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FASCIOLO 9: I MIRABILIA URBIS ROMAE E IL RUOLO DI COSTANTINO NELL’IMITATIO IMPERII DEL LIBER CENSUUM

LA COSTRUZIONE DI UNA MEMORIA TRIONFANTE: IMITATIO IMPERII E PRIMATO PAPALE NEL LIBER CENSUUM

5.1 FASCIOLO 9: I MIRABILIA URBIS ROMAE E IL RUOLO DI COSTANTINO NELL’IMITATIO IMPERII DEL LIBER CENSUUM

Verso la metà del secolo XI Umberto, cardinale vescovo di Silva Candida, uno dei più impegnati sostenitori della riforma e collaboratore di Leone IX, aveva tracciato un parallelismo tra la Roma antica e la Roma papale, notando che per quanto potesse essere stata malvagia, la prima aveva spianato la strada per l’impero alla chiesa di Roma il cui “potere si estende fino al regno dei cieli. Alla sua sommità la sede apostolica, investita di tutta l’autorità, sia divina che umana, tiene le redini del cielo e della terra, è situata immediatamente sotto Cristo”290. Il ruolo della città di Roma

e, al suo interno, del Laterano sono fondamentali nella costruzione ideologica che Cencio realizza all’interno del Liber Censuum. Diversi elementi vanno a confluire in questa costruzione, elementi tratti non da un solo fascicolo ma da parti diverse dell’opera, che è necessario mettere in collegamento e far dialogare per comprendere il discorso e le dinamiche operative che tramite il Liber Censuum si voleva mettere in atto. Per quanto riguarda l’importanza dell’Urbe per il papato, fondamentali sono innanzitutto i Mirabilia Urbis Romae.

I Mirabilia Urbis Romae, fatti copiare da Cencio nel nono fascicolo del Liber Censuum291 ,

sono un testo composto con tutta probabilità da Benedetto, canonico di S. Pietro, tra il 1140 e il 1143 e inserito nella sua opera, il Liber Politicus292, degli stessi anni. Buona parte del materiale

290 Kaiser, Rom und Renovatio

291 Le Liber Censuum cit. vol. I p.248ss. Gli editori hanno posto il fascicolo contenente i Mirabilia e la descrizione

dell’Italia tratta dall’Historia Ecclesiastica di Ugo di Fleury nella sua posizione originaria ma vogliamo segnalare che oggi esso appare nel manoscritto originale, Vat.Lat. 8486 spostato in un’altra sezione dell’opera, all’interno di una serie di documenti di carattere economico risalenti alla prima metà del XIII secolo e più precisamente tra i folia segnati con numerazione romana come 215 e 216. Il fascicolo contente i Mirabilia riporta ancora la numerazione romana che corrisponde alla sua corretta posizione, mentre la numerazione a stampa fatta in epoca moderna è continua, quindi lo spostamento deve necessariamente essere avvenuto prima di tale numerazione. Non ci è stato tuttavia ancora possibile verificare con più precisione a quando risalga questo spostamento. L’edizione più recente dei Mirabilia con traduzione a fronte è M.Accame - E. Dell’Oro, I Mirabilia Urbis Romae, Roma 2004. Si tengano presente inoltre C. Frugoni, L’antichità: dai Mirabilia alla propaganda politica, «Memoria dell’antico nell’arte italiana» cur. S. Settis, Torino 1984, pp.1-72; N.R. Miedema, Die Mirabilia Romae. Untersuchungen zu ihrer Uberlieferung mit Edition der deutschen und niederlandischen Texte, Tubingen 1996; C. Nardella, L’antiquaria romana dal “Liber Pontificalis” ai “Mirabilia Urbis Romae” in Roma antica nel Medioevo: mito, rappresentazioni, sopravvivenze nella respublica Christiana dei secoli 9.- 13. atti della quattordicesima Settimana internazionale di studio, Mendola, 24-28 agosto 1998) Milano 2001, pp. 423- 448.

292 Il Liber Politicus può essere considerato il primo esempio a noi pervenuto di quella sorta di generale letterario di cui

contenuto nel Liber Politicus è poi stato riutilizzato prima dal cardinale e camerario Bosone,293poi

da Albino nei suoi Digesta e da lì confluito nel Liber Censuum.

