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Exploration/Exploitation e l’internazionalizzazione

2. Exploration/Exploitation ed alcuni parametri di performance

2.3. Exploration/Exploitation e l’internazionalizzazione

L’internazionalizzazione può essere definita come la scelta da parte di un’azienda di attraversare i confini nazionali per sfruttare le opportunità offerte nel mercato mondiale e per perseguire un positivo processo di crescita. Il coinvolgimento in attività internazionali è indubbiamente espressione di una particolare attenzione ed apertura verso il contesto globale nonché iniziativa da intraprendere qualora si voglia ricoprire un ruolo attivo nell’economia internazionale.

L’apprendimento organizzativo, l’innovazione e l’internazionalizzazione possono essere interpretati come elementi chiave della moderna economia nell’era segnata dalla globalizzazione (Chiva et al., 2013). Generalmente, le ricerche sull’apprendimento organizzativo, l’innovazione e l’internazionalizzazione hanno studiato il rapporto tra questi tre concetti presupponendo l’esistenza di un nesso di causalità lineare, nel senso che ciascuno è causa dell’altro senza però immaginare la presenza di un effetto di quest’ultimo sul primo. Chiva et al. (2013) ritengono più corretto illustrare queste relazioni non secondo una logica di causalità lineare, quanto piuttosto come collegati dalla causalità circolare, ossia come se vi fosse un rapporto di causa-effetto reciproco, nel senso che ciascun elemento può essere concepito contemporaneamente come cagione e conseguenza dell’altro. Si ritiene dunque interessante interpretare i tre concetti come costitutivi di un sistema complesso nel quale ciascuno è diverso ma strettamente interconnesso con gli altri.

Chiva et al. (2013) rilevano un legame positivo tra l’innovazione e l’internazionalizzazione. L’innovazione conferisce un consistente vantaggio competitivo all’impresa innovativa ed è proprio l’acquisizione di questo maggior potere di mercato che le dà la spinta ad affacciarsi e competere attivamente nei mercati al di fuori di quello nazionale. L’internazionalizzazione, dal canto suo, può avere un impatto favorevole sulla capacità innovativa dell’organizzazione in quanto consente all’impresa di confrontarsi con i nuovi mercati, le nuove tecnologie, oltreché le nuove prospettive culturali, permettendole di catturare nuove idee e sviluppare ulteriori innovazioni. Gli autori attestano l’esistenza di una relazione positiva anche tra l’apprendimento organizzativo e l’internazionalizzazione. L’apprendimento può essere concepito come input del processo di internazionalizzazione; attraverso quest’ultimo, di fatto, l’impresa intraprende un percorso di accumulazione della conoscenza, acquisisce nuove informazioni in merito al mercato estero e modifica il suo modo di guardare ed interpretare il mondo. D’altra parte, questa nuova conoscenza, a sua volta, può essere efficacemente sfruttata nelle successive attività internazionali. Inoltre, si vuole in questo contributo affermare che vi sia un rapporto forte anche tra l’apprendimento organizzativo e l’innovazione. Alla base di un prodotto innovativo vi è sempre una forma di conoscenza; tuttavia, anche l’innovazione può esser vista come fattore catalizzatore di nuove conoscenze, dal momento che la novità può o meno riscuotere il successo sperato e quindi spingere più o meno l’azienda verso la ricerca di ulteriori conoscenze.

64 Chiva et al. (2013) cercano dunque di dimostrare l’interdipendenza tra apprendimento organizzativo, innovazione e internazionalizzazione prendendo ad esame due grandi aziende di abbigliamento spagnole. I manager di queste sono stati chiamati a rispondere ad un’intervista con domande mirate ad investigare come si comportano di fronte ai tre aspetti di cui sopra; le risposte così ottenute sono state analizzate attraverso un’indagine qualitativa, più adatta per queste finalità di ricerca. Per ciò che riguarda la misurazione dell’internazionalizzazione, i quesiti sono stati i seguenti: descrivere e fornire esempi in merito all’effettiva strategia di internazionalizzazione adottata; il numero di anni di esperienza in campo internazionale; i mercati di riferimento; gli obiettivi di vendita all’estero; la tempistica stabilita nelle attività di internazionalizzazione; il tipo di attività concretamente perseguite all’estero. Infine, è stato chiesto in che modo si ritiene che l’internazionalizzazione influisca sugli altri aspetti organizzativi, in particolare sull’innovazione e sull’apprendimento.

Come viene suggerito dalle analisi compiute sulle due aziende prese in esame, l’apprendimento organizzativo, l’innovazione e l’internazionalizzazione sono tra loro fortemente interconnesse. Chiva et al. portano dunque dimostrazione del rapporto positivo che lega l’apprendimento organizzativo, che può essere interpretato anche in termini di esplorazione e sfruttamento, e l’internazionalizzazione. Propongono due modelli per spiegare come questi tre aspetti possono interagire tra loro: il modello incrementale e quello globale. Il primo è caratterizzato dall’apprendimento adattivo, dall’innovazione incrementale e da bassi livelli di internazionalizzazione; il secondo, è invece formato dall’apprendimento generativo, dall’innovazione radicale e da un elevato grado di internazionalizzazione.

