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Le novità introdotte dalla Direttiva AIFMD e i dubbi interpretativi

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Capitolo I

La Gestione Collettiva del Risparmio

1.1 Le origini del risparmio gestito in Italia

1.2 La società per azioni come modello di gestione collettiva del risparmio

1.3 L’esperienza statunitense: investment companies 1.4 Le holding: familiarità e differenze con le investement companies

1.5 Profili evolutivi della disciplina normativa di riferimento 1.5.1 Legge n.77 del 1983 sui fondi comuni di investimento aperti 1.5.2 D.lgs. n.84 del 1992, legge sulle società di investimento a capitale variabile

1.5.3 Legge n.344 del 1993 sui fondi comuni di investimento chiusi 1.5.4 La riserva di legge della gestione collettiva del risparmio nel Testo Unico della Finanza

1.5.5 La Direttiva UCITS e successive

1.5.6 Regolamentazione di Borsa Italiana in materia di società di investimento e special investment vehicles

Capitolo II

2.1Focus sulla Direttiva 2011/61/UE

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Capitolo III

3.1 Definizione di FIA e le fattispecie dubbie 3.1.1 Le società di diritto comune

3.1.2 Le holding companies 3.1.3 I club deals

3.1.4 Le Special Purpose Acquisition Companies 3.1.5 I family offices

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Capitolo I

La Gestione Collettiva del Risparmio

1. Profili evolutivi della disciplina di riferimento

Nel corso degli ultimi anni, la disciplina dell’intermediazione finanziaria ha conosciuto, sia in Italia che negli altri Paesi

comunitari, una costante evoluzione. I fattori che hanno concorso a tele fenomeno sono molteplici, molti di essi non solo accennano a non diminuire ma sono destinati ad amplificarsi con il passare del tempo: il progredire dell’ integrazione comunitaria e le necessità conseguenti all’adattamento al diritto europeo; la crescente integrazione tra i mercati finanziari dei diversi Stati e le conseguenze dell’internazionalizzazione; lo sviluppo di nuovi

prodotti finanziari e l’affacciarsi di nuove tecniche di contrattazione sui mercati, stimolate anche dall’incessante evoluzione tecnologica; la crescente attenzione per i profili che attengono alla tutela dei risparmiatori e dei consumatori in genere; spesso il verificarsi di crisi dei mercati che mettono in luce le incompletezze e i ritardi della disciplina, e sollecitano risposte urgenti dai regolatori.1

Anche il quadro normativo in materia di gestione collettiva del risparmio (GCR) si è evoluto in linea con la disciplina di derivazione comunitaria.

L’attività avente ad oggetto la gestione collettiva del risparmio è stata disciplinata per la prima volta in Italia con la legge n. 77/1983 e sottoposta a “riserva di attività ” con il D.Lgs. n. 58, del 24

febbraio 1998 (TUF). Gli obiettivi della disciplina originaria erano diretti ad assicurare: stringenti requisiti di diversificazione;

impedire che l’investimento in partecipazioni sociali potesse far conseguire posizioni di influenza nella gestione delle società partecipate; istituire il divieto di operare con leva finanziaria; proteggere dal rischio di conflitto di interesse e infine prescrivere adeguati requisiti di professionalità del gestore. Storicamente nel Testo Unico del 1998, si erano consolidate le varie discipline che, dal

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1983 data di introduzione dei Fondi Comuni in Italia, erano

intervenute sulla materia , da un lato quella di derivazione europea, risalente alla Direttiva 85/611/CEE2, relativa agli OICR aperti di tipo armonizzato (Direttiva UCITS I); dall’altro quella contenenti le leggi antecedenti al Testo Unico che avevano disciplinato i fondi comuni chiusi, legge 14 agosto 1993 n.344, i fondi comuni di tipo

immobiliare, legge 25 gennaio n. 86 e le Società di investimento a capitale variabile, SICAV, D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 84.

Tale situazione è perdurata sino all’emanazione della Direttiva 2011/61/CE sui Gestori di Fondi Alternativi (AIFMD), la riserva di attività già prevista nel nostro ordinamento, non solo acquisisce valenza comunitaria, ma subisce modifiche. Per effetto del

recepimento della Direttiva AIFMD sono state introdotte nuove categorie di soggetti e di prodotti precedentemente non

contemplati dal TUF, e l’intera disciplina domestica risulta ormai di derivazione comunitaria3. Per tanto, con il recepimento di tale Direttiva, non solo la riserva di attività , rivolta alla gestione collettiva del risparmio, prevista nel nostro ordinamento ha acquisito valenza comunitaria, ma ha visto l’ampliamento del perimetro di applicazione. Il recepimento di tale Direttiva, e quindi l’ampliamento del perimetro di riservatezza, ha generato problemi di inquadramento sistematico, i problemi più complessi si pongono con riguardo agli organismi costituiti in forma societaria, che può risultare difficoltoso ricondurre al fenomeno della gestione

collettiva, piuttosto che a quello della società di diritto comune, non sottoposte alla disciplina del mercato dei capitali4.

Il legislatore comunitario ha ritenuto, infatti, di riservare l’attività di gestione collettiva del risparmio a qualsivoglia Fondo di

Investimento Alternativo (FIA). La Direttiva definisce fondo di investimento alternativo, qualsiasi organismo di investimento

2 La Direttiva UCITS I, è stata la prima Direttiva volta ad armonizzare la materia della gestione collettiva del risparmio in valori mobiliari nel contesto europeo, definendo ambiti di applicazione e linee comuni da seguire, specificando che l’armonizzazione in materia di organismi di investimento permette la commercializzazione delle quote presso altri stati membri, agevolando l’abolizione delle restrizioni alla libera circolazione delle quote e favorendo la creazione di un mercato europeo dei capitali.

3 Cfr. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, 9 ed., F. Annunziata, G. Giapichelli, p.208. 4 Cfr. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, 9 ed., F. Annunziata, G. Giapichelli, p.209.

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collettivo diverso dai fondi armonizzati, disciplinati dalla direttiva UCITS, che presenti i seguenti tratti: raccolta del capitale; pluralità di investitori; investimento in forza di una politica di investimento predeterminata; gestione nell’interesse degli investitori. È

evidente, sulla base dei requisiti su detti, come la definizione di FIA sia suscettibile di incorporare qualsivoglia società di capitali, questo perché nella definizione vengono elencate tutte caratteristiche che sono riconducibili alla natura di qualsiasi organismo societario. Difatti, è nella natura di ogni organismo societario operare

attraverso la “raccolta di capitali”5, destinare il “risparmio raccolto da una pluralità di investitori” ad un investimento che sia coerente alla politica predeterminata prevista dall’oggetto sociale6, inoltre, per qualsiasi società “la gestione del risparmio raccolto” deve rispondere all’interesse della società stessa e degli azionisti, ed infine, nelle società di capitali i managers sono dotati di autonomia nei confronti della classe dei soci.

Risulta evidente come tutti i tratti tipologici, con il quale la Direttiva AIMFD, definisce il FIA, siano così generici da condurre al risultato che, qualsivoglia organismo societario sia suscettibile di ricadere nella riserva di attività prevista per l’attività di gestione collettiva del risparmio . Per evitare un simile risultato, è necessario

interpretare in modo differente i tratti tipologici del FIA, e dunque risulta inevitabile un’analisi della Direttiva AIMFD e della legge domestica.

5 Per ottenere le risorse finanziarie di cui necessita una spa può ricorrere a diverse forme di finanziamento, tra cui aumento del capitale a pagamento, la società può chiedere ai propri soci di effettuare nuovi conferimenti, in cambio del conferimento effettuato il socio riceve un certo numero di azioni, i soci possono decidere se acquistare o meno nuove azioni cd diritto di opzione, nel caso in cui rimangano azioni non sottoscritte la società sarà tenuta ad offrirle ai soci che hanno,invece, optato per l’acquisto di azioni di nuova emissione, cd diritto di prelazione, anche in questo caso i soci possono decidere se acquistare o meno le azioni, se anche in questo caso rimangono azioni non sottoscritte la società può offrire in vendita le azioni a terzi soggetti. Un altro metodo è l’emissione di un prestito obbligazionario, ovvero, la società entra sul mercato in qualità di soggetto alla ricerca di fondi e in cambio dei prestiti ricevuti la società cede al risparmiatore un titolo, l’obbligazione, che attesta l’avvenuto prestito e il diritto del risparmiatore al pagamento periodico degli interessi ed ad ottenere a una predeterminata scadenza il capitale dato in prestito;

6 L’oggetto sociale è previsto dall’art. 2328 c.c , quale elemento fondamentale per la costituzione di una società per azioni, in assenza del quale la società viene considerata nulla. L’oggetto sociale rappresenta l’attività economica che la società si propone di svolgere.

