4. Analisi e risultati
4.4. La relazione tra l’orientamento imprenditoriale all’Exploration/ Exploitation e
Come si è potuto in precedenza rilevare dall’analisi della letteratura di riferimento, vi sono numerosi contributi che hanno cercato di dimostrare l’esistenza di un legame significativo tra l’orientamento imprenditoriale verso l’esplorazione e lo sfruttamento ed il grado di internazionalizzazione dell’azienda. Si ricorda che con quest’ultimo termine si vuole far richiamo a quel complesso di attività volte ad estendere il campo d’azione dell’impresa al di fuori dei confini nazionali, così da cogliere tutte le opportunità offerte dai mercati esteri. Naturalmente, prima di procedere con investimenti ingenti nei Paesi stranieri, è importante che venga compiuta un’opportuna
131 valutazione non solo in merito alle possibilità finanziarie dell’azienda, ma è altresì necessaria un’analisi approfondita sulle caratteristiche economiche, sociali, e giuridiche locali, nonché sul grado di imposizione fiscale per le imprese che vi si insediano. Oltre a ciò, è estremamente importante che il vertice aziendale abbia chiari gli obiettivi da perseguire mediante il processo di internazionalizzazione ed elabori, di conseguenza, una strategia esplicita e ragionevole. D’altra parte è naturale che le imprese, anche di medio-piccola dimensione, spingano verso l’internazionalizzazione poiché è innegabile che riuscire a penetrare mercati esteri porti con sé notevoli vantaggi per l’azienda capace di perseguire tale strategia; consente di sfruttare i vantaggi di costo che possono caratterizzare alcuni Paesi così da delocalizzarvi parte della produzione e, allo stesso tempo, permette di ampliare la propria quota di mercato mediante l’esportazione in mercati esteri. Internazionalizzare significa sviluppare un complesso sistema complementare all’azienda in grado di favorire l’inserimento di questa nell’arena competitiva mondiale, cercando di sfruttare al meglio le potenzialità offerte da ciascun Paese, aprendosi agli investimenti oltre i confini nazionali.
Nella ricerca in discussione, per il rilevamento del grado di internazionalizzazione perseguito dagli imprenditori oggetto della ricerca si è utilizzata la percentuale di fatturato conseguito all’estero. Sulla base delle osservazioni raccolte, è emerso che, mediamente, le entrate estere rappresentano il 27,2% del fatturato totale, laddove il valore della deviazione standard, indicativo della dispersione dei dati intorno alla media, risulta essere piuttosto elevato (oltre il 35%); questo significa che le aziende campionate presentano un atteggiamento verso il mercato estero molto diverso tra di loro. Vi sono infatti aziende che operano esclusivamente sul territorio nazionale e che presentano di conseguenza una percentuale di fatturato estero pari a zero, e altre imprese che, al contrario, si rivolgono prevalentemente al di fuori dei confini nazionali e che hanno quindi una consistente quota di ricavi proveniente dal mercato internazionale. Questo aspetto è rilevabile visivamente mediante il grafico a seguire, nel quale vi sono evidenziate le percentuali di fatturato estero indicate dagli imprenditori.
Figura 4.10: Distribuzione dei dati riguardanti la percentuale di fatturato estero
Fonte: nostra elaborazione
PERCENTUALE DI FATTURATO CONSEGUITO ALL'ESTERO 0% 1% - 10% 11% - 20% 40% - 50% 70% OLTRE L'80%
132 Si è proceduto al calcolo delle correlazioni, assumendo come variabile dipendente la quota di fatturato conseguito nel mercato internazionale e come variabili indipendenti l’orientamento imprenditoriale verso exploration ed exploitation. I coefficienti così determinati sono risultati, rispettivamente, pari a 0.071 e a 0.070; entrambi i valori sono molto bassi, a significare che il legame tra le variabili sovra indicate è estremamente debole. Si è poi stimato il modello di regressione lineare, ponendo come predittori l’esplorazione e lo sfruttamento e come variabile dipendente la percentuale di ricavi proveniente dalle vendite estere; il coefficiente di correlazione R che ne è risultato è 0.081, a conferma della scarsa intensità del rapporto tra ambidestrismo ed internazionalizzazione. Se si prova a ricalcolare le regressione lineare aggiungendovi il tempo tra le variabili indipendenti allo scopo di considerare il gap temporale esistente nella realizzazione delle interviste, l’indice dell’associazione lineare diventa 0.092, non molto superiore a quanto precedentemente calcolato.
Si è poi studiata la relazione tra l’orientamento imprenditoriale e la percentuale di fatturato estero, rimuovendo gli effetti che potrebbero avere su tale correlazione alcuni elementi personali quali l’età, il titolo di studio e l’esperienza professionale; gli indici si sono abbassati ulteriormente, rendendo il legame tra le variabili ancor meno significativo.
