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tutti quei gestori di fondi di investimento che non sono regolat

3.1.2 Family Offices

Ulteriore fattispecie dubbia è quella dei c.d family offices. Si tratta di società costituite da famiglie che, grazie a storie imprenditoriali di successo, sono riuscite ad accumulare ingenti risorse finanziarie che esse decidono di affidare alla gestione , non ad un intermediario finanziario operante nel business dell’intermediazione finanziaria, bensì a soggetti che ne hanno conseguito l’investimento fiduciario per aver prestato i loro i servizi quali managers del gruppo industriale che ha alimentato la formazione del risparmio familiare. Famiglie di questo genere ritengono, evidentemente, di poter meglio curare i propri investimenti non già rivolgendosi all’esterno al mercato della gestione degli intermediari finanziari, bensì costituendosi all’interno la propria squadra di gestori. Poiché poi taluni di questi family offices

conseguono risultati significativi, capita non di rado che essi, pur originariamente costituiti per la gestione del risparmio di una singola famiglia, inizino ad aprirsi anche alla gestione di altre famiglie

potendosi così distinguere fra single-family offices e multi-family offices.

La fattispecie in esame è citata nel considerando n.7 della Direttiva GEFIA dove si afferma che, di regola, essi non dovrebbero ritenersi

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soggetti alla riserva per il difetto del requisito della raccolta di capitale esterno.132

Al di fuori del riferimento qui sopra, la fattispecie dei family offices non è espressamente disciplinata nel diritto eurounitario, né nel diritto domestico. Una speciale esenzione è prevista nel diritto statunitense, nello specifico: le società familiari che gestiscono investimenti e prestano consulenza in materia di investimenti, alla condizione che essi assolvano a due requisiti essenziali, esse devono essere

interamente possedute da clienti familiari ed esclusivamente

controllate da membri familiari; e esse devono prestare i loro servizi esclusivamente a beneficio dei clienti familiari.

Coerentemente con il considerando n. 7, gli orientamenti dell’ESMA escludono che ricorra il requisito della raccolta del capitale

allorquando il veicolo di investimento sia stato esclusivamente istituito per la gestione di capitale proveniente da un gruppo preesistente, a sua volta, definito come il gruppo dei membri di una famiglia entro un certo grado di parentela. Anche Banca d’Italia ha precisato che “ non rientra nella nozione di raccolta del patrimonio l’adesione da parte di un familiare a un veicolo di investimento costituito e partecipato dagli appartenenti a un medesimo nucleo familiare e che ha come oggetto esclusivo la gestione del patrimonio familiare. A tal fine, vengono in considerazione i parenti fino al quarto grado, il coniuge, il convivente more uxorio e i figli di quest’ultimo, gli affini, nonché in generale i familiari fiscalmente a carico”133.

Sulla base di queste coordinate, la dottrina italiana che si è occupata del tema è pervenuta alla conclusione che, mentre i single-family offices dovrebbero di regola ritenersi estranei all’area della riserva di attività, per la non esteriorità del capitale raccolto rispetto all’ambito familiare, i multi-family offices dovrebbero rientrarvi per l’opposta ragione, nella raccolta di capitale estraneo all’ambito di una singola famiglia. La soluzione suscita tuttavia perplessità.

Se si muove dalla logica tradizionale della riserva di attività per la GCR, ovvero quella della tutela dell’investitore, allora, occorrerebbe

132 Così SCHIAVELLO, La Riserva Relativa al Servizio di Gestione Collettiva e Società di Investimento, p.45. 133 Così il Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio di Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, I.2.3, nt. 5.

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escludere che in essa rientrino tutte le fattispecie ove manchi, strutturalmente, un gestore preesistente che offra al pubblico il servizio di gestione del risparmio; altrimenti detto: occorrerebbe

escludere che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie di gestione collettiva del risparmio tutte le volte in cui il gestore sia costituito ad hoc dagli stessi partecipanti all’iniziativa, e ciò del tutto a prescindere dalla sussistenza o meno di una relazione di parentela fra loro.

Per rendersene conto, si consideri il piano, parallelo, della gestione individuale del risparmio: l’attività di gestione individuale è, si,

riservata, esattamente come lo è quella di gestione collettiva; ma lo è, solo allorquando essa sia esercitata nei confronti del pubblico134 . È, infatti, indubbio che nulla impedisce ad un certo soggetto X di accettare la proposta fattagli sponte sua da un certo soggetto Y di affidargli in gestione i propri risparmi. In tal caso, X non esercita affatto un’attività di gestione nei confronti del pubblico; e dunque il principio di autonomia privata e di libertà di iniziativa economica non subisce alcuna deroga.

Il legislatore, invero, non vieta affatto che un privato cittadino un contratto mediante il quale il primo affida al secondo la gestione dei propri investimenti; esso si preoccupa, piuttosto, di impedire che un soggetto non autorizzato possa offrire i propri servizi al pubblico, giacché è soltanto l’offerta ad una platea indifferenziata di soggetti a far scattare l’esigenza di tutela che presiede alla riserva di attività. Precisamente: fintantoché la stipula del contratto di gestione sia riconducibile ad una iniziativa del risparmiatore e fintantoché il gestore non si presenti come un gestore professionale, opera

l’ordinario principio privatistico di auto-responsabilità; se, invece, un operatore privato offre i suoi servizi nei confronti del pubblico, egli genera una specifica fiducia sulle sue qualità professionali, da qui l’imposizione del vincolo pubblicistico della riserva di attività.