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E’ altrettanto importante procedere preliminarmente ad analizzare come si sia evoluta , nel tempo, la forma acquisita dalla gestione collettiva, confrontando fra loro le società per azioni delle origini, l’esperienza statunitense delle investment companies e una particolare tipologia di società, la holding.

Successivamente si può procedere, ad analizzare l’evoluzione della riserva di attività istituita per la gestione collettiva del risparmio. Tutto ciò con lo scopo di comprendere i perimetri di riservatezza e i soggetti a cui essa si applica .

1.1.2 La società per azioni delle origini

La difficoltà di differenziare, da un lato un’ordinaria società per azioni e, dall’altro , la società che svolge l’attività di gestione collettiva del risparmio, traggono origine da una fondamentale circostanza, è nella natura delle società per azioni quello di essere uno strumento di raccolta del risparmio in funzione di una gestione profittevole dei capitali raccolti da parte dei promotori

dell’iniziativa7.

I primi cenni storici di società per azioni risalgono al medioevo. I mercanti genovesi, per ridurre i rischi dei viaggi per mare, trovarono il modo di suddividere il carico delle navi in piccole quote uguali, chiamate "parti" o "sorti"; chiunque possedesse del denaro poteva decidere di investirlo acquistando un numero di "parti" piccolo o grande, a seconda del rischio che era disposto a correre. Una volta che la nave fosse stata di ritorno, l'utile sarebbe stato diviso in base alle "parti" acquistate. I genovesi avevano così inventato le "azioni", anticipando le attuali Società per Azioni8.

La nascita della società per azioni e, più in generale, delle società di capitali, si fa risalire alle compagnie coloniali Olandesi e Inglesi dei

7 Cfr. BARCELLONA, La “gestione collettiva del risparmio” a seguito della direttiva GEFIA, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, E. Barcellona, Giuffrè, p. 11.

8 Approfondimento, ASCIARELLI e MIGNOLI, Lettura per un corso di Diritto Commerciale comparato: estratto per gli studenti, T. Asciarelli e A. Mignoli con contributo di G. B. Portale, Giuffrè, 2017.

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secoli XVII e XVIII. Le esplorazioni e gli insediamenti coloniali necessitavano di ingenti finanziamenti e comportavano altresì alti rischi per l'investimento effettuato. Per attrarre i finanziatori, i sovrani presero a concedere la separazione patrimoniale tra la

società ed i soci, così che questi ultimi non esponessero il loro intero patrimonio al rischio, ma solo il denaro investito nella compagnia9.

Furono tali compagnie ad effettuare le prime operazioni di natura capitalistica, attraverso il risparmio raccolto, sulle piazze affari di Londra ed Amsterdam.

La società per azioni delle origini ha reso possibile la formazione di quello che possiamo definire “ contratto di gestione collettiva”: un gruppo di imprenditori dotati di capacità imprenditoriale, ma privi di risorse finanziarie, si rivolge ad un gruppo di risparmiatori/

investitori dotati di adeguate risorse finanziarie, ma privi di capacità imprenditoriale, al fine di conseguire benefici reciproci.

L’invenzione del titolo azionario, ha rappresentato lo strumento che ha permesso la contemporanea soddisfazione di due esigenze: l’impiego del risparmio in un’ottica di lungo termine e l’esigenza dell’investitore di poter fuoriuscire dall’operazione mediante il recesso, attraverso la monetizzazione in borsa. La società per azioni delle origini hanno, così, favorito l’incontrano da un lato del

capitale, risparmio collettivo, e dall’altro l’entrepreneuship, ovvero capacità dell’impiego del capitale raccolto in modo profittevole. Incontro non molto differente rispetto a quello che si realizza oggi attraverso la gestione collettiva del risparmio: i promotori

dell’iniziativa si presentano come titolari di uno specifico know how gestorio , si rivolgono ai titolari del capitale, cosicché il mix possa far conseguire risultati benefici ai primi e ai secondi. Tale incontro, poneva allora gli stessi problemi che oggi si incontrano nella gestione collettiva del risparmio, come si assicura che i gestori trovandosi nelle mani proprietà altrui utilizzino tali risorse in buona fede, nell’interesse degli investitori, senza avventurarsi in operazioni rischiose, né soprattutto impiegandole a proprio vantaggio? .

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Il legislatore del tempo ha istituito un’insieme di disposizioni, tra cui: un regime di rimovibilità dei gestori; l’attività dei

promotori/gestori era soggetta ad un regime di responsabilità nei confronti dei risparmiatori; inoltre tale attività per essere svolta doveva essere autorizzata dalla pubblica autorità. Tutte queste azioni non sono altro che i precursori di ciò che oggi definiamo “riserva di attività ”.

In conclusione, non è infondata l’idea di considerare la società per azioni delle origini, come istituto diretto alla gestione collettiva del risparmio.

1.1.3 L’esperienza statunitense: le investment companies

A partire dai primi anni del XX secolo, lo schema contrattuale “società per azioni”, ha incominciato ad essere utilizzato per scopi di gestione collettiva del risparmio, ma secondo modalità differenti rispetto a quelle praticabili da qualsiasi società per azioni.

In tal contesto rientra l’esperienza statunitense delle investment companies10.

La investment company, non è una tradizionale società per azioni. La società per azioni tradizionale impiega il risparmio collettivo raccolto per promuovere un’attività di impresa al fine di generare profitto, l’investment company è una speciale società per azioni, che impiega il risparmio raccolto sempre con l’obiettivo di generare profitto, ma non attraverso lo svolgimento di un’attività volta alla produzione e lo scambio di beni o servizi, ma attraverso

l’investimento professionale diversificato in strumenti finanziari. Il risparmiatore/investitore ottiene lo stesso risultato, ovvero un guadagno, sia che investe in una tradizionale società per azioni sia che investe in una investment company, ciò che le differenzia è la

10 L’Investment Company Act venne approvato dal Congresso americano il 22 agosto 1940. Le

disposizioni del Investment Company Act furono create per istituire e integrare un quadro normativo più stabile del mercato finanziario dopo il crollo del mercato azionario nel 1929. Definisce i regolamenti che le società di investimento statunitensi devono rispettare quando offrono e mantengono fondi di investimento collettivi. La legislazione è applicata e regolata dalla Securities ad Exchange Commission.

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modalità con il quale tale risultato è raggiunto. Nel caso in cui il risparmiatore/investitore decide di investire in una normale società per azioni, il guadagno sarà conseguito grazie al profitto realizzato dalla società attraverso la vendita sul mercato dei beni o servizi che essa produce e commercializza, quindi attraverso la gestione di un’organizzazione aziendale11 ; nel caso di una investment company il guadagno è conseguito, esclusivamente, grazie all’incremento del valore monetario del patrimonio conferito in monte che discende dai capital gains12 derivanti dalle operazioni di

investimento/disinvestimento del portafoglio titoli gestito. Possiamo affermare, che l’ordinaria società per azioni implica da parte dei promotori, l’apporto di quello che abbiamo

precedentemente definito come entrepreneurship, ovvero, know how consistente la gestione profittevole di una firm (azienda), la investment company, all’inverso, implica l’apporto di quella specifica competenza consistente nella diversificazione professionale del portafoglio.

Nel disegno roosveltiano, la riserva di attività istituita per la investment company coincide, sia con riguardo alla gestione

collettiva professionalmente diversificata, sia alla riserva di attività istituita per le banche e gli intermediari in materi di gestione

individuale dei portafogli. Per quanto riguarda la gestione individuale e quella collettiva, la ratio della riserva è, quindi, identica: quella di assicurare l’integrità dei soggetti a cui il risparmiatore/risparmiatori affidano i propri risparmi, quindi tutelare i risparmiatori dal rischio di conflitto d’interesse.