Relativamente alla percentuale di fatturato realizzata all’estero, si è chiesto agli imprenditori di indicare se nel triennio 2010-2012 tale quota abbia visto un aumento, una riduzione o se si sia mantenuta stabile. Circa metà delle aziende ha rilevato che le vendite estere sono rimaste stabili durante l’arco temporale considerato; il 20% ha dichiarato di aver riscontrato una contrazione negli affari, fino a un quarto rispetto al valore di fatturato estero iniziale; infine, il 32% degli imprenditori ha dichiarato un aumento delle vendite oltre confine, laddove per lo più con incrementi compresi tra l’1 ed il 10%. Sulla base dei dati si può dunque affermare che le imprese analizzate, in generale, non hanno rilevato grandi cambiamenti nel volume d’affari maturato all’estero e questo perché nell’intervallo di tempo preso a riferimento non vi sono stati consistenti miglioramenti nella situazione economica mondiale, fortemente condizionata dalle conseguenze della grave crisi economica che ha colpito l’intera economia mondiale in seguito alla crisi finanziaria del 2007.
Da ultimo, si ritiene interessante illustrare e contestualmente svolgere alcune considerazioni in merito a quanto rilevato, mediante il questionario, relativamente all’atteggiamento degli imprenditori verso il mercato estero e alle caratteristiche delle attività svolte da ciascuno di questi al di fuori dei confini nazionali. Una prima informazione che emerge dalle informazioni raccolte, riguarda la distribuzione del fatturato estero, ovverosia le percentuali di vendite attribuibili a ciascun continente, così da comprendere il bacino di affari su cui si affacciano le aziende analizzate.
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Figura 4.11: Distribuzione del fatturato estero per continente
Fonte: nostra elaborazione
È facile osservare dalla figura 4.11, che l’Europa rappresenta ampiamente il mercato di maggior riferimento per le imprese in esame, con un volume d’affari medio pari a oltre l’80% rispetto al totale di fatturato extra-domestico realizzato. Seguono poi, nell’ordine, l’America, con la percentuale del 9% sulle vendite estere totali, poi l’Asia e, con quote irrisorie, l’Africa e l’Oceania. Era prevedibile riscontrare la presenza di una percentuale così elevata in corrispondenza dell’Europa, in considerazione del fatto che l’Unione Europea, l’organizzazione internazionale avente carattere sovranazionale e intergovernativo, accoglie al suo interno 28 Paesi del vecchio continente, dando vita ad una zona di libero scambio ed instaurando un’unione economica, monetaria ed in parte politica tra gli Stati facenti parte
Per entrare maggiormente nello specifico delle caratteristiche e delle attività svolte all’estero dalle aziende campionate, si è chiesto agli imprenditori di indicare il numero di Paesi serviti, il numero di Stati in cui sono presenti sussidiarie e le principali attività condotte al di fuori dei confini nazionali. Per quanto riguarda il numero di Paesi nei quali si è realizzata almeno una minima quota di fatturato, si è constatato che le aziende servono, mediamente, circa 16 Stati, laddove i Paesi in cui sono presenti sussidiarie risultano, in media, solamente due.
EUROPA 81% ASIA 7% AFRICA 2% AMERICA 9% OCEANIA 1%
PERCENTUALE DI FATTURATO ESTERO PER CONTINENTE
134 36% 28% 18% 18% PAESI SERVITI
NESSUN PAESE OLTRE L'ITALIA DA 1 A 10 PAESI
DA 11 A 25 PAESI OLTRE I 50 PAESI
Fonte: nostra elaborazione
Come è possibile osservare dal grafico a sinistra, vi è una consistente quota di aziende (il 36%) che non opera in alcun modo con l’estero e che offre dunque i propri prodotti solamente sul suolo nazionale. Vi è tuttavia una percentuale altrettanto elevata di imprese in grado di servire oltre gli undici Paesi; una metà di questi è capace di realizzare una percentuale di fatturato, anche minima, in oltre cinquanta Stati, un bacino d’affari indubbiamente molto rilevante e significativo. Sono infatti presenti nel campione alcune realtà che lavorano in prevalenza con l’estero e che conducono in Italia una parte marginale del proprio business, potendo realizzare la maggior parte delle vendite oltre i confini nazionali. Relativamente al dato delle sussidiarie, si evidenzia che una larga maggioranza delle aziende non possiede alcuno stabilimento al di fuori dell’Italia, mentre il 34% degli imprenditori ha, al contrario, provveduto ad insediarsi all’estero con proprie strutture produttive, commerciali o di altro genere. Su quest’ultimo aspetto si concentrano le osservazioni conclusive di questa parte dedicata all’internazionalizzazione, illustrando quanto rilevato sulle caratteristiche delle attività svolte all’estero. Dalle informazioni raccolte si può affermare che, limitatamente ai soggetti che svolgono una qualche forma di attività al di fuori del territorio nazionale, il 40% di questi si è organizzato con stabilimenti produttivi, il 47% ha sviluppato all’estero una propria rete commerciale, il 6,5% ha insediato laboratori ed uffici tecnici con la finalità di potenziare le attività di ricerca e sviluppo ed, infine, il 6,5% ha affermato di condurre altre attività, diverse da quelle ivi indicate.
66% 31%
3%
PAESI IN CUI SONO PRESENTI SUSSIDIARIE
NESSUN PAESE DA 1 A 5 PAESI
OLTRE I 10 PAESI
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