De Clercq et al. (2005) si focalizzano sull’aspetto dell’internazionalizzazione nel contesto delle piccole-medie imprese, andando ad approfondire il ruolo dell’apprendimento organizzativo e dell’orientamento imprenditoriale nelle attività internazionali. In questo contributo si sostiene che gli studi precedenti che si sono focalizzati sull’apprendimento organizzativo possono fornire un chiaro quadro teorico per spiegare nel dettaglio in che modo la volontà di sviluppare nuova conoscenza e di rinnovarsi possa tradursi nell’intrapresa di attività al di fuori dei confini nazionali. Come più volte detto, l’apprendimento organizzativo si concretizza attraverso attività esplorative volte alla ricerca di nuove conoscenze e tramite attività di sfruttamento finalizzate al miglioramento incrementale delle competenze e delle risorse esistenti. De Clercq et al. (2005) hanno concentrato il loro interesse sullo sforzo di apprendimento, comprendendo all’interno di tale concetto sia l’exploration che l’exploitation; inoltre, hanno tenuto in considerazione le diverse circostanze di acquisizione delle conoscenze, ossia all’interno e all’esterno dei confini del paese d’origine.

È stata ipotizzata e dimostrata una relazione positiva tra la conoscenza del contesto internazionale e l’intento di internazionalizzazione. Questo significa che nel caso in cui l’impresa sia incline al rinnovamento delle proprie competenze e sviluppi conseguentemente una particolare attenzione ai mercati esteri, queste propensioni in genere determinano concretamente l’intrapresa di attività

65 transnazionali. La logica sottostante a tale valutazione risiede nel fatto che l’esplorazione e lo sfruttamento di nuove conoscenze provenienti dal panorama internazionale comportano una diminuzione della percezione di incertezza intrinseca alle attività di sviluppo più globale, motivando l’azienda a perseguire progetti di scala mondiale; inoltre, le conoscenze così acquisite possono comunque venire sfruttate dall’organizzazione successivamente in un momento di espansione internazionale. All’opposto, contrariamente a quanto previsto, l’apprendimento focalizzato sul mercato nazionale non ha un effetto positivo sulle attività di internazionalizzazione ma anzi sembra che ne faccia da freno. Probabilmente, questo avviene perché le conoscenze sono più circoscritte ad un contesto locale e quindi, diversamente dal caso prima, non conducono ad una riduzione dell’incertezza associata agli investimenti all’estero e non spingono verso l’internazionalizzazione.

Un aspetto che si vuole sottolineare di questo contributo è la modalità di misurazione dell’internazionalizzazione. È stato analizzato l’intento di internazionalizzazione chiedendo agli intervistati di indicare le intenzioni in merito ai futuri progetti esteri, in particolare: la percentuale di vendite all’estero su quelle totali; la percentuale di dipendenti che si dedicherà prevalentemente alle attività internazionali; la portata geografica dell’impegno all’estero. Su questi stessi indicatori è stato altresì misurato il grado di internazionalizzazione attuale così da operare un confronto tra ciò che viene fatto nel presente e ciò che si intende fare nell’avvenire; in questo modo si cerca dunque di catturare la volontà di incrementare o meno l’impegno dell’organizzazione all’estero.

Han e Celly (2008) hanno cercato di porre in connessione l’ambidestrismo con le iniziative internazionali; è il primo studio che tenta di operare teoricamente oltreché empiricamente un collegamento tra l’ambidexterity e le prestazioni conseguibili attraverso le attività condotte all’estero. Gli autori focalizzano il loro interesse nelle imprese che dimostrano fin da subito una particolare attenzione e propensione verso l’internazionalizzazione; alla luce poi degli studi sull’ambidestrismo che hanno dimostrato l’importanza di perseguire sia innovazioni incrementali che radicali per garantire la profittabilità e la sopravvivenza aziendale, Han e Celly hanno voluto indagare in merito alla possibilità di applicare il concetto di ambidexterity anche a queste organizzazioni impegnate nelle attività all’estero. Si rileva che la globalizzazione e la digitalizzazione hanno ampliato le risorse di cui può disporre l’impresa ed ha reso vantaggioso e necessario l’acquisizione di risorse e competenze anche al di fuori dei confini nazionali poiché la competizione è diventata, di fatto, una sfida da consumarsi sul terreno internazionale.

In questo lavoro di Han e Celly ci si propone di studiare come riuscire a bilanciare le attività di internazionalizzazione con l’ambidestrismo, al fine di raggiungere performance superiori. Una strategia vincente può essere quella di compiere pochi investimenti ma in molti Paesi. Secondo questa prospettiva, è conveniente investire non troppe risorse per evitare di correre un rischio eccessivo poiché sono attività molto dispendiose in termini di capitale finanziario ed umano profuso; d’altra parte, affermarsi su più Paesi è una strategia efficace se si vuole incrementare la quota di mercato attraverso una maggiore presenza nel panorama mondiale e puntare così ad una crescita più globale.

