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La fase del “ripensamento”: il Decreto Legge 269/2003 e la Legge 350/2003

2. LE AZIENDE DI GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: INQUADRAMENTO

2.2 I principali interventi normativi in tema di servizi pubblici locali

2.2.4 La fase del “ripensamento”: il Decreto Legge 269/2003 e la Legge 350/2003

Le previsioni introdotte dalla Legge 448/2001 incontrarono, in alcune parti, l’opposizione dell’Unione Europea: infatti, la Commissione, con la nota C-2.329 del 26 Giugno 2002 apriva una procedura d’infrazione contro il nostro Paese, giudicando non in linea con i principi comunitari la possibilità di affidamento diretto delle reti e degli impianti a società di capitali a maggioranza pubblica, nonché la disciplina del periodo transitorio.

Si assistette all’emanazione del Decreto Legge 30 Settembre 2003, n. 269 (convertito nella Legge 24 Novembre 2003, n. 326) e, successivamente, con la Legge 24 Dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria 2004), che modificarono gli articoli 113 e 113 bis del TUEL. Tali provvedimenti introducevano, innanzitutto, una nuova suddivisione, che sostituiva quella della Legge 448/2001, questa volta tra servizi a rilevanza economica53 e non.

Con riguardo ai servizi a rilevanza economica, cambiava la criticata regolamentazione circa

53

La Legge in questione richiama del già citato Libro Verde 2003, secondo cui viene considerata attività economica l’apprestamento di beni e servizi in un dato mercato.

l’affidamento delle reti, ferma restando la proprietà pubblica inalienabile delle stesse: gli enti locali, in presenza di separazione tra gestione delle rete e del servizio, potevano affidare direttamente la gestione delle infrastrutture solo a società di capitali a totale capitale pubblico incedibile e solo se essi fossero stati in grado di esercitare su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e se la società avesse realizzato la parte più importante della propria attività con i soggetti (pubblici) che la controllavano. In alternativa, occorreva esperire un’apposita gara ad evidenza pubblica.

La possibilità di ricorrere al cosiddetto “in house providing”, ovvero all’attribuzione diretta delle gestione delle reti, era garantita dalla pronunce della giustizia europea, secondo la quale l’obbligo di gara non sussisteva qualora il contraente non fosse una persona giuridicamente distinta dall’amministrazione sul piano formale e autonoma sul piano decisionale. Da tale previsione derivavano le condizioni poste (controllo analogo sulla società e realizzazione della maggior parte dell’attività con l’ente locale) all’affidamento diretto.

Ulteriore (e assai rilevante) innovazione riguardava le modalità di assegnazione del servizio; se veniva confermata la possibilità di individuare il gestore tramite gara, veniva in più introdotta l’opzione di attribuire la gestione del servizio direttamente a:

• società a capitale misto pubblico-privato, nelle quali il socio privato fosse stato scelto con procedure ad evidenza pubblica;

• società a capitale interamente pubblico, a patto che gli enti locali titolari fossero in grado di esercitare su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con i soggetti (pubblici) che la controllavano.

Se nel secondo caso si aveva una deroga, ammessa dalla giustizia europea, al principio di concorrenza, in presenza delle condizioni per identificare l’“in house providing”, nel primo caso l’apparente assenza di concorrenza dovuta all’affidamento diretto era sanata, secondo l’orientamento della giurisprudenza interna, dalla presenza di procedura ad evidenza pubblica nella scelta del socio privato.

Si individuava, di conseguenza, non solo la possibilità di dar vita a una “concorrenza nel mercato” (un’opzione prevista dalla Legge 448/2001), ma anche ad una “concorrenza per il mercato”, tramite la gara per la scelta del socio privato in una società mista, che sarebbe poi stata affidataria diretta del servizio. A tali possibilità si aggiungeva poi il ricorso alla soluzione “in house”.

Anche le nuove normative prevedevano la presenza di un periodo di transizione, durante il quale rimanevano confermati gli affidamenti in essere. Veniva inserito il 31/12/2006 quale limite

ultimo per le concessioni rilasciate con procedure che non rispettassero le tre opzioni definite dal nuovo articolo 113. Erano tuttavia escluse, oltre a queste ultime, anche le concessioni affidate alla data del 1/10/2003 a società quotate in borsa e a società pubbliche che entro la stessa data avessero collocato sul mercato quote di capitale con procedure ad evidenza pubblica; in quest’ultimo caso la concessione spirava al sopraggiungere del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di gara, salva la possibilità di proroghe determinate caso per caso in relazione ai tempi di recupero di particolari investimenti.