Nella legislazione roosveltiana, l’attività di gestione collettiva del risparmio, sotto il vigore dello Investment Company Act, poteva realizzarsi secondo due schemi giuridici, quello contrattuale del fondo di investimento dotato di autonomia patrimoniale e quello societario della investment company. Naturalmente, perché la

11 Per organizzazione aziendale si intende: l’insieme dei processi, dei materiali e delle persone, coordinate per il raggiungimento di uno scopo comune.

12 Il capital again, chiamato anche guadagno in conto capitale o utile di capitale, è un termine finanziario utilizzato per indicare la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario.

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investment company potesse fungere da schema giuridico idoneo alla prestazione del servizio della diversificazione professionale del portafoglio,non solo individuale ma anche collettivo, il modello societario tradizionale richiedeva un adattamento. Nel modello di gestione individuale il risparmiatore può sempre recedere dal rapporto e recuperare il valore netto del proprio risparmio,

l’obiettivo era quello di creare un meccanismo simile anche nel caso di gestione collettiva. E’ qui che nasce , il requisito della

“redimibilità” delle azioni della investment company. Il regime della redimibilità delle azioni delle investment company, è un aspetto tollerabile , in quanto: si tratta di azioni che integrano un diritto di riscatto13, i titolari hanno il diritto di pretendere il riscatto delle azioni, liquidando, in questo modo il loro investimento nella società. Nel caso delle azioni redimibili il titolare si pone in una posizione attiva, di poter quindi esercitare il diritto di riscatto, la società al contrario, si colloca in una posizione passiva in quanto onerata dall’obbligo di riscattare le azioni. Per tanto, le azioni redimibili sono titoli rappresentativi di capitale di rischio, che attribuiscono ai titolari la potestà di farsele riscattare, la differenza rispetto alle azioni riscattabili previste nel nostro ordinamento , sta nel fatto che, a trovarsi in una posizione di soggezione è la società14.

Laddove, lo schema societario è adottato per una normale società, la regola di redimibilità del capitale risulterebbe contro-funzionale rispetto allo scopo perseguito: la necessità di finanziare la

liquidazione di qualsiasi socio desideroso di uscire all’iniziativa, metterebbe a repentaglio l’unitarietà dell’organizzazione

13 Il diritto di riscatto nel nostro ordinamento è regolato dall’art 2437-sexies c.c. il quale recita “ Le disposizioni degli artt. 2437-ter e 2437-quater si applicano, in quanto compatibili, alle azioni o categorie di azioni per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società o dei soci. Resta salva in tal caso l’applicazione della disciplina degli artt. 2357 e 2357-bis”, : il diritto di riscattare le azioni è attribuito sia ai soci sia alla società e, nel caso in cui sia riconosciuto in capo a quest’ultima, il suo esercizio si concretizzerà in un atto attuativo non destinato a concludersi con l’annullamento delle azioni ; mentre il riscatto finalizzato alla riduzione del capitale può probabilmente qualificarsi come atto esecutivo esercitabile dalla sola società. R.NOBOLI, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto societario, Liber Amicorum G. F. Campobasso, diretto da P. Abadessa e G. B. Portale, 3, Milano, 2007, p.341. 14 In merito alla legittimità delle azioni redimibili nel nostro ordinamento sono sorti diversi dibattiti. Alcuni autori non hanno preso posizione sull’ammissibilità di azioni redimibili ad opzione dei loro titolari; altri hanno dubitato sulla possibilità di prevedere un dovere di riscatto in capo alla società; altri, ancora, hanno ritenuto ammissibile addossare sulla società l’onere di riacquistare le azioni detenute da altri membri della società.

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imprenditoriale, finendo per rappresentare una minaccia per la stressa.

Se quindi il principio della redimibilità del capitale è incompatibile con un’ordinaria società per azioni, si potrebbe allora dire che, laddove il capitale di una società per azioni è redimibile, lo schema giuridico della stessa, è adottato come negozio indiretto, non per la causa tipica del contratto di società, bensì per uno scopo diverso, quello di gestione professionalmente diversificata.

Adesso osserviamo le ragioni che hanno spinto il diritto statunitense dell’epoca, e poi il diritto dei vari Paesi europei, a prevedere forme di tutela degli investitori/risparmiatori differenti, a seconda della finalità perseguita dalla società in cui loro hanno fatto pervenire i risparmi . Nel caso in cui una società per azioni ordinaria svolga una raccolta di capitale fra il pubblico in funzione di un investimento in una profit-driven firm (società con scopo di lucro), il legislatore non ha ritenuto di dover assoggettare a riserva l’attività , ma ha istituito, a tutela dell’investitore un sistema orientato alla trasparenza

informativa. Laddove, l’investitore/risparmiatore investe, la raccolta presso il pubblico appartiene al tipo delle investment companies, il legislatore ha previsto una riserva di attività. Tale distinzione, può spiegarsi nei seguenti termini:

- quando il risparmio collettivo confluisce in una ordinaria società per azioni, l’investitore è sufficientemente protetto attraverso la mera istituzione di obblighi di informazione, che gli permettono di comprendere a pieno i rischi d’impresa associati a quella specifica firm, inoltre, instituire una riserva di attività porrebbe dei limiti alla libertà di iniziativa economica, infine, laddove il risparmio raccolto sia investito in una profit-driven firm, il capitale conferito dagli investitori è oggettivato in una stabile organizzazione aziendale, ed è proprio tale oggettività

funzionale della firm che costituisce una garanzia per l’investitore;

- quando, invece, il risparmio collettivo confluisce in una speciale investment company, gli obblighi informativi non sono sufficienti

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a tutelare gli investitori, questo perché la investment company non è titolare di una profit-driven firm, ma è semplicemente lo strumento attraverso il quale un soggetto fornisce il servizio di diversificazione professionale, per cui l’investimento ricade sulle qualità tecnico-professionali dei gestori. In questo caso, non c’è l’oggettività di un compendio aziendale organizzato allo scopo della produzione o scambio di beni o servizi, bensì solo e soltanto, le qualità gestorie di professionisti della

diversificazione. Da qui il rimedio legale dell’istituzione della riserva di attività.

1.1.3 Le società Holding: familiarità e differenze con la investment company

Procediamo adesso ad analizzare un altro organismo societario, la cui distinzione rispetto alla ordinaria società per azioni e la investment company risulta più complesso, la holding15. Le società holding, sono società che se pur investono in strumenti finanziari16, non hanno come finalità quella di prestare un servizio di diversificazione professionale, bensì di detenzione nel lungo periodo di tali strumenti al fine di

influenzare la gestione delle società partecipate.

15 La holding è normalmente una società di capitali, che controlla altre società di capitali attraverso la disponibilità del capitale di comando di queste. L’insieme della società holding e delle sue controllate da vita ad un gruppo di società.

La holding si definisce pura se non svolge attività di produzione di beni e servizi ma si limita ad amministrare le proprie partecipazioni azionarie nelle società controllate ossia ad esercitare, indirettamente, attraverso la società controllata, una attività di produzione o di scambio. Si definisce operativa la holding che , oltre ad amministrare le proprie partecipazioni azionarie, esercita

direttamente un’attività economica. Cfr. http://www.enciclopedia-juridica.biz14.com/it/d/holding/holding.htm.