66 Per il conseguimento di una prestazione superiore, è importante che le imprese impegnate nell’internazionalizzazione perseguano sia attività di sfruttamento che di esplorazione; le prime seguono una logica volta al miglioramento dell’efficienza, alla riduzione dei costi e alla standardizzazione dei prodotti/processi, le seconde sono orientate alla sperimentazione, alla ricerca di nuove opportunità e alla creazione di innovazioni più radicali.

La performance di internazionalizzazione è stata misurata attraverso degli indicatori di profitto come l’utile, i margini ed il ROI e mediante indici capaci di cogliere la dimensione della crescita quali l’incremento della quota di mercato e la creazione di un nuovo mercato. Il campione esaminato è costituito da settanta imprese canadesi ed ha portato dimostrazione dell’effettiva esistenza di un legame positivo tra l’ambidestrismo e le iniziative di internazionalizzazione. In questo studio si è estesa ed adattata la metodologia di He e Wong (2004) per studiare l’ambidexterity applicandola ad un contesto che è quello dell’internazionalizzazione (Han e Celly, 2008: 345-346). L’obiettivo di questo contributo è di testare se l’ambidestrismo può davvero essere una strategia vincente anche nelle imprese impegnate costantemente nelle iniziative all’estero e le evidenze empiriche hanno portato un incisivo supporto a questa tesi. Queste organizzazioni impegnate nell’internazionalizzazione possono raggiungere un vantaggio competitivo e prestazioni superiori sviluppando una strategia di ambidexterity. Devono dunque riuscire a gestire efficacemente le coppie di strategie ambidestre sopra analizzate, riassumibili con i paradigmi “pochi investimenti/molti Paesi” e “standardizzazione/innovazione”; solo mediante la gestione dei compromessi si riesce a costruire una sostenibilità di lungo termine.

Non sono molti i lavori che si focalizzano sull’analisi del rapporto tra exploration/exploitation e internazionalizzazione; più spesso invece gli studiosi approfondiscono il legame tra quest’ultima e la performance innovativa, immaginando che l’intrapresa di iniziative all’estero possa impattare in modo significativo sulla capacità dell’impresa di creare prodotti e tecnologie innovative. A questo proposito, si prenda ad esempio lo studio di Kafouros et al. (2008) che cerca di spiegare in che modo l’internazionalizzazione possa influenzare la capacità di un’azienda di produrre innovazioni tecnologiche; su questo aspetto gli autori forniscono un ampio insieme di argomentazioni volto a sostenere tale asserzione. L’aumento della concorrenza ed i cicli di vita dei prodotti sempre più brevi hanno reso la realizzazione dell’innovazione ancor più difficile ed è proprio in presenza di queste circostanze che l’internazionalizzazione può assumere un importante ruolo. Infatti, le imprese che si affacciano sul mercato internazionale possono sfruttare una più vasta gamma di risorse che sono irreperibili a livello locale e così anche utilizzare al meglio i vantaggi specifici dei diversi Paesi. Inoltre, il confronto con le altre culture e con le specificità regionali può condurre ad un arricchimento aziendale, offrendo la possibilità di catturare idee ed esperienze utili alla progettazione delle innovazioni. Kafouros et al. (2008) sostengono che l’internazionalizzazione sia una di quelle caratteristiche specifiche dell’impresa che permettono di sfruttare al meglio e di raccogliere i maggior benefici dell’innovazione. Sono stati testati empiricamente gli effetti dell’internazionalizzazione sui

67 rendimenti derivanti dall’innovazione utilizzando i dati di ottantaquattro aziende inglesi; l’internazionalizzazione è stata misurata utilizzando l’indice dato dal rapporto delle vendite all’estero sulle vendite totali. L’analisi ha portato conferma del rapporto positivo tra internazionalizzazione e performance innovativa, dimostrando che i risultati economici originati dalle innovazioni sono superiori qualora l’azienda sia impegnata nelle attività all’estero.

A conclusioni simili sono arrivati anche Pittiglio et al. (2009) che, con il loro studio sulle piccole- medie imprese italiane, hanno esplorato le performance innovative realizzate in corrispondenza di differenti gradi di impegno in campo internazionale. Partendo da riflessioni simili a quelle precedentemente esposte da Kafouros et al., è stato dimostrato che le imprese attive sui mercati internazionali generano una conoscenza maggiore rispetto ai competitor che si limitano ad operare nel solo mercato nazionale. Inoltre, è stato constatato che le organizzazione impegnate in attività estere sono propense ad innovare di più grazie alla possibilità di confrontarsi con le molteplici situazioni e con le opportunità rinvenibili nel contesto globale.

Si ritiene comunque interessante aver analizzato brevemente i contributi che dimostrano la presenza di una relazione positiva tra internazionalizzazione ed innovazione perché le attività di exploration ed exploitation possono essere interpretate come le due modalità attraverso le quali l’organizzazione può innovarsi. Dunque, seppure in questi studi non si fa espresso richiamo al concetto di ambidestrismo, si può ipotizzare un legame positivo tra questo e le iniziative di internazionalizzazione.