Mi sembra utile partire da un’osservazione che, proprio in merito al ruolo dei Mirabilia nel Liber Censuum l’editore del Liber Censuum lasciò in nota all’estratto dell’Historia Ecclesiastica: “Cencius a emprunté cette pièce à Albinus, où elle forme un prologue assez naturel au provinciale et à la table des cens. Ici elle n’a aucune utilité.” Il quaternio nove è un’unità coerente: contiene gli unici due pezzi strettamente letterari (se di fa eccezione delle due cronache che però, per identità di genere, sono infatti accorpate in quaderni adiacenti e dei testi tratti dal Liber Pontificalis) e che compongono un insieme da un lato omogeneo in sé, in quanto volto a fornire una descrizione della sede del papato e una esposizione di quella che è la cornice geografica che in un certo senso “ospita” tale sede, (nonché la maggior parte dei territori considerati di interesse per il papato) dall’altro organico al resto della compilazione, ma solo ad una condizione: che tale unità si possa considerare “utile”, funzionale agli scopi secondo cui è stato redatto il Liber Censuum.

Una qualche luce può forse essere gettata dalle leggende che vengono tramandate nei

Mirabilia: la visione di Ottaviano,294la leggenda delle statue dei Dioscuri295, il cavallo di Costantino296, la leggenda della Salvacio Romae297, solo per citare le più significative, sono tutte

curia pontificia e un’opera di auto rappresentazione ideologica e di costruzione e ridefinizione della memoria istituzionale del papato. La compilazione contiene, oltre appunto ai Mirabilia, un Ordo romanus, che si ritiene opera dello stesso Benedetto, alcuni brani riguardanti le feste popolari in uso a Roma, cronache delle vite dei pontefici e, in base alle indicazioni fornite dal manoscritto Cambrai MS. 554 (risalente al XII secolo) anche il cartulario del cardinale Deusdedit (dell’ultimo quindicennio dell’XI secolo, in cui erano conservati brevi estratti del Liber Pontificalis, atti relativi ai beni fondiari della Chiesa) e il Curiosum, un regionario romano del IV secolo. Sul Liber Politicus in particolare per la datazione dell’opera e la tradizione manoscritta rimandiamo all’edizione del testo in Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine ed. da P. Fabre e L. Duchesne Paris 1899 ma ancora una volta si veda T. Montecchi Palazzi, "Cencius camerarius et la formation du Liber Censuum in MEFRM- Mélange de l’École française de Rome. Moyen-Age 96, 1984.

293 Autore dei Gesta Pontificum Romanorum, che rappresentano l’inizio di una seconda tradizione del Liber Pontificalis

che verrà portata avanti poi dal Liber Censuum. Per la figura di Bosone testo fondamentale di riferimento rimane F. Geisthardt, Der Kämmerer Boso, Berlin 1936 mentre per l’edizione dei Gesta Pontificum Romanorum si veda L. Duchesne, Le Liber pontificalis, II, Paris 1955, pp. 353-446

294 Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine ed. da P. Fabre e L. Duchesne Paris 1899. Vol. I p. 265

Tale racconto ha luogo nella camera dell’imperatore Ottaviano, dove al tempo della redazione dei Mirabilia (che sono i primi a tramandarla nella sua versione occidentale) sorgeva la chiesa di Santa Maria in Campidoglio e racconta di come i senatori volessero adorare Ottaviano come dio e l’imperatore, dopo aver chiesto alla Sibilla se egli fosse di natura divina, ebbe una visione della Vergine con il bambino. È importante qui sottolineare che nella versione orientale della leggenda Ottaviano chiede alla Sibilla chi sarà il suo successore e manca completamente la visione.

295 Ibid. p. 265 Protagonista di tale racconto è un complesso marmoreo in origine di provenienza greca e databile al V

sec. a.C. poi riadattato in età imperiale e situato al tempo dei Mirabilia nella piazza del Quirinale. Di tale complesso viene data una spiegazione allegorica secondo la quale la statua raffigurante una donna circondata da serpenti rappresenterebbe la Chiesa con i suoi predicatori.

296 Ibid. pp. 266-7

297 Ibid. p. 267 All’interno di tale leggenda si inscrive il racconto della fondazione “ai tempi dei consoli e dei senatori”

del Pantheon come tempio dedicato a Cibele, madre degli dei e di come in seguito l’imperatore cristiano Foca avesse donato tale tempio a papa Bonifacio IV che lo consacrò istituendo nel giorno delle calende di novembre la festa dei morti.