16 La nozione di strumento finanziario, la troviamo nel nostro ordinamento, al comma 2 art. 1 del TUF , il quale recita :“ Per strumento finanziario si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C

dell’Allegato 1. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari”. Non si tratta di una vera e propria nozione di strumento finanziario ma bensì di un elenco

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Benché la Direttiva AIMFD, detta appositi criteri per individuare quali holding rientrano nel perimetro della riserva, risulta

comunque opportuno un’analisi generale della fattispecie. In tal contesto, nella misura in cui la società holding svolge un’attività di investimento in strumenti finanziari, e non la conduzione di una profit-driven firm, risulta familiare alla

investment company, entrambe acquistano strumenti finanziari. Tuttavia, esiste una fondamentale differenza tra le due, nello specifico:

- le investment companies, acquistano strumenti finanziari per fornire ai risparmiatori il servizio di diversificazione

professionale, inoltre, il diversificatore professionale opera seguendo una logica buy-to-sell (comprare per vendere), cioè non ha come obiettivo quello di influenzare la gestione degli emittenti dei titoli presenti nel portafoglio, ma bensì realizzare un guadagno nel breve periodo generato dai capital agains ottenuti dalle operazioni di investimento-disinvestimento del portafoglio titoli detenuto;

- le holding, acquistano gli strumenti finanziari di partecipazione sociale per detenerle in un ottica di lungo periodo, inoltre, l’holder professionale, opera secondo una logica buy-to-hold (comprare per tenere), cioè ha come obiettivo quello di

contribuire all’orientamento della società partecipata, in modo da permettere un incremento del valore della stessa nel lungo periodo, ottenendo così un maggior profitto dall’investimento. Se dunque, sotto il profilo della tipologia di investimento , la società holding parrebbe assomigliare ad una investment company, sotto il profilo temporale sembrerebbe assomigliare ad una normale società per azioni. Per tale ragione la holding viene considerata come fattispecie di confine.17

In realtà, anche la holding può essere considerata come erogatrice di un servizio, ovvero, quello di contribuire

all’elaborazione delle strategie imprenditoriali della partecipata, i questo caso chi beneficia del servizio non è chi investe nella

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holding, bensì la società target che da essa sono partecipate. Il servizio prestato dalla holding non richiede capacità tecnico-professionali del tipo richieste per il servizio di diversificazione professionale, ma bensì sono richieste capacità di scelta dei top managers delle società target e di contribuire alla definizione delle strategie imprenditoriali. In altri termini, l’investimento in una holding trova essenzialmente giustificazione nell’aspettativa di una migliore gestione delle società partecipate, il valore

aggiunto che spinge l’investimento in una holding risiede nella migliore selezione possibile dei top managers delle controllate. Alla luce di ciò, è evidente come la necessità di tutela di coloro che fanno confluire il loro risparmio collettivo in una holding è totalmente differente rispetto a quelle di chi affida i propri capitali ad una investment company. La tutela prevista per chi investe in una holding è di tipo informativo, simile a quello previsto per una tradizionale società per azioni, questo perché chi investe in una holding investe indirettamente nelle normali società per azioni che sono dalla prima partecipate.

Termina qua la ricognizione generale delle diverse forme, che in tempi recenti, ha acquistato il fenomeno della gestione

collettiva del risparmio, da ora è possibile focalizzarsi sull’evoluzione storica della riserva di attività nel nostro ordinamento.

1.1.2 Legge n.77 del 1983 sui “fondi comuni di investimento aperti” e la Legge n. 344 del 1993 sui “fondi comuni di

investimento chiusi”

La storia dell’industria del risparmio gestito, inizia nel nostro Paese alla fine degli anni Sessanta, risale al 1968 la prima sottoscrizione di fondi comuni in Italia, per opera di alcuni finanzieri, che in assenza di regole immettono sul mercato i primi fondi di investimento, chiamati fondi Atipici, organizzati e gestiti seguendo i principi mutuati dall’esperienza del mondo

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finanziario anglosassone. Dopo questo timido avvio e nell’attesa di una regolamentazione ufficiale dell’intera materia, alcune società promossero alcuni fondi con sede legale in Lussemburgo. Tali fondi, cosiddetti Lussemburghesi, rappresentano i

precursori dei fondi comuni di diritto italiano18.

Fu la legge 23 marzo 1983 n. 77, a introdurre nell’ordinamento italiano i primi Organismi di investimento collettivo del risparmio di diritto italiano , di tipo aperto (OICR19), in particolare i Fondi comuni d’investimento mobiliare di tipo aperto, inoltre la legge introdusse un nuovo soggetto: la società di gestione (SGR)20. La legge 1983, istituisce la prima organica disciplina volta a regolare quella particolare attività di gestione collettiva del risparmio, mediante il quale i risparmiatori affidano

collettivamente i propri capitali a un diversificatore professionale.

Il principio cardine della normativa è stata la miglior tutela del risparmiatore, grazie a precise regole attinenti la natura giuridica dei fondi, la loro costituzione, i requisiti della società di gestione, le norme generali di gestione, tra cui: divieti di investimento in certe attività, divieti di concentrazione degli investimenti in strumenti finanziari, separazione fra il patrimonio collettivo dei risparmiatori e quello dei promotori dell’iniziativa, obbligo del calcolo del valore delle quote con cadenze ravvicinate. Possiamo

18 Cfr. ROTA, Breve storia dei fondi comuni in Italia, A. Rota, Assogestioni, 2015, p. 80.

19 Art. 1, comma 1, lettera k, TUF, definisce OICR “ L’organismo istituito per la prestazione di servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto, tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi”.

20 La SGR è un soggetto abilitato alla consulenza in materia di investimenti, a gestire patrimoni sia in monte, servizio di gestione collettiva del risparmio, sia su base individuale, servizio di gestione su base discrezionale e individualizzata di portafogli di investimento, cd detto modello del gestore unico. La SGR, può altresì, istituire e gestire fondi pensione, svolgere le attività connesse e strumentali stabilite dalla Banca d’Italia, sentita la Consob, prestare i servizi accessori di custodia e amministrazione di strumenti finanziari e relativi servizi connessi, limitatamente alle quote di OICR di propria gestione, commercializzare quote o azioni di OICR gestiti ai terzi,in conformità alle regole di condotta stabilite dalla Consob, sentita la Banca d’Italia, nonché prestare il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, l’unica attività esercitabile dalle SGR qualora il gestore sia autorizzato a prestare il servizio di gestione di fondi di investimento alternativi.

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affermare che la legge istitutrice dei fondi comuni di tipo aperto rappresenta una vera e propria innovazione in materia di

gestione collettiva del risparmio.

Viene inoltre istituito un regime riservato dell’attività,

l’istituzione del fondo comune di investimento è riservato solo alle società per azioni aventi come oggetto esclusivo la gestione dei fondi e soprattutto viene consentita alle sole società che siano state appositamente autorizzate dal Ministro del Tesoro sentita la Banca d’Italia21.

L’offerta del servizio di diversificazione professionale da parte di un OICR che si realizza attraverso l’istituzione di un fondo

comune di investimento, ha struttura di carattere contrattuale: colui che sottoscrive una quota di partecipazione al fondo stipula con la società di gestione del fondo un contratto di gestione patrimoniale, attraverso questo contratto l’investitore attribuisce all’intermediario, previo pagamento di un

corrispettivo, il potere di gestire una parte del proprio

patrimonio finanziario, con modalità discrezionale e individuale, con l’obiettivo del conseguimento di un risultato utile in

relazione alle caratteristiche della gestione. Il fondo comune di investimento, non è altro che un contratto collettivo di gestione professionalmente diversificata destinato all’investitore retail. La disciplina nel tempo ha subito diverse modifiche.

Innanzitutto, nel nostro ordinamento, la disciplina dei fondi comuni di tipo aperto la troviamo contenuta nel titolo terzo della parte II del TUF, a livello europeo i mercati dei fondi di investimento sono stati dominati, fino ad oggi , dai prodotti che operano nel quadro della direttiva UCITS e successive

modificazioni22. La Direttiva UCITS contiene disposizioni

21 Legge 23 marzo 1983 n. 77, art 1 “ Le società per azioni aventi per oggetto esclusivo la gestione di fondi comuni di investimento collettivo in valori mobiliari di tipo aperto sono autorizzate dal Ministro del tesoro, sentita la Banca d’Italia, ad istituire fondi comuni di investimento mobiliare aperto ”. 22 La direttiva UCITS è stata più volte modificata nel corso degli anni, al fine di adeguarla alla progressiva evoluzione dei mercati finanziari. La prima importante opera di revisione si è avuta nel 2001 con la Direttiva 2001/107/CE (c.d. Direttiva gestore) e la Direttiva 2001/108/CE (c.d. Direttiva prodotto). Il 13 luglio 2009 è stata adottata la Direttiva 2009/65/CE (c.d. direttiva UCITS IV) che, mediante la tecnica della c.d. rifusione, ha abrogato la Direttiva UCITS 85/611/CEE con effetto dal 1° luglio 2011.

