografiche, red- diti percepiti e ricchezza della famiglia. Sin dall’inizio viene raccolta l’informazione sull’abitazione di residenza e sulle attività reali, successivamente, dal 1989, anche sulle attività finanziarie. Per questo motivo le nostre analisi riguardano il periodo che va dal 1989 in poi.

I redditi nell’indagine di Banca d’Italia sono al netto di tasse e contributi e includono gli affitti imputati, ovvero quel rendimento che viene attribuito al proprietario dell’a-

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bitazione di residenza per il fatto di poter godere della propria abitazione, ovvero di non dover pagare un affitto per poterci abitare. Il riferimento nelle nostre analisi sarà sia il reddito familiare, che è un reddito osservabile direttamente e ci dà informazioni sulla capacità di spesa dell’unità decisionale; ma soprattutto ci riferiremo al reddito equivalente, che ci permette di tenere conto della composizione delle famiglie, del nu- mero di componenti, come fa il reddito pro capite, ma anche di come è composta la famiglia, di quanti adulti ci sono e soprattutto del fatto che sono presenti economie di scala. Infatti, il reddito equivalente è sempre più grande del reddito pro capite, proprio per tenere conto del fatto che quando si vive insieme si fanno economie di scala. Per le analisi che si riferiscono alle caratteristiche individuali, come per esempio il titolo di studio o il Paese di nascita, ci riferiamo ad un individuo all’interno della fami- glia che è il capo famiglia ed è definito come il maggior percettore di reddito. Vediamo in questo primo grafico la dinamica del reddito medio equivalente e familiare dall’89 ad oggi. È un numero indice a prezzi costanti, con base 1989, posto pari ad 1 per vedere come le grandezze sono variate nel tempo.

Ho voluto far vedere questo grafico per farvi capire che non è esattamente la stes- sa cosa parlare di reddito familiare e di reddito equivalente e, soprattutto in questo periodo storico, è importante distinguere queste due tipologie di reddito. Questo per- ché la differenza esistente nelle dinamiche di queste due serie storiche nel periodo considerato è quasi totalmente ascrivibile alle modifiche che sono intervenute nella composizione delle famiglie italiane. Ci sono più famiglie mono componenti, molte di più, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, ma non solo. È diminuito il numero di figli, anche a causa dell’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e quindi le famiglie sono diventate mediamente più piccole, e diverse nella loro composizione. Riferirsi soltanto al reddito familiare, seppure si tratti di una grandezza direttamente osservabile che tipicamente viene utilizzata, non permette di tenere conto di questi fattori. È importante perciò analizzare e considerare anche le dinamiche del reddi- to equivalente, che permettono di tenere conto della presenza di economie di scala. Quando si considera il reddito equivalente, che è la serie in blu, si osserva in effetti una leggera ripresa dei redditi in seguito alla recessione derivata dalla crisi valutaria, poi una diminuzione successiva durante la doppia recessione e segnali di ripresa nell’ulti- mo periodo. Questo è meno evidente nell’analisi dei redditi familiari.

È interessante invece vedere che l’andamento della concentrazione è simile quando si considerano i redditi equivalenti e i redditi familiari. La crisi valutaria ha determinato un forte aumento della concentrazione dei redditi, sia quando consideriamo i redditi familiari che i redditi equivalenti. Voglio far notare che tipicamente i redditi equiva- lenti hanno un livello di concentrazione minore, proprio perché si elimina il fattore di disuguaglianza dovuto alla diversa dimensione delle famiglie.

È interessante vedere che entrambe le serie riportano un aumento della concentra- zione nella crisi valutaria e poi sostanzialmente una stabilità della concentrazione dei redditi successiva. In effetti durante la seconda recessione non notiamo, almeno con i nostri dati, un aumento della concentrazione dei redditi ed è importante cercare di capire che cosa è successo. Utilizzare un indice sintetico di concentrazione non ci permette infatti di andare a vedere che cosa è successo all’interno della distribuzione. Utilizziamo perciò la funzione di ripartizione dei redditi, che ci dice per ogni livello di reddito la quota di famiglie che detiene almeno quel livello. Andiamo a vedere come è cambiata nel tempo la funzione di ripartizione.

In questo grafico vediamo non la funzione di ripartizione, ma le variazioni intervenu- te nella funzione di ripartizione nei periodi considerati. La linea continua in nero ci

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riporta la variazione della funzione di ripartizione dal periodo iniziale, 1989-1991 – in queste analisi mettiamo insieme due anni continui per migliorare la precisione delle stime – ad oggi, 2012-2014.

La linea nera è la variazione della funzione di ripartizione nel totale del periodo. È evidente che c’è stato uno spostamento degli individui – qui si parla di reddito equiva- lente – verso le classi basse di reddito, ovvero sono aumentate le persone che si trovano nei livelli più bassi della distribuzione, livelli al di sotto della mediana.