espressioni letterarie, come sottolineato in passato dalla Frugoni e dalla Miedema,298di un equilibrio

tra la Roma pagana e quella cristiana, quasi di un passaggio di consegne tra l’una e l’altra. La grandezza di Roma pagana, chiaramente espressa dalle vestigia ancora visibili dell’impero nato con Ottaviano, viene trasmessa alla Roma cristiana attestata dai luoghi citati nelle passioni dei santi e dalla trasformazione di monumenti antichi o riti pagani in edifici e feste cristiane. Wickham, a sua volta, non vede il testo “come una specifica evocazione della Roma repubblicana piuttosto che di quella imperiale; si menziona il tempus consulum et senatorum, ma non così spesso come gli imperatori. Il testo portava del resto facilmente a letture imperiali, come è mostrato chiaramente dalla sua rielaborazione del 1155, presumibilmente nel contesto dell’incoronazione di Federico I, quando fu inserito in una più lunga operata chiamata Graphia aureae urbis Romae dal monaco, storico e falsario cassinese Pietro Diacono, accanto al Libellus de ceremoniis aule imperatoris, dello stesso Pietro. Nel loro insieme la Graphia colloca i Mirabilia in un contesto fondamentalmente imperiale, e lo fa senza bisogno di riscritture, se non marginali. Per contro, la tradizione papale non fu allarmata dai Mirabilia, come mostra il fatto che una delle prime recensioni del testo sia nel Liber Censuum di Cencio del 1192.”299 Si potrebbe dire di più, ovvero che la tradizione papale non solo

non fu allarmata dai Mirabilia, ma anzi vide in essi un efficace strumento di elaborazione

ideologica, in collegamento con altri materiali contenuti nel Liber Censuum. Ciò avviene anche grazie alla mediazione di un altro grande imperatore, Costantino. E’

questo l’elemento forse più significativo dei Mirabilia da un punto di vista politico: la Vita Sancti

Silvestri era certamente ben presente all’autore dei Mirabilia300 e, in relazione alla figura di

Costantino tale leggenda assume un’importanza considerevole per la presenza dell’opera all’interno del Liber Censuum. La narrazione della sua conversione fu illustrata in un mosaico nel nartece della basilica di San Giovanni in Laterano probabilmente su commissione di Clemente III a cui furono aggiunte, sempre sotto Clemente III, scene ispirate al Constitutum Constantini301. Paravicini

298 C. Frugoni, L’antichità: dai Mirabilia alla propaganda politica, in Memoria dell’antico nell’arte italiana a c. di S.

Settis, I, Torino 1984, pp.1-72

N.R. Miedema, Die Mirabilia Romae. Untersuchungen zu ihrer Uberlieferung mit Edition der deutschen und niederlandischen Texte, Tubingen 1996 Entrambe vedono nei Mirabilia solo un’opera letteraria di carattere erudito in cui domina l’interesse per l’antichità e per la grandezza artistica, spirituale e civile di Roma e priva soprattutto di qualunque intento politico. Non entriamo nel merito del dibattito sul significato dell’opera nelle intenzioni del suo autore, ma sarebbe meglio dire compilatore, ma sottolineiamo che per Cencio doveva trattarsi di un elemento di sicura funzionalità rispetto all’immagine di unità che si voleva dare della Chiesa rispetto all’Urbe.

299 C. Wickham, Roma medievale (cit.) p.436

300 Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine ed. da P. Fabre e L. Duchesne Paris 1899. Vol. p. 264 “arcus Romanus ante

Aventinum et Albiston, ubi beatus Silvester et Constantinus osculati sunt et diviserunt se” la vita viene poi evocata nuovamente in relazione al tempio di Vesta ibid. p. 271 “Ibi est templum Veste, ubi dicitur inferius draco cubare, sicut legimus in vita beati Silvestri”.

301 I. Herklotz, Der mittelalterliche Fassadenportikus der Lateranbasilika und seine Mosaiken. Kunst und Propaganda

Bagliani ha ipotizzato302che tale operazione si inscrivesse in un progetto di propaganda atto a

“documentare il suo predominio sulla città di Roma, che egli era riuscito a conquistare con l’accordo raggiunto il 3 maggio 1188 con il Senato”.

La mia impressione è che un’operazione di analogo senso possa essere stata condotta anche attraverso il materiale inserito nel Liber Censuum: le narrazioni contenute nei Mirabilia, la Donazione di Costantino303, il giuramento richiesto a re e principi di rispettare l’ordinamento istituito da tale donazione304sono tutti elementi che dialogano tra di loro e sono funzionali ad un progetto politico-ideologico consapevole, coerente e operante proprio in quegli anni.