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riguardanti l’autorizzazione, la vigilanza, la politica di investimento e i requisiti di trasparenza degli organismi

d’investimento collettivo di tipo aperto, la cui principale attività consiste nell’investire in valori mobiliari, al fine di garantire la disponibilità di un adeguato livello di liquidità per soddisfare le richieste di rimborso degli investitori.

Successivamente, con l’introduzione della disciplina sui gestori di fondi di investimento alternativi, sono state introdotte regole uniformi in materia di autorizzazione, funzionamento e

trasparenza dei gestori di fondi di investimento alternativi

(GEFIA), che gestiscono e commercializzano nell’Unione Europea i FIA.

La definizione di fondo comune di investimento, la troviamo nell’ art. 1, comma 1, lett. j), del TUF, modificato con la Direttiva AIMFD con una disposizione molto più semplificata rispetto a quella previgente. Nella disciplina precedente il fondo comune era definito come “ il patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissione di quote, tra una pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata politica di investimento; suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti; gestito in monte, nell’interesse dei partecipanti e in autonomia dei medesimi”, mentre invece oggi viene qualificato come “ l’OICR costituito in forma di patrimonio autonomo23, suddiviso in quote, istituito e gestito da un

gestore”24. Ad oggi, gli elementi caratterizzanti il fondo comune, si devono desumere da una lettura congiunta, della nuova

definizione di OICR, in particolare aperto, di cui l’art. 1, comma 1, lettera k) e k-bis) del TUF25 e di gestione collettiva del

23 Nel, fondo comune come in ogni altra forma di OICR, l’apporto del singolo va a confondersi e a costituire un patrimonio unico, al quale affluiscono anche gli investimenti degli altri soggetti che partecipano al fondo: ciascun fondo, tuttavia, rappresenta un patrimonio autonomo, sia dal patrimonio dell’intermediario gestore, sia dal patrimonio rappresentativo di altri fondi, anche se gestiti dal

medesimo soggetto. Art. 36, comma 4, TUF.

24 La nozione di fondo comune di investimento è stata così modificata dall’art. 1, D.lgs. 4 marzo 2014, n. 44.

25Si evidenzia che l‘art. 1, comma 1°, lett. k, TUF, definisce l‘OICR come “l'organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, gestito in monte,‖ nell'interesse degli

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risparmio, di cui l’art. 1, comma 1, lettera n) TUF, da cui si desumono i tratti caratterizzanti il fondo comune di

investimento: la gestione in monte del patrimonio del fondo e dei relativi rischi nell’interesse degli investitori in autonomia dai medesimi; il carattere collettivo della raccolta di patrimoni tra una pluralità di investitori, investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni, altri beni mobili o immobili, in base a una predeterminata politica di investimento. La nozione di fondo comune pone così in evidenza, in linea con il quadro normativo comunitario, la funzione economica del fondo e l‘autonomia delle scelte di gestione della SGR. In particolare, il fondo comune costituisce uno strumento diretto a consentire a una pluralità di risparmiatori di utilizzare la loro liquidità per costituire un

patrimonio comune e indiviso, nonché autonomo (composto da strumenti finanziari e altri valori), destinato a essere gestito da un soggetto specializzato (la società di gestione), con

imputazione dei risultati della gestione ai partecipanti al fondo, nella misura della quota da ciascuno sottoscritta o acquistata, in modo tale da rendere possibile, per ciascuno di essi,

un‘adeguata diversificazione dei rischi inerenti all‘investimento effettuato26.

Possiamo quindi concludere dicendo che, un OICR contrattuale, è un (semplice) patrimonio autonomo: privo dell’espresso riconoscimento della personalità giuridica, ma dotato di precise regole organizzative che incidono anche, sui profili

patrimoniali.27

(segue) I fondi comuni di investimento di tipo chiuso

investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base ad una politica di investimento predeterminata”. La lettera k-bis definisce gli OICR aperti come quegli organismi in cui i partecipanti hanno il “diritto di chiedere il rimborso delle quote o delle azioni a valere sul patrimonio dello stesso, secondo le modalità e con la frequenza prevista dal regolamento, dallo statuto e dalla documentazione d’offerta dell’OICR”. 26Cfr. G. FERRI JR., Patrimonio e gestione. Spunti per una ricostruzione sistematica dei fondi comuni di investimento, Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1992, I, 25 ss.

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Un altro passo importante nel nostro ordinamento, in materia di ” riserva di attività ”, è quello riguardante la legge sui fondi comuni di investimento di tipo chiuso, legge 14 agosto del 1993, la quale ha istituito di riflesso, la figura di OICR di tipo chiuso. Attualmente, i fondi comuni di tipo chiuso, sono regolamentati dalle disposizioni degli artt. 36 e 37 del TUF e dai provvedimenti dell’autorità di vigilanza. In seguito al recepimento della direttiva AIFMD, tali fondi sono ricondotti alla categoria dei “ Fondi di investimento mobiliare alternativi italiani chiusi”. Se da un lato la Direttiva europea ha voluto definire i criteri per la definizione degli OICR di tipo aperto , dall’altro non suggerisce nessuna definizione descrittiva riguardo alla tipologia chiusa , definendo per esclusione all’art. 1, comma 1, lettera k-ter TUF, l’OICR chiuso come “diverso da quello aperto”.

L’OICR di tipo chiuso che gestisce un fondo di investimento mobiliare, realizza l’incontro fra risparmiatori e gestori professionali, nella medesima misura nel caso in cui invece l’OICR gestisca un fondo mobiliare aperto, ma a differenza del fondo aperto, non prevedono la possibilità per i partecipanti di entrare mediante la sottoscrizione di nuove quote e di uscire con il riscatto delle medesime in qualsiasi momento28. In altro modo , l’investimento in un fondo mobiliare chiuso, a differenza di quello aperto , non è dotato del requisito della liquidità29. I fondi mobiliari di tipo chiuso, dispongono, di un patrimonio predeterminato e stabile che non può variare a seguito di nuove sottoscrizioni e rimborsi e che è suddiviso in un numero

predeterminato di quote. Le quote, possono essere sottoscritte, solo durante la fase di offerta, che si svolge prima di iniziare l’operatività vera e propria, e il rimborso avviene di norma solo alla scadenza.

28 Cfr. FERRARI, Il sistema finanziario: funzioni, mercati e intermediari, di A. Ferrari, E. Gualandri, A. Landi e P. Vezzani, p 209.

29 Ragione per la quale la legge istitutiva dei fondi chiusi prevedeva limiti più stringenti in punto di leva finanziaria rispetto alla legge istitutiva dei fondi aperti: v. l’art. 10, comma 3, della legge n. 344 del 1993, che vietava ai gestori di fondi chiusi di assumere prestiti, mentre l’art. 4, comma 5, della legge n. 77 del 1983 consentiva ai gestori di fondi aperti di assumere prestiti entro il limite massimo del 10% del fondo.

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Il fatto che , il fondo chiuso non è dotato del requisito di liquidità consente ai gestori di definire strategie di investimento di

medio-lungo termine.

Da ciò si evince, un’altra caratteristica dei fondi di chiusi che permette di distinguerli da quelli di tipo aperto, tale

caratteristica risiede nel fatto che: il fondo di investimento mobiliare aperto, è tipicamente rivolto all’investitore retail, mentre il fondo mobiliare chiuso è rivolto all’investitore

sofisticato, in quanto, è solo quest’ultimo in grado di sopportare i rischi di illiquidità dell’investimento. Da qui si comprende la regola che prevedeva, l’obbligo di quotazione in borsa per i fondi chiusi destinati all’investitore retail, prevista all’ art. 9, comma 6, legge n. 344 del 199330. Successivamente a seguito del d.m. 5 marzo del 2015, n. 30 attuativo dell’art 39 TUF,

abroga il d.m 24 maggio 1999, n.228, che prevedeva l’obbligo di quotazione in borsa dei fondi mobiliari di tipo chiuso. Ad oggi l’obbligo di quotazione permane soltanto in capo ai gestori di fondi chiusi immobiliari31.