Ora, se si muove da una analoga prospettiva di tutela dell’investitore, non si vede perché le cose debbano funzionare diversamente quando la gestione, piuttosto che individuale sia invece collettiva. Ovvero, così come l’ordinamento non avverte un’esigenza di tutela dell’investitore

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quando è questi che si rivolge ad un soggetto che non svolge attività nei confronti del pubblico , analogamente dovrebbe essere esclusa una simile esigenza quando a rivolgersi sia più di un singolo soggetto. Ed effettivamente, tutte le volte in cui l’iniziativa sia assunta non dal gestore, ma dai partecipanti, sembra potersi escludere, per

definizione, che ci si trovi innanzi ad una raccolta del capitale che sia riconducibile ad una attività commerciale. In simili casi, manca del tutto un gestore che raccolga i capitali da una platea di investitori, sono piuttosto gli investitori che costituiscono il proprio gestore. Muovendo da questa prospettiva ben potrebbe ritenersi estranea alla riserva di attività non solo la fattispecie dei single-family offices, ma anche quella dei multy-family offices. Poco importa, infatti, che il capitale raccolto appartenga ad una singola famiglia o a più famiglie, nella misura in cui siano stati gli investitori a costituire il proprio gestore e non invece il gestore a raccogliere il capitale dei primi, mancherebbe, per definizione, a monte quell’attività commerciale di raccolta del risparmio che costituisce elemento della fattispecie e che trova la sua ragion d’essere nella stessa logica che ha indotto il

legislatore a istituire la riserva di attività per la gestione individuale non già sempre e comunque , ma soltanto allorquando il gestore si svolga presso il pubblico.

Una simile conclusione sarebbe, peraltro, pienamente coerente con riguardo alla più generale fattispecie di una società di investimento di diritto comune che sia stata costituita senza la conduzione di

un’attività commerciale di raccolta dei capitali. Anche in quel caso, infatti, si è rivelato come la logica di tutela dell’investitore debba condurre ad escludere che scatti la riserva allorquando la società sia stata costituita sulla base di trattative individuali rispetto alle quali vale, per l’appunto, il principio di auto-responsabilità. Questa

conclusione sarebbe senz’altro soddisfacente , se non si rammentasse che la Direttiva GEFIA non risponde solo all’esigenza di tutela

dell’investitore individuale, ma anche, alla salvaguardia della stabilità del sistema finanziario. Si ripresentano, allora, le stesse difficoltà sopra enunciate con riguardo alle società di investimento di diritto comune: la mancanza di una raccolta commerciale dei capitali può, sì, rilevare

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per escludere l’esigenza di tutela dell’investitore; ma potrebbe

risultare del tutto irrilevante ai fini dell’esigenza di salvaguardia della stabilità del sistema finanziario.

Se infatti si muove da tale diversa prospettiva, ciò che conta non sono affatto le modalità di raccolta del capitale, quanto piuttosto le

dimensioni del fondo e l’entità della leva finanziaria con cui esso opera. Ed è piuttosto evidente che, sotto tale profilo, nulla assicura che un fondo costituito da più famiglie, ma di dimensioni assai esigue e con rapporto debt-equity assolutamente sostenibile, sia più pericoloso rispetto ad un fondo costituito da una singola famiglia, ma magari di dimensioni enormi e con enorme leva finanziaria.

Ci si trova, allora, dinanzi ad una situazione piuttosto paradossale: se si muove da una logica di tutela dell’investitore, allora dovrebbe

escludersi che siano attratti dalla riserva non solo le single-family office, ma anche le multi-family office e più in generale, qualsiasi organismo di investimento ove siano i partecipanti a costituire il loro gestore; se , al contrario, si muove da una logica di salvaguardia della stabilità del sistema finanziario, ben si potrebbe pervenire a

conclusione esattamente opposta tanto con riguardo agli SFO, quanto agli MFO.

Ancora una volta le difficoltà interpretative paiono l’inevitabile portato di una Direttiva GEFIA che ha regolato, si, lo stesso fenomeno della gestione collettiva del risparmio, ma tanto ha fatto muovendo da ragioni ispiratrici profondamente eterogenee e insuscettibili di una riconduzione unica.

L’unica strada per preservare una certa unitarietà al sistema potrebbe essere esattamente la stessa di quella indicata con riguardo alle

società di investimento di diritto comune.

Si potrebbe, cioè, ritenere che il legislatore abbia ritenuto che, laddove manchi una attività commerciale di raccolta del capitale , l’organismo di investimento costituito sia comunque, organismo inidoneo ad immettere nei mercati finanziari un rischio sistemico.

Conseguentemente, difetterebbe l’esigenza di tutela dell’investitore, ma anche l’esigenza di salvaguardia della stabilità del sistema

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siano single-family o multi-family - risulterebbero estranei all’area della riserva non perché costituiti dai membri stretti di una certa famiglia, ma per la circostanza, a monte, della non-ricorrenza di una attività commerciale di raccolta del capitale intesa come indizio social- tipico dell’inidoneità dell’organismo di investimento a generare

qualsivoglia rilevante rischio sistemico.