La figura di Costantino e il Laterano sono, come si è appena visto, strettamente collegati. Ma la basilica aveva una sua importanza per l’ideologia papale al di là e oltre il richiamo al carattere imperiale, che si esplica nel collegamento tra la basilica e l’Antica Alleanza suggerito dalla Descriptio ecclesie lateranensis305: l’opera, redatta in tre versioni e il cui sviluppo attraversa

tutto l’arco cronologico dell’evoluzione concettuale del primato papale da Gregorio VII ad Alessandro III, fornisce non solo una descrizione di San Giovanni in Laterano, ma su di essa sviluppa un’argomentazione volta ad esaltarne il ruolo primaziale di santuario della cristianità. A sostegno di questa rivendicazione gli autori affermano che all’interno dell’altare maggiore sia conservata l’Arca dell’Alleanza, trasportata a Roma da Vespasiano e Tito dopo la caduta di

Gerusalemme. Si instaura così un parallelismo tra la basilica lateranense e il Tempio di Salomone, con la prima che avrebbe colto l’eredità del secondo, anche nei riti: il richiamo alla messa che sull’altare maggiore può essere celebrata solo dal pontefice o da uno dei sette cardinali vescovi rappresenta lo specchio del rito compiuto dal gran sacerdote ebraico nel Sancta Sanctorum del Tempio di Salomone e proprio questa unicità verrà riproposta da Cencio una volta divenuto pontefice306. Questo sviluppo concettuale poteva rappresentare una grande risorsa per il papato nel

rapporto proprio con l’impero e il comune romano, come osservato da Longo: “Il richiamo alla tradizione dell’Antica alleanza e l’affermazione della supremazia sacrale del papa come nuovo re sacerdote all’interno del processo di maturazione del primato papale come suprema autorità del mondo, aggiunge, per così dire, mattoni, alza e sposta la posta in gioco mediante una rivendicazione autoritativa di maggior peso e antichità rispetto al richiamo all’impero dell’antica Roma,

302 A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la Tiara. Immagini e simboli del papato medievale Roma, 1998 p.40 303 Le Liber Censuum (cit.) pp. 366-8

304 Ibid. p. 419

305 Codice topografi co della città di Roma, a cura di R. Valentini, G. Zucchetti, vol. III, Roma, 1946, p. 319-373. C.

VOGEL, « La Descriptio ecclesiae Lateranensis du diacre Jean, Histoire du texte manuscrit », dans Mélanges en l’honneur de Mgr Michel Andrieu, Strasbourg, p. 457-476; U.LONGO, "Qui caput ecclesiae veterem credunt synagogam". Il richiamo al Tempio di Salomone e alla Antica Allleanza tra universale affermazione dell'ideologia papale e locale concorrenza tra le basiliche romane nel XII secolo in Studi di storia offerti a Michele Luzzatti cur. S.P.P. Scalfati-A.M. Veronese, Pisa 2009 pp. 157-170;

presentando un fondamento di sacralità qualitativa superiore – e comunque altro – nei confronti delle rivendicazioni di parte imperiale e, a livello locale, nei confronti di quelle del Comune romano che si era appropriato e aveva dato vita a un apparato imitativo e di forte richiamo simbolico come quello dell’istituzione senatoriale dell’antica Roma307.”

Anche il Campus Lateranensis giocava un ruolo nella costruzione ideologica del papato: situato a un chilometro dalla più vicina regio densamente popolata, ma dentro le mura e subito fuori dal palazzo pontificio, a nord e a ovest di quest’ultimo, che il papa poteva incontrare il popolo romano, sia in senso concreto, sia in senso figurato. Due statue, poste nel Campus, rappresentavano il legame del Laterano con Costantino: quella di Marco Aurelio a cavallo, ora posta nella piazza del Campidoglio, che all’epoca si riteneva raffigurasse Costantino; e i frammenti di una grande statua imperiale in pietra oggi conservati ai Musei Capitolini, una statua che rappresentava questa volta effettivamente Costantino, ma che all’epoca si riteneva raffigurasse più genericamente la città nel suo ruolo imperiale.

Nel XII secolo, intorno al 1140, Innocenzo II308ampliò la collezione di sculture, trasportando da Castel Sant’Angelo al Campus il sarcofago di porfido che si riteneva dell’imperatore Adriano, amplificando ulteriormente il simbolismo imperiale dell’area. Questo ampliamento fu di breve durata, dal momento che Innocenzo voleva che il sarcofago diventasse la sua stessa tomba. Non solo: come racconta Benedetto canonico nel suo Liber Politicus, una delle fonti di Cencio, il coperchio di quel sarcofago era stato in precedenza usato dal prefetto Cencio a fine undicesimo secolo come copertura della propria tomba. Il recupero da parte di Innocenzo II di tale coperchio appare quindi come una dichiarazione del fatto che solo al pontefice, come chiaramente statuito nel