Procediamo adesso ad analizzare gli OICR costituiti in forma societaria, ovvero, le società di investimento a capitale variabile (SICAV), e le società di investimento a capitale fisso (SICAF).

1.1.3 D.lgs. n. 84 del 1992, legge sulle società di investimento a capitale variabile e introduzione nel nostro ordinamento della figura SICAF

30 L’art. 9, comma 6, legge 1993, stabilisce che: “ La SGR, che istituisce fondi chiusi, entro trentasei mesi dalla chiusura dell’offerta, deve chiedere alla Consob l’ammissione dei relativi certificati alla

negoziazione in un mercato regolamentato. Tale obbligo non sussiste nel caso in cui le quote siano sottoscritte esclusivamente da investitori istituzionale (…)”. La norma è stata ripresa dall’ art. 5, comma 2 e 3 del d.m. 24 maggio 1999, n. 288, attuativo delle disposizioni del TUF: “ [2] La richiesta di

quotazione è obbligatoria per i fondi chiusi i quali prevedono che l’ammontare minimo della sottoscrizione sia inferiore ai venticinque euro. [3] In caso di quotazione di fondi chiusi la relativa richiesta di ammissione delle quote alla negoziazione deve essere effettuata dalla SGR entro dodici (aumentati a ventiquattro nel 2003) mesi dalla chiusura dell’offerta”.

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Al fine di dare continuità normativa rispetto la legge istitutiva dei fondi comuni di investimento mobiliare, andiamo ad analizzare la legge che ha introdotto nel nostro ordinamento la figura della società di investimento a capitale variabile ( SICAV ).

In tal contesto rientrano, in ambito europeo, la Direttiva n.

85/611/CEE e n. 88/220/CEE, nel nostro ordinamento il legislatore ha dato attuazione a tali direttive attraverso l’emanazione del D.lgs. 25 gennaio 1992, n.83, che ha apportato delle modifiche alla Legge 23 marzo 1983 n. 77, sui fondi comuni, e del D.lgs. 25 gennaio 1992, n. 84, con il quale è stata introdotta in Italia una fattispecie, fino a quel momento, sconosciuta: la società di investimento a capitale variabile.

La SICAV, non è altro che un fondo di investimento mobiliare organizzato non con struttura contrattuale ma, bensì, societaria. Più in generale la SICAV costituisce una variante nella generale categoria degli investimenti collettivi aperti, con continua e

indifferenziata facoltà per il pubblico di entrare (investire) ed uscita (disinvestimento).32

Quali sono le ragioni che hanno indotto il legislatore italiano a disciplinare, accanto ai fondi comuni, tale tipo di istituto?

Una delle ragioni è data dalla circostanza secondo la quale nelle SICAV il risparmiatore ricopre anche la figura di socio partecipante e come tale ha la possibilità di incidere, con l’esercizio del diritto di voto, sulle vicende sociali e sulla politica di investimento della società.33A tal proposito, nel caso dei fondi essi sono gestiti da una società di gestione del risparmio in cui si conserva la separazione tra la posizione del gestore e quella del risparmiatore , garantita da severe norme di separatezza, e il rapporto degli stessi si manifesta come un rapporto di tipo contrattuale34; nel caso della SICAV , invece, il potere gestorio non è affidato ad un ordinario rapporto contrattuale, bensì alle ordinarie regole societarie, dove il rapporto

32 Cfr. MARCHETTI, Appunti sulle SICAV, Relazione tenuta al Convegno organizzato da Assogestioni a Milano il 13 febbraio 1992, in Rivista delle Società, f. 5, 1992, p.730.

33 Relazione governativa “di accompagnamento del D.lgs. n. 84/92 di recepimento della Direttiva CEE n. 611/85 , istitutivo della società di investimento a capitale variabile”, 1992, 1.

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gestorio è costituito in forza del mandato assembleare al consiglio di amministrazione35. L’art 35-sexies del TUF ,infatti, stabilisce che l’assemblea ordinaria e quella straordinaria in seconda

convocazione, sono considerate validamente costituite

indipendentemente dalla parte di capitale sociale intervenuta. Una condizione di questo tipo, in cui il risparmiatore è anche socio, non genera particolari complicazioni, in quanto se le azioni della SICAV sono al portatore36 esse conferiscono al socio risparmiatore un solo diritto di voto qualunque sia l’entità della partecipazione, il voto può pervenire anche per corrispondenza nel caso in cui lo statuto lo prevede, e per risultare valido l’avviso di convocazione deve

contenere la deliberazione proposta, in caso contrario non si tiene conto del voto espresso per la delibera non conforme a quella contenuta nella convocazione, secondo quanto stabilito dagli artt. 35-quater e 35-quinquies, TUF.

La SICAV in Italia nasce, dunque, dopo che il nostro ordinamento aveva già recepito la figura del fondo comune, da ciò possiamo affermare che la società di investimento a capitale variabile viene creata dal legislatore non come variante del modello societario tradizionale, ma come variante del fondo di investimento mobiliare. In questa prospettiva la disciplina delle SICAV è caratterizzata da numerose deroghe al diritto societario comune, che le rendono funzionalmente diverse da una società per azioni tradizionale, in particolare non si applicano gli artt. da 2447-bis a 2447-decies C.C, in quanto per le SICAV non è previsto una necessaria coincidenza tra capitale e patrimonio netto.

L’art. 1, comma 1 lett. i) TUF, definisce la SICAV come “ L’OICR aperto costituito in forma di società per azioni a capitale variabile con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del risparmio raccolto mediante l’offerta di proprie azioni”. La SICAV può essere costituita solo dopo che sia intervenuta, in base al progetto di atto costitutivo e di

35 Cfr. BARCELLONA, La “gestione collettiva del risparmio” a seguito della direttiva GEFIA, E. Barcellona, Giuffrè, p. 33.

36 Per azioni al portatore si intende tutte quelle azioni che conferiscono i diritti e gli obblighi a un qualunque soggetto che si trovi in possesso del titolo.

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statuto, l’autorizzazione di Banca d’Italia sentita la Consob37, in tale circostanza l’autorizzazione è elemento essenziale, non per l’avvio dell’attività ma per la costituzione del soggetto stesso.

Per la costituzione della SICAV sono previste una serie di condizioni previste dall’art. 35-bis del TUF, nello specifico :

- lett. a) è richiesto che debbano costituirsi necessariamente in forma di società per azioni, non è ammesso alcun altro tipo di organizzazione anche se espresso in forma di società di capitale; - lett. b) la sede legale e anche quella direzionale devono essere

necessariamente nel territorio italiano;

- lett. c) è previsto che il capitale sociale sia di ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia.

- lett. d) i manager devono essere titolari del requisito di professionalità e onorabilità;

- lett. e) i titolari delle partecipazioni indicate all’art. 15, comma 1, hanno i requisiti e soddisfano i criteri stabiliti ai sensi dell’art. 14 e non ricorrano le condizioni per il divieto previsto all’ art. 15 comma 2;

- lett. f) è necessario che lo statuto preveda come oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta al pubblico delle proprie azioni;

- lett. g) che la struttura del gruppo di cui è parte la società non sia tale da pregiudicarne l’effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa;

- ed infine, lett. h) che venga presentato, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto un programma concernente l’attività iniziale nonché una relazione sulla struttura organizzativa. Una volta che la SICAV ottiene l’autorizzazione viene iscritta in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia38. L’iscrizione all’albo risulta una vera e propria garanzia per il risparmiatore, dal

37 Art. 35-bis sezione II del TUF denominato “Costituzione”.

38 Art. 35-ter, sezione II del TUF “ [1] Le SICAV e le SICAF autorizzate in Italia sono iscritte in appositi albi tenuti dalla Banca d’Italia. L’albo della Sicav è articolato in due sezioni distinte a seconda che le Sicav siano costituite in forma di OICVM o FIA. [2] La Banca d’Italia comunica alla Consob le iscrizioni all’albo di cui al comma 1. [3] I soggetti previsti dal comma 1 indicano negli atti e nella corrispondenza gli estremi dell’esercizio nell’albo”.