Le altre linee ci fanno vedere come sono cambiate le funzioni di ripartizione nei sotto periodi. La linea che è molto vicina a quella nera indica la variazione nella funzio- ne di ripartizione del reddito equivalente tra il periodo precedente la crisi valutaria e quello subito successivo, dall’inizio degli anni Novanta al ‘93-‘95. Come vediamo, questa transizione praticamente ricalca la variazione totale che si è avuta negli ultimi 25 anni; possiamo quindi dire che le variazioni nella distribuzione del reddito che abbiamo osservato, si sono verificate tutte in quel periodo. Poi nei periodi successivi, nel periodo di ripresa tra le due crisi e nel periodo di crisi economica della doppia re- cessione, non hanno fatto altro che bilanciarsi, cioè quello che si era guadagnato si è perso di nuovo. Siamo così tornati alla stessa situazione che avevamo prima.

Abbiamo visto come è cambiata la distribuzione del reddito, ma questi cambiamenti che effetti hanno avuto tra le classi sociali? Possiamo definire le classi sociali in base al reddito equivalente: gli individui a basso reddito, con reddito equivalente al di sotto del 60 per cento di quello mediano, la classe medio-bassa, con un reddito equivalente tra il 60 e il 120 per cento di quello mediano, la classe medio-alta con un reddito equi- valente tra il 120 e 300 per cento di quello mediano, i ricchi che hanno più di tre volte il valore della mediana.

In questa tavola riportiamo per i periodi pre e post crisi, rispettivamente rispetto alla prima e alla seconda crisi, l’indice di concentrazione, la quota di popolazione nelle va- rie classi che abbiamo definito e la quota di reddito detenuta dalle stesse classi. Prima di tutto è evidente un aumento della concentrazione a seguito della prima crisi valutaria che non osserviamo nella seconda, come avevamo già visto. Che cosa succede nelle varie classi? In primo luogo osserviamo che durante la crisi valutaria è diminuita la quota della popolazione nella classe medio-bassa ed è aumentata quella dei poveri. C’è stato uno spostamento dalla classe media alla classe dei poveri, ciò a fronte di un aumento della quota di reddito esiguo dei poveri. Sono di più, ma detengono pochissimo reddito. Quello che è interessante vedere è che allo stesso tempo è aumentata la quota di popo- lazione dei ricchi ed è aumentata fortemente la quota di reddito detenuta dai ricchi. In altre parole durante la crisi valutaria non soltanto sono aumentati i poveri, ma sono aumentati anche i ricchi e questo ha favorito la crescita enorme della disuguaglianza che abbiamo notato.

Ciò non è avvenuto durante la seconda crisi, la doppia recessione più recente, dove al più possiamo notare è che c’è stato un piccolo aumento della classe medio-alta, a fron- te di una riduzione della classe medio-bassa. Quello che è più interessante vedere è che la quota di reddito detenuta dai ricchi è diminuita, a fronte di una sostanziale stabilità della quota di ricchi. La seconda crisi sembra aver avuto effetto diversi, in questo caso ci hanno rimesso un po’ tutti, anche i ricchi.

Abbiamo visto, in base a queste rappresentazioni che i principali cambiamenti distri- butivi si sono verificati durante la crisi valutaria, successivamente le quote di reddito non sono cambiate, non ci sono evidenze che ci mostrano che ci sia stata una riduzio- ne della classe media successivamente al 1992 e che la disuguaglianza sia aumentata. Quali sono le motivazioni di questi cambiamenti distributivi? Che effetti hanno avuto

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sulla riallocazione, ad esempio tra le coorti di età? Abbiamo parlato dell’invecchia- mento della popolazione, delle riforme del sistema pensionistico. L’invecchiamento della popolazione ha portato a una crescita del numero dei pensionati, le riforme del sistema pensionistico hanno fatto sì che i vecchi pensionati avessero livelli di pensione, quindi di reddito, superiori a quelli dei pensionati che sono arrivati successivamente e di quelli che arriveranno. Questo ha favorito un aumento della disuguaglianza tra i pensionati.

Le riforme del mercato del lavoro hanno garantito maggiore flessibilità, contratti a tempo determinato, ma anche una moderazione salariale. Questi fattori, di cui ab- biamo parlato in precedenza, ci fanno pensare che durante questo periodo ci possa essere stato un effetto della recessione più forte sui lavoratori rispetto ai pensionati, quindi un miglioramento della posizione relativa dei pensionati rispetto a quella dei lavoratori.

Andiamo quindi a vedere l’andamento del reddito familiare ed equivalente per i pen- sionati e per i lavoratori. È consigliabile riferirci a quello equivalente perché quello familiare per i pensionati in genere è molto simile, perché le loro famiglie sono com- poste per lo più da una o due persone. Invece per quello dei lavoratori vediamo una dinamica diversa, proprio perché le famiglie sono diventate più piccole, ci sono meno