Constitum Constantini, spettavano i simboli imperiali. Privarne proprio il prefetto romano nel

momento in cui il comune si veniva a formare era la dichiarazione più forte della volontà del papato di porsi come unica forza di governo della città309. Il riferimento più antico riguardo alla sepoltura nel sarcofago di porfido da parte di Innocenzo II è proprio nei Mirabilia Urbis Romae, ma non nelle sue versioni più antiche, bensì solo in quella tramandata da Albino e Cencio310. Il ricordo dell’ appropriazione del sarcofago imperiale anche in chiave di propaganda politica contro il governo cittadino poteva essere funzionale negli anni di Cencio, in cui la prefettura era formalmente sotto il controllo del pontefice in base agli accordi del 1188 ma in sostanza sotto l’influenza imperiale e

307 U.LONGO, Dimensione locale e aspirazioni universali a Roma nel XII secolo: San Giovanni in Laterano come

santuario e l’eredità dell’Antica alleanza in Expériences religieuses et chemins de perfection dans l'Occident médiéval: études offertes à André Vauchez par ses élèves cur. D. Rigaux-D. Russo-C.Vincent Paris, 2012 p. 135

308 M. Stroll, Symbols as power: the papacy following the investiture contest, Leiden 1991 309 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, Roma 2000 pp.36-37

solo nel 1198 Innocenzo III riuscì a ottenere, in maniera duratura, il controllo diretto sul prefetto311.

Fu una scelta consapevole, quella di Albino e Cencio, di tramandare il ricordo della sepoltura imperiale? O più semplicemente avevano a disposizione solo una copia del testo che riportava quella notizia? Non si ha una risposta chiara in merito, ma risulta comunque difficile ignorare il fatto: si tratta di un altro elemento di imitazione imperiale all’interno del Liber Censuum, soprattutto se si considera che lo stesso Onorio III si fece tumulare in una tomba di porfido, a S. Maria Maggiore. Il Laterano rimaneva comunque la sede di sepoltura per definizione dei pontefici del XII secolo, dal momento che (escludendo i quattro morti fuori dall’Urbe) dieci su dodici, da Pasquale II a Celestino III, furono sepolti in Laterano.

Vi sono tuttavia degli elementi di discontinuità all’interno del ruolo di Costantino nei Mirabilia, elementi di cui bisogna assolutamente tenere conto: fin dalla metà del X secolo si hanno notizie di una statua equestre (oggi sappiamo raffigurante Marco Aurelio) identificata come caballus Costantini e situata nel Campus Lateranensis. Un primo riferimento riguarda l’episodio in cui, nel 966, Giovanni XIII fece appendere per i capelli alla statua equestre il prefetto Pietro come punizione esemplare per essersi ribellato al potere del papa. In seguito, nel 985, l’antipapa Bonifacio VII fu linciato dalla folla e lasciato ai piedi del “cavallo di Costantino”312. Queste prime due menzioni sono strettamente legate a situazioni di restaurazione da parte del papato della propria legittima autorità in città, e il fatto che la statua si trovasse nel luogo adibito all’amministrazione regolare della giustizia da parte del pontefice è ancora più significativo. La scultura viene menzionata nei Mirabilia, ma nel frattempo era intervenuto un cambiamento nell’interpretazione della raffigurazione: rubrica e incipit recitano:

XXXVIII. Quare factus sit equus qui dicitur Constantinus.

Lateranis est quidam caballus hereus qui dicitur Constantini, sed non ita est; quia quicumque voluerit veritatem cognoscere hoc perlegat313.

Segue un racconto secondo il quale la statua rappresentava un certo Marco, figura eroica che al tempo della Roma repubblicana aveva fatto prigioniero un re orientale che stava assediando Roma. I Mirabilia ricordano un elemento ancora visibile nel XII secolo, ovvero una figura prostrata sotto gli zoccoli del cavallo, identificata proprio con il re orientale.

311 Ancora l’autore del Liber Politicus (che ricordiamo risale agli stessi anni dei Mirabilia) ricordava come il prefetto

dovesse svolgere l’officium stratoris nei confronti del pontefice, evidenziando così il carattere feudale e di vassallaggio del rapporto tra l’autorità cittadina e il vescovo di Roma.

312 Le Liber Pontificalis vol. 2 pp. 252 e 259 313 Le Liber Censuum (cit.) p. 266

A questo punto, nota Herklotz, «Sembra legittimo chiedersi pertanto se, identificando il monumento dell’imperatore Costantino con quello di un eroe a cavallo dell’età della Repubblica, i Mirabilia non tradiscano un punto di vista romano-comunale, contrapponendo alla tradizionale interpretazione della statua una propria, in certo qual modo “repubblicana”314». Questo è certamente

possibile, soprattutto se si considera che l’opera fu scritta proprio nel periodo in cui veniva formato