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momento che tale iscrizione attesta l’esistenza di un vero controllo sulla SICAV da parte della Banca d’Italia e della Consob. Per le SICAV, inoltre, sempre al fine di tutelare i risparmiatori, ci sono alcune limitazioni: non possono emettere obbligazioni o azioni di risparmio; non possono detenere azioni proprie; le disponibilità liquide devono essere depositate presso una banca terza, che si occupa tra le altre cose di accettarsi della legittimità delle

operazioni poste in essere dagli agenti.

Un altro aspetto peculiare riguarda il fatto che, la SICAV può provvedere direttamente alla gestione del proprio patrimonio, oppure avvalersi di un soggetto esterno, le relative condizioni sono definite in via generale dall’art. 38 TUF e dettagliate dalle

disposizioni attuative del TUF.

La seconda ragione che ha spinto il legislatore ad introdurre nel nostro ordinamento l’istituto delle SICAV, risiede nella volontà di ampliare la gamma di prodotti per la gestione in monte del

risparmio39.

E’ opportuno specificare, sebbene in molti paesi europei le SICAV sono molto diffuse, in Italia non hanno avuto molto successo, di contro sono commercializzate in Italia molte SICAV di diritto estero, soprattutto Lussemburgo e Irlanda.40

(segue) La figura SICAF

Un’altra figura societaria, per la gestione collettiva del risparmio, ammessa nel nostro ordinamento è quella delle società di

investimento a capitale fisso (SICAF).

Le SICAF, sono state introdotte in Italia a seguito del recepimento della Direttiva AIFMD, non perché l’introduzione di questo schema sia stato definito come obbligatorio dalla Direttiva, ma sono state introdotte per allineare la prassi italiana agli altri sistemi europei,

39 Cfr. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, ed. 9, p. 241. 40 Cfr. . ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, ed. 9, p. 243.

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nei quali lo schema societario è fortemente utilizzato per realizzazione, in particolare, di OICR di tipo chiuso.

Le SICAF sono definite dall’ art. 1, comma 1 lett. i-bis) TUF, come “L’OICR di tipo chiuso costituito in forma di società per azioni a capitale fisso con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l’offerta di proprie azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”.

La differenza tra SICAV e SICAF è data ,innanzitutto, dal fatto che nel primo caso ci troviamo in presenza di un OICR di tipo aperto, nel secondo caso, invece siamo in presenza di un OICR tipo chiuso. Alla luce di questo, è subito desumibile come la SICAF essendo una società a capitale fisso, è molto più vicina allo schema tradizionale della società per azione di quanto lo sia la SICAV, tuttavia

presentano elementi comuni. In entrambi i casi parliamo di OICR non di tipo contrattuale, come per i fondi di investimento comune, ma di OICR di tipo societario. Anche per le SICAF non è possibile svolgere un attività diversa da quella di prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, e possono costituirsi previa autorizzazione da parte della Banca d’Italia, sentita la Consob. Anche alle SICAF non si applicano gli artt. dal bis a 2447-decies del Codice Civile, le azioni sono al portatore e attribuiscono un solo diritto di voto al titolare, indipendentemente dall’entità della partecipazione posseduta ( art 35-quater e 35-quinquies, TUF).

Le SICAF, al pari delle SICAV, possono gestire direttamente il proprio patrimonio o avvalersi di un gestore esterno, anche in questo caso le disposizioni generali le troviamo all’ art 38 del TUF e nel dettaglio nei provvedimenti di attuazione del TUF.

L’introduzione nell’ordinamento italiano della figura delle SICAF, ha reso problematica la ricostruzione della nozione generale di OICR. Questo perché la figura della SICAF rispecchia la struttura della tradizionale società per azioni molto di più di quanto faccia la figura SICAV. Una società per azioni che possiede un portafoglio di

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disciplina delle attività riservate, in funzione del ricorrere degli elementi tipologici della definizione di OICR, quali: la raccolta tra il pubblico dei capitali, la gestione in autonomia dei partecipanti, la sussistenza di una predeterminata politica di investimento ecc. Prima, della legge istitutiva delle SICAF , società di questo tipo erano considerate esenti dalla disciplina riservata alla gestione collettiva del risparmio. Successivamente con l’introduzione della SICAF e, ancora, la Direttiva AIFMD, son sorti dubbi interpretativi, di volta in volta è necessario valutare la natura della società di partecipazione al fine di comprendere se la stessa debba o meno essere sottoposta al regime di riservatezza tipicamente previsto per i soggetti che erogano il servizio di gestione collettiva del risparmio.

L’esclusione prevista dall’art 32-quater, comma 2, lettera d) del TUF41, articolo in cui sono definite le condizioni in presenza delle quali le società di partecipazioni possono svolgere la loro attività senza essere soggette alla disciplina prevista per la gestione collettiva del risparmio, non aiuta l’interprete lasciando un certo margine di incertezza.

Ci occuperemo nel terzo capitolo di individuare gli elementi che possono aiutare gli interpreti a definire il perimetro di riservatezza.

1.1.4 Il Testo Unico della Finanza

La materia ,avente ad oggetto la disciplina italiana della gestione collettiva del risparmio, è stata rivista e unificata dal D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ovvero , il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF). Questo strumento costituisce, ancora oggi, la principale fonte normativa del diritto dei mercati finanziari nell’ordinamento italiano .Tale normativa entrò in vigore il 1 luglio 1998, fu predisposta sulla base della legge

comunitaria del 199442, la quale delegava ad attuare la Direttiva

41 Per un maggior approfondimento leggere il Testo Unico della Finanza.

http://www.consob.it/documents/46180/46181/dlgs58_1998.pdf/e15d5dd6-7914-4e9f-959f-2f3b88400f88

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99/22/CEE del 10 maggio 1993, Direttiva Eurosim43 . La legge si concretizzò per il governo in una delega per l’emanazione di un Testo unico che coordinasse in un corpo organico le varie leggi che regolavano le specifiche aree del diritto dei mercati finanziari all’inizio degli anni ‘90. Tale opera di riforma fu guidata da una commissione di esperti presieduta da Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro.44Le linee guida nella stesura del TUF furono principalmente tre. La prima è la realizzazione di una legislazione semplice in modo da fissare nella normativa primaria solo i principi generali, lasciando i dettagli tecnici ai regolamenti e, ove possibile, all'autoregolamentazione dei mercati e degli intermediari finanziari. Un altro principio seguito fu il rafforzamento dei meccanismi di governance delle società, precisando meglio i compiti dei diversi organi societari e specificando gli obblighi informativi, a tutela del mercato e degli azionisti di minoranza, senza,tuttavia, limitare l'autonomia contrattuale o impedire all'impresa di produrre

ricchezza. E infine si tentò di creare una normativa italiana coerente e competitiva con quella dei Paesi dell'Unione europea,per non creare svantaggi competitivi ai danni delle imprese di investimento italiane. Il titolo III del TUF dettava, e lo fa tuttora,le disposizioni concernenti la gestione collettiva del risparmio e più precisamente codificava i due soggetti autorizzati alla gestione in monte, ossia le Società di Gestione del Risparmio (SGR) e le Società di Investimento a Capitale Variabile (SICAV). Attraverso questo decreto erano

veicolate nell'ordinamento nazionale alcune rilevanti novità inerenti alle società di gestione dei fondi comuni e ai modelli organizzativi che queste possono adottare nella prestazione del servizio di

gestione. In primis veniva definito per la prima volta il genus “fondo comune”come “un patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte”

aggiungendo l’ulteriore distinzione tra fondo aperto e fondo chiuso (art.1, comma 1 lettera k-bis ) e k-ter) del TUF). In particolare era

43 Sul quale cfr. Capriglione F. (a cura di),“La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari. Commento al d. leg. 23 luglio 1996”, n. 415 di recepimento della direttiva Eurosim, a cura di, Padova, 1997 .

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introdotta la Società di Gestione del Risparmio (SGR), una nuova figura di gestore abilitata a svolgere congiuntamente la gestione collettiva e quella individuale. L’art. 1 del TUF specificava la nozione generale di SGR, quale società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione

collettiva del risparmio, sulla base delle funzioni che ne qualificano l’essenza.