In più, ulteriore differimento si poteva avere, previo parere positivo della Commissione Europea, in presenza di fusioni che raddoppiassero il bacino di utenza (un anno), o che portassero un’impresa ad operare in un bacino di utenza pari a quello provinciale o ottimale (due anni).

In realtà le modifiche apportate al TUEL apparivano come una sorta di passo indietro rispetto alla normativa fortemente favorevole alla effettiva liberalizzazione del settore: con la nuova disciplina risultava rafforzato il ruolo di intervento diretto del soggetto pubblico, a scapito del suo ruolo di regolatore. Se nel disegno precedente appariva chiara l’intenzione di fare dell’ente locale un regista dello sviluppo del proprio territorio, ora si potenziava il suo intervento diretto, rafforzando notevolmente il latente conflitto d’interessi che gravava sull’amministrazione nel suo duplice ruolo di proprietario e nel contempo regolatore.

In più, le nuove normative parevano restrittive della concorrenza, garantendo indebiti vantaggi a strutture di emanazione pubblicistica, a danno delle imprese private e quindi in violazione dei dettami europei54.

Tali perplessità erano rafforzate dall’analisi delle innovazioni nel campo dei servizi privi di rilevanza economica (articolo 113 bis del TUEL). Anche in questo caso cessava la previsione secondo cui era possibile l’affidamento diretto a società a maggioranza pubblica: con la nuova normativa era richiesto il possesso dell’intero capitale da parte dell’ente locale, nonché i già citati requisiti richiesti per l’“in house providing”. Ancora, veniva del tutto eliminata la possibilità di assegnazione di tali servizi tramite gara. Di fatto, quindi, il settore dei servizi privi di rilevanza economica veniva chiuso alla concorrenza con privati e assegnato alla gestione diretta (al limite con proprie articolazioni organizzative create ad hoc dall’ente locale).

Relativamente ai servizi privi di rilevanza economica è da segnalare l’intervento della Regione Toscana, che sollevò la questione di compatibilità costituzionale degli articoli 113 e 113 bis del TUEL con le previsioni dell’articolo 117: non essendo i servizi pubblici inseriti tra le materie di esclusiva competenza dello Stato né tra quelle a competenza concorrente, i succitati articoli del

54

Per un’analisi particolareggiata dei limiti della riforma attuata con il Decreto Legge 269/2003 e la Legge 350/2003 si veda POLIDORI P. (a cura di), Politiche locali e organizzazione dei servizi pubblici economici, FrancoAngeli, Milano, 2005, pagg. 13-26.

TUEL risulterebbero lesivi della potestà normativa regionale.

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 27 Luglio 2004, n. 272, accolse solo in parte l’istanza, rigettandola con riferimento ai servizi a rilevanza economica, in quanto le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici rientravano nell’ambito della tutela della concorrenza, materia riservata allo Stato dall’articolo 117 della Costituzione. La Corte, tuttavia, affermò che l’esigenza di tutela della concorrenza sorgeva con riferimento ai soli servizi a rilevanza economica, di conseguenza dovevano considerarsi anticostituzionali le previsioni dell’articolo 113 bis, in quanto effettivamente lesive della potestà normativa esclusiva regionale. In più, la Corte dichiarò illegittime parte delle previsioni dell’articolo 113, comma 7, laddove il legislatore fissava i criteri di aggiudicazione delle gare, in quanto definite “con tecnica autoapplicativa” e con dettaglio tale da andare oltre le esigenze di tutela della concorrenza.

La pronuncia della Corte Costituzionale, con conseguente caducazione delle parti ritenute anticostituzionali, apriva quindi alla regolamentazione da parte delle regioni in materia di servizi privi di rilevanza economica. Ciò non significa che le previsioni del vecchio articolo 113 bis fossero ormai prive di valore: semplicemente esse non rappresentavano più un elenco chiuso, lasciando così agli enti locali maggiori opzioni nell’ambito della gestione di tali servizi.

2.2.5 La fase della ripresa concorrenziale: il Decreto Legge 112/2008 e la Legge