La definizione di gestione collettiva del risparmio è presente all’art. 1, comma 1, lettera n) del TUF definita come il “servizio che si

realizza attraverso la gestione di Organismi Collettivi del Risparmio e dei suoi relativi rischi”, nello stesso comma alla lettera k), viene data la definizione di OICR, come già detto sopra, l’OICR è

“l’organismo istituito per la prestazione di servizio gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi”. Dopo aver fornito una definizione della gestione collettiva del

risparmio, come quel servizio realizzato attraverso, o la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento,

oppure, attraverso la gestione del patrimonio di OICR , a loro volta definiti come i fondi comuni di investimento o le società di

investimento a capitale variabile. Il legislatore, definisce il principio di riservatezza per la gestione collettiva del risparmio prescritta ( all’ art. 32-quater45, comma 1), essenzialmente alle società di gestione del risparmio e alle SICAV. La norma istitutrice della riserva di attività contenuta nel TUF, può essere letta congiuntamente con le norme secondarie di regolazione, rispettivamente di Banca d’Italia e del Ministro dell’economia e delle finanze, che definiscono i criteri di gestione dei fondi comuni di investimento e delle SICAV.

Attraverso la lettura congiunta, della disposizione contenuta nel TUF con le norme secondarie, è possibile rivelare un dato

45 Art. 32-quater TUF, il quale prescrive “ l’esercizio in via professionale del servizio di gestione collettiva del risparmio è riservato alle Sgr, alle Sicav, alle Sicaf, alle società di gestione UE che gestiscono OICVM italiani, ai GEFIA UE e ai GEFIA non UE che gestiscono un FIA italiano, secondo le disposizione del presente titolo”.

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rivoluzionario nella storia della disciplina della gestione collettiva del risparmio. Se ,infatti, fino al TUF la gestione collettiva del risparmio era sempre stata intesa come un servizio di gestione professionalmente diversificata, con la combinazione delle

disposizioni contenute nel TUF con le disposizioni contenute nella regolamentazione secondaria, l’area riservata alla gestione

collettiva del risparmio viene estesa anche ad un’attività che appare riconducibile a quella di influenza nella gestione mediante l’esercizio delle prerogative tipiche del controllante, quale nomina del top management e contributo all’elaborazione delle strategie imprenditoriali46. In questo contesto, facciamo riferimento

all’introduzione dei fondi di investimento di tipo chiuso, attraverso i quali è possibile acquistare anche partecipazioni di controllo . E’ previsto anche per i fondi chiusi un certo quantum di

diversificazione, ma viene meno il tradizionale divieto di acquisire partecipazioni significative idonee ad esercitare influenza notevole nella gestione. Per tanto, l’attività di gestione professionalmente diversificata, con la combinazione tra le disposizioni contenute nel TUF e le disposizioni secondarie, sembra essere molto simile all’attività esercitata da un soggetto richiamato prima, la holding finanziaria, che non a quella di chi svolge il tradizionale servizio di diversificazione mediante investimenti di portafoglio . Come detto sopra, la holding finanziaria detiene una parte, o la totalità, del capitale di altre imprese, al fine di controllarne la gestione

finanziaria, commerciale e industriale. Insomma, se fino al sistema normativo precedente al TUF era abbastanza semplice distinguere fra il mestiere del diversificatore professionale, che investe il

patrimonio secondo logiche di portafoglio, e il mestiere dell’ holder professionale, all’indomani del TUF e della connessa

regolamentazione secondaria tale distinzione risulta più complicata. Ciò che ha spinto il legislatore a introdurre nel nostro sistema una disciplina unitaria , ovvero, il TUF e la connessa disciplina

46 In questo contesto, parliamo dell’introduzione dei fondi chiusi, per approfondire è possibile consultare il regolamento di Banca d’Italia del 20 settempre 1999, al capitolo II.

http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/regolamentazione_bancaria_finanzi aria/compendio_tuif/Provvedimento_20.09.1999.pdf.

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secondaria, è sicuramente l’evoluzione che negli ultimi decenni ha investito il mercato dei capitali e in particolare l’esplosione del mercato del private equity, con la comparsa della nuova figura dei private equity funds.

I fondi di private equity, sono fondi dove il patrimonio conferito dagli investitori è principalmente investito in società private non quotate che, grazie all’apporto di capitale di rischio, e soprattutto, grazie all’apporto entrepreneurial skills (influenza nella gestione conseguente alla titolarità di partecipazioni rilevanti o di controllo), riescono ad acquisire maggior valore nel tempo, così da consentire agli investitori un guadagno che proviene, non tanto dalla

diversificazione professionale, bensì dall’ incontro fra le specifiche entrepreneurial skills dei gestori del fondo e realtà imprenditoriali già esistenti. Il mestiere del private equity fund è molto più simile a quello della holding company che non a quello del tradizionale gestore collettivo del risparmio: la sua conoscenza non sta tanto nella diversificazione professionale secondo logiche di portafoglio , quanto piuttosto nella individuazione delle opportunità di

investimento in società, che se adeguatamente gestite, possono esprimere un potenziale di crescita fino ad allora inespresso. Così come l’holder professionale, le competenze del gestore di un fondo di private equity consistono: nella adeguata selezione del top

management della società target; nel contributo alla elaborazione di strategie imprenditoriali che, dove adottate con successo dalla società target , possono contribuire alla valorizzazione

dell’investimento. A differenza, però, dell’holder professionale, la prospettiva del gestore di un fondo di private equity non è quella di detenere la partecipazione acquisita per un lungo periodo, bensì quella di ottenere un guadagno attraverso il disinvestimento della partecipazione di controllo, una volta che l’apporto di

entrepreneurial skills abbia ottenuto gli effetti sperati. Il motivo per il quale il mestiere di apportatore di entrepreneurship,

tradizionalmente estraneo alla gestione collettiva del risparmio, sia consentito ai fondi di investimento chiusi è facilmente

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partecipanti o delle azioni di una SICAV è perfettamente

compatibile rispetto la gestione di un patrimonio professionalmente diversificato, essa risulta, al contrario, incompatibile con la gestione di un patrimonio, solo moderatamente diversificato, investito in partecipazioni sociali idonee a conferire controllo. È abbastanza semplice rilevare che, se rispetto ad un fondo mobiliare impiegato in un portafoglio diversificato, qual’ era ancora quello dei fondi chiusi di cui la legge del 1993 , la non rimborsabilità delle quote poteva ancora essere considerato un requisito fungibile, al contrario, un fondo impiegato per l’acquisto di partecipazioni di controllo, quale diventa per la prima volta quello dei fondi chiusi di cui al TUF e la connessa disciplina secondaria , la chiusura diventa un requisito imprescindibile della fattispecie.

L’espansione della gestione collettiva del risparmio che è stata inaugurata dal TUF, ha aperto il campo a dubbi interpretativi. Perché la costituzione di un fondo chiuso è assoggettata alla riserva di attività , mentre la costituzione di una normale società che volesse fare lo stesso mestiere dovrebbe essere assoggettata alla diversa riserva prevista dal TUB per le holding?. Nell’esperienza che va dal TUF del 1998 alla recente attuazione della Direttiva AIFMD, non sono mancate società di investimento che hanno operato al di fuori della riserva prevista per la gestione collettiva del risparmio , senza incorrere in sanzioni. Il problema non è sfuggito, però, ad una piccola parte della dottrina, la quale si interrogava su come potesse conciliarsi il principio di riserva di attività prevista per la gestione collettiva del risparmio applicabile ai fondi chiusi e l’apparente principio di esenzione per organismi tutto affatto analoghi ai fondi chiusi salvo che per la forma societaria e non contrattuale del modello adottato, per l’appunto le società di diritto comune.

La dottrina in questione muoveva, innanzitutto, dal corretto rilievo che l’attività tipica di un fondo di private equity, sarebbe in ogni caso sempre rientrata in quella delle società finanziarie (ex art. 106 TUB47), soggette come abbiamo detto ad una diversa riserva di

47 Secondo la vigilanza sono intermediari finanziari, ex. Art. 106 TUB, “ i soggetti iscritti al relativo elenco, che esercitano nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamenti, di